Maurilio Lovatti

Il caso di Mario Rossi (1954): testimonianze, documenti, lettere

 

 

Testimonianza di Luciano Tavazza

 

 

 

 

Mario ci aveva invitato a casa sua in una di quelle sere, subito dopo la vivace crisi, per metterci al corrente delle novità della giornata. Non c'era più posto nella pur grande stanza. lo allora mi accucciai sotto il tavolo per cogliere bene le sue dichiarazioni. Un panorama contrastato di notizie e di reazioni che provenivano dalla società politica e dal Vaticano.
Verso le undici e mena arriva una telefonata. Mario la prende e ci invita a star zitti perché c'è Sua Eccellenza Montini al telefono. Montini lo prega di andare da lui subito. Mario ci lascia, pregandoci di aspettar4o con pazienza. Si reca all'Arco delle Campane, dove le guardie svizzere lo fanno passare subito, nonostante che di notte non permettessero in genere a nessuno di entrare e lo portano fino all'appartamento di Montini. Suona al pianerottolo e alla porta appare Monsignor Montini. Mario sorpreso gli fa "Ma Eccellenza, lei alla porta". Risposta storica: "Guarda, io qui non mi posso fidare più di nessuno", tale era la pressione esercitata su di lui in quel momento. Disse quindi a Mario: "Siediti qui" e lo fece sedere nella sua stanza di accoglienza. La prima domanda: "Cosa fanno quei ragazzi adesso?". I ragazzi eravamo noi, dimessi dall'Azione Cattolica giorni prima, senza naturalmente nessuna forma assicurativa ed invitati cortesemente ad andarcene da Roma. Noi eravamo stati invitati ad allontanarci: a Wladimiro Dorigo invece avevano minacciato poco prima il foglio di via. Tanto per parlare quale clima teocratico si era già instaurato. Esso era arrivato fino a Scelba e alla possibilità che il Ministero degli Interni ci perseguisse per quello che avevamo fatto.
La cosa è talmente vera che quando Vittorio Incisa e Umberto Eco rientrarono a Torino furono subito convocati dai carabinieri del capoluogo piemontese perché volevano sapere che cosa succedeva al Centro Diocesano e soprattutto che non ci fossero dei rigurgiti e manifestazioni di protesta.
Quindi gli uomini di Gedda avevano fatto avvertire il sistema di sicurezza dello Stato perché noi costituivamo ai loro occhi un potenziale "pericolo" in quel momento. Naturalmente le risate e le ilarità costituirono la nostra prima reazione, anche per il contributo immaginifico di Umberto Eco.
"Bene", gli disse Montini, "allora che cosa faranno?". Gli rispose Rossi, "si preparano a tornare a casa". Infatti ciascuno di noi era partito da casa interrompendo chi la professione chi gli studi: insomma vivevamo a Roma praticamente da volontari, senza nessuna garanzia assicurativa. Spesso con la contrarietà delle nostre famiglie che non potevano capire l'avventura straordinaria a cui ci avevano chiamato Rossi e Carretto. Ricordo che anche il professor Giovanni Getto, un eminente studioso di letteratura italiana. divenuto più tardi docente apprezzatissimo a Torino e nominato cittadino onorario di quel capoluogo, sosteneva che era necessario intervenire subito nella lotta culturale e organizzativa del laicato, a costo di abbandonare posti più tranquilli e tradizionali in periferia.
Allora sua Eccellenza Montini tirò fuori un libretto di assegni e disse: "No, il gruppo non se no deve andare in questo modo da Roma, ti affido questo assegno, stabilisci per ciascuno di loro una somma perché possano resistere nella capitale fino a quando non avranno trovato lavoro". Non desiderava che noi ci disperdessimo. Montini poco dopo fu trasferito a Milano - esonerato dalla Segreteria di Stato, dove prevalse la linea di Monsignor Tardini - e dove ebbe occasione di prepararsi a divenire Papa. perché la Provvidenza è Provvidenza. Infatti il card. Montini era talmente sotto controllo che quando si seppe della copertura dataci, passò per la persona che continuava a tenerci a Roma non solo perché trovassimo lavoro, ma per coltivare quella speranza che lui aveva sognato insieme a Rossi, cioè di rilanciare l'idea di un laicato fedele, colto e intelligente.
Zizola ricorda fra l'altro, in un suo articolo, che quando gli arrivarono le dimissioni di Rossi, Montini pianse e tenne il documento per alcuni mesi nel cassetto e fu da qualcuno accusato di aver mancato alla sua funzione di Sottosegretario di Stato per non averlo consegnato immediatamente al Papa.
Il secondo ricordo riguarda lo stato della cultura cattolica di allora che si trovava in un gap terribile e soprattutto quella teologica era quanto mai arretrata. Il Concilio infatti sarà preparato su questi presupposti, coniando su alcune figure eccezionali come Montini, Lercaro ed altri che, quando poterono, rovesciarono gli stessi documenti preparatori. Anche a livello cardinalizio tale arretratezza culturale era evidente. Faccio un esempio: il giorno dopo in cui comparve la notizia sull'Osservatore Romano circa il nostro "tradimento" nei confronti della fiducia del Papa e della Chiesa, due esponenti della presidenza centrale vollero andare a chiedere in che cosa consisteva tale tradimento, perché nessuno riusciva a dircelo. Questa delegazione, composta da un veneto che oggi è presidente della Cassa Marca Trevigiana, Dino De Poli e da un geniale, colto, pazzerello toscano che risponde al nome di Cesare Graziani, decise di andare dal Cardinale Ottaviani presso il Sant'Uffizio. Bussarono e venne loro incontro il segretario di Ottaviani che annuncio: "il cardinale dorme". "Non si preoccupi - risposero - ci mettiamo qui ed aspettiamo cortesemente che si svegli. non lo disturbi". Infatti verso le cinque il cardinale si svegliò, e li ricevette: "Eminenza, siccome abbiamo visto questo trafiletto sull'Osservatore Romano (avevamo saputo che lo aveva scritto lui d'accordo con Gedda), siamo venuti qui da lei, filialmente, per sapere dove abbiamo sbagliato". Non sapevamo in verità a quale teologia riferirci. "Ah. siete qui per questo?", disse Ottaviani. "Ve lo spiego subito". Chiamò il segretario e gli disse: "Mi porti il manifesto di quella diocesi toscana". Dopo un po' questo segretario torna con in mano il manifesto e gli dice: "Lo apra". Una volta dispiegato, il cardinale indica il nome della diocesi e commenta: "Ecco il titolo: La Chiesa comunità. Ecco dove cominciano gli errori. Quando la Chiesa è comunità rischia di diventare subito comunismo".
Una decina di anni dopo le dimissioni di Mario, quel santo pazzo che si chiamava Livio Labor mi portò in Vaticano ad un'udienza ufficiale per le ACLI, facendo una delle sue bizzarrie non rispettose delle forme diplomatiche. Mi presentò al Papa Montini dicendo: "Questo è Tavazza. amministratore centrale della GIAC, che viene dalla presidenza Carretto e soprattutto da quella di Mario Rossi".
Ho visto subito nel Papa un leggero trasalimento. Labor credeva di avermi fatto una gran presentazione, mentre al Pontefice si rinnovavano certe ferite ancora non rimarginate del tutto. Mi sono detto subito "Io non ho la ginocchiera di ferro, quindi mi buttano fuori". Ricordo ancora le facce di due monsignori al fianco del Papa e, rompendo il tabù per cui secondo il protocollo non si poteva parlare al Papa, ho esclamato: "Santità devo ringraziarla". Paolo VI rispose: "Come, e perché deve ringraziarmi?". "La devo ringraziare perché Lei ha voluto fare vescovo Monsignor Federico Sargolini". Monsignor Sargolini era stato il nostro assistente centrale, vicinissimo a Mario, e si era sacrificato in silenzio al suo fianco per difendere il ruolo dei laici. Il Papa disse: "Ma davvero siete contenti?" "Sì siamo contenti perché Lei ha premiato un vescovo che si è sacrificato per noi laici, per salvarci da molti errori". Credevo che fosse finita. Dieci giorni dopo ricevo un biglietto: il biglietto è di Monsignor Sargolini che mi scrive: "Luciano cosa mi hai combinato? Mi ha chiamato il Papa. Mi ha detto che siete tutti felici e lui è felice più di tutti per avermi fatto questo dono, anche nel ricordo di Mario Rossi".
Quindi il Papa aveva ricordato istantaneamente, con chiarezza, il passato e valutato questo sacrificio e per questo lo aveva eletto Vescovo a Camerino. Queste erano le delicatezze di Papa Paolo VI, più volte usate anche nei riguardi di fratel Arturo Paoli, uno dei consiglieri e assistenti di Mario Rossi, praticamente allontanato dall'Italia quasi a forza, dopo la crisi della Gioventù Cattolica e destinato dai Piccoli Fratelli a evangelizzare l'Africa, l'America Latina. Papa Montini usava mandargli dei biglietti a mano per gli auguri di Natale. Questo completa la storia che ho già raccontato di quando il Sottosegretario di Stato Montini ricevette Rossi intorno alla mezzanotte nella sua abitazione e gli fece avere riservatamente un assegno per dare modo agli ex-dirigenti dell'Azione Cattolica, cacciati da Via della Conciliazione, di aver tempo di rimanere a Roma e di trovarvi un posto di lavoro. Io ho vissuto sei mesi a Roma con quell'assegno.
Quando dissi al Papa "Lei ha voluto", pronunciai quella frase perché sapevo che alcuni uomini della Segreteria di Stato avevano fatto obiezioni alla nomina di Sargolini, e lui, Paolo VI, si era imposto con la sua solita fermezza.

 

 

Fonte: Mario V. Rossi, un cattolico laico. Significato e attualità del suo impegno nell'Italia del secondo dopoguerra, Atti del convegno di studi promosso e organizzato dal Comune di Costa di Rovigo, a cura di G. Martini, S. Ferro, M. Cavriani, 13-14 marzo 1999, Minelliana, Rovigo 2000, pag. 103 - 106.

 

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