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       Nasce nel 1224 nel castello di
      Roccasecca, vicino ad Aquino (Frosinone). Figlio di un conte riceve la
      prima educazione nel monastero benedettino di Montecassino e poi
      all'Università di Napoli. Decide di farsi frate e contro il volere del
      padre entra a far parte dell'ordine dei domenicani (nel '200 erano nati
      gli ordini mendicanti, oltre a questi c'erano anche i francescani). Al
      tempo la tradizione voleva che un nobile andasse in un convento
      benedettino e il fatto che lui sceglie un ordine mendicante era molto
      grave.Viene quindi rapito e picchiato a sangue, per ordine del padre, ma lui,
      una volta guarito, torna tra i domenicani e a questo punto il padre cede a
      accetta il fatto che il figlio non sia entrato a far parte dei
      benedettini. I compagni in convento lo chiamavano il "bue muto"
      perché era sempre zitto ma lavorava e studiava tanto. L'ordine lo manda
      all'Università di Parigi prima, poi a Colonia dopo divenne allievo di 
      Alberto Magno.
 Questi era un teologo che conosceva bene il greco antico e che aveva
      tradotto diverse opere di Aristotele. È considerato il precursore della
      filosofia medioevale del XIII - XIV secolo basata sull'aristotelismo.
 Nel 1207 il vescovo di Parigi aveva proibito la lettura di Aristotele agli
      studenti dell'università. Poi ci fu un fatto alquanto contraddittorio: la
      chiesa da un lato era contro la lettura delle opere di Aristotele,
      dall'altro il Papa diede l'incarico a dei teologi di tradurle.
 Al tempo, però, Aristotele fu mal compreso, perché i suoi scritti erano
      stati tradotti dal greco all'arabo e dall'arabo al latino. Avicenna, un
      teologo e filosofo che commentò Aristotele, lo interpretava con un sfondo
      platonico e quindi ciò creò confusione. Perciò prima del XIII secolo
      Aristotele era mal conosciuto. Con Alberto Magno si ha un cambiamento:
      sostiene la tesi che l'aristotelismo è meglio del platonismo per
      sistemare, spiegare le verità cristiane in maniera razionale.
 Tornando a San Tommaso, ebbe una vita poco movimentata, fece l'insegnate
      un po' a Parigi un po' a Napoli. L'unica cosa che può essere considerata
      un po' diversa è che fu invitato al Concilio di Lione, ma durante il
      viaggio si ammalò e morì nel 1274.
 La metafisica di Tommaso è la metafisica di Aristotele.
 L'unico punto in cui si differenzia è il concetto di sostanza. Sia per
      Aristotele, sia per Tommaso, sostanza è tutto ciò che esiste in sé e ha un'essenza; gli
      accidenti, ciò che non sussiste di per sé, non sono sostanza. Però:
 · Per Aristotele la sostanza è un sinolo tra materia e forma.
 · Per Tommaso la sostanza è un sinolo tra essenza e esistenza.
 Tommaso diceva: mettiamo in un insieme tutti gli enti che hanno un'essenza
      (ossia tutto ciò a cui possiamo pensare senza contraddizione). Non ha
      un'essenza, per esempio, il numero naturale più grande di tutti, perché
      non solo non esiste, ma è contraddittorio. Oppure un triangolo di quattro
      lati. Perciò tutto ciò che è contraddittorio non ha essenza, tutto ciò
      che può essere pensato ha essenza.
 Sottoinsieme dell'essenza è l'esistenza. L'ippogrifo ha solo l'Essenza;
      il cavallo Esistenza ed essenza.
 Se Tommaso non accetta questa definizione di sostanza di Aristotele, mentre
      in genere accetta quasi tutto dallo Stagirita, un motivo ci deve essere.
      Nel De ente et essentia esprime alcuni tesi:
 · Se definiamo la sostanza come la definisce Aristotele si comprendono
      solo le sostanze materiali (alberi, case, sassi…). La definizione di
      Tommaso è più ampia, comprende anche ciò che non è materiale (angeli,
      demoni…).
 · Dottrina della creazione:  i greci non avevano il concetto di creazione
      dal nulla (per Aristotele e per Platone c'era infatti un ente che creava
      il mondo, ma non dal nulla, da qualcosa che già esisteva). Con Tommaso la
      creazione è portare in atto ciò che esiste in potenza. Perché l'essenza
      è esistenza in potenza. Tutto ciò che ha essenza può esistere, ma non
      è detto che esista (il cavallo esiste ed è stato quindi creato da Dio,
      l'ippogrifo non esiste ed è rimasto esistente in potenza nella mente di
      Dio). Bisogna comunque tenere conto che al tempo di Tommaso non esisteva
      la teoria dell'evoluzione, tutto era stato creato in una volta sola.
 Dio ha fatto passare dalla potenza all'atto solo alcuni enti.  Gli enti che
      esistono sono un sottoinsieme degli enti che potrebbero esistere.
 · Per il platonismo le idee, che sono puri concetti, essenza, hanno più
      valore delle cose. Tommaso dice: tra il cavallo e l'ippogrifo ha più
      ricchezza d'essere il cavallo, perché esiste in realtà. Quindi a
      differenza del platonismo l'aristotelismo di Tommaso dà più importanza
      alle cose perché Dio le ha portate all'atto (Dio è buono e crea cose
      buone). Il corpo per Platone è un male, per Tommaso è un valore, in
      quanto creato da Dio.
 ·  Analogia dell'essere: un termine può essere usato in maniera univoca,
      con un solo significato, o equivoca, ambigua, con più significati (Pesca,
      si intende l'atto del pescare o il frutto? Cane, si intende la
      costellazione o l'animale?). L'analogia si ha quando un termine non è né
      ambiguo né univoco. Il concetto di essere è un concetto analogico. Se
      per esempio dico: Dio è (esiste) e Questo oggetto è (esiste)
 Il verbo essere è usato allo stesso modo, il significato è in gran parte
      simile ma anche un po' diverso, perché nella creatura l'essenza non
      implica l'esistenza (Potrebbe anche non esistere; magari Dio non creava il
      cavallo, ma l'ippogrifo) mentre in Dio l'essenza implica l'esistenza (non
      può non esistere).
 L'ente LOGICO esiste nell'intelletto, l'ENTE REALE esiste anche in
      realtà.
 Di questa distinzione ci interessa un caso particolare, cioè quando
      abbiamo a che fare con enti logici che non esistono in realtà.
 Se io uso il termine cecità, uso un concetto di qualcosa che non esiste
      in sé (perché in pratica è la mancanza di vista).
 Quando usiamo parole come male, buio che non esistono di per sé, non
      significa che ciò che diciamo è falso o privo di significato. Secondo
      Tommaso pur sapendo che questi enti logici non esistono di per sé, si
      possono comunque denominare.
 Per quanto riguarda ciò che non concerne essenza ed esistenza accetta la
      metafisica aristotelica; in particolare:
 · la teoria del divenire: il movimento è un passaggio dalla privazione alla
      forma con un sostrato che rimane immutato
 · i 4 tipi di cause: formale, efficiente, materiale e finale.
 · i 4 tipi di divenire: qualitativo, quantitativo, locale e sostanziale.
 · la distinzione potenza/atto: se considero l'ordine cronologico la potenza
      viene prima dell'atto (una gallina prima lo era in potenza poi in atto. Se
      considero non il singolo individuo ma la specie, quindi considero l'ordine
      logico e conoscitivo, si ha la priorità dell'atto rispetto alla potenza
      (il bambino è dipendente dall'esistenza dell'uomo).
 La sua opera più importante è La summa theologiae, in cui
      utilizza come metodo espositivo la questio (rifletteva il metodo
      scolastico: si dibatteva e si discuteva su diversi argomenti). In queste
      letture lo schema è sempre quello:
 · Sembra che: dove espone la tesi opposta alla sua
 ·  In contrario: dove espone la sua tesi
 · Rispondo:  porta argomenti a favore della tesi da lui sostenuta
 ·  Soluzione della difficoltà: fa vedere perché è sbagliata la tesi
      opposta
 Giovanni Paolo II ha confermato che la teologia
      tomistica si concilia bene con la fede. Agli inizi del '200, invece, gli
      aristotelici rischiavano di essere condannati tutti (infatti le opere di
      Aristotele non si potevano leggere).S. Tommaso vuole dimostrare che Dio esiste. Se vogliamo conoscere Dio,
      dobbiamo avere oltre che la ragione anche la Rivelazione (dalle
      Scritture), che è vera solo per quelli che hanno la fede. Per Tommaso, se
      utilizzo solo la ragione, posso dimostrare solo alcune verità.
 Dalla Summa Theologiae:
 Sembra che Dio non esista: vengono esposte due motivazioni possibili di
      questa tesi:
 · Se Dio è comunemente considerato l'essere
      onnipotente e infinitamente buono, perché esiste il male? Se veramente
      Dio esistesse il male non ci sarebbe. Quindi Dio non esiste. Questa tesi
      era stata sviluppata da Epicuro: era arrivato alla conclusione che gli dei
      non interagivano con le azioni dell'uomo. Per Agostino il male non è
      creato da Dio, quando l'uomo sceglie il male sceglie il bene minore
      perché appunto il male è privazione di bene.
 · Si parla di cause perché Dio è considerato dal credente la causa
      dell'esistenza del mondo. Questa tesi afferma che tutto può essere
      spiegato senza ricorrere a Dio: un fenomeno fisico si spiega con cause
      fisiche, un fenomeno che dipende dall'uomo è causato dalla volontà
      dell'uomo stesso. Quindi, il non credente dice: se posso spiegare tutto
      con altre cause, allora perché devo utilizzare anche Dio come causa?
 In contrario: la sua tesi la esprime con una citazione biblica dell'Esodo:
      "Io sono Colui che è", nel senso che Dio esiste.
 Rispondo: dimostra che Dio esiste attraverso le cinque vie. Queste 5 prove
      dell'esistenza di Dio sono tutte a posteriori ed esprimono ciò che
      si può conoscere di Dio attraverso la ragione.
 Prima
      via: dall'esistenza del movimento si dimostra l'esistenza dell'Atto
      puro Seconda
      via: dall'esistenza degli enti si dimostra l'esistenza della Causa
      incausata Terza
      via: dall'esistenza di qualcosa si dimostra l'esistenza di un Ente
      necessario Quarta
      via: dall'esistenza di gradi della realtà si dimostra l'esistenza
      dell'Ente Sommo Quinta
      via: dall'esistenza di fini nella natura si dimostra l'esistenza
      dell'Ente finalizzatore
 1) Si tratta del movimento come lo intendeva
      Aristotele.Premessa sensibile: in questo mondo qualcosa cambia, quindi il movimento
      esiste (il sole che si sposta nel cielo, la foglia che ingiallisce…).
      Siccome il divenire è il passaggio dalla potenza all'atto, la causa deve
      avere già in atto ciò che poi ritroviamo nell'effetto.
 Es: il fuoco mi scalda l'acqua, l'acqua è calda in potenza prima, poi lo
      è in atto. Per questo passaggio il fuoco (la causa) ha già in atto il
      calore.
 Se abbiamo un movimento a causato da b causato a sua volta da c e così
      via, la causa iniziale del movimento deve avere già in atto ciò che poi
      ritroviamo nell'effetto. È molto simile come ragionamento a quello della
      dimostrazione dell'esistenza dell'atto puro fatta da Aristotele. Questo
      atto puro è identificato con Dio. Quindi se uno usa solamente con la
      ragione (e quindi nell'ambito della filosofia) e non la fede, riesce a
      capire solo ciò che è conseguenza di dimostrazione, cioè, in questo
      caso, che Dio è atto puro, ma non che è onnipotente, buono….
 
 2) La causa prima deve essere incausata, perché se non lo fosse ci
      sarebbe un'altra causa e quindi non sarebbe più la prima. Questa causa
      incausata la chiama Dio. La piccola differenza che c'è da Aristotele è
      che questa causa per Tommaso può essere anche efficiente, per Aristotele,
      invece, è solo finale (per esempio la torta non fa niente per essere
      desiderata e mangiata).
 
 3) Si parte dal fatto che qualcosa esiste: piante, animali, banchi….
      Tutto ciò che esiste è un ente. Gli enti si possono dividere in
      contingente (ha inizio e fine nel tempo) e necessario (non ha né inizio
      né fine nel tempo). Tommaso vuole dimostrare, per assurdo, che non ci
      possono essere tutti enti contingenti, ma che almeno uno necessario ci
      deve essere. Se tutti gli enti sono contingenti allora si possono ordinare
      nel tempo per data di nascita. Ma così ve ne è uno che è il primo di
      tutti. E prima di questo o c'era il nulla o un ente necessario. Ma se
      prima non ci fosse stato nulla, non ci sarebbe il mondo. Quindi almeno un
      ente necessario ci deve essere e questo ente necessario è Dio.
 
 4) Si tratta della via più problematica. È un residuo platonico, anche
      se sappiamo che la filosofia tomistica ha basi aristoteliche. Bisogna
      però tener presente che nel '200 i traduttori erano influenzati dal
      platonismo e che molto probabilmente non hanno tradotto fedelmente le
      opere di Aristotele. Noi vediamo che alcune cose tra quelle che esistono
      hanno una gerarchia d'essere (si va dal sasso, al vegetale, all'animale,
      all'uomo). Ma se noi diciamo che un ente ha più o meno essere di un altro
      bisogna supporre che ci sia un ente perfetto che chiamiamo ente sommo o
      Dio.
 Perché è un'influenza platonica? Secondo Platone le cose imitano le idee
      (tutti i triangoli imitano l'idea di triangolo che è in pratica il
      triangolo perfetto). Quindi la gerarchia presuppone un modello perfetto
      che è l'idea.
 
 5) Tommaso sostiene che un fine esiste. Alcuni fini sono dati da persone
      intelligenti (la freccia colpisce il bersaglio perché l'arciere ha mirato
      bene) altri no (un seme di fagiolo fa sempre crescere una pianta di
      fagiolo, ma non perché è intelligente e si dà da solo il fine). Ma
      allora quando il fine non è dato da un ente intelligente, da dove salta
      fuori? Questo tema è ripreso da Newton: se trovo un orologio per strada,
      non so chi l'ha fabbricato, però vedo che funziona e quindi posso dire
      che è stato costruito da un orologiaio intelligente.
 Per Tommaso allora ci deve essere un ente creatore o finalizzatore, che è
      Dio, che da il fine agli enti non intelligenti.
 Soluzione delle difficoltà: sono due le tesi da
      confutare:· l'esistenza del male: usa la spiegazione di Agostino: Dio vuole bene e
      crea cose solo buone in sè, ma permette anche il
      male, perché sa trarre il bene anche dal male, (il male è privatio
      boni).
 · È vero che ogni cosa è possibile spiegarla con cause che non sono
      Dio, però se vado indietro una causa prima ci deve essere necessariamente
      (è simile alla seconda via).
 DOTTRINA DELLA CONOSCENZA È un'applicazione, un perfezionamento della
      concezione aristotelica della conoscenza. Nel  De Anima l'anima
      intellettiva ha due funzioni:· astrazione:  (facoltà della mente di produrre concetti, non ci sarebbe
      giudizio, se non ci fossero concetti,  se non ci fosse l'astrazione)
 · giudizio:  atto della ragione con cui si uniscono concetti tra di loro,
      cioè soggetto e predicato per formare una frase o un pensiero.
 Queste due facoltà sono interdipendenti (per formulare giudizi dobbiamo
      avere concetti e anche per conoscere i concetti operiamo tramite giudizi).
      In cosa consiste l'astrazione? Da ab-trarre, tirar fuori, distinguere.
 Es: vedo tante persone, che hanno comunque tra di loro qualcosa di
      diverso. Ma quando penso al concetto di persona, non penso ai particolari,
      ma astraggo (tengo conto solo di ciò che è essenziale).
 Quindi l'astrazione è separazione tra ciò che è essenziale (mantenuto
      nel concetto) e ciò che non lo è. Si potrebbe pensare che per il
      dualismo forma - materia, quando io astraggo considero solo la forma:
      infatti conoscere un concetto significa conoscere l'essenza (la nozione
      della forma). In conclusione lasciamo perdere la materia e consideriamo
      solo la forma, come aveva sostenuto Aristotele. Però per Tommaso questa è una conclusione un po'
      affrettata, perché la materia va distinta in materia in generale e 
      materia signata  (particolare, collocata nello spazio e nel tempo).
 L'uomo è fatto di carne e ossa, ogni singola persona è fatta della sua
      carne e delle sue ossa. Un conto è dire materia in generale, un altro
      materia particolare.
 Tommaso dice che  l'astrazione è una considerazione separata dalla
      forma e dalla materia in generale, prescindendo dalla materia signata.
 Il Principio di individuazione è un residuo platonico e consiste nel
      fatto che, poiché nel concetto di uomo considero solo la forma e la
      materia in generale (che sono uguali in tutti gli uomini) ritengo di dover
      ulteriormente fondare l'esistenza dell'individuo singolo.
 Es: ho due biro uguali, che non hanno nessun elemento che li distingue,
      però io so che non sono la stessa biro…
 È il principio di individuazione che dice che una cosa è se stessa.
      Secondo Tommaso,  il principio di individuazione è la materia signata,
      ossia ciò che permette a una cosa di essere se stessa. Può essere
      considerato un residuo platonico, perché per Platone ad una idea
      corrispondono tanti individui (se ho l'idea di uomo ho anche la relazione
      con i singoli
      uomini che
      sono particolari). Ogni uomo imita la stessa idea dell'uomo e quindi per
      distinguerli non bisogna far riferimento alle idee, ma ai particolari. Per
      concludere il principio di individuazione consiste nel pensare che bisogna
      avere anche una determinazione particolare per distinguere due cose che
      esistono e che apparentemente sembrano uguali.
 Gli scolastici però obbiettano: se l'anima esiste di per sé (è
      immortale) ed è immateriale, quando il corpo muore, non ha materia
      signata. Ma allora come fa un'anima ad essere diversa da un'altra? Tommaso
      risponde che ciò che la rende individuale è la traccia, l'impronta che ha mantenuto
      del corpo con cui è stata unita prima della morte.
 Secondo Tommaso dell'anima possiamo sapere quello che dice Aristotele, in
      più la filosofia può solamente dimostrare che è possibile che l'anima
      sia immortale, è però la fede che ci da questa convinzione, perché Dio
      come l'ha creata potrebbe anche distruggerla dopo che il corpo muore.
 Distinzione tra ragione - fede.
      Entrambe sono originate da Dio per cui non entrano in contrasto tra di
      loro. La fede può però far conoscere qualcosa in più, la ragione può
      solo capire che da sola non può sapere tutto. Quindi la ragione capisce
      le 5 vie, e i relativi attributi di Dio, mentre la fede può farcene
      conoscere altri. La ragione capisce, usando la ragione stessa, che la
      ragione non è sufficiente.
 Per esempio, la ragione non può dimostrare che l'anima è immortale. La
      ragione fornisce i "preambula fidei", la ragione fornisce
      premesse sulle quali la fede può integrare.
 Punto contrastante con Agostino:
 · Agostino sottolinea i continui e necessari passaggi dalla fede alla
      ragione e viceversa (credere per capire, capire per credere)
 · Per Tommaso fede e ragione sono su due piani diversi, il filosofo usa
      la ragione, il teologo la fede.
 PRESUPPOSTI METAFISICI DELL'ETICA 
      Etica intesa nel senso aristotelico, come  scienza pratica che studia il
      bene per l'uomo e orienta l'agire.Secondo Tommaso ci sono due presupposti che si prendono dalla metafisica,
      dove vengono dimostrati e si considerano come dei postulati nell'etica.
      Questi presupposti sono solo due, il resto lo si può dimostrare
      razionalmente.
 Un presupposto è il Principio di finalità: dice
      che "omne agens agit propter finem", "ogni agente agisce in
      vista di un fine" ossia che ogni ente ha un fine. Non solamente gli
      uomini quindi, ma tutti gli enti. Questo perché secondo Tommaso nella
      metafisica si è dimostrato che Dio esiste e che è creatore. Dio creando
      tutti gli enti ha dato loro anche un fine.Es: come un architetto da ordini ai muratori seguendo un progetto della
      casa, in cui ogni cosa ha un fine, così è la creazione: un disegno
      intelligente in cui ogni cosa creata ha un fine.
 A noi nell'etica interessa il fine dell'uomo. Questo fine si può
      distinguere in:
 · Immediato: se uno ha sete ha come fine immediato quello di bere. Questo
      tipo di fine è la risposta al nostro desiderio di un bisogno immediato.
 · Intermedio: la maggior parte delle nostre azioni non è per soddisfare
      immediatamente un
      desiderio, ma sono un fine per un altro fine. Sono un mezzo.
 es: la mattina prendo il pullman non perché lo desidero, ma perché devo
      andare a scuola. Le nostre azione sono volte a fini successivi.
 · Ultimo: tutti i fini intermedi presuppongono un fine ultimo (voluto per
      se stesso non come mezzo ma per un altro fine).
 es: se decido di andare in vacanza in una città, programmo delle tappe
      apposta. Se non scelgo dove andare non posso neanche scegliere le tappe
      intermedie.
 Se tutti i fini fossero intermedi in realtà non vorremmo nulla, dato che
      non abbiamo un fine ultimo. Se diamo un ordine ai nostri desideri è
      perché un fine ultimo l'abbiamo.
 Il fine ultimo si distingue in  Fine ultimo di fatto, cioè ciò che
      effettivamente si vuole. (Prendiamo per esempio Paperon de' Paperoni, il
      suo fine ultimo di fatto è la ricchezza: tutti i suoi fini intermedi sono
      in vista della ricchezza. Un altro esempio è un attore che ha come fine
      ultimo la fama, o un politico che ha come fine il potere).
 Fine ultimo di diritto, ciò che si deve volere, ciò che sarebbe giusto
      volere, in pratica  ciò che realizza la natura umana.
 Il principio di finalità ci assicura che esiste un fine ultimo di diritto
      che è giusto volere, perché ogni ente è stato creato da Dio con un fine
      intrinseco alla sua natura, un suo fine naturale.
 Anche gli altri fini (quelli di fatto) soddisfano qualcosa di utile alla
      natura umana (la ricchezza è utile, ma non è detto che sia il fine
      maggiore), perciò anche se sono bene, non sono il bene assoluto.
 Es: ho freddo e uso un dipinto famoso per scaldarmi con una fiamma. Arrivo
      a un bene perché non ho più freddo, però aver bruciato un dipinto
      famoso non è bene.
 Aristotele aveva detto che il fine ultimo di diritto per l'uomo è la
      felicità (nell'etica nicomachea aveva detto che si potevano scegliere i
      mezzi per raggiungere la felicità, ma non il fine, cioè la felicità). Per
      Tommaso il fine ultimo di diritto consiste nella beatitudine, cioè la
      felicità nella vita terrena e anche nella vita eterna.
 Conclusione etica: Buono è ciò che è conforme al fine.
 L'altro presupposto è il libero arbitrio. La morale si compone di
      precetti. Comandamenti, norme morali, leggi morale, precetti li usiamo
      come sinonimi.
 Es:  non rubare è un comandamento, una norma, una legge, un precetto.
 Queste norme sono formulare come un dovere o come un imperativo, e hanno
      senso solo se possono essere seguiti, cioè se si può scegliere se
      seguirli o no. Se per esempio dico a una classe
      rumorosa "fate silenzio!" è un precetto che viene comandato e
      che essi possono seguire, ma se lo dico a una classe di muti non ha senso.
      L'uomo usando la ragione può scegliere liberamente se perseguire o meno
      il suo fine ultimo di diritto.
 Il libero arbitrio è un presupposto della morale.
 Il libero arbitrio è una conseguenza del fatto che l'uomo è razionale.
 Es: se la pecora vede il lupo, istintivamente scappa perché sa che è
      pericoloso. Il fatto che scappa non è dovuto a una decisione, ma alla sua
      natura (e quindi non ha il libero arbitrio). Se ti spaventano e tu non te
      l'aspetti, fai un salto, ma non perché l'hai deciso (non usi il libero
      arbitrio).
 L'uomo però di fronte a un pericolo (come il fuoco) sente il bisogno si
      scappare, ma sceglie la direzione da prendere (talvolta potrebbe essere
      necessario agire in maniera anti-istintiva, andare incontro alla fiamme
      per non finire soffocati o intrappolati…).
 Gli atti dell'uomo conseguono sempre ad un giudizio, che Tommaso chiama
      GIUDIZIO ULTIMO PRATICO, ultimo perché l'azione è appena dopo il
      giudizio, pratico perché orienta l'azione (nel senso che è meglio
      allontanarsi che avvicinarsi al leone).
 Prima del giudizio ultimo pratico, c'è però un giudizio di coscienza,
      ovvero l'applicazione della legge morale ad un caso specifico, qui ed ora.
      Questo atto di giudizio è puramente razionale. Se invece il giudizio
      ultimo pratico non coincide col giudizio di coscienza, ciò è dovuto
      all'influsso della volontà.
 Gli scolastici discutono della compatibilità del libero arbitrio con la
      prescienza divina (ossia che Dio conosce già prima quello che succede:
      per esempio Dio sa se a Natale nevicherà). Alcuni scolastici dicono: se
      Dio conosce già tutto, sa già cosa farò fra tre giorni e quindi non
      sono più libero di scegliere se commettere o no un peccato. Tommaso è
      convinto che libero arbitrio e prescienza divina sono conciliabili. La
      conoscenza umana dipende dal tempo. Se la conoscenza di Dio fosse nel
      tempo allora ostacolerebbe il libero arbitrio.
 Es: se io e lui dobbiamo andare a Roma per la stessa via, io decido di
      partire un giorno prima dell'altro. Se io faccio una strada, lui deve per
      forza fare la stessa, non può scegliere.
 Allora se Dio conosce prima di noi non abbiamo più il libero arbitrio.
      Però la conoscenza di Dio non è nel tempo.
 Il libero arbitrio e la prescienza divina sono compatibili.
 Ma però bisognerebbe parlare dell'etica che ci dice quali sono le azioni
      buone. Tommaso vuole fare un'etica filosofica e quindi bisogna dire quali
      sono le azioni buone, ma anche il perché sono buone, ossia giustificarle
      razionalmente.
 Ciò che è buono è ciò che è conforme al fine.
 Il principio di finalità ci dice che abbiamo un fine ultimo di diritto e
      che dobbiamo seguire il bene e evitare il male ("Bonum est facendum,
      male evitandum"). Questo principio, che è il più generale
      nell'ordine pratico, ci dice di fare il bene e evitare il male ed è
      chiamato SINDERESI.
 La sinderesi ci indica la distinzione originaria, che l'uomo riesce a
      cogliere, tra bene e male. Infatti l'uomo sa distinguere ciò che va fatto
      e ciò che va evitato. Quindi per Tommaso la sinderesi ci dice che c'è un
      bene da fare perché c'è un fine ultimo di diritto.
 È un imperativo: bisogna fare il bene e evitare il male!!
 Il presupposto metafisico si traduce con la sinderesi.
 Questo principio però non ci dice qual è il bene e il male….
 Tommaso dice che per saperlo abbiamo bisogno di una legge morale, che è
      una via al fine, ossia che ci dice che strada dobbiamo seguire per
      raggiungere il fine.
 Le leggi morali non si possono ricavare dalla Bibbia, perché non si
      tratta di un'etica rivelata, ma bisogna dimostrarle.
 Come si deducono i precetti morali con la ragione?
 Il criterio formale, che non è quello che cerchiamo, è basato sulla
      regole aurea: non fare agli altri ciò che non vorresti essere fatto a te
      (strada che sarà percorsa da  Kant nella  Critica della ragion
      pratica, ma
      non da Tommaso)
 Tommaso dice: siccome l'uomo è creato da Dio, e Dio è buono, allora ha
      creato l'uomo con inclinazioni naturali che tendono al suo bene. Se noi
      studiamo, comprendiamo le inclinazioni dell'uomo allora avremo le leggi da
      seguire per raggiungere il fine.
 Le tendenze sono tre:
 1) Principio di autoconservazione: tendenza che l'uomo condivide con tutti
      gli esseri, in base alla quale tende a sopravvivere.
 2) Tendenza che l'uomo condivide con gli animali superiori: ossia quella
      procreazione, dell'allevamento e dell'educazione.
 3) Tendenza tipicamente dell'uomo: desiderio di conoscere, spiritualità,
      culto dei morti.
 Da queste tre tendenze si ricavano tre precetti:
 1) Non uccidere
 2) I genitori hanno il compito di nutrire, educare i figli e i figli
      devono rispettare i genitori. Poi si ricavano anche delle leggi sulla vita
      in società.
 3) Si deve cercare la verità e non la falsità e che inoltre si deve
      essere sinceri
 L'insieme di questi precetti forma la legge morale naturale, morale
      perché riguarda il comportamento, naturale perché è intrinseca alla
      natura dell'uomo.
 
 La legge può essere: ETERNA, MORALE NATURALE e POSITIVA (UMANA e
      DIVINA)
 La legge positiva deriva da positum, posto, cioè  data da
      un'autorità.
      Quindi la legge divina è data da Dio, la legge umana è data dal
      parlamento nel nostro caso, dall'imperatore per i medioevali. La legge
      umana ha caratteri diversi dalla morale naturale perché prevede delle
      sanzioni per farla rispettare.
 La  legge eterna è come il progetto di Dio prima della creazione del
      mondo. Questo progetto o legge l'uomo non può conoscerlo, perché non
      entra nella mente divina e quindi la conosciamo attraverso la legge
      naturale morale che è un suo riflesso.
 Tra precetti e azione c'è un vuoto. Devo decidere
      cosa fare, che non è immediatamente derivabile dal precetto (perché se
      tutti condividono il precetto "non rubare", allora nessuno
      ruberebbe). Come si passa dalla conoscenza generale del precetto
      all'azione particolare?Secondo Tommaso c'è un giudizio di coscienza: la coscienza non è
      un'altra facoltà (le facoltà sono due: intelletto e volontà), ma è
      l'uso della ragione per valutare cosa bisogna fare nella situazione
      concreta ("qui e ora").
 Es: una persona sa che mentire è una cosa sbagliata. Se però dicendo la
      verità so di ferire qualcuno, non la dico….
 Quindi noi attraverso la ragione applichiamo la norma morale qui (in
      quest'occasione) e ora (in questo momento).
 Per il passaggio da precetti a giudizio di coscienza occorre che il
      giudizio di coscienza riguardi qui e ora.
 Il giudizio di coscienza coincide con il giudizio ultimo pratico?
 Sappiamo che giudizio ultimo pratico e azione coincidono.
 Giudizio di coscienza: valuto che adesso devo aiutare il mio amico che è in
      difficoltà.
 Giudizio ultimo pratico: precede l'azione, giudico ciò che poi sicuramente
      farò (decido di aiutare il mio amico).
 Non sono perciò la stessa cosa.
 Es: la coscienza mi dice che non devo rubare, però ho bisogno di
      qualcosa, trovo un portafogli pieno di soldi lasciato incustodito da un
      miliardario…e quindi li prendo.
 Questo deriva dal fatto che il giudizio ultimo pratico è influenzato
      dalla volontà, mentre quello di coscienza deriva solo dall'uso della ragione
      (è giusto digiunare, però ho fame e mangio lo stesso).
 Cos'è la volontà? Per Tommaso è  un appetito, tendere verso qualcosa.
      Gli animali hanno un appetito che segue necessariamente la conoscenza
      sensibile, l'uomo no.
 Il giudizio ultimo pratico dipende dal giudizio di coscienza (che deriva a
      sua volta dai precetti, che derivano dalla ragione, che deriva dalla
      sinderesi, ossia dal principio di finalità) e dalla volontà (che deriva
      dalla libertà).
 VIRTÚ
 Per Aristotele è condizione necessaria ma non sufficiente per la
      felicità. Tommaso è d'accordo con questa definizione, solo che al posto
      della felicità c'è la beatitudine.
 Aristotele divideva le virtù in Etiche: regolano il comportamento come
      coraggio, generosità, giustizia; Dianoetiche: relative all'anima
      intellettiva: intelligenza, sapienza saggezza.
 Tommaso quelle etiche le chiama attive, quelle dianoetiche le chiama
      contemplative; entrambe fanno parte della natura umana.
 Tommaso aggiunge un terzo gruppo di virtù: quelle teologali, infuse da
      Dio, che non si possono desumere solo con la ragione e sono fede,
      speranza, carità.
 
 Si può distinguere tra moralità SOGGETTIVA e MORALITÀ OGGETTIVA.
 La moralità oggettiva guarda solo all'azione in se stessa. Se l'azione è
      conforme al fine allora è buona.
 Es: fare un ospedale per dare le cure necessarie ai malati e una cosa
      buona.
 La moralità soggettiva è dal punto di vista dell'intenzione.
 Es: uno fa costruire un ospedale anche per acquistare fama e magari essere
      eletto alle elezioni e poi trarne vantaggi personali; ha perciò un altro
      fine.
 Quindi esistono atti moralmente indifferenti dal punto di vista oggettivo
      (l'atto del camminare non è né buono né cattivo). Mentre dal punto di
      vista soggettivo non esistono atti moralmente indifferenti, perché
      dipendono dalle intenzione buone o cattive che uno ha (cammino per
      ricreare il corpo o per osservare una banca per poi rapinarla).
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