Bresciaoggi,  mercoledì 16 febbraio 1977, pag. 3

 

lettere al direttore 

Ancora sul "ruolo delle ACLI"

 

Signor direttore,


desidererei esprimere qualche mia osservazione circa l'articolo pubblicato da "Bresciaoggi" il 25.1.77 firmato Maurilio Lovatti, riguardante il commento-recensione alla recente pubblicazione: "I lavoratori cattolici nella vita politica bresciana" (Sangallo edizioni), opera che affronta essenzialmente il periodo storico 1945/50.
Mi sembra di poter affermare che l'articolista non solo non colga lo spirito con cui il libro è stato scritto, ma che travisi o dimostri di non aver compreso l'elaborato in molti dei suoi aspetti. Clamorosa è l'affermazione dell'articolista, secondo cui gli autori del volume sarebbero convinti (per quanto riguarda le vicende del dopoguerra) "di un doppio gioco da parte dei comunisti che si spaccerebbero come difensori della democrazia solo per guadagnare la forza sufficiente a schiacciarla con una dittatura" (periodo del libro citato dall'articolista).
Fortunatamente non ci sono controprove. Comunque tale opinione (sarà poi del tutto discutibile?) come si comprende dal contesto in cui è inserita non è da attribuirsi agli autori, i quali invece obiettivamente constatano essere quelli il timore e l'opinione comune dei lavoratori cattolici nella seconda metà degli anni quaranta.
Gli autori poi, secondo M.L., giustificherebbero anche le azioni più squallide della corrente sindacale cristiana (ma non è vero, vi sono anche critiche ben precise), come ad esempio il crumiraggio durante la vertenza al Lanificio Marzotto di Manerbio iniziata il 27.12.46.
Il sottoscritto, che già tempo fa ebbe modo di affrontare in un suo lavoro queste vicende, può sostenere: che lo sciopero fu "selvaggio"; che anzi qualche sindacalista sospettava che iniziatori fossero attivisti dell'Uomo qualunque; che in ogni caso non furono inizialmente responsabili dell'agitazione né sindacalisti, né membri della C.I.; che la Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro in seduta straordinaria approvò all'unanimità la decisione di far riprendere il lavoro (seduta del 28.1.77); che però il giorno successivo i segretari comunista e socialista della C.d.L. decidevano improvvisamente di appoggiare la prosecuzione dello sciopero: prosecuzione che la corrente cristiana non accettò invece, in quanto la vertenza era lesiva della disciplina sindacale. L'articolista ha letto i verbali della Commissione Esecutiva della C.d.L. o solo i giornali del tempo?
M.L. infine afferma di non credere all'obiettività come metodo di lavoro che gli autori si autoattribuirebbero. Coerentemente quindi egli non accetta parecchi giudizi degli autori, ma incoerentemente, e ciò quando gli fa comodo, prende come oro colato e si bea di episodi non certo edificanti citati nel libro, riguardanti uomini e vicende della DC e dell'ambiente cattolico d'allora. Ma non è anche questa una prova che gli autori non hanno voluto fare il panegirico a nessuno, ma hanno voluto mostrare con onestà ciò che di buono c'era, e anche ciò che vi fu di negativo?
Io ho invece il sospetto, avallato dell'esperienza, che siamo in troppi a voler dettare sentenze senza aver sufficiente documentazione e il minimo senso storico; ciò che conduce al manicheismo (da una parte tutto il bene, dall'altra solo il male), al pressappochismo, all'incomprensione della realtà storica.

Francesco Turelli
Villaggio Badia - Brescia

 

 

1) Nella prima parte della lettera il signor Turelli sostiene che la pesante polemica anticomunista svolta nel libro non esprimerebbe il punto di vista degli autori, ma la descrizione del tipo di opinione dei lavoratori cattolici in quel periodo (1945-50). Anche Renzo Fracassi, uno degli autori del volume, sulla Voce del Popolo dell'11 febbraio tenta di difendersi in questo stesso modo. Ma se questa tesi è valida per quanto riguarda la citazione di brani e scritti dell'epoca, come già precisavo nella mia recensione, è evidentemente troppo comodo e poco convincente, per gli autori e per chi con loro concorda, cercare di dissociarsi dai polemici giudizi espressi nel libro.
Per esempio la frase citata da Turelli relativa al "doppio gioco da parte dei comunisti che si spaccerebbero come difensori della democrazia solo per guadagnare la forza sufficiente a schiacciarla con una dittatura" continua con queste parole: "che per il fatto di essere rossa, non sarebbe migliore di quella nera appena cancellata". Ora qui, mi sembra palese, si tratta di giudizi degli autori e non già di fatti storici descritti nella loro obiettività. Giudizi rispettabili quanto si vuole, ma indubbiamente anticomunisti. Non comprendo come mai gli autori non abbiano almeno il coraggio delle proprie opinioni (mi riferisco in particolare alla lettera dell'amico Fracassi alla Voce del Popolo).
2) La benevolenza e l'atteggiamento apologetico degli autori del volume nei confronti della DC non si evidenziano certo negli episodi ripresi dal sig. Turelli (che, fra l'altro, non vedo come gli autori avrebbero potuto negare, salvo clamorose e plateali falsificazioni) ma nel giudizio complessivo su questo partito che emerge dal libro. Non per nulla non si fa cenno la politica economica della DC e le sue scelte che contrastavano con le esigenze del movimento dei lavoratori. Si parla ampiamente di Paesi dell'Est europeo, ma non della crisi economica italiana, della recessione del '47, dell'insabbiamento della proposta di sostituzione della moneta, della differente soluzione della crisi prospettata da Scoccimarro. E ciò per evitare scrupolosamente ogni giudizio negativo sulla DC.
3) Lo sciopero della Marzotto di Manerbio. Giustamente il signor Turelli immagina che io non abbia letto i verbali della Commissione Esecutiva (anche perché all'archivio della Camera del Lavoro non ci sono). Ma, a giudicare dalle citazioni a sproposito pare che il sig. Turelli, oltre ai predetti verbali, non abbia letto molto attentamente nemmeno i giornali del tempo. Infatti:
a) lo sciopero iniziò il 27-12-46 terminò il 3-1-47. È quindi matematicamente impossibile che la Commissione Esecutiva del 28-1-47 abbia deciso di "fare riprendere il lavoro", visto che questo già ripreso da quasi un mese! Forse il sig. Turelli fa confusione con un'altra riunione della Commissione esecutiva, tenuta nella seconda metà di gennaio, in cui si discusse di questa questione, ma per tutt'altro motivo? Infatti gli impiegati della Camera del Lavoro appartenenti alla corrente cristiana il 13-1-47 avevano deciso, per protesta contro "il vile e oltraggioso" attacco della Verità del 12 gennaio, di "non partecipare all'attività" della Camera del Lavoro. La Commissione Esecutiva si riunì, ma per valutare le richieste di questi impiegati democristiani, che, pur avendo scioperato, volevano essere ugualmente retribuiti.
b) E vero che il movimento dell'Uomo Qualunque intervenne sullo sciopero, ma non certo per promuoverlo, come afferma il sig. Turelli, attribuendo tale sospetto a qualche immaginario sindacalista. Il settimanale locale dei qualunquisti, invece, attaccò duramente lo sciopero, accusando duramente le sinistre, Belleri (segretario della Camera del Lavoro) e "pochi energumeni" (citazione testuale) di avere preordinato lo sciopero stesso. Un 'altra involontaria e madornale confusione del sig. Turelli?
c) Su un aspetto la versione del libro, quella del sig. Turelli e la mia concordano. Lo sciopero non fu promosso dai sindacalisti, ma deciso spontaneamente dai lavoratori in assemblea. Va però ricordato che tale decisione fu riconfermata dai lavoratori nell'assemblea del 31-12-46, anche se il giorno prima i sindacalisti DC avevano reso pubblico il loro dissenso. Pertanto la definizione di "crumiraggio" che attribuivo ai democristiani che decisero, a partire da questa seconda assemblea, di boicottare lo sciopero è letteralmente appropriata.
d) Sia la giustificazione del "crumiraggio" addotta dagli autori del libro (la questione delle case popolari) sia quella del sig. Turelli appaiono tentativi strumentali e poco credibili, che nulla hanno a che vedere con lo svolgersi effettivo dei fatti. A questo punto non merita nemmeno sprecare inchiostro per replicare alle accuse che il sig. Turelli mi rivolge: scarsa documentazione, mancanza di senso storico, manicheismo, pressappochismo, incomprensione della realtà storica. Da che pulpito viene la predica!

Maurilio Lovatti

 

 

Consideriamo chiusa, con questa risposta del nostro collaboratore, la polemica suscitata da una Sua recensione. Ci si consenta, come redazione, di esprimere una certa perplessità di fronte a qualche accento che ci è sembrato eccessivo nei confronti di una semplice recensione, per osservazioni e dati ch'essa potesse contenere che a qualcuno risultassero inaccettabili. Non vorremmo che fosse il sintomo di una ancora diffusa abitudine a non ammettere che si abbiano opinioni diverse o a non concedere che si possa anche essere inesatti senza per questo apparire rei di qualche lesa maestà. Ci è sembrato, in proposito, francamente abnorme che addirittura un'apertura di prima pagina di un quindicinale locale abbia a man salva parlato di "libello" di "ignoranza" di "mancanza di dignità" e simili, quasi che Bresciaoggi sia la sede di chissà quali perverse manovre. Corretto costume giornalistico vorrebbe che l'eventuale "ignoranza" fosse tranquillamente corretta. A Bresciaoggi nessuno è titolare di verità precostituite. Però si vorrebbe che l'accusa di ignoranza fosse documentata.

(nota redazionale non firmata, ma redatta dal prof. Renzo Baldo, responsabile della Terza Pagina)

 

Come termine di confronto delle varie interpretazioni sullo sciopero di Manerbio, riporto qui uno stralcio da Franco Gheza, Movimento cattolico e dinamica sociale a Brescia (1945-1950), pubblicato in Brescia negli anni della ricostruzione 1945 - 1949, a cura di R. Chiarini, Micheletti, Brescia 1981, pag. 114-115 (le note sono alle pag. 139-140).

 

 

Lo sciopero di Manerbio

I rapporti tra le correnti sindacali bresciane si acuirono e giunsero ad un punto di rottura nei primi giorni del 1947. Uno sciopero "selvaggio", la serrata dell'azienda, le contrastanti versioni dei fatti e le accuse intercorse tra le correnti sindacali, l'astensione dal lavoro per un paio di giorni dei dirigenti e impiegati democristiani della Cdl, sono gli elementi di una vicenda che rivela le differenze e contribuisce ad incrinare i rapporti tra le vecchie correnti all'interno del sindacato unitario.
Il giorno 27 dicembre 1946 verso le cinque del mattino alcune operaie provocavano l'inizio di uno sciopero al Lanificio Marzotto di Manerbio in cui lavoravano circa 3.000 lavoratori, per la massima parte donne (116) Lo sciopero si estendeva all'intero stabilimento senza che nessun membro della commissione interna o del sindacato fosse al corrente dei motivi per cui era stato iniziato. (117) I tre segretari della Fiot, il sindacato dei tessili, si precipitarono immediatamente a Manerbio, ma i tentativi per far riprendere il lavoro risultarono vani. Il giorno successivo si riuniva la commissione esecutiva della Cdl.
Chi aveva organizzato l'improvviso sciopero? Quali le cause?
La richiesta più evidente era quella della quattordicesima anche per gli operai, dato che gli impiegati l'avevano già ottenuta. (118) La vertenza si aggravò notevolmente in seguito alla serrata proclamata dall'azienda e all'intervento della Aib che scendeva in campo per assistere la direzione. Nonostante alcune incertezze la commissione esecutiva della Cdl approvò all'unanimità la decisione di far riprendere il lavoro. Recatisi sul luogo, mentre il segretario democristiano propendeva a comunicare ai lavoratori la decisione presa dalla Cdl, i segretari delle altre correnti ritennero opportuno rimandare la cosa al giorno dopo. Per i sindacalisti democristiani bisognava por termine allo sciopero "selvaggio" e imporre il rispetto della disciplina sindacale (119) oppure "abbandonare a se stesso chi non voleva aiuto" dalle organizzazioni sindacali. (120) I dirigenti delle altre due correnti invece avevano deciso nel frattempo di accettare il dato di fatto, di mettersi alla testa degli scioperanti e, prese in mano le redini della vertenza, "insegnare loro la strada giusta" (121) In realtà i dirigenti socialisti e comunisti cercavano di ottenere maggiori simpatie e adesioni in un settore in cui essi erano in minoranza. Perciò soltanto i sindacalisti democristiani rimasero del parere di dare esecuzione al deliberato della Cdl. La loro posizione fu resa nota alla stampa, ma nessun lavoratore della corrente cristiana permise nei primi giorni "atti di crumiraggio" (122), come si volle affermare in successive accuse.
Dopo alcuni giorni, visti inutili i tentativi di far scendere in sciopero tutti gli altri stabilimenti del gruppo Marzotto per solidarietà con gli operai di Manerbio, i sindacalisti socialisti e comunisti scesero a trattativa con la controparte. Un violentissimo attacco del giornale comunista di Brescia additò i rappresentanti della corrente sindacale cristiana come "gli autori del fallimento dello sciopero, i servi del padrone, gli strumenti della reazione" ecc. (123) I sindacalisti e gli impiegati democristiani allora si ritirarono in segno di protesta dagli organismi sindacali chiedendo riparazione ai rappresentanti della corrente comunista e sollecitando un'inchiesta confederale (124) Detta riparazione veniva, sia pure molto a stento, e i democristiani ripresero il loro posto di lavoro dopo un giorno e mezzo di assenza. (125)
Durante una riunione della commissione esecutiva di fine gennaio si constatò che tra i dirigenti sindacali era impossibile trovare un accordo sulle questioni lasciate in sospeso dalla vertenza di Manerbio e che era "più facile accordarsi tra politici": pertanto fu deliberato di rinviare la discussione a dopo l'incontro che sarebbe avvenuto tra i segretari della Cdl e i segretari dei partiti. (126) Ancora una volta appare evidente lo stretto legame tra movimento sindacale e partiti politici, con la conseguente subordinazione del primo ai secondi: basti aggiungere, infatti, che la mediazione dei contrasti tra le correnti sindacali fu attuata in sede politica fin dall'inizio della vertenza. (127) Anche la decurtazione dello stipendio che i socialisti e i comunisti avevano deciso di effettuare ai funzionari della corrente cristiana in seguito alle due giornate in cui essi erano stati assenti contribuì a suscitare aspre polemiche. Poiché i politici avevano lasciato insoluto questo particolare aspetto della vertenza, la corrente cristiana portò a conoscenza dei lavoratori, nell'aprile, tale questione amministrativa prima che venisse presa una decisione definitiva. Furono consegnati ai lavoratori cristiani, ad opera delle Acli, dei ciclostilati da inviare, dopo che fossero stati firmati, ai segretari socialista e comunista della Cdl; in essi era espressa la condanna per "l'abuso perpetrato", e si affermava che se entro la fine del corrente mese "l'assurda decisione" non fosse stata riveduta, i lavoratori che aderivano alla corrente cristiana si sarebbero riservati di versare parte dei contributi ai rappresentanti della propria corrente. (128) I segretari socialisti e comunisti, ironizzando sulla "spontaneità dei lavoratori democristiani e delle loro minacce", decisero di procedere al pagamento delle due giornate, ma non ritennero "liquidata la questione morale". (129)
Gli strascichi negativi di questo scontro tra le correnti sindacali perdurarono per alcuni mesi. Di rimando alle accuse dei socialisti e comunisti di aver attentato all'unità sindacale (130), il segretario della corrente cristiana affermò che in nessun modo essa era stata minacciata, ma si era prospettata "semplicemente la divisione delle responsabilità amministrative, e pertanto dell'amministrazione dei contributi dei lavoratori", qualora la corrente cristiana non avesse voluto condividere la responsabilità di atti amministrativi che si svolgevano a sua insaputa o contro la sua volontà. (131)
Si approfondivano cosi ulteriormente i dissidi tra le correnti sindacali, tanto più che i democristiani approfittarono del momento loro favorevole per ribadire ancora una volta che la responsabilità degli avvenimenti accaduti spettava interamente ai sindacalisti delle altre correnti. (132)
Il "caso Manerbio" ebbe ripercussioni anche fuori della provincia di Brescia. Verso la fine del gennaio 1947, Giuseppe Rapelli, allora segretario generale della corrente cristiana, elogiò il comportamento dei sindacalisti cristiani di Brescia. (133) Più tardi, il nuovo segretario Giulio Pastore chiese chiarimenti sui fatti che si erano svolti per farne uso, se necessario, nelle discussioni precongressuali. (134)

NOTE:

116. Gli iscritti al sindacato erano 2.869. I risultati alle elezioni precongressuali saranno: Corrente Cristiana 1.111 voti; Corrente Socialista 828; Unità Sindacale 443.(A. Cisl, Congressi).

117. A. CISL, Verbali, vol. I, riunione straordinaria, 28/12/1946.

118. A. CISL, Vertenze, lettera della segreteria cristiana a G. Pastore, 22/5/1947.

119. "Bisogna intervenire in difesa della disciplina sindacale violata da uno sciopero non autorizzato né promosso da organismi sindacali, e nemmeno preceduto da richieste precise e trattative fallite, come è invece prescritto dalla Statuto della Cgil" A. BONARDI, L'unità sindacale in pericolo? in "Il Cittadino", 11/1/1947.

120. A. CISL, Verbali, riunione straordinaria. cit.

121. lbidem.

122. A. CISL, Vertenze, lettera della segreteria cristiana a G. Pastore, cit.

123. Il retroscena dello sciopero di Manerbio, in "La Verità", 12/1/1947.

124. Dopo lo sciopero di Manerbio, pericolo di una rottura felicemente scongiurato, in Il Cittadino, 18/1/1947.

125. I sindacalisti democristiani rientrarono soltanto quando i segretari socialista e comunista inviarono al segretario democristiano della C.d.L. una lettera in cui si deprecavano i fatti dello sciopero di Manerbio. Essi dovettero inoltre riconoscere che il tono di certa stampa era stato esagerato e che essi "non avevano mai dubitato della leale ed onesta collaborazione" prestata alla C.d.L. dalla corrente cristiana. "Il Cittadino", 18/1/1947, art. cit.

126. A. CISL, Verbali, vol. II, 1(29/1/1947).

127. Ibidem.

128. A. CISL, Vertenze, copie di ciclostilati e lettere.

129. A. CISL, Vertenze, lettera dei segretari comunista e socialista alla C.d.L., prot. 2312, 26/4/1947.

130. Cosi il segretario comunista: "Non è la prima volta che in sede di discussione tra noi segretari e nei sindacati, quando c'è qualcosa di importante da discutere e siamo qualche volta in contrasto, si è detto ancora 'caso mai noi rompiamo anche'. Queste parole non significano affatto voler cementare l'Unità Sindacale". A. Cisl, Verbali, vol. II, 1, (29/1/1947).

131. Affermò il segretario democristiano: "L'unità sindacale è una cosa che funziona nei riguardi dei datori di lavoro, contro i quali dobbiamo essere uniti a difendere l'interesse dei lavoratori. Può darsi ad esempio che se non siamo soddisfatti della situazione amministrativa, possiamo anche fare una amministrazione separata". A. CISL, Verbali, vol. II, 1 (29/1/1947).

132. A. CISL, Vertenze, dalla circolare diffusa dalla corrente cristiana: "Noi non riteniamo dì aver errato, e precisiamo che l'errore è stato soltanto vostro, come attesta il fatto che avete riveduto il vostro atteggiamento".

133. A. CISL, Congressi, Relazione di G. Rapelli al Convegno dei Sindacalisti Cristiani svoltosi a Milano il 25/26/1/1947.

134. A. CISL, Vertenze, lettera di G. Pastore al segretario democristiano, maggio 1947.

 

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