Nelle precedenti puntate ho raccontato la storia di Chiesanuova nel XVII e
XVIII secolo. Ora affrontiamo le vicende di Chiesanuova (Bottonaga, come si
diceva allora) negli ultimi anni del Settecento e nei primi dell'Ottocento,
limitandoci per ora solo alla storia dell'edificio della chiesa vecchia, in
un periodo travagliato per la storia italiana ed europea, tra rivoluzioni ed
età napoleonica.
Il 17 ottobre 1797 il trattato di Campoformio, firmato da Napoleone e
dall'ambasciatore dell'Imperatore d'Austria, poneva fine alla gloriosa
Repubblica Serenissima di Venezia, a cui Brescia apparteneva fin dagli inizi
del Quattrocento. Brescia fu occupata per un breve periodo dai francesi e
poi dagli austriaci; successivamente dal 1802 al 1805 farà parte della
Repubblica Italiana e dal 1805 al 1814 del Regno d'Italia, Stati fantoccio
sottomessi all'Impero Napoleonico.
A Chiesanuova, tutto ha inizio quando nel 1783 il prevosto Alessandro Fè
d'Ostiani, vescovo di Modone e parroco di S. Nazaro, nomina curato di
Bottonaga don Pietro Poli, nato a Bovegno nel 1756. A 27 anni don Poli
prende servizio a Bottonaga, dove esercita il ministero sacerdotale per ben
33 anni "con instancabile zelo, ed indefessa premura", come
recitano le fonti del tempo. Rimase cappellano a Chiesanuova fino al mese di
giugno del 1816, rinunciando anche ad una prestigiosa promozione a
Primicerio nel Capitolo della Collegiata di S. Nazaro, nel dicembre del
1792, pur di rimanere tra il suo popolo e nella sua chiesa di Bottonaga.
Tra il 1786 e il 1791, su impulso e grazie all'impegno e all'entusiasmo di
don Pietro, la chiesa è ristrutturata quasi dalle fondamenta. Sappiamo con
certezza che i lavori iniziarono nel 1786 per la corrispondenza tra la
Deputazione di Bottonaga, guidata dal nobile Gabriele Garbelli e dal conte
Pietro Giacomo Suardi, e il parroco di S. Nazaro e Celso. Progettista dei
lavori è l'architetto Pietro Antonio Vigliani, allora molto giovane, al suo
primo lavoro importante (negli anni seguenti realizzerà la sacrestia di
Paderno Franciacorta e casa Calzoni a Brescia).
Secondo Virginio Prandini, "è possibile ritenere che l'orientamento
della chiesa sia stato invertito: il presbiterio fu posto ad occidente,
mentre la chiesa fu allungata a oriente, con la maestosa facciata e la porta
maggiore. Tutta la volta fu sopraelevata, sostenuta da pilastri eretti
all'interno della chiesa. L'aula, in tal modo, fu ristretta, ma i pilastri
delimitarono lo spazio delle cappelle. Ne è risultato un edificio a navata
unica coperta da una volta a botte, che termina con un presbiterio
quadrangolare dominato da una cupola centrale. Gli spazi delle quattro
cappelle laterali sono individuati da lesene con finta scanalatura e dotate
di capitelli. Alla chiesa si accedeva attraverso un viale di tigli."
La chiesa fu dotata di cinque altari. L'altar maggiore, il più prezioso, in
marino artisticamente lavorato, proveniva dalla chiesa di S. Orsola ed era
stato consacrato dal vescovo Andrea Duranti l'8 luglio 1743. Gli altari
laterali furono dedicati al Crocefisso, alla Beata Vergine delle Grazie, a
S. Fermo e alla Beata Vergine del rosario. In pratica alla fine del
Settecento la chiesa era quasi uguale a come possiamo vederla oggi, dopo
l'accurato restauro dei primi anni duemila.
L'altare della Madonna delle Grazie, per struttura e dimensioni sembra esser
stato creato su misura per accogliere la celebre pala della Natività di
Vincenzo Foppa (1427-1515), tuttora di proprietà della nostra parrocchia.
Non ci sono certezze sulla provenienza del dipinto di Foppa. Verosimilmente
la pala faceva parte di un polittico,
poi smembrato. Parte di questo polittico del Foppa sarebbero i dipinti di S.
Giovanni Battista e di S. Apollonia, ora alla pinacoteca Tosio Martinengo,
mentre altre parti sarebbero andate disperse. La Natività fu portata a
Chiesanuova probabilmente per evitare che finisse preda dei funzionari
napoleonici, che cercano le opere d'arte più importanti per portarle in
Francia. Secondo un'ipotesi più recente, di Stefania Buganza,
ricercatrice dell'Università Cattolica di Milano, l'opera del Foppa
proviene da un convento soppresso alla fine del Settecento, molto
verosimilmente dal convento bresciano di S. Francesco, anch'esso nel
territorio di S. Nazaro, soppresso dal napoleonico Regno d'Italia nel 1798.
L'altar maggiore è ornato con una pala dell'Assunta, opera di Giacomo
Zoboli (1681-1767), fino ad una decina d'anni or sono attribuita al pittore
bresciano Sante Cattaneo (1739-1819), di cui si conosce un'altra pala
raffigurante l'Assunta con i santi Pietro e Imerio, che si trova nella
chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo ad Offlaga. L'attribuzione
della pala dell'altar maggiore allo Zoboli è stata possibile solo dopo il
recente restauro, avvenuto una decina d'anni fa nell'ambito del pieno
recupero della chiesa vecchia, promosso dall'allora parroco di Chiesanuova
don Arturo Balduzzi. Giacomo Zoboli è uno dei più importanti pittori
italiani del Settecento, che ha operato soprattutto a Roma.
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La pala
dello Zoboli si trovava ad ornare un altare della chiesa delle Orsoline in
via Bassiche, altare che ora si trova nel duomo nuovo di Brescia. La chiesa
delle Orsoline era nel territorio della parrocchia di S. Nazaro e la pala fu
portata a Chiesanuova per evitare che fosse depredata dai funzionari
napoleonici e portata in Francia, segno che allora il territorio di
Bottonaga era considerato un rifugio sicuro, perché molto periferico e poco
noto in città.
Secondo lo storico don Pier Virgilio Begni Redona, quando venne sistemata la
pala dello Zoboli dietro all'altar maggiore, questa potrebbe aver sostituito un
più antico dipinto, sempre dell'Assunta, opera di Giuseppe Nuvolone
(1619-1703), fratello del più celebre Carlo Francesco Nuvolone (1609-1672),
importante pittore italiano del Seicento, autore di molti soggetti sacri, le
cui opere si trovano anche a Brera, Baltimora (USA) e Città del Messico.
Purtroppo s'ignora completamente dove sia andata a finire l'Assunta del
Nuvolone, così come ignoriamo molti dettagli delle vicende relative al
trasferimento della pala dello Zoboli a Chiesanuova. Non resta che sperare
che studi futuri riescano a gettare più luce su questi episodi, importanti
per la storia della nostra comunità.
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