Battaglie Sociali, periodico delle ACLI bresciane,

 15-30 novembre 1976, pag. 10

LETTERE AL DIRETTORE

 

 

In risposta a Faini,

botta...

 

 

Caro Direttore,


ho letto con stupore frammisto a vivo dispiacere la lettera dell'amico Faini sull'ultimo numero del nostro giornale. Non tanto per le fantasiose opinioni che ingiustamente mi vengono attribuite (che sarebbe, in fondo, poca cosa) quanto per il tono e il metodo dell'intera lettera.
Un metodo che consiste nell'isolare una piccola frase dal contesto di un ampio discorso, nel commentarla in modo tale da far apparire che essa dica qualcosa di profondamente diverso da quello che l'autore intendeva esprimere e infine nel porre delle domande retoriche per far trasparire affermazioni che non si ha il coraggio di fare esplicitamente. Un metodo che mi è capitato di incontrare raramente, al massimo in qualche articolo di "Servire il Popolo" organo del sedicente PCmli (partito comunista marxista leninista italiano, ndr) e in alcuni discorsi infelici del sen. Fanfani e che ritengo non dovrebbe essere mai usato tra militanti della stessa organizzazione, se davvero si intende contribuire al chiarimento ed al sereno confronto di posizioni parzialmente differenti.
Un metodo che già il grande filosofo inglese David Hume stigmatizzava nel 1775 con queste parole: "E' questo un metodo di fare molto contrario a tutte le regole della franchezza e del giusto modo di comportarsi ed un esempio evidente di quegli artifici polemici che uno zelo bigotto pensa di essere autorizzato ad usare" (Advertissement alle Philosophical Works).
Ritengo che la lettera dell'amico Faini si inserisce oggettivamente nella tendenza ormai abituale di un ristretto gruppo di amici dell'attuale maggioranza che mirano a radicalizzare ed inasprire i dissensi che talvolta si verificano all'interno del movimento, con lo scopo di emarginare le voci diverse dalle proprie.
E' un costume, questo, che non ho mai condiviso e che rischia di divenire sempre più controproducente per le ACLI nel suo complesso, proprio nel momento in cui è più che mai necessario l'impegno di tutti per il rilancio del Movimento.
Vengo ora ai punti specifici toccati dall'amico Faini.
Non mi sono mai sognato di considerare "poco meno che cretini" gli aclisti che votano per la DC, come sostiene invece Faini. Come è noto, l'elettorato democristiano è molto eterogeneo. Mi sembra però che, schematizzando, si possono distinguere tre grandi categorie: i cattolici moderati o tradizionalisti; i cattolici democratici attualmente più noti col termine di "rifondatori" o seguaci di Zaccagnini e infine gli appartenenti a quelle fasce moderate o conservatrici o talvolta apertamente reazionarie che, pur non essendo cattolici, votano la DC perché la ritengono l'argine più sicuro contro il "pericolo rosso". Ora io, nel mio intervento al Congresso Nazionale, sottolineavo il fatto che, dopo le elezioni del 15 giugno '75 e del 20 giugno '76, il rapporto quantitativo tra la seconda e la terza categoria tra quelle testé delineate si è modificato nettamente a favore della terza. Questo appare chiaramente se si considera che si è verificato un notevole spostamento di voti dei partiti laici e dal MSI alla DC e di cattolici democratici dalla DC ai partiti della sinistra.
Questa è l'interpretazione di G.A. sui dati elettorali; non pretendiamo che sia l'unica. Chi non la condivide dovrebbe però almeno spiegarne il motivo.
Ritengo che non abbia alcun senso far discendere da un'analisi della realtà elettorale un giudizio, negativo o positivo che sia, sui singoli aclisti che votano DC. Certamente coloro che hanno fatto questa scelta erano convinti della possibilità di trasformare la DC in un partito che esprimesse le esigenze e le aspirazioni delle masse popolari cattoliche anziché, come ha fatto fino ad oggi, gli interessi dei capitalisti e dei ceti improduttivi e parassitari a scapito della collettività.
Molteplici considerazioni di ordine politico, storico, economico e sociologico mi inducono a sostenere che tale possibilità di trasformazione della DC non sia realistica. Ma non vedo perché non dovrei rispettare le opinioni di chi, invece, giunge alla conclusione opposta. Non comprendo perché dovrei giudicare "poco meno che cretino" chi la pensa diversamente da me.
Mi par di capire che l'amico Faini, dalla mia affermazione che "occorre inoltre essere presenti nell'area cattolica per evitare che la fede religiosa venga strumentalizzata e per accrescere il numero di cristiani che lottano nel movimento operaio" deduce che non voglio "vivere da cattolico la fede, la speranza e la carità". Sinceramente non capisco l'incompatibilità tra i due momenti: nella mia limitata esperienza ho sempre cercato di realizzarli entrambi. Ogni opinione, anche la più singolare, va rispettata. Se però veramente l'amico Faini ritiene che chi vive da cattolico la fede, la speranza e la carità non possa impegnarsi per "accrescere il numero di cristiani che lottano nel movimento operaio" allora non posso esimermi dall'affermare che la sua posizione è totalmente estranea alla linea politica e al patrimonio culturale delle ACLI.
Secondo l'amico Faini, per una parte di GA, il movimento operaio "equivale al PCI o a Democrazia Proletaria". Non mi è dato di conoscere da quali fonti l'amico Faini abbia attinto tale fantasiosa affermazione. Ritengo comunque che qualsiasi militante di GA, perfino nei suoi momenti peggiori, non arriverebbe nemmeno ad immaginare che la CISL e le ACLI non facciano parte del movimento operaio.
Chi indubbiamente non ne fa parte è la DC che per trenta anni ha fatto tutt'altro che realizzare le aspirazioni del movimento operaio.
Infine l'autonomia di GA. Nel mio intervento al XIV Congresso Nazionale, avevo sottolineato il tema perché ritenevo importante che il Congresso chiarisse con precisione in quali ambiti si realizza l'autonomia di GA. Il Presidente Nazionale delle ACLI, Domenico Rosati, ha dato una risposta esauriente agli interrogativi che ponevo. Per ragioni di spazio non mi è possibile riportarla per intero. Chi fosse interessato, può leggerla alle pagine 141, 142 e 143 degli atti congressuali.
Penso che sia sufficiente riferire l'essenza di questa argomentazione con le parole dello stesso Rosati: "E' giusto dire allora, che gli orientamenti e gli indirizzi del Congresso e del Consiglio Nazionale sono l'ambito entro il quale si svolge l'autonomia di GA; sarebbe sbagliato dire che l'autonomia di GA si svolge anche nell'ambito delle decisioni del Comitato Esecutivo o della Presidenza. Nella misura in cui fissiamo il livello di autonomia e lo garantiamo, garantiamo nel contempo un margine di conflittualità possibile e da salvaguardare a livello di organi esecutivi". Questa impostazione è accolta e formalizzata nel nuovo Regolamento di G.A., approvato all'unanimità dal Congresso e pienamente condiviso dal Presidente Rosati.
Se l'amico Faini ha ancora dei dubbi su cosa si debba intendere per autonomia di GA, penso che possa rivolgersi utilmente e più produttivamente al Presidente Nazionale, col quale GA concorda pienamente.

Cordialmente

Maurilio Lovatti

 

... e risposta

 

La lettera di Lovatti è di quelle che meritano risposta. Abbiamo pensato di darne subito la possibilità al suo diretto interlocutore, Mario Faini, sicuri che sarebbe comunque intervenuto.
Notiamo solo che la trattazione iniziale di Lovatti sul "metodo" è fondata sull'argilla del dire e non dire, e che l'unico suo scopo sia quello di lanciare accuse ai "cattivi" della maggioranza, riproponendo una falsa argomentazione delle minoranze, già stigmatizzata dalla Presidenza Provinciale. (n.d.d.)


Devo riconoscere anzitutto che Lovatti è più istruito di me. Egli cita Hume, Fanfani e il PCmli mentre io del primo non avevo mai sentito parlare prima d'ora, il terzo non so che cosa sia, mentre del secondo posso dire che l'ho combattuto come ho potuto, da quando ho imparato a conoscerlo. Il che non mi impedisce di preferire Fanfani, malgrado tutte le bestialità commesse, soprattutto come segretario della DC, a tutti i possibili presidenti del Consiglio che potrebbero essere forniti dalla sinistra storica e da quelle extraparlamentari presenti sul mercato. C'è almeno questo infatti di buono in Fanfani che, sia pure con qualche fatica, di quando in quando si riesce a rimuoverlo; non sono altrettanto sicuro che riusciremmo a rimuovere quegli altri.
Ma veniamo a qualcuno degli argomenti del Lovatti.
1. "Ritengo che non abbia alcun senso", ecc. ecc. Io penso invece che un senso forse ci sia e che meriti di essere ricercato. Se la DC è il partito che Lovatti dice (e non ho alcuna intenzione di difendere la DC alla quale non sono iscritto da alcuni anni), che pensare di coloro che si ostinano a votarla, soprattutto se si tratta di aclisti? Lovatti non dice esplicitamente che sono cretini; nel suo intervento al congresso si limita a dire: "... ancora numerosi sono i lavoratori che purtroppo votano DC". Quindi è deplorevole che si comportino in questo modo, quindi ancora dovrebbero votare diversamente. Come? Il non rispondere è un metodo di fare molto contrario a tutte le regole della franchezza!
2. Mi fa piacere che Lovatti accetti - così mi pare - la mia definizione, peraltro priva di pretese teologiche, di "cattolico". Restano, nella loro interezza, l'ambiguità e la strumentalità delle sue affermazioni al congresso nazionale di G.A., che io avevo citato testualmente. Forse c'è un Lovatti "nazionale" e un Lovatti "provinciale" che tiene conto della diversità dei due ambienti. Niente di strano. Bisogna pur imparare a stare al mondo.
Quanto alla compatibilità fra l'essere cristiano e lottare in quello che, con un termine fumoso, si suole chiamare movimento operaio, credo di non dover fornire dimostrazioni di coerenza a nessun Lovatti.
3. Constato con piacere un altra conversione del Lovatti, che al Congresso nazionale chiede la "piena autonomia di GA dalle ACLI", poi, scrivendo per "Battaglie Sociali", si accontenta dell'autonomia molto relativa concessa dal presidente nazionale. Com'è vero che le arie di Brescia fanno bene! Oppure, semplicemente, fanno bene le richieste di precisazioni anche se Lovatti chiama tutto ciò un costume che non ha "mai condiviso". Dove quel "mai" evoca una lunga esistenza tutta dedicata alle lotte, da far impallidire la biografia di un altro veterano del movimento operaio: Pietro Nenni.

Mario Faini


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