La voce del popolo, 27 ottobre 2011, pag. 27

 

 

 

Verso la marcia della pace del 31 dicembre

La pace presuppone giustizia, rispetto e perdono

 

di Maurilio Lovatti 

 

 

In preparazione della marcia nazionale per la pace, che si terrà a Brescia il 31 dicembre (promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, da Pax Christi e dalla Caritas) si è svolto il 21 ottobre in Cattolica un convegno su pace e giustizia nel magistero di Giovanni Paolo II. Sono intervenuti i due relatori: mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente nazionale di Pax Christi, e il prof. Ivo Lizzola, pedagogista, preside della Facoltà di scienze della Formazione dell'Università di Bergamo.
Mons. Giudici, prima di delineare le linee portanti dell'insegnamento di Giovanni Paolo II sul tema della pace, con una ricostruzione storica ha richiamato l'insegnamento della Chiesa su questo tema, a partire dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963), che ha "messo al bando il concetto di guerra giusta". Il Concilio Vaticano II, secondo il Vescovo di Pavia, è stato invece più prudente. Il successivo magistero di Paolo VI ha sottolineato l'importanza delle giustizia sociale e tra i popoli quale condizione imprescindibile per la pace, in particolare con la Populorum Progressio. Per il Vescovo di Pavia, la novità più dirompente nell'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla pace è però rinvenibile nel messaggio del 1 gennaio 2002, di pochi mesi successivo alla strage dell'11 settembre, laddove si afferma che l'autentica pace non presuppone solo la giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani, ma anche il principio del perdono (non solo, cioè, il perdono come esperienza personale e talvolta eroica, ma anche il perdono nelle relazioni internazionali, da parte dei popoli e degli Stati). Questa tesi, per mons. Giudici, è una novità assoluta nell'insegnamento della Chiesa e costituisce un messaggio profetico che ha già iniziato a dare i suoi frutti: come esempio ha citato, tra gli altri, l'azione di Mandela in Sud Africa, dove il post apartheid, è stato attuato senza spirito di vendetta.
Al prof. Lizzola è toccato il compito di tratteggiare le condizioni per un proficuo percorso educativo dei giovani alla pace. Ha riconoscendo che il nostro tempo non è favorevole all'educazione alla pace, perché è "tempo dell'incertezza", in cui prevale la ricerca di "troppo rapide sicurezze", è il tempo di ragazze e ragazzi fragili, troppo vulnerabili, troppo sottoposti "alle proprie pulsioni" e tentati dall'indifferenza, ma è anche il tempo in cui si vanno precisando, pur nelle difficoltà, nuove forme di dignità della persona e la riscoperta del senso del perdono. Per Lizzola l'educazione alla pace richiede due precondizioni: il recupero del senso del tempo come promessa e il recupero del valore simbolico dei gesti e delle parole.

 

 

Maurilio Lovatti

 

 

La voce del popolo, 27 ottobre 2011, pag. 27

 

 

Testo originale dell'articolo senza i tagli redazionali

 

 

In preparazione della marcia nazionale per la pace, che si terrà a Brescia il 31 dicembre (promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, da Pax Christi e dalla Caritas) un convegno su pace e giustizia nel magistero di Giovanni Paolo II si è svolto venerdì 21 ottobre nell'aula magna dell'Università Cattolica. Dopo brevi introduzioni di don Mario Benedini, presidente della Commissione Giustizia e Pace, a nome della Diocesi, e del prof. Luciano Caimi dell'Università Cattolica, direttore del Centro studi per l'educazione alla legalità, sono intervenuti i due relatori: mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente nazionale di Pax Christi, e il prof. Ivo Lizzola, pedagogista, preside della Facoltà di scienze della Formazione dell'Università di Bergamo.
Mons. Giudici, prima di delineare le linee portanti dell'insegnamento di Giovanni Paolo II sul tema della pace, con una dotta e chiarissima ricostruzione storica ha richiamato l'insegnamento della Chiesa su questo tema, a partire dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963), che ha "messo al bando il concetto di guerra giusta". Il Concilio Vaticano II, secondo il Vescovo di Pavia, è stato invece più prudente: nonostante al suo interno si fosse manifestato un orientamento "pacifista cristiano radicale", come quello del card. Lercaro o di La Pira, la Gaudium e Spes, pur auspicando per l'umanità la fine di tutte le guerre, ha riproposto il tradizionale concetto di legittimità della guerra intrapresa per ragioni difensive.
Il successivo magistero di Paolo VI ha sottolineato l'importanza delle giustizia sociale e tra i popoli quale condizione imprescindibile per la pace, in particolare con la Populorum Progressio (marzo 1967). Sviluppando queste linee di pensiero, Giovanni Paolo II ha dato inizio al suo insegnamento su questo tema. Mons. Giudici ha ricordato l'omelia pronunciata dal Pontefice a Vienna il 10 settembre 1983, nella quale si riconosceva che in qualche caso anche per i cristiani non è possibile evitare la lotta armata contro gli oppressori (il riferimento storico per il Pontefice erano gli assedi di Vienna da parte degli Ottomani nel 1529 e nel 1683). Per Papa Wojtyla il principio della legittima difesa, che pur è mantenuto, va finalizzato a "disarmare chi non rispetta la giustizia e i diritti umani dei popoli": talvolta è necessario "disarmare gli oppressori".
Nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo, il Papa afferma che è assurda e condannabile ogni guerra condotta "in nome di Dio", arrivando ad affermare, poco dopo, che anche le Crociate furono "dissonanti col Vangelo"; nel 1996 promuove il primo incontro interreligioso per la pace ad Assisi. Per il Vescovo di Pavia, la novità più dirompente nell'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla pace è però rinvenibile nel messaggio del 1 gennaio 2002, di pochi mesi successivo alla strage dell'11 settembre, laddove si afferma che l'autentica pace non presuppone solo la giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani, ma anche il principio del perdono (non solo, cioè, il perdono come esperienza personale e talvolta eroica, ma anche il perdono nelle relazioni internazionali, da parte dei popoli e degli Stati). Questa tesi, per mons. Giudici, è una novità assoluta nell'insegnamento della Chiesa e costituisce un messaggio profetico che ha già iniziato a dare i suoi frutti: come esempio ha citato, tra gli altri, l'azione di Mandela in Sud Africa, dove il post apartheid, è stato attuato senza spirito di vendetta.
Al prof. Lizzola è toccato il compito di tratteggiare le condizioni per un proficuo percorso educativo dei giovani alla pace. Ha riconoscendo che il nostro tempo non è favorevole all'educazione alla pace, perché è "tempo dell'incertezza", in cui prevale la ricerca di "troppo rapide sicurezze", è il tempo di ragazze e ragazzi fragili, troppo vulnerabili, troppo sottoposti "alle proprie pulsioni" e tentati dall'indifferenza, ma è anche il tempo in cui si vanno precisando, pur nelle difficoltà, nuove forme di dignità della persona e la riscoperta del senso del perdono. Per Lizzola l'educazione alla pace richiede due precondizioni: il recupero del senso del tempo come promessa e il recupero del valore simbolico dei gesti e delle parole. Dopo aver auspicato che i giovani leggano Il problema dell'empatia di Edith Stein e gli scritti di Kierkegaard, ha concluso affermando che un percorso educativo alla pace presuppone l'essere consapevoli dei limiti e delle ferite della condizione umana.

 

Maurilio Lovatti

 

 

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