Paola Volonghi

 

 

 

appunti tratti dalle lezioni di filosofia del
 prof. Maurilio Lovatti 
(anno scolastico 2005-06)

 

George Berkeley

 

 

È un empirista come Locke e Hume. È simile a Locke per molti aspetti, ma a volte mette in crisi dall'interno l'empirismo, traendone conclusioni opposte a quelle di Locke in alcuni aspetti.
Era irlandese e la famiglia era di origini inglesi. Nasce nel 1685. Diventa prete della chiesa anglicana e poi vescovo. A 24 anni, nel 1709, pubblica il "Saggio su una nuova teoria della visione". Nel 1710 pubblica il "Trattato sui principi della conoscenza umana", inizialmente un insuccesso. Riformula le tesi espresse nel Trattato in 3 dialoghi più semplici da leggere e dopo tre anni pubblica "I tre dialoghi tra Hylas (materialista) e Philonous (spiritualista)". Nel 1721 pubblica in latino il "De motu" (sul movimento), importante perché contiene delle critiche alla fisica di Newton e, secondo Popper, Berkeley avrebbe anticipato alcune concezioni di Einstein. Per i restanti trent'anni Berkeley cambia il suo pensiero e le opere della vecchiaia sono l'"Alcìfrone" e la "Siris" (sulle virtù terapeutiche dell'acqua di catrame). Si era messo in testa di fondare una missione in America per convertire gli indiani, aveva raccolto i finanziamenti ed era andato in America per 3 anni. In quegli anni, però, non riuscì ad organizzare nulla e tornato in Inghilterra si è dedicato al suo impegno da vescovo. Muore nel 1753.

TRATTATO SUI PRINCIPI DELLA CONOSCENZA UMANA
Rispecchia gran parte delle idee di Locke, come la classificazione delle idee semplici e complesse. Si differenzia in 3 premesse e in una tesi che chiameremo la tesi fondamentale di Berkeley.
Le tre premesse sono:
- Concezione nominalista. Nella nostra mente non esistono idee astratte, idee generali così come le intendeva Locke. Berkeley dice che i nostri contenuti mentali sono tutti particolari e che di universale c'è solo il nome. Esemplifica: immaginiamo il concetto di triangolo. Se noi vediamo una figura riconosciamo se è un triangolo. Nella nostra mente esiste solo il nome "triangolo", ma non ne abbiamo l'idea. Perché se noi pensiamo al triangolo dobbiamo pensarlo in un certo modo: non lo posso immaginare contemporaneamente acutangolo e ottusangolo oppure scaleno e equilatero. Quindi quando noi immaginiamo un triangolo lo immaginiamo con delle caratteristiche particolari. La stessa cosa succede quando immaginiamo una persona: può essere maschio o femmina, alta o bassa…. Berkeley dice quindi che noi associamo ad ogni nome comune un'idea particolare, il nome sta per un'idea particolare. Il nome universale è perciò associato nella nostra mente ad un'idea particolare.
Se identifichiamo immaginare e pensare, allora ha ragione Berkeley dicendo che tutte le nostre immagini sono particolari (non si può immaginare un uomo né bianco né nero, né alto né basso). Ma coloro che sostengono che nella nostra mente ci sono idee universali, sostengono che l'immagine sia particolare, ma l'idea (il pensiero) sia universale. Perché il concettualismo e il realismo non siano contraddittori, bisogna tener separato il mondo del pensiero e dell'immaginazione. Se questi due mondi coincidono ne consegue necessariamente il nominalismo. Ma è lecito far coincidere immaginazione e pensiero? I cartesiani dicevano di no. Cartesio aveva detto: pensiamo al chiliagono (poligono con 1000 lati); non riesco a immaginarlo, ma lo posso pensare (ne ho una definizione e posso eseguire dei calcoli, se ne conosco il lato posso determinare l'apotema). Anche un realista come S. Tommaso teneva divisi il mondo del pensiero dal mondo dell'immaginazione.
Berkeley sostiene che l'errata credenza nell'esistenza di idee astratte nella nostra mente è l'errore fondamentale commesso da Locke e quindi solo sconfiggendo questo pregiudizio si può capire quali erano gli errori di Locke e Cartesio.
- Critica più radicale al concetto di sostanza. Locke aveva distinto due diverse concezioni di sostanza: o come collezione di idee o come substratum. Per Locke l'esistenza del substratum garantiva la regolarità con cui gli elementi naturali presentano le loro caratteristiche. Per Berkeley per la concezione di sostanza come collezione di idee non c'è problema. Non era però d'accordo con Locke per il substratum, perché sosteneva che la sostanza in quanto sostanza non esiste perché non la percepisco. Solo affermando questo, pensava, si può rimanere fedeli al presupposto empirista.
- Critica alla distinzione tra le qualità primarie e le qualità secondarie. Locke sosteneva che c'erano qualità primarie e qualità secondarie. Nel caso delle secondarie credeva che non ci fosse nessuna somiglianza tra ciò che causa in noi l'idea e l'idea in sé. Per esempio il colore deriva dalle lunghezze d'onda; non c'è nessuna somiglianza, analogia (logica) tra lunghezza d'onda e il colore. Perciò per Locke non ha senso dire che l'erba è verde, ma ha senso dire che l'erba appare verde. Lo stesso ragionamento vale per gli altri sensi: non c'è nessuna somiglianza tra l'infilare una lama nelle carni e il dolore che provo se mi pugnalano. Allo stesso modo non c'è analogia tra le particelle che si muovono e il profumo di violetta che percepisco. Quello che per Locke e Galileo valeva per le qualità secondarie, non poteva valere anche per le primarie. Credevano infatti che nel caso delle primarie c'era somiglianza tra la mia idea e come è effettivamente la cosa. Per esempio se dico che la biro è più piccola del tavolo, poiché la lunghezza è una qualità primaria, è vero che la lunghezza della biro è inferiore anche in realtà, non solo per la conoscenza umana.
Berkeley sostiene che questa distinzione è ingiustificata, ma che in realtà tutte le qualità sono secondarie, ossia che non esiste somiglianza tra ciò che percepiamo e ciò che è in realtà. Quindi anche le qualità oggettive dipendono dai nostri sensi. Se vedo un oggetto visto da lontano, mi risulta più piccolo rispetto a quando lo vedo da vicino. È anche vero però che se vedo due oggetti alla stessa distanza e uno lo vedo più grande, sarà veramente più grande. La dipendenza delle nostre idee con l'apparato sensitivo c'è anche nel caso delle qualità primarie. Se la nostra conoscenza è solo soggettiva allora uno può dare più obiezioni. Berkeley pone un problema più profondo: cosa significa dire che esiste corrispondenza tra le nostre idee e la realtà? Due idee sono simili se le posso confrontare fra loro, e ciò è possibile se le possediamo entrambe. Per esempio: sono in una classe. Memorizzo la disposizione dei banchi. Esco e cerco di ricordarmela. Mi viene un dubbio e rientro per vedere. Le due idee che ho (immagine visiva nell'atto della percezione e ricordo) sono simili e se ho dei dubbi sulla similitudine le posso confrontare. Lo stesso ragionamento si fa quando si ha una foto di un amico: la posso confrontare con il ricordo dell'originale.
Cosa vuol dire che c'è una somiglianza tra le nostre idee e le cose reali? Cosa voglio dire quando dico che la lunghezza che vedo della cattedra è simile alla sua lunghezza reale? Premesso che due cose sono simili se posso confrontarle, non ha senso parlare di somiglianza perché io non posso confrontare la lunghezza che vedo e quella effettiva.
Es: misuro la cattedra, la vedo lunga un metro. Ma come posso dire che è lunga effettivamente un metro?
Se intendiamo le qualità primarie come oggettive significa che l'oggetto ha delle caratteristiche indipendentemente dalle nostre percezioni. Perciò non ha senso dire che la lunghezza non deriva dalla nostra percezione, perché noi la vediamo con la vista sul metro. Berkeley dice allora che siccome la lunghezza reale non è esperibile, non ha senso dire che le qualità primarie sono diverse dalle qualità secondarie. L'errore che compie Locke è quindi quello di credere che qualcosa esiste indipendentemente dall'essere percepito.
Tutto questo ci porta alla tesi fondamentale di Berkeley: "ESSE EST PERCIPI": "essere equivale ad essere percepito".
Chiamiamo esistente ciò che è percepito o ciò che può essere percepito in idonee condizioni. Se dico che la cattedra esiste, vuol dire che può essere percepita (se sono al buio anche se non la vedo e non la tocco ci sono delle condizioni, per esempio con la luce accesa, in cui la posso percepire). Noi diciamo che nella classe non c'è un elefante perché nessuno, in nessuna condizione, vede un elefante. La possibilità che qualcosa esiste è legata al fatto che è percepita. Quando diciamo "la lunghezza della cattedra è la sua lunghezza effettiva" diciamo un'affermazione priva di significato perché sarebbe come dire che ci sarebbe una lunghezza anche quando non può essere percepita. Pensare che esiste qualcosa che non può essere percepito non ha senso, almeno per un empirista conseguente.
Da queste tesi fondamentali si potrebbero dedurre due tesi filosofiche:
- IMMATERIALISMO o IDEALISMO DI BERKELEY: esistono solo i soggetti pensanti (esistono cioè indipendentemente dall'essere percepiti).
- SOLIPSISMO: uno potrebbe dire: siccome io percepisco tutto, tutto esiste, se smetto di percepire finisce il mondo. Esiste un unico soggetto percepiente e tutto il resto esiste perché questo soggetto lo percepisce. Berkeley rifiuta questa tesi perché dice che solo le cose materiali non possono esistere indipendentemente dall'essere percepite, perché noi percepiamo passivamente le cose materiali (quando vedo qualcosa, lo devo necessariamente vedere). Berkeley dice che oltre agli enti materiali ci sono però anche i soggetti conoscenti: se mi penso come corpo penso a una cosa materiale, ma se penso all'"io come mente" lo percepisco come qualcosa di attivo che svolge un'attività. Quindi le sostanze spirituali esistono indipendentemente dal fatto di essere percepite o no, mentre quelle materiali per esistere devono essere percepite.
Berkeley diceva che esistono tutti gli "io", mentre i solipsisti dicono che esiste solo il singolo soggetto.
Secondo Berkeley la materia non è una cosa che sussiste di per sé, ma è una caratteristica della nostra percezione, delle nostre idee.
Se penso all'idea di bontà sto pensando ad un contenuto che non implica un oggetto esteso; se invece penso al mare di quest'estate lo percepisco con le caratteristiche spaziali di estensione che sono caratteristiche del nostro modo di conoscere, ma gli enti materiali non sono cose che sussistono di per sé.
Berkeley è infatti un immaterialista, ritiene che la materia non sussista di per sé.
Un filosofo (l'americano Johnson) aveva obiettato all'idea di Berkeley: se sento passare una carrozza, ma non la vedo, i rumori che sento (siccome per Berkeley la carrozza come entità materiale non esiste) derivano dall'esistenza della materia. Perciò sento il rumore della carrozza, perché c'è la carrozza. Secondo il senso comune, infatti, sono gli oggetti materiali che provocano le percezioni.
Berkeley, in risposta, disse che noi percepiamo odori, sapori, suoni secondo un ordine stabilito da Dio, una sorta di grammatica delle percezioni voluta da Dio. Perciò la coerenza che c'è tra l'insieme delle percezioni e noi che percepiamo è dovuta a Dio e non dall'esistenza delle cose materiali.
Quindi qual è la cosa interessante della teoria di Berkeley? Noi diamo per scontato che ci sia una somiglianza tra le nostre percezioni e la realtà. Per esempio se vedo il registro più grande della biro, credo quindi che sia realmente così. Se diciamo che una foto e la persona fotografata si assomigliano, in questo caso la somiglianza è giustificata perché le vediamo tutte e due. Non ha senso però dire che c'è somiglianza tra la biro percepita e la biro in sé.
Critica il luogo comune secondo il quale si ha somiglianza tra idee e realtà.

DE MOTU
L'accademia delle scienze di Parigi era solita indire dei concorsi. Gli intellettuali facevano un componimento sul tema proposto. Uno dei temi fu: cos'è il movimento? Siccome in Francia la maggior parte degli scienziati era cartesiana, Berkeley usa una terminologia cartesiana. Fino al 1953 il "De motu" era considerato uno scritto di poca importanza. In quell'anno, però, Karl Popper scrive un breve articolo "Note su Berkeley quale precursore di Mach e Einstein", pubblicato in un suo libro "Congetture e confutazioni". Popper sostiene che nel "De motu" è stata avanzata una teoria che sarà fatta propria anche da Einstein. Quest'opera inizia quindi ad acquistare importanza.
Nel "De motu" Berkeley critica le idee di Newton:
v Newton aveva parlato di spazio e tempo assoluti. Se noi diciamo: siamo sulla terra e siamo fermi, però rispetto al sole ci muoviamo. È come dire che il movimento (quindi spazio e tempo) è relativo a un sistema di riferimento, e parleremmo quindi di spazio e tempo non assoluti. Però Newton diceva che esistevano anche uno spazio e un tempo assoluti: la terra si muove rispetto al sole, il sole si muove rispetto alla Via Lattea, la Via Lattea…alla fine ci sarà per forza una cosa ferma. Berkeley invece sosteneva che spazio e tempo assoluti sono entità contraddittorie.
v Berkeley dice che nella teoria di Newton la forza (F=ma) è percepita come causa reale. I discepoli di Newton, tra cui Cotes, dicevano che ogni corpo ha delle proprietà fondamentali (come la massa inerziale). Berkeley critica queste concezioni newtoniane e sostiene che le entità che non sono direttamente osservabili (come la forza) che sono considerate esistenti dai newtoniana, in realtà non rappresentano nulla di reale, hanno solo una funzione strumentale, pratica. La concezione strumentalista della scienza è la concezione secondo la quale la scienza è utile per fare previsioni, ma non ci fa sapere nulla sulla realtà. In pratica la scienza non ha un valore conoscitivo, ma è solo uno strumento. Per Berkeley i presupposti della fisica di Newton (principi della dinamica) sono solo entità teoretiche che mi consentono delle previsioni. Quindi le entità teoretiche vanno usate, però non bisogna credere che la forza esista davvero. La scienza non ci fotografa la realtà, ma è solo uno strumento di previsione.
Per Popper questa concezione è stata fatta propria anche da Einstein. Secondo Newton il raggio luminoso va diritto, per Einstein viene deviato da grandi masse. La relatività di Einstein ha soppiantato la concezione newtoniana.
Quindi le formule di Newton mi danno solo delle previsioni, non una conoscenza della realtà così com'è. La scienza ha solo funzione pratica (per fare previsioni). Molti scienziati oggi pensano che la scienza abbia anche valore conoscitivo e non condividono la tesi di Berkeley e Mach.

 

 

N. B. Gli appunti sono stati presi durante le lezioni e non sono stati rivisti, ne integrati con le spiegazioni del manuale di filosofia in adozione

 

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