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    Vincenzo Foppa nel
    1490 torna Brescia, la sua città natale, dopo un soggiorno di oltre 30 anni
    a Pavia, nel Ducato di Milano. Il grande pittore, precursore e maestro del
    Rinascimento lombardo, ormai sessantenne, era al colmo della sua fama, e il
    Comune di Brescia lo aveva nominato “pittore della città” con uno
    stipendio annuo garantito. Era un grande onore e il giusto riconoscimento
    per la sua opera. Una sorta di “premio alla carriera”, diremmo oggi. 
    Gli anni della vecchiaia di Foppa a Brescia sono di fatto l'inizio del
    periodo di maggior splendore della pittura bresciana, i cui massimi
    esponenti sono Giovanni Girolamo Savoldo (1480 circa –
    1548), il Romanino (1485 circa – 1566) e il Moretto (1495
    circa – 1544). 
    La pittura nel Rinascimento ha raggiunto livelli altissimi in tutta Italia
    (basti pensare a Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Tiziano, che come tutti
    sanno sono tra i più famosi pittori al mondo). 
    Tuttavia il caso bresciano è rilevante per almeno due motivi. In primo
    luogo Brescia non era la capitale di uno Stato regionale, come Roma, Milano,
    Firenze o Venezia dove operano i maggiori artisti. Inoltre nei primi anni
    del Cinquecento Brescia vive un periodo difficilissimo. La sconfitta dei
    veneziani nella battaglia di Agnadello (1509) aveva comportato l'occupazione
    della città da parte dei francesi. Tre anni dopo, il gravissimo Sacco di
    Brescia (19 febbraio 1512): la città è devastata, migliaia di
    bresciani sono massacrati, centinaia di donne sono violentate e i francesi,
    dopo aver depredato Brescia, portano via circa 4 mila carri colmi di
    gioielli, arredi, tessuti, opere d'arte e scorte di cibo. Brescia torna a
    far parte della repubblica veneziana solo nel 1516. Tutto ciò potrebbe
    essere un colpo micidiale e invece, nonostante tutto, Brescia si riprende. 
    Nel maggio del 1522 da Venezia arriva a Brescia, per la collegiata dei Santi
    Nazaro e Celso, il  Polittico Averoldi di Tiziano Vecellio (1488/90 -
    1576). Era stato commissionato da Altobello Averoldi, nobile veneziano,
    vescovo di Pola, cardinale e nunzio apostolico presso la repubblica
    Serenissima. L'opera, ancor oggi all'altare maggiore della chiesa, è
    composto da cinque dipinti. Quello centrale rappresenta la resurrezione di
    Cristo. Nei pannelli superiori abbiamo l'Angelo annunziante e la Vergine. In
    quelli inferiori i santi Nazaro e Celso col committente e il martirio di San
    Sebastiano. La scena centrale della Resurrezione è un vero capolavoro:
    Cristo trionfante si manifesta sfolgorante in cielo, impugnando il vessillo
    crociato come simbolo del Cristianesimo. La sua immagine, di straordinaria
    forza espressiva e indubbia perfezione anatomica, si erge inondata dalla
    luce, in contrasto sia con lo sfondo tenebroso di un'alba spettacolare, sia
    con i soldati nell'ombra in basso. Il paesaggio è suggestivo e
    coinvolgente: sullo sfondo appaiono gli edifici di una Gerusalemme
    idealizzata e il fedele è come preso per mano e condotto a meditare
    sull'alba della nuova era cristiana che si apre con la Resurrezione. 
    Tra i tre grandi pittori
    del Rinascimento bresciano (Savoldo, Romanino e Moretto) il più famoso al
    mondo è Alessandro Bonvicino detto il Moretto di Brescia. Basti
    ricordare che molti suoi dipinti sono esposti nei musei americani (Atlanta,
    New York, Washington, Philadelphia e Cleveland) ed europei (Berlino,
    Budapest, Francoforte, Londra, Cambridge, Oxford, Monaco, Vienna, Stoccolma
    e San Pietroburgo). A Brescia sono conservati oltre la metà dei suoi 136
    dipinti, considerando solo quelli la cui attribuzione è certa. In
    particolare ben cinque chiese della città sono significative per apprezzare
    l'opera del Moretto: il Duomo vecchio, San Giovanni, San Clemente, San
    Nazaro e le Grazie. 
    Nella chiesa di San Giovanni Evangelista possiamo ammirare la celebre
    cappella del Sacramento, nella quale a Moretto furono affidate scene del
    Vecchio Testamento e al Romanino quelle del Nuovo (in particolare la 
    Resurrezione di Lazzaro e la  Cena in casa del fariseo. Le opere sono di
    datazione incerta e dibattuta, grosso modo attorno al 1522-24: Moretto aveva
    quasi trent'anni e Romanino dieci di più. Nonostante la giovane età, il
    Moretto mostra già il suo valore, in particolare nell'affollata  Raccolta
    della manna e nel suggestivo  Elia confortato dall'Angelo, dove la realistica
    figura del Profeta nel sonno è collocata in uno splendido paesaggio che
    dalla vegetazione e dalle rocce in primo piano sfuma in tenui rovine lontane
    immerse nella quiete notturna. Nella lunetta sopra questi due quadri, il
    Moretto dipinge  l'Ultima cena e completa la parete destra della cappella con
    gli evangelisti Marco e Luca e sei profeti. Sempre nella stessa chiesa, ma
    non nella cappella del Sacramento, possiamo ammirare  La strage degli
    innocenti. 
    Circa un anno dopo, è la volta dell'Assunta con gli Apostoli  all'altare
    maggiore del Duomo Vecchio, che richiama alla memoria la celebre  Assunta
     di
    Tiziano nella chiesa dei Frari a Venezia (1516-18). Colpisce il contrasto
    tra l'agitazione, lo stupore e il turbamento degli Apostoli, in basso, e
    l'espressione languida e sognante della Vergine. Qualche anno dopo, tra il
    1530 e il 1535, Moretto dipinge sempre per il Duomo un nuovo  Elia confortato
    dall'Angelo, che nella collocazione attuale è sormontato dal  Sacrificio di
    Isacco. Elia stremato trasmette ancora oggi una sensazione di mistero, resa
    ancor più viva dalla folta vegetazioni e dalle inquietanti costruzioni del
    paesaggio illuminato dalla luce lunare. 
    La basilica delle Grazie ci fa conoscere un Moretto più maturo. Per questa
    chiesa, allora in via di completamento, Moretto dipinse tre opere: la 
    Madonna con i Santi Rocco Martino e Sebastiano (1525),  Sant'Antonio Abate
    (1530) e all'altare maggiore  La nascita di Gesù (1550 circa). Solo il primo
    di questi dipinti si trova ancora nella chiesa, gli altri due purtroppo sono
    conservati alla civica pinacoteca, rimpiazzati in loco da copie. La  nascita
    di Gesù  è particolarmente significativo: la donna vestita di rosso accanto
    alla Madonna non è Sant'Anna, come spesso si è creduto, ma una levatrice
    (come tramandato dalla medioevale  Legenda Aurea di Jacopo da Varazze,
    versione poi condannata dal Concilio di Trento). Diversi autorevoli studiosi
    (a partire da Roberto Longhi nel 1929) basandosi sui tratti realistici del
    dipinto, hanno definito l'opera “un preludio” alla  Natività di
    Caravaggio (1609) conservata a Messina. 
     
    Maurilio Lovatti 
     
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