Maurilio Lovatti

Il caso di Mario Rossi (1954): testimonianze, documenti, lettere

 

 

Testimonianza di Giancarlo Zizola

 

 

 

 

In vista delle elezioni amministrative del 25 maggio, la cosiddetta "operazione Sturzo" pretendeva di assodare la Democrazia Cristiana di De Gasperi ad un cartello delle destre, inclusi i fascisti e i monarchici, provocando una crisi di identità nel partito e nella stessa Azione Cattolica. In un vertice dei presidenti dei rami dell'Azione Cattolica convocato intorno al papa era emersa la contrarietà della maggior parte all'alleanza dei cattolici coi fascisti e all'ipotesi di una lista cattolica proposta dal presidente generale Gedda. La resistenza opposta da De Gasperi al disegno di un apparentamento universale dei non comunisti, per scongiurare la conquista del Campidoglio da parte dei comunisti, gli era costata il rifiuto dell'udienza papale chiesta dal presidente del Consiglio, per sè e per la famiglia, in occasione della professione solenne di una delle figlie, suor Lucia. In realtà, il fallimento immediato dell'alleanza civica a destra non sembrava aver disarmato i sogni di rimonta dei circoli cattolici filonazionalistici nè le strategie di quegli ambienti ecclesiastici per i quali l'antifascismo non poteva essere adottato come sigla qualificante della Democrazia cristiana. Al contrario il disegno di indebolire l'autonomia politica del partito mediante la costituzione di un secondo partito cattolico più ligio alle direttive gerarchiche e agli interessi della destra, prendeva corpo nelle sfere dirigenti della Chiesa romana, e veniva trattato esplicitamente da Gedda.
"In realtà" ha ricordato Paoli "Pio XII si era fortemente turbato per la reazione negativa di De Gasperi alla richiesta vaticana che i comunisti fossero messi fuori legge." De Gasperi aveva risposto: "Io le forche in nome di Cristo non le alzerò mai. Piuttosto, me ne vado". Egli credeva fermamente nella democrazia. Ricordo la sua convinzione a proposito della richiesta del Papa: porre fuori legge i comunisti avrebbe comportato una riduzione dell'articolazione democratica del paese e molto probabilmente una guerra civile. De Gasperi era un democratico convinto.
Gedda invece non lo era, anzi assicurava che lo stesso Pio XII si fosse pentito del radiomessaggio natalizio sulla democrazia
I contrasti nell'Azione Cattolica, già emersi durante la crisi del maritainismo (continuava intatti a incombere la messa all'indice di Humanisme Integral), si aggravarono, secondo la testimonianza di Paoli, principalmente a causa dell'ostinazione di Gedda di mobilitare l'Azione Cattolica come massa di manovra e forza d'urto politica. "Gedda ci convoco in casa sua, a Largo Ambra Aradam a Roma, tutti i presidenti dei rami e i viceassistenti, per convincerci ad acccttare il suo progetto di fondare una sorta di sovrapartito. Tutti fummo unanimi: in quanto Azone Cattolica non potevamo sottostare alle norme partitiche. Al contrario, Gedda sosteneva che occorresse obbedire ai vescovi locali, i quali avrebbero selezionato e indicato i candidati per il voto dei cattolici. Andai a parlarne allo stesso De Gasperi. Egli mi disse: "Gedda vuoI fare politica? Prego! Venga pure! Noi potremmo farlo senz'altro deputato. Quando poi Gedda si accorse che il nuovo presidente dei Giovani non era poi tanto diverso dalla linea di Carretto, egli si sentì come tradito. La crisi tra Gedda e me scoppio per questo"
L'interpretazione di quel dissidio offre una chiave eccellente per accostarci alle motivazioni più profonde della divergenza divenuta ben presto palese tra lo stesso Gedda e Mario Rossi. Nella sua memoria di quel periodo, Rossi porta l'accento sul disegno politico-trionfalistico di Gedda come espressione di una moderna e bene organizzata ripresa del regime di cristianità: un disegno difficilmente conciliabile con l'ipotesi rossiana di una chiesa che, pervasa soltanto da un cattolicesimo spirituale, di convinzione personale piuttosto che di tradizione sociale, avrebbe potuto forse rispondere meno inadeguatamente alla decomposizione del modello della cristianità trionfante e conquistatrice.
"L'angoscia doveva essere stata tanta" scrive Rossi a proposito di Gedda "se così intenso era il bisogno di avere potenza e di darla alla Chiesa e al Papa, e la potenza si sprecava e le idee si confondevano nei messaggi ad una gioventù che avrebbe dovuto concorrere a questi trionfi. Al contrario, ritirare la gioventù dalle piazze e proporre un po' di riflessione e togliere la propaganda e fare storia umana, a me pareva un compito bellissimo".
Alcuni storici delle vicende del movimento cattolico in quel periodo indicano che il tentativo della presidenza di Mario Rossi, tra il 1952 e il 1954, fu principalmente quello di rimodellare nei termini di una laicalità cristiana e di un forte radicamento nelle diverse realtà culturali e sociali della GIAC questa opzione di fondo. Così furono riformate le strutture secondo l'apostolato d'ambiente e le "specializzazioni" per esperienze reali (studenti, operai. rurali): "una qualificazione spirituale, una scoperta e uno sviluppo di vocazioni personali, una educazione 'virile' alla realtà erano quindi gli obiettivi di una formazione che valorizzava tutta l'esperienza secolare del singolo. con un particolare accento posto sul tema della scelta professionale, nella convinzione che solo sviluppando vocazioni distinte e gruppi distinti ma non separati si rendeva la comunità giovanile capace di scelte morali".
Posso testimoniare io stesso della insistenza posta dal presidente sui motivi dell'interiorità come chiave per la riscoperta del realismo cristiano, un realismo che non poteva essere confuso con quello del potere politico. Il tema e il linguaggio risentivano fortemente della "teologia delle realtà terrene" che Mario Rossi attingeva ai testi di M.D. Chenu, sebbene in quel periodo considerato autore pericoloso.
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Vi sono documenti che indicano in modo inequivoco che, nella crisi della linea degasperiana sotto la pressione della destra clericale, Mario Rossi non esitò a schierarsi a favore della laicità e dell'autonomia delle scelte politiche dei cattolici. E accertato che tale era la motivazione presente delle decisioni della Giac e dello stesso presidente Carretto di schierarsi a difesa di De Gasperi molto chiaramente nella congiuntura dell'Operazione Sturzo.
Quanto a Mario Rossi, è interessante richiamare la pagina delle sue memorie nella quale afferma che "i miei incontri con alcuni esponenti socialisti e con Dossetti e De Gasperi non erano sfuggiti, anzi erano 'sorvegliati" e anche dopo l'insuccesso dell'Operazione Sturzo, "il tentativo dei cattolici d'ordine di fare alleanze e sottoalleanze con gruppi della destra politica ed economica sembrava pretendere una adesione 'per fede': chi era nemico dichiarato di queste alleanze diventava ipso facto nemico della fede e della Chiesa, e i giovani davano particolarmente fastidio perché le denunciavano scopertamente".
La denuncia non potrebbe essere più precisa: i Giovani cattolici e il loro stesso presidente erano spiati. Il racconto di Mario Rossi indica che esisteva in Vaticano "una lista precisa degli uomini pericolosi", una confidenza fattagli dal sostituto monsignor Angelo Dell'Acqua. Nella lista figuravano alcuni sindacalisti, a cominciare da Pastore, e alcuni leader, compreso lo stesso Rossi. "Dal suo sguardo - scrive M. Rossi - capii che non scherzava e che quella lista aveva un senso ben preciso, in vista di una liquidazione progressiva".
Piuttosto, sembra che si possa assumere come motivo saliente di quel contrasto la convinzione radicatissima in Rossi della alterità e trascendenza del cristianesimo a confronto con le sue forme politiche. Non sembra ammettere fraintendimenti il suo articolo pubblicato in Gioventù del 14 giugno 1953 (a ridosso delle elezioni) nel quale in particolare si legge:
"I giovani vogliono che la politica si faccia con scelte politiche e non con scelte religiose: la religione deve ispirare la politica e non sostituirsi ad essa. Perciò i laici faranno i laici a loro rischio personale senza usare la Chiesa a sostegno di una tesi di partito."
Egli stesso del resto, nella lettera ai vescovi italiani il 16 aprile 1954 nella quale spiegava loro i motivi delle sue dimissioni, ebbe cura di precisare:
"Ho sempre sostenuto che la politica si deve fare con strumenti politici e nonostante questo la Gioventù è stata accusata di fare politica. Ho sempre cercato di combattere il comunismo in quanto ateismo, svuotandolo di un certo monopolio di interpretazione che andava assumendo nei confronti dei giovani, e per questo la Gioventù è stata accusata di essere debole perché usava un anticomunismo sostanziale e non apparente. Se ci fossero chiacchere interessate mi permetto di dire a Vostra Eccellenza che io e molti dirigenti centrali, per desiderio e per attuale richiesta, lasciamo la presidenza per profonde divergenze col presidente generale".
Le carte di Padre Riccardo Lombardi, da me reperite negli archivi del Mondo Migliore a Roma, nel quadro di una ricerca storiografica su quell'insigne personalità religiosa, consentono di mettere a fuoco la genesi di quelle dimissioni. Si tratta principalmente di un appunto auto-grafo nel quale il noto predicatore gesuita, soprannominato "il microfono di Dio" registra sinteticamente un colloquio con monsignor Fiorenzo Angelini, braccio destro di Gedda, in data 6 gennaio 1954.
Di fronte all'apertura a sinistra rappresentata dal governo Fanfani con l'astensione dei socialisti e l'approvazione dei gruppi parlamentari della Democrazia cristiana, i circoli della destra cattolica corrono ai ripari e mettono a punto un piano di ricentraggio che blocchi sul nascere ciò che considerano un cedimento nell'ordine dei principi alle forze marxiste.
Di questo piano monsignor Angelini ha confidato gli obiettivi salienti a Padre Lombardi. Esso prevede di "togliere i poteri a Montini per la politica italiana e darli a Tardini", nel presupposto dichiarato che "Fanfani fa capo a Montini" di formare "un comando unico in Italia, legato con la segreteria di stato, corretta (cioè epurata dalla presenza del sostituto, NdA), o direttamente col Papa con nomina pubblica", di costituire un coordinamento unico delle forze cattoliche, incluse le Acli e l'Azione Cattolica.
Una serie di misure sono già in cantiere: "togliere l'ambiguità con la Segreteria di Stato", sconfessare i capigruppo della DC come capi dei cattolici, un passo del Nunzio presso il presidente della Repubblica Einaudi "cui verranno presentati i nomi", facendo valere il ricatto di un venir meno della fiducia al governo Fanfani, e infine una normalizzazione della Gioventù Cattolica, da porre alle dipendenze strette della gerarchia ecclesiastica.
L'appunto autografo indica anche la necessità di affidare questo "comando unico in Italia" ad un "uomo pratico, prudente". Il complesso del documento suggerisce che il disegno della destra cattolica, per le procedure evocate, in particolare nel passaggio che preconizza un passo del Nunzio in Italia presso il Presidente della Repubblica "Cui verranno presentati i nomi", non escludesse una soluzione autoritaria della crisi politica, una sorta di golpe bianco, il cui sbocco politico sembrava preconizzare alla guida del governo lo stesso "uomo pratico, prudente", strettamente collegato con la Segreteria di Stato vaticana se non con il papa direttamente: una figura in cui parrebbe di poter riconoscere senza troppa difficoltà lo stesso Luigi Gedda.
Del resto, nell'autobiografia, Mario Rossi ricorda di aver sollevato fin da allora le domande cruciali: "Perché non poteva esserci una chiarificazione di ciò che era stato il dissidio fra Gedda e De Gasperi? Perché non si sapeva niente di più preciso sull'Operazione Sturzo? Perché a Gedda erano stati dati tanti milioni e da chi e a quale operazione politica dovevano servire i Comitati Civici?"
L'appunto si conclude con indicazioni sul ruolo che monsignor Angelini stesso era incaricato di svolgere in questo piano: "chiarire le responsabilità: Gedda, Rossi, Miceli...; mettere il responsabile della Gerarchia nell'Azione Cattolica; in politica si chiarirebbe presto".
I fermenti della GIAC, la posizione di Montini e l'autonomia del "partito cristiano" costituiscono dunque gli obiettivi immediati della controffensiva. Padre Lombardi assume in questo frangente piuttosto un ruolo di mediatore. E a lui infatti che Mario Rossi e la presidente del ramo femminile Ada Miceli si rivolgono il 18 gennaio 1954, alle prime avvisaglie della bufera. Quel giorno Pio XII ha ricevuto un corso di preti del Mondo Migliore e ha raccomandato lo spirito di unione dei cattolici avvertendo: "Nell'Azione Cattolica, si faccia azione religiosa e non politica, di destra o di sinistra, come dicono adesso. La divisione del nostro campo è addirittura detestabile".
I dirigenti chiedono a Padre Lombardi di comunicare al Papa la loro gratitudine per affermazioni che ritengono in tutto corrispondenti alle loro convinzioni. Lo pregano anzi di rimettere a Pio XII un documento nel quale motivano il loro "acuto disagio" nei riguardi della linea del professor Gedda. L'interpretazione che il presidente generale dà al programma per la "base missionaria" dell'Azione Cattolica - fanno rilevare nel documento i dirigenti - è solo "esteriore e organizzativa", col pericolo di 'sminuire il contenuto spirituale e il significato sostanziale dell'apostolato". Secondo il documento, Gedda fa prevalere "esigenze tecniche e organizzative" su quella della "formazione spirituale", anzi si serve dei Comitati Civici "per costituire in pratica una nuova rete organizzativa distinta da quelle tradizionali."
Il documento Rossi-Miceli destinato a Pio XII prosegue affermando di temere che i tre milioni di iscritti dell'Azione Cattolica siano dirottati sul terreno politico così da far apparire l'associazione "un elemento direttamente influente sulla vita politica italiana".
L'associazione sarebbe anzi usata di fatto "a sostenere determinati interessi politici, che potrebbero essere un contrasto con le responsabilità sociali dei cattolici".
Visioni del genere, secondo i firmatari, suscitano equivoci, lasciano inevaso il compito di "modificare metodi che non riescono a operare in profondità per la rinascita spirituale del Paese", mettono in secondo piano "la necessità di preparare per la rinascita spirituale del Paese", mettono in secondo piano "la necessità di preparare quelle energie spirituali, culturali e morali senza le quali è da temere un ulteriore peggioramento della posizione dei cattolici nel nostro paese".
Grazie a questo documento, Pio XII è in grado di riesaminare l'intera questione. Anche il cardinale Giacomo Lercaro gli ha scritto pregandolo di non rinnovare il mandato a Gedda e di salvare Rossi. Perciò è Lercaro a prendere ora l'iniziativa di proporre a Padre Rotondi (che Gedda da tempo va candidando per il posto di viceassistente della GIAC al posto di don Paoli) di intervenire per far rientrare il conflitto interno.
Disgraziatamente i margini per una mediazione sono ormai troppo compromessi. Secondo la testimonianza rilasciatami da don Paoli, Pio XII manteneva dei canali segreti con Gedda, che funzionavano al di là delle udienze ufficiali attraverso suor Pasqualina. D'altra parte il Concordato del 1953 con la Spagna del generale Franco, la condanna dei preti operai , la pressione vaticana su La Pira, per non citare clic alcuni degli eventi più visibili del periodo, non lasciano dubbi sulla reale portata della strategia vaticana e sugli effetti che essa desidera conseguire in Italia.
Non sono trascurabili le ricadute vaticane delle inquietudini americane per la turbolenza della situazione politica in Italia, un'area considerata strategica nell'equilibrio dei blocchi Est - Ovest in tempo di guerra fredda. ''lI Vaticano e l'ambasciata americana sono allarmati'',
dirà Mario Rossi nell'autobiografia. "in quel tempo era a tutti più evidente la divergenza sostanziale tra le nostre idee e quelle geddiane, legate ad un piano politico della destra italiana e americana".
Alludendo all'ambasciatrice Clara Boothe Luce, Rossi è in grado di assicurare che "non è fantasia pensare che la CIA avesse i suoi uomini anche in istituzioni più o meno sacrali, a garantire le sue difese" e che "a Roma il cristianesimo sembrava un dato ministeriale, una somministrazione un po' pesante da portare avanti a diversi livelli di potere, con predominanza di alcune Famiglie e dell'ambasciata americana, rappresentati da una ambasciatrice fanaticamente tesa alle sue rivincite politiche e ai dollari per le crociate"
Mario Rossi ha il merito di intuire, prima di altri, che nemmeno gli espedienti e gli attendismi di monsignor Montini avrebbero potuto risparmiargli un esito considerato ineluttabile. Appena al corrente del disegno normalizzatore, egli manda in segreteria di stato, il 27 gennaio 1954, la lettera di dimissioni da presidente della Gioventù. Monsignor Sostituto trattiene per circa tre mesi la lettera sperando in cuor suo che un ripensamento possa tornare utile a scongiurare la crisi che sta precipitando sull'intero movimento cattolico in Italia.
La reazione di Gedda è durissima: deferisce Rossi, sul quale il Sant'Offizio ha aperto un dossier, all'Alta Commissione per l'Azione Cattolica, presieduta dal cardinale Pizzardo. Il presidente dei Giovani, già dimissionario, viene immediatamente convocato per sentirsi contestare scelte difformi dalle direttive dell'autorità ecclesiastica e "orientamenti francesizzanti", cioè ancorati a visioni spirituali della Chiesa quali sono elaborate dalla teologia d'Oltr'Alpe. Gedda non risparmia dall'epurazione nemmeno l'assistente generale dell'Azione Cattolica monsignor Giovanni Urbani che prima viene isolato, poi riceve la nomina a Vescovo di Verona.
La notizia delle dimissioni. presentate da Rossi "fin dallo scorso gennaio", viene pubblicata dall'Osservatore Romano del 19-20 aprile, lunedì di Pasqua. Il 23 aprile lo stesso organo vaticano pubblica, sotto il titolo Faziose speculazioni, un Comunicato nel quale, in risposta ai commenti di stampa, si precisa che le misure sono state adottate "per alcune pericolose tendenze dottrinali nella GIAC e per certi atteggiamenti non conformi alla natura, ai fini e alle tradizioni dell'Azione Cattolica''. In una nota riservata ai Vescovi la Congregazione del Sant'Offizio si sforza di chiarire ulteriormente in cosa consistano tali deviazioni: essenzialmente, una sopravvalutazione del laicato a scapito del sacerdozio, un accostamento a metodi e formule e programmi di intonazione marxista, una pretesa di autonomia delle scelte dei cattolici in materia etico-sociale, mentre la subordinazione alla gerarchia ecclesiastica anche in tali ambiti deve essere "sincera e totale".
Si ricordano gli effetti esplosivi di quelle misure, che coinvolsero i quadri dirigenti centrali dell'Azione cattolica e della base giovanile e in generale l'intero mondo cattolico italiano, i dirigenti centrali della GIAC, che nella riunione della direzione centrale ad Assisi ai primi di aprile avevano confermato la propria adesione alle linee del presidente, verificando comunque il carattere insuperabile del dissidio con Gedda, si dimisero, così come interi centri diocesani. Manifestazioni di solidarietà esprimevano un consenso non retorico di larghi strati della base associativa alle linee portanti della presidenza Rossi. Congiunte con le dimissioni di Rossi si innestarono più rilevanti interventi vaticani, che di lì a poco tempo avrebbero investito lo stesso monsignor Montini, costretto a lasciare la Segreteria di Stato nel novembre 1954 per diventare arcivescovo a Milano, ma senza cappello cardinalizio, per aver difeso le ragioni del cattolicesimo democratico e l'autonomia della Democrazia cristiana dal geddismo rampante e in quel momento pirramente vittorioso.
Tuttavia non si potrebbe evitare lo sforzo di discernere, al di là della vicenda apparente, quale emerge dalla eloquenza dei dati finora visibili, una dinamica interna dotata di alcuni effetti paradossali. In un paese come l'Italia, a corto di teologia e nel quale i vescovi si ostinano a contrastare la fondazione di un Facoltà teologica nell'Università pubblica, si deve a un cristiano laico, come Mario Vittorio Rossi, il primo afflusso e la prima divulgazione di massa degli elementi fondamentali di quella Nouvelle Théologie e di quella visione spirituale della Chiesa che la curia romana aveva sostanzialmente messo al bando, ma che malgrado tutto sarebbero state recuperate e riconosciute dal Concilio Vaticano Il.
Anche l'effetto della repressione non manca di aspetti paradossali, se appena si consideri che le leve giovanili cattoliche emigrate dalla GIAC in seguito al terremoto delle dimissioni di Rossi andarono in gran parte a rafforzare la sinistra democristiana, al punto di contribuire ad accelerare e a rendere irreversibile quel processo di apertura a sinistra che avrebbe ricevuto la prima formale ratifica al Congresso di Trento nell'ottobre del 1956 e che, con quelle misure, la gerarchia aveva invece sperato di soffocare.
Però, la sottile ironia che circola nei sotterranei della storia, scompigliando i determinismi delle leggi sociali, sembra aver raggiunto uno dei suoi apici quando poco più di un decennio dopo la crisi della GIAC del 1954, Giovanni Battista Montini divenuto papa autorizza nello spirito del Concilio la "scelta religiosa" dell'Azione Cattolica Italiana, e la riforma dello Statuto, compiendo autorevolmente il sofferto disegno e la speranza invincibile della GIAC di Mario Vittorio Rossi.

 

Fonte: Mario V. Rossi, un cattolico laico. Significato e attualità del suo impegno nell'Italia del secondo dopoguerra, Atti del convegno di studi promosso e organizzato dal Comune di Costa di Rovigo, a cura di G. Martini, S. Ferro, M. Cavriani, 13-14 marzo 1999, Minelliana, Rovigo 2000, pag. 95 - 102.

 

 

 

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