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Franco
Castrezzati è noto al grande pubblico perché stava parlando in piazza
Loggia il 28 maggio 1974, quando esplose la bomba fascista che uccise 8
persone e ne ferì più di cento.
Franco Castrezzati è
morto a Brescia il 14 ottobre all'età di 99 anni. Cattolico,
antifascista, partigiano, sindacalista: quattro parole che, come ha
affermato il figlio Marco nell'orazione funebre, lo definiscono
efficacemente.
Nato a Cellatica nel 1926 da una umile famiglia di mezzadri,
connotata da una convinta fede religiosa, frequenta il ginnasio in
Seminario e poi, uscito, trova lavoro come correttore di bozze
all'editrice Morcelliana. Nel gennaio del 1944, non ancora diciottenne,
decide di non presentarsi alla chiamata alle armi nell'esercito della
fascista Repubblica di Salò. Pochi mesi dopo, in una retata, mentre tenta
di fuggire, è catturato e accusato di renitenza alla leva. Mi
raccontò: “Per fortuna ero minorenne e mi sono salvato, mentre altri
che erano con me, ma con qualche anno in più, sono stati fucilati.”
E' trasferito nel carcere di Parma, dove “mi hanno picchiato più
volte, spaccandomi i denti e la faccia”.
Qualche settimana dopo esce un bando che consentiva ai prigionieri non
accusati di omicidio di ottenere la scarcerazione, se accettavano di
andare a lavorare in Germania o al fronte in Italia. Sceglie di andare al
fronte (la “linea gotica”), dove pochi giorni dopo un intenso
bombardamento Alleato uccide molti suoi compagni di prigionia. Mi
raccontò: “siamo stati accusati dai fascisti di tradimento e siamo
stati portati in un grande campo di concentramento vicino a Verona.”
Un mese dopo, mentre era sul treno che li stava deportando in Germania,
riesce a fuggire scardinando le assi sul fondo del vagone e si unisce alle
Fiamme Verdi della Val Camonica.
Finita la guerra, aderisce alla DC e si impegna attivamente nella campagna
elettorale del 1946 (referendum per la Repubblica e elezione
dell'Assemblea Costituente). Nel maggio del 2008 mi raccontò: “noi
attivisti della DC eravamo tutti volontari; erano molti i giovani, quasi
tutti provenienti dall'Azione Cattolica; dopo gli incontri che tenevamo
nei vari paesi della provincia, anche per costituire o supportare le
sezioni locali sezioni, chi come me non abitava in città si fermava a
dormire nelle soffitte di via Tosio (la sede provinciale della DC) dove
erano state sistemate diverse brande.” E' eletto segretario della
sezione DC di Cellatica e presidente del Circolo ACLI della sua
parrocchia.
Mi raccontava che nel 1948 aveva progettato di emigrare in Argentina per
fare il camionista. La fidanzata, Anna Tognoli, che sposò nel 1950
(un matrimonio durato ben 69 anni!), lo avrebbe raggiunto. Invece arrivò
prima una proposta di Angelo Gitti, segretario generale della CISL
di Brescia, per un lavoro nel sindacato. Segue i mezzadri e
successivamente viene incaricato della formazione e dell'ufficio stampa.
Nel 1951 è eletto consigliere comunale a Cellatica.
Nel 1958 una prima svolta decisiva nella sua vita sindacale. Le ACLI
di Michele Capra giudicavano molto negativamente la situazione
della CISL bresciana: il gruppo dirigente del sindacato, guidato da Angelo
Gitti e a cui apparteneva Bruno Lucchese, segretario della
FIM, era accusato di immobilismo e di totale subalternità alla DC.
In questo contesto, durante il congresso sindacale dell'autunno 1958, le ACLI
si impegnano a guidare e sostenere un processo di sostituzione del
gruppo dirigente della CISL (coll'implicito sostegno dell'Assistente
diocesano don Giacinto Agazzi e con la benevola neutralità di
mons. Almici, che seguiva le vicende sindacali per incarico del
Vescovo) a partire dalla FIM (metalmeccanici) e dalla FISBA (braccianti
agricoli). L'operazione ha successo e così Franco Castrezzati diviene
leader della FIM. Ma già poche settimane dopo si trova in una situazione
di grave difficoltà. I sindacati confederali avevano proclamato per il 2
dicembre uno sciopero generale di due ore contro i licenziamenti. Le
confederazioni lasciavano però libertà ai sindacati dei metalmeccanici
di esentare i lavoratori della OM (la fabbrica più grande) per
evitare che questi perdessero il premio anti-sciopero. Castrezzati e la
segreteria FIM decidono di proclamare lo sciopero anche all'OM, nonostante
la decisione contraria di FIOM e UILM e le fortissime
pressioni della CISL provinciale, di Luigi Macario della segreteria
nazionale CISL, di padre Marcolini, di don Agazzi e di mons. Almici.
Con coraggio Franco difende la sua scelta contro il premio anti-sciopero
della OM-FIAT, ritenuto lesivo dei diritti e della dignità del
lavoratore. Risultato: all'OM scioperano solo in 21 su 3500 lavoratori, 18
della FIM (tra cui dirigenti storici delle ACLI come Michele Capra,
Giovanni Landi e Rita Gabelli) e 3 della FIOM.
Pochissimi, ma è l'inizio della lotta, alla fine vincente, contro il
premio.
Nel 1959 vive una situazione difficilissima: come ha ricordato il figlio
Marco, i comunisti lo accusavano di essere servo dei padroni, la Voce
del Popolo e mons. Almici lo accusavano all'opposto di essere
filocomunista, perché perseguiva l'unità d'azione con la FIOM. La CISL
non stampava più i volantini della FIM, non dava più i rimborsi spese.
Scrive ai parlamentari per denunciare che il premio era contrario alla
Costituzione ed è ancor più criticato e isolato. In cerca di conforto va
a trovare p. Giulio Bevilacqua, allora parroco di Sant'Antonio (poi
sarà cardinale) e in sacrestia trova mons. Giovanni Battista Montini,
il futuro Paolo VI, allora arcivescovo di Milano, che quando poteva
andava a parlare col suo antico consigliere spirituale. Franco racconta a
Montini le sue traversie e il futuro Papa lo conforta affermando che, se
in coscienza riteneva la sua azione fosse per il bene dei lavoratori,
doveva andare avanti e non arrendersi. A distanza di decenni, quando
Franco lo raccontava, si commuoveva ancora.
Sempre nel 1959 è tra i fondatori della corrente della sinistra DC
Provincia democratica, con Giulio Onofri, Michele Capra e Pietro
Padula, che si proponeva di contrastare la maggioranza del partito
dominata dall'alleanza tra i dorotei e i fanfaniani del
sindaco Boni. Nel 1963 entra con Carniti nella segreteria
nazionale FIM guidata da Macario, ma nel 1966 si dimette perché non
condivideva i contenuti del contratto nazionale dei metalmeccanici, per
lui troppo rinunciatario. Convinto sostenitore dell'unità sindacale,
è tra i protagonisti della nascita della FLM a Brescia a partire dal 1973.
Tra il 1974 e il 1977 all'interno della FIM si sviluppa un forte e
polemico contrasto tra la maggioranza guidata da Castrezzati e la
minoranza di Landi e dei delegati dell'OM. Franco è convinto che la
minoranza comprometta l'autonomia del sindacato dalla DC. Landi accusa
Castrezzati di moderatismo. Nel congresso FIM dell'aprile 1977 oltre
l'ottanta per cento degli iscritti conferma la fiducia a Castrezzati.
Sempre nel 1977 diviene segretario generale della CISL bresciana. Si
dimetterà nel 1980, in seguito alla congiura guidata da Aldo
Gregorelli. Il suo più che trentennale impegno nella CISL è sempre
stato orientato alla difesa della dignità dei lavoratori e alla autonomia
e democrazia nel sindacato.
Maurilio
Lovatti
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