Maurilio Lovatti

La Storia segreta del Giornale di Brescia

 

 

Il Giornale di Brescia, diretto da Leonzio Foresti, è pubblicato nei mesi immediatamente successivi alla Liberazione per conto del CLN, dal 27 aprile 1945. Successivamente subentra nella responsabilità la società per azioni Editoriale Bresciana, proprietaria della testata. I tre pacchetti più consistenti della maggioranza azionaria di questa società sono detenuti dalla Banca S. Paolo, dall'industriale Filippo Tassara e da Gino Ferrari. Questi tre azionisti possiedono ciascuno 818 azioni, pari al 16,4% del capitale, mentre Piero Beretta possiede una piccola quota, pari al 2%.[1]

Tra i primi componenti del Consiglio d'Amministrazione troviamo il dott. Rizzardo Secchi (presidente) il cav. Filippo Tassara (vicepresidente), e l'ing. Emilio Franchi. Sul sito del Giornale di Brescia si legge:

 "I primi consiglieri, in un momento di grandi incertezze politiche, sottoscrissero un patto nel quale si impegnavano a difendere i valori di libertà e democrazia, a favorire il progresso civile, culturale ed economico, ispirandosi ai valori cristiani della comunità bresciana. I consiglieri, a garanzia del loro impegno, firmarono anche delle lettere di dimissioni in bianco, consegnate nelle mani dell'allora vescovo di Brescia, Giacinto Tredici,[2] e bruciate alla sua morte."[3]

L'esistenza delle lettere di dimissioni in bianco non trova tuttavia conferma nella documentazione disponibile alla consultazione.

Tra il 1947 e il 1949, favoriti anche da un consistente aumento di capitale deliberato il 23 aprile 1949, avvengono numerosi passaggi di pacchetti azionari che determinano la composizione di due gruppi distinti d'azionisti all'interno della maggioranza della società: la Banca S. Paolo, che possedeva direttamente il 16,4%, e i suoi alleati del mondo cattolico Emilio Franchi (8,5%) e Giuseppe Libretti (17,3%) raggiungevano complessivamente il 42,2%, mentre i liberali "laici" guidati da Beretta e Tassara possedevano il 38,4%.[4]

Nella prima metà d'aprile del 1949, Antonio Folonari[5] di Ludriano di Roccafranca acquista le azioni possedute da altri azionisti minori e, alleatosi con Tassara, assume il controllo della Società, rendendo ininfluente il pacchetto azionario della Banca S. Paolo. Non sappiamo se e come Folonari abbia preavvertito il Vescovo Tredici delle sue intenzioni. Il 6 febbraio Folonari si era fatto ricevere da Tredici in Curia;[6] e possiamo immaginare per comunicazioni di una certa importanza, considerando che l'incontro avviene eccezionalmente di domenica. Tuttavia non si conoscono i contenuti del colloquio, e non se ne trova traccia se non sull'agenda del Vescovo. Folonari dispone il licenziamento del direttore Foresti, con decorrenza dal 19 aprile,[7] annunciando a Bruno Boni,[8] sindaco di Brescia, e al Vescovo che vuole rendere il giornale più autonomo dalla DC, pur "nel rispetto della religione e della morale, ossequiente al Vescovo". Nei giorni successivi Folonari lascia Brescia e si reca in Brasile per affari.

Il Vescovo e mons. Almici,[9] indignati dal licenziamento di Foresti, sono preoccupati della piega assunta dalle vicende del Giornale di Brescia, poiché temono che possa venir meno l'azione di fiancheggiamento della DC da parte del quotidiano bresciano, anche in vista delle elezioni amministrative del 1951. Il 20 aprile 1949 si svolge in Curia, ai massimi livelli, una riunione interamente dedicata alla situazione del Giornale di Brescia: vi partecipano il Vescovo, mons. Almici, l'avv. Fausto Minelli, presidente della Banca S. Paolo, l'on. Lodovico Montini[10] e l'on. Stefano Bazoli.[11] Nei giorni precedenti, Tredici aveva avuto colloqui sulla questione con l'avv. Minelli e Bruno Boni (il 14 aprile), con Leonzio Foresti (il 15 dello stesso mese), con l'on. Montini (il 16) e con l'on. Bazoli (il 18 aprile).

Agli inizi di luglio, Lodovico e Francesco Montini informano in via riservata il Vescovo che Vittorio Folonari, fratello di Antonio, ha manifestato la disponibilità a cedere il pacchetto azionario a persone designate dal Vescovo, per la allora ingente somma di 35 milioni di lire (somma che la Curia pensava di poter ottenere grazie all'appoggio di mons. Giovanni Battista Montini[12]). Nel pomeriggio del 25 agosto 1949 però, in un incontro col Vescovo,[13] Folonari nega la disponibilità a cedere le azioni, pur dicendosi propenso a includere nel consiglio di amministrazione due consiglieri vicini alla Curia (Minelli e Rampinelli). Nel mese di settembre mons. Almici negozia con Folonari un possibile accordo per la cessione delle azioni, subordinato all'impegno che la DC non pubblichi un proprio quotidiano, che potrebbe far concorrenza al Giornale di Brescia. Nel corso delle trattative, è prospettata a Folonari la possibilità di ricevere un titolo nobiliare dal Vaticano, se egli fosse disposto a cedere gratuitamente le azioni.  Il 18 settembre Tredici scrive a Folonari, affermando:

"Sarei molto lieto se si raggiungerà l'accordo, e sarò anche più lieto di adoperarmi perché l'accordo sia mantenuto. E sarà un mezzo per ottenere l'eliminazione di due giornali locali in lotta e in concorrenza e un organo di pacificazione, di sicurezza contro il pericolo sovversivo, di eventuali dibattiti civili e garbati."[14]

Il Vescovo quindi assicura implicitamente Folonari che mons. Almici s'impegnerà affinché la DC desista dal pubblicare un proprio quotidiano. La trattativa è resa lunga e ancor più difficile dal fatto che una parte delle azioni di Folonari facevano parte di un consorzio di azionisti, che vincolava gli aderenti a cederli esclusivamente ai sottoscrittori del patto.

Il 18 dicembre 1950, Tredici scrive a Folonari, dicendosi disposto a ricevere intanto le azioni non legate al patto, in attesa di poter ottenere anche le altre, una volta poste in essere le formalità giuridiche per sciogliere il consorzio. Le azioni ricevute dalla Curia, 1050 di piena proprietà di Folonari, e 3300 vincolate nel consorzio, sono intestate al dott. Giuseppe Bianchi, notaio e presidente diocesano degli uomini di AC, che su carta intestata della Segreteria vescovile, manoscrive e firma una dichiarazione, nella quale afferma di essere fiduciariamente intestatario del pacchetto azionario, "che riconosce essere di effettiva ed esclusiva proprietà di Sua Eccellenza il Vescovo di Brescia".[15] Le azioni ricevute dalla Curia, unite a quelle della Banca S. Paolo e dei suoi alleati, assicurano il pieno controllo dell'Editoriale Bresciana.

Il 25 dicembre Tredici scrive nuovamente a Folonari:

 

"La ringrazio di aver portato felicemente a termine l'operazione che le stava tanto a cuore, coll'aver ceduto al mio rappresentante dott. Bianchi le 4350 azioni della E. B. Così Lei ha dato al Vescovo di Brescia la possibilità, in unione con altri azionisti sui quali egli sa di poter fare affidamento, di influire così che il Giornale si mantenga indipendente dai partiti, ma rispettoso dell'indirizzo che a me sta a cuore per il bene della religione ed insieme della tranquillità e del benessere della provincia che ci è cara."[16]

 

Due giorni dopo, Tredici scrive a mons. Montini per informarlo della conclusione della trattativa, della quale in precedenza era già stato più volte informato: "Il progetto di assicurare colla maggioranza delle azioni l'influenza decisiva sull'indirizzo del Giornale di Brescia, ora è un fatto compiuto, quantunque non pubblico, come del resto doveva essere."[17]

Dopo aver riassunto gli aspetti giuridici del passaggio di proprietà delle azioni, Tredici comunica a Montini che Folonari gli ha dichiarato la disponibilità a donare 15 milioni di lire "in modo da far cosa grata in omaggio al Santo Padre" per contribuire alla costruzione di una chiesa in Roma, oltre all'impegno di contribuire interamente alle spese per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale di Ludriano, dedicata a S. Filastrio (Padre della Chiesa e Vescovo di Brescia nella seconda metà del IV secolo). Tredici riferisce anche della promessa relativa all'onorificenza e fa presente che, non avendo figli, Folonari non potrà trasmettere il titolo. E ricorda:

 

"In proposito V. E. mi ha accennato tempo fa ad altre condizioni che la Chiesa ordinariamente richiede, specialmente vita apertamente cattolica e di benemerenze ripetute, cose che non si possono dire si siano sempre verificate nel soggetto. Però devo dire che da tempo la sua condotta è corretta, ed a Ludriano non manca ai suoi doveri cristiani, e tratta bene i suoi dipendenti: ho voluto io visitare le case costruite da lui per i contadini, perché non avrei voluto che potessero dire che aveva fatto con lusso la chiesa, ma trascurava le abitazioni dei suoi dipendenti. Ora, nel dono fatto delle azioni, ha voluto con suo dispendio non indifferente assicurare alla Chiesa una situazione di cui gli si era mostrata l'utilità. E si può aspettare dell'altro. In complesso, io credo di poter dire che, se il titolo gli fosse concesso, ci sarebbero dei commenti, ma in fondo si riconoscerebbe che ha fatto del bene. Bisognerebbe che, accennando in forma indeterminata ai motivi, senza accennare alla cosa del giornale, si facesse cenno espressamente alla chiesa in avanzata costruzione, e di altre benemerenze verso la Chiesa."[18]

 

E sempre a mons. Montini, nel giugno del 1951, scrive ancora: "La faccenda del Giornale di Brescia ora è sistemata. Anche altri amici hanno acquistato altre azioni, cosicché l'influenza nostra sul giornale è assicurata. Si è avuto il collaudo in queste elezioni [amministrative]: il giornale, senza dichiararsi apertamente per la DC, ha parlato delle liste apparentate con speciale benevolenza verso la DC; e questo certo ha giovato."[19]

Queste lettere a Montini mostrano da un lato la scrupolosità di Tredici (che verifica l'atteggiamento di Folonari verso i contadini, visitando personalmente anche le case costruite per loro) ma, nello stesso tempo, la sua intenzione di non rendere pubblico il raggiunto controllo del Giornale di Brescia, tramite la donazione delle azioni di Folonari. Questa esigenza di riservatezza potrebbe non risultare del tutto comprensibile, in quanto l'operazione finanziaria è stata condotta in modo pienamente legale, per di più senza costi per la Curia, diretta allo scopo di garantire l'ispirazione cattolica del giornale e la sua azione di sostegno alla DC, tanto più preziosa in quanto si trattava dell'unico quotidiano locale. Perché tenere riservato questo stato di cose? La risposta la troviamo in un'altra lettera a mons. Montini, anche se scritta oltre tre anni dopo la conclusione di questa vicenda. Rispondendo a precise richieste di Giovanni Battista Montini sulla stampa locale bresciana, riferendosi al Giornale di Brescia, Tredici scrive:

 

"Siamo riusciti ad assicurare in mani fidate la maggioranza delle azioni, e di conseguenza l'influenza sull'indirizzo del giornale. Ma questa situazione non deve comparire, perché altrimenti si avrebbe la reazione degli altri, e specialmente del gruppo Beretta, che potrebbe pubblicare un altro giornale, o una edizione bresciana di altro giornale, con danno non piccolo. In realtà si può essere abbastanza contenti dell'indirizzo politico, non propriamente democristiano, ma benevolo. Per il lato morale, pur troppo non si riesce a tutto quello che si vorrebbe. Io per iscritto e a voce non ho mancato di richiamare il direttore a criteri morali più seri."[20]

 

Tredici si mostra preoccupato che un settore rilevante della borghesia industriale bresciana, quello guidato da Tassara e Beretta, possa finanziare un quotidiano che faccia concorrenza al Giornale di Brescia, se questo si schierasse esplicitamente e pubblicamente nel fronte cattolico, e questa sembra sia anche la convinzione di mons. Almici.

In ogni caso le argomentazioni di Tredici sembrano pertinenti a mons. Montini: Pio XII nel 1951 nomina Antonio Folonari conte dello Stato della Città del Vaticano, e si tratta dell'ultima attribuzione di un titolo nobiliare da parte del Vaticano.[21]

Il Consiglio di Amministrazione che è eletto dopo la donazione alla Curia diocesana delle azioni di Folonari è presieduto dall'avv. Adriano Secchi Villa, mentre l'ing. Emilio Franchi è Amministratore delegato. Gli altri consiglieri sono: Giuseppe Beretta, Ercoliano Bazoli (presidente DC dell'Amministrazione provinciale), Giuseppe Libretti, Giovanni Bossoni e Gino Rovetta. Da notare che Filippo Tassara, leader della cordata laica, che era vicepresidente, è estromesso dal consiglio d'amministrazione.[22]

Tuttavia, nonostante la solida maggioranza del pacchetto azionario, qualche difficoltà nel controllo del giornale ancora sussiste. Lo mostra, per esempio, un pro memoria riservato, e consegnato a mano, dell'avv. Ercoliano Bazoli a mons. Tredici, nel quale si lamenta l'impossibilità "di svolgere una efficace opera di controllo sull'indirizzo e sul contenuto del Giornale" Scrive Bazoli: "Più e più volte ho segnalato, sia alla Presidenza, sia alla Segreteria del Giornale, alcune «sfasature»: e sempre, tanto la Presidenza, quanto la Segreteria, ebbero a dichiararmi il loro pieno consenso sul giudizio da me espresso; ma anche, nello stesso tempo, la inutilità dei richiami da loro fatti sia presso la Direzione, sia presso la Redazione del Giornale."[23] La situazione si stabilizza in senso favorevole alla Curia solo il 15 febbraio 1954, quando il dott. Alberto Vigna assume le funzioni di direttore del quotidiano. Il 16 marzo 1960 Vigna lascia a sua volta la direzione del Giornale: lo sostituisce il dott. Vincenzo Cecchini.

Tra il 1951 e il 1963 le 4350 azioni della diocesi, che divengono circa 61600 dopo l'aumento di capitale deliberato il 24 ottobre 1953, sono sempre presentate nelle assemblee degli azionisti della Società Editoriale Bresciana da Antonio Folonari.

Nell'aprile del 1964, mentre Tredici è malato e non più molto presente, mons. Giuseppe Almici – vescovo ausiliare e delegato dalla S. Sede a compiere tutti gli atti da Vescovo - consegna le azioni in gestione alla Scuola Editrice (allora non ancora posseduta dall'Opera per l'Educazione Cristiana, ma da centinaia di piccoli azionisti, tra cui molti sacerdoti). Nel documento di consegna firmato da Almici, tuttora presente nell'archivio diocesano, si precisa esplicitamente che le azioni sono e rimangono di proprietà del Vescovo di Brescia.

Il 29 aprile 1964 è rinnovato il Consiglio della SEB: il dott. Giulio Bruno Togni, deputato DC dal 1958 al 1963, è il nuovo presidente, mentre Emilio Franchi rimane amministratore delegato. Gli altri consiglieri sono: Giuseppe Beretta, Giuseppe Libretti, Giorgio Anelli, Francesco Wuhrer, Luciano Zilioli, Renato Papetti e Angelo Rampinelli.[24]

Tra il 1964 e il 1979 le 61608 azioni della Diocesi (pari al 8% del capitale sociale) partecipano alle assemblee degli azionisti dichiarate come appartenenti alla Scuola Editrice. In particolare nell'assemblea ordinaria degli azionisti della SEB del 8 aprile 1968, l'ing. Adolfo Lombardi, contemporaneamente vice presidente della Banca S. Paolo e amministratore delegato della Scuola, precisa al notaio verbalizzante che presenta 454052 azioni per delega della Banca e 71200 per delega della Scuola.[25]

Tuttavia è certo che la proprietà delle azioni sia ancora della Curia, poiché esse non risultano in quegli anni nei bilanci consuntivi della Scuola. Infatti la Società Editoriale Bresciana appare tra le società controllate solo nel bilancio consuntivo 1980 della Scuola Editrice.[26]

Tra il 1954 e il 1965 la Banca S. Paolo, direttamente o tramite la controllata Società Borghetto, continua ad acquistare azioni della SEB, finché nell'assemblea degli azionisti del 18 aprile 1966 raggiunge la maggioranza assoluta con il 51,3% delle azioni.[27]

Si può affermare che nonostante la sicura maggioranza azionaria del fronte cattolico guidato dalla Banca S. Paolo, il rapporto con il blocco industriale laico di Beretta e Tassara rimane molto buono e il Giornale di Brescia continua a essere espressione dell'alleanza tra cattolici moderati e mondo industriale bresciano. Tra il 1958 e il 1965, durante gli anni del travagliato processo politico che porterà al centro sinistra, il Giornale di Brescia appoggia la linea politica della componente dorotea, che si oppone all'apertura a sinistra propugnata dai fanfaniani (Boni, Fada e De Zan) e dalla sinistra DC di Provincia Democratica.[28]

Il periodico della sinistra DC sottolinea spesso la faziosità del Giornale di Brescia nel censurare abitualmente le prese di posizione sia dei fanfaniani sia della sinistra democristiana, sia le notizie scomode al mondo industriale. Scrive ad esempio Sandro Fontana:

 

"Una commissione del Governo portoghese si trovava a Brescia per acquistare armi da un noto azionista del Giornale di Brescia: è superfluo dire che da quel momento, per precise disposizioni, la tragedia di quel remoto Paese scompariva dalle colonne del giornale. L'Angola non doveva più esistere, nemmeno come espressione geografica. […] La prassi clerico moderata comporta molte volte la rinuncia anche dei più elementari doveri morali."[29]

 

Anche Annibale Fada, vicesegretario provinciale della DC fino al 1963, quando è eletto alla Camera, si lamenta con l'on. Lodovico Montini delle preclusioni preconcette del quotidiano locale, scrivendo: "quale sia il trattamento per me in uso al Giornale di Brescia mi risulta non solo da dirette indiscrezioni dei redattori ma dal fatto che non si accenna il nome nemmeno in occasione d'un intervento in Consiglio nazionale."[30]

La linea politica del giornale favorevole alla componente dorotea e moderata della DC bresciana è così esplicita e manifesta che perfino il settimanale diocesano La voce del Popolo, in occasione del cambio di direttore del Giornale di Brescia (nel marzo 1960 Vincenzo Cecchini aveva sostituito Alberto Vigna, come si è visto), aveva ospitato una lettera molto critica di Mario Faini, e il direttore don Mario Pasini nella risposta aveva affermato che i lavoratori cattolici bussano "invano a porte che spesso rimangono caparbiamente chiuse".[31]

Allo stesso Bruno Boni, nonostante fosse Sindaco di Brescia e Segretario provinciale della DC, era stata negata la possibilità di acquistare azione della Società Editoriale Bresciana. Scrive Boni alla sorella Ines: «Da tempo attendevo, pazientemente come è mio costume, di poter avere qualche azione dell'Editoriale bresciana. Sembrava ardua impresa per me ed ecco che la tua generosità mi ha procurato questo grande piacere.»[32]

Sia gli equilibri proprietari, sia la linea politica rimangono sostanzialmente stabili fino alla fine degli anni Settanta. Nel 1977 nasce l'Opera per l'Educazione Cristiana, controllata dal notaio Giuseppe Camadini, che tra il 1978 e il 1979 acquista quasi tutte le azioni della Scuola Editrice, grazie all'art. 4 dello Statuto, che prevede che le azioni possano essere cedute solo col preventivo consenso del CdA, e presumibilmente anche grazie ad un enorme aumento di capitale (da 15 milioni a 1200 milioni), varato il 22 giugno 1979, a cui i piccoli azionisti non sono in grado di accedere. Basti pensare che all'assemblea del 23 giugno 1978 partecipano solo 13171 azioni su 300 mila (pari al 4.4%), segno di un azionariato ancora molto frammentato, mentre a partire da quella del 1979 partecipa circa l'85% delle azioni, ormai in gran maggioranza possedute dall'Opera per l'Educazione Cristiana.[33]

Nel bilancio consuntivo 1980 della Scuola, approvato dall'assemblea del 26 giugno 1981, si dichiara che nel corso del 1980 la Scuola ha acquistato:

- n. 61608 azioni della SEB per £ 117.055.200 (pari al 7% del capitale); non è identificato il venditore.

- n. 4250 azioni della Gold Line di Roma per £ 425.000.000 (pari al 85% del capitale)

- in allegato al bilancio sia la SEB sia la Gold Line sono dichiarate "controllate" da La Scuola Editrice.[34]

Nel 1980 il presidente della casa editrice è l'ing. Paolo Peroni, l'avv. Giovanni Bazoli è vicepresidente, l'ing. Adolfo Lombardi è amministratore delegato. Gli altri consiglieri sono: Carlo Bresciani, Giuseppe Camadini, don Enzo Giammancheri, Antonio Gorio,  Lodovico Montini, don Giacomo Pernigo.

Alla Curia non è mai stata versata la cifra di £ 117.055.200, apposta come uscita nel bilancio della Scuola Editrice. Infatti, negli archivi diocesani non è conservata alcuna ricevuta, non vi è alcuna corrispondenza tra la Scuola Editrice e la Curia relativa a tale ipotetico acquisto di azioni. Nessuno tra i testimoni ancora in vita ricorda che sia pervenuta alla Curia questa cifra. Sia mons. Luciano Baronio, segretario del Vescovo mons. Luigi Morstabilini, sia mons. Luigi Zoli, che allora lavorava negli uffici amministrativi della Curia, non hanno mai avuto notizia dell'arrivo di questi fondi. Nei lunghi anni del suo episcopato, il vescovo di Brescia mons. Luigi Morstabilini partecipa quasi sempre all'assemblea degli azionisti della Scuola Editrice, eppure nei verbali di queste assemblee, dal 1965 al 1981, cioè ben 17 assemblee ordinarie, non vi è mai alcun cenno alla proprietà delle azioni, amministrate dalla casa editrice come fossero di sua proprietà e non semplicemente avute in gestione. Nell'assemblea del 26 giugno 1981, con mons. Morstabilini presente, non vi è nemmeno un minimo cenno di ringraziamento al Vescovo per la cessione delle azioni, anzi il verbale dedica solo una riga per informare dell'acquisto delle azioni stesse, senza nemmeno precisare il venditore. Si noti che nella relazione del consiglio di amministrazione si dedicava molto spazio anche a questioni di dettaglio, come ad esempio la grammatura della carta scelta per la stampa dei libri, e che, nonostante ciò, l'acquisto delle azioni è scrupolosamente ignorato e la Curia non è mai citata. Secondo mons. Gabriele Filippini, prima che fosse pubblicato il libro su Giacinto Tredici, era credenza diffusa che le azioni fossero state di proprietà privata di mons. Giuseppe Almici, che le avrebbe avute in dono da Antonio Folonari (anche grazie al ruolo da lui svolto per salvare il matrimonio dello stesso Folonari). Almici le avrebbe poi lasciate alla Scuola.[35]

Tuttavia, nonostante tutte queste reticenze negli atti pubblici, la casa editrice risulta essersi comportata sostanzialmente in modo corretto e irreprensibile: dal 1965 al 1980 la Scuola Editrice ha annualmente versato, sotto forma di erogazioni liberali, un contributo all'Azione Cattolica diocesana pari all'ammontare dei dividendi delle azioni di proprietà della Curia e gestite fiduciariamente dalla casa editrice. Il versamento dei dividenti all'AC era la conseguenza della destinazione al laicato cattolico di tali proventi, decisa da mons. Almici nel 1964, prima della morte di Tredici, quando per la malattia del vescovo ordinario, ad Almici erano stati concessi dalla Sacra Congregazione Concistoriale "tutte quelle facoltà che, a norma del diritto comune, godono i vescovi residenziali" (26 febbraio 1963).[36] Evidentemente il versamento periodico dei dividenti all'AC conferma che la Scuola riconosceva che le azioni non erano di sua proprietà. Poiché per le 61608 azioni è indicata la stessa cifra, in uscita nel 1980 e in entrata nel 1981, senza alcuna plusvalenza, si può presumere che si tratti di apposizioni in bilancio scritte solo per scopi fiscali. In sostanza la casa editrice funge solo da passacarte, senza perdere o guadagnare nulla.

A parziale restituzione del valore del pacchetto azionario che era di proprietà della diocesi, ma che dal 1980 è della Gold Line, controllata dalla Fondazione Tovini, circa un miliardo di lire in azioni della Banca S. Paolo è stato versato nel 1996 alla Fondazione Brixia Fidelis, che amministra i beni immobili dell'Azione Cattolica diocesana di Brescia.[37]

Nel citato bilancio consuntivo 1980 de La Scuola Editrice si precisa anche che sono state acquistate n. 4250 azioni della Gold Line di Roma, pari al 85% del capitale, come si è visto. La Gold Line, società per azioni con sede in Roma, costituita il 12 giugno 1979, ma registrata alla Camera di Commercio di Roma solo il 17 giugno 1980, ha per oggetto sociale "la promozione di attività culturali ed editoriali, nonché di servizi d'informazione, di pubblicità, finanziari ed assicurativi, anche coordinando iniziative proprie di altre società aventi uguale o analoga finalità."[38]

Le quote di minoranza della Gold Line appartenevano alla editrice Morcelliana di Brescia e alla Studium di Roma, sempre controllata dalla Scuola. La Gold Line si presentava dunque come emanazione di un consorzio di editrici cattoliche a cui la Banca S. Paolo poteva cedere le azioni della SEB che non poteva più possedere per le deliberazioni assunte dal Comitato interministeriale del Credito e del Risparmio nel 1979.

Infatti, nella relazione al bilancio consuntivo della Banca S. Paolo del 1979, presentato all'assemblea del 24 giugno 1980, si precisa che per disposizioni del Comitato interministeriale per il Credito e il Risparmio devono essere alienate le partecipazioni bancarie nei quotidiani. Pertanto si comunica che "le azioni di proprietà della Banca S. Paolo attinenti l'Editoriale Bresciana sono state trasferite nei mesi scorsi ad un gruppo di editrici capeggiate da La Scuola di Brescia e al quale appartengono anche l'editrice Morcelliana, pure di Brescia, e la Studium di Roma." (cioè la Gold Line). Ciò per garantire "l'impegno di continuità morale ed operativa che ha caratterizzato il quotidiano in questi anni di attività dalla Liberazione ad oggi".[39] Va osservato che la Banca S. Paolo era caratterizzata da un azionariato numeroso e diffuso, espressione del mondo cattolico locale: nella citata assemblea del 24 giugno 1980 erano presenti personalmente o per delega 1232 azionisti. Nessun socio della Banca solleva perplessità, perché tutti sono convinti di lasciare le azioni in buone mani, cioè alle case editrici cattoliche.

Dal consuntivo della Banca del 1980 si evince che le azioni sono state vendute per £ 874.912.000 (pari a £ 322.852.880, valore iscritto a bilancio, + £ 552.059.120 di plusvalenza, contabilizzata nell'utile da negoziazione titoli),[40] cifra enormemente al di sotto del valore di mercato. Infatti, la SEB al 31 dicembre 78 possedeva immobili iscritti a bilancio per 1.459.510.000£ (pari ad un valore di mercato di almeno il doppio: solo l'edificio dove ha sede il Giornale era iscritto a bilancio nel 1975 per il valore di costruzione di 474.502.854, mentre valeva circa il triplo); possedeva impianti per 852.842.000£, sempre secondo iscrizione a bilancio, e depositi liquidi per 357.000.000£. Inoltre era attiva e possedeva il Giornale di Brescia. Anche in mancanza di stime precise si può affermare che la SEB valeva almeno 6-8 miliardi.

Su questa operazione, Massimo Mucchetti, vicedirettore de Il Corriere della Sera, scrive:

   "La transazione avviene ai valori di carico in bilancio maggiorati di un premio modesto, che non riflette minimamente il valore di mercato dell’impresa editoriale, e per la modica spesa i soggetti acquirenti vengono finanziati dai soggetti venditori. Le persone che esercitavano la loro influenza sul Giornale di Brescia continuano a esercitarla. Cambia la forma, non la sostanza. E poiché questo era lo scopo, non si poteva certo far pagare all’acquirente il prezzo di mercato, magari finanziato da terzi e non dalla banca venditrice, o, peggio, mettere all’asta le partecipazioni per realizzare il maggior utile possibile a vantaggio dei soci delle due banche.

Questa conclusione venne considerata gattopardesca dall’opinione pubblica modernizzatrice. Forse non conoscendo la lettera della norma, a Brescia ci si attendeva che l’allentamento dei vincoli societari tra le due banche e l’impresa editoriale avrebbe comportato anche un passo indietro delle oligarchie e l’apertura della proprietà del primo giornale della città alle forze nuove della società civile. Ma il Cicr non aveva previsto alcun vincolo di mercato sui prezzi di queste vendite in sostanza coatte, né sull’identità dei soggetti acquirenti e dei loro eventuali rappresentanti allo scopo di rompere l’intreccio banca-impresa ove potesse mai rinascere sotto altre forme."[41]

 

Nel 1980, il Presidente della Banca S. Paolo è l'ing. Adolfo Lombardi, Vittorio Montini è vicepresidente e Giovanni Bazoli Segretario. Gli altri consiglieri sono: Pierluigi Buizza, Giuseppe Camadini,[42] Davide Cancarini, Attilio Franchi, Osvaldo Passerini Glazel, Paolo Peroni ed Enrico Silvioli.

Già nell'anno successivo, il 1981, tutte le azioni SEB e Gold Line sono rivendute allo stesso prezzo (non sono dichiarate plusvalenze) dalla Scuola Editrice alla Fondazione Tovini amministrata dal dott. Giuseppe Camadini: a tutt'oggi la Tovini possiede il 91,6% della Gold Line, che possiede il 74,3% della SEB che controlla il Giornale di Brescia. La Fondazione Tovini è regolata da uno statuto che stabilisce come scopo la "formazione" di "docenti, educatori, animatori ed operatori sociali, secondo i principi pedagogici cristiani e il progresso delle scienze umane". L'art. 2 precisa: "La Fondazione, inoltre, promuove o concorre a promuovere e sostenere, sia direttamente che indirettamente, iniziative tendenti anche tramite attività nei settori editoriali, audiotelevisivi, delle comunicazioni sociali in genere, alla informazione e formazione cristiana della società."

Organo deliberante della Fondazione è il Comitato permanente costituito da non meno di 12 e non più di 24 componenti, nominati la prima volta nell'atto notarile di costituzione e sostituiti, in caso di morte o dimissioni, esclusivamente per cooptazione a maggioranza assoluta dei voti. Il presidente del Comitato permanente (il dott. Giuseppe Camadini fino alla sua morte, avvenuta il 25 luglio 2012, poi l'avv. Michele Bonetti, dal 17 settembre 2012) è anche presidente del Consiglio di amministrazione, composto da 7 membri, tra cui il vicepresidente, che attualmente (ottobre 2012) è l'ing. Luciano Silveri. Solo un membro del CdA è scelto dal Comitato tra una terna di nomi proposti dal Vescovo (attualmente è mons. Gabriele Filippini). Il Vescovo e, tramite lui, la Chiesa bresciana non possono determinare linee guida, principi, strategie pastorali della Fondazione. Non possono nominare e revocare i membri del Comitato permanente. In pratica la diocesi è completamente estromessa. Fino al 1980 la SEB, e quindi il Giornale di Brescia, erano della Banca S. Paolo (i cui 1232 azionisti erano espressione di tutte le realtà del mondo cattolico bresciano, compresi vari ordini religiosi locali, maschili e femminili) e per l'8% del Vescovo, cioè erano un patrimonio comune dei cattolici bresciani. Adesso sono di fatto proprietà di una Fondazione civile privata, autoreferenziale e chiusa, che risponde del suo operato solo a sé stessa e non al Vescovo. Va ricordato che gli azionisti della Banca S. Paolo approvarono in buona fede il trasferimento delle azioni alla Gold Line di Roma, perché in quel momento era espressione delle editrici cattoliche bresciane. Non potevano certo sapere che pochi mesi dopo la Scuola Editrice avrebbe venduto tutte le azioni (sempre a un prezzo enormemente inferiore al valore di mercato) alla Fondazione Tovini.

E infatti nel 1980 la Gold Line ottiene a prestito da una banca romana i soldi per acquistare le azioni della SEB dalla Banca S. Paolo,[43] poiché in quel tempo la Gold Line era ancora della Scuola. Subito dopo, nel 1981, però la Scuola Editrice le rivende alla Tovini, senza nulla comunicare all'assemblea, se non mezza riga in cui si dice "vendute azioni per £ 594.610.000". La Scuola era già controllata dall'Opera per l'Educazione Cristiana, amministrata da Giuseppe Camadini e tutto avviene sotto silenzio. Nessun socio si lamenta, perché nessuno che non faccia parte del CdA sa o capisce cosa sta avvenendo.

La Tovini restituisce il prestito alla banca in pochi anni con i profitti della SEB e si ritrova a possederla praticamente gratis! Nel giro di poco più di due anni, Curia, La Scuola e Banca S. Paolo perdono ogni influenza sul Giornale di Brescia. Da notare che all'epoca Giuseppe Camadini era nel Consiglio d'Amministrazione della Banca S. Paolo e della Scuola, inoltre faceva parte della Gold Line, della Tovini e dell'Opera per l'Educazione Cristiana (OEC).

Pertanto, di fatto, dal 1980 ad oggi, Il Giornale di Brescia non è in alcun modo dipendente dalla diocesi o espressione dell'intero mondo cattolico bresciano, ma solo di una parte di esso, quella che faceva capo al dott. Camadini, che negli anni '60 e '70 costituiva politicamente l'area dorotea della DC, che negli anni '80 era legata alla destra DC e che, dopo la dissoluzione del partito cattolico, rappresenta l'ala conservatrice e tradizionalista del mondo cattolico bresciano. Ben diversa è per esempio la situazione di Bergamo, dove L'Eco di Bergamo appartiene alla Curia ed è rappresentativo dell'intero mondo cattolico bergamasco.

E' stupefacente constatare che è ancora oggi largamente diffusa la falsa opinione che Il Giornale di Brescia dipenda in qualche modo dalla Curia. Va detto, peraltro, che nessun organo d'informazione locale ha mai informato i lettori sugli assetti proprietari del Giornale di Brescia.

Emblematico è un articolo apparso sul Giornale di Brescia, il 18 settembre 2012.[44] Dopo aver informato i lettori che l'avv. Michele Bonetti è il nuovo presidente della Fondazione Tovini, il giornale riporta scrupolosamente tutte le attività della Fondazione, come "l'educazione e la formazione dei giovani", la "costruzione della Famiglia Universitaria per ospitare e formare cristianamente gli studenti della provincia", "vari corsi e borse di studio", "un forte impegno nei Paesi in via di sviluppo"; con la stessa analitica precisione vengono riportate le finalità della Fondazione, come la "preparazione di operatori nel campo educativo, scolastico e sociale; promuovere studi e ricerche universitarie, servizi di cooperazione in campo internazionale ed educazione allo sviluppo e corsi di preparazione al volontariato internazionale". Manca solo un piccolo e trascurabile dettaglio: che la Fondazione Tovini è la proprietaria del Giornale di Brescia e di Teletutto!



NOTE

[1] Verbale dell'Assemblea degli azionisti della Società Editoriale Bresciana (d'ora in poi SEB) del 26 aprile 1947.

[2] Mons. Giacinto Tredici (1880-1964), vescovo di Brescia dal 1934 al 1964. Per la biografia, l'azione pastorale e il pensiero di Tredici si veda: M. Lovatti, Giacinto Tredici vescovo di Brescia in anni difficili, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2009.

[3] http://www.giornaledibrescia.it/gdb-statico/istituzionale/cenni-storici, consultato il 21 giugno 2012.

[4] Verbale dell'Assemblea degli azionisti della SEB del 11 marzo 1950.

[5] Dott. Antonio Folonari (1901-1978), proprietario terriero e laureato in scienze agrarie, già Presidente dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Brescia dal 1936, pilota, Maggiore dell'aeronautica e medaglia d'argento al valor militare, Conte dello Stato della Città del Vaticano dal 1951.

[6] Archivio storico diocesano di Brescia (d'ora in poi ASDBs), Fondo Tredici, b. 10, Agenda 1949 A.

[7] Lo sostituisce come reggente Mino Pezzi.

[8] Prof. Bruno Boni (1918-1998) Tra i fondatori della DC, è vicesindaco di Brescia dal 1946 al 1948 e Sindaco di Brescia per quasi trent'anni, dal 1948 al 1975; Presidente della Provincia dal 1975 al 1985. Poi Presidente della Camera di Commercio di Brescia. Nel 1993 è nominato vicepresidente della Società Autostrade Brescia-Padova. Tra il 1943 e il 1945 partecipa alle riunioni del Comitato di Liberazione Nazionale clandestino con Pietro Bulloni e Leonzio Foresti. Sorvegliato dalla Polizia della RSI è arrestato nel settembre del 1944 e detenuto per alcuni mesi nel carcere di Canton Mombello a Brescia. Segretario provinciale della DC di Brescia dal 1947 al 1951 e dal 1953 al 1963.

[9] Mons. Giuseppe Almici (1904-1985), insegnante e superiore del Seminario di Botticino, delegato vescovile per l'AC dal 1935, Prevosto mitrato di S. Nazaro e Celso dal 1960, Vescovo ausiliare di Brescia dal 28 maggio 1961, Vescovo di Alessandria dal 1965 al 1980. Don Almici era stato insignito del titolo onorifico di Prelato Domestico di Sua Santità nel giugno del 1948. E' interessante osservare, a conferma del ruolo determinante di mons. Almici, che nessun altro esponente della Curia (Vicari, Cancelliere, Segretario vescovile) partecipa all'incontro in curia del 20 aprile 1949, così importante e delicato.

[10] Avv. Lodovico Montini (1896-1990), fratello di Paolo VI. Dal 1921 al 1923 è funzionario del Bureau international de travail, assistente di scienze economico-sociali all'Università Cattolica di Milano. Tra il 1945 e il 1968 rappresenta l'Italia in vari organismi internazionali. Consigliere comunale di Brescia dal 1946 al 1962. Membro dell'Assemblea Costituente, deputato dal 1948 al 1963, senatore dal 1963 al 1968 e membro del Parlamento europeo dal 1949 al 1969.

[11] ASDBs, Fondo Tredici, b. 10, Agenda 1949 B. L'avv. Stefano Bazoli (1901-1981), già membro della Costituente, era allora deputato della DC.

[12] Appunto senza data e firma, contenuto nelle carte di Tredici (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[13] ASDBs, Fondo Tredici, b. 10, Agenda 1949 B.

[14] Lettera del 18 settembre 1949 al dott. Antonio Folonari (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[15] Dichiarazione manoscritta del dott. Giuseppe Bianchi, in data 22 dicembre 1950 (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[16] Lettera del 25 dicembre 1950 al dott. Antonio Folonari (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[17] Lettera del 27 dicembre 1950 a mons. Giovanni Battista Montini, pag. 1 (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[18] Ivi, pag. 2.

[19] Lettera del 2 giugno 1951 a mons. Giovanni Battista Montini, pag. 1 (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[20] Lettera del 24 luglio 1954 a mons. Giovanni Battista Montini (ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia).

[21] G. Zavaglio (ed.), Il Conte Antonio Folonari, un mecenate per Ludriano, La Compagnia della Stampa, Masetti Rodella, Roccafranca (Bs) 2002, pag. 26.

[22] Verbale dell'Assemblea degli azionisti della SEB del 12 maggio 1951.

[23] Pro memoria del 10 ottobre 1953 di Ercoliano Bazoli, allegato alla lettera di mons. Giacinto Tredici allo stesso Bazoli del 25 ottobre 1953, in ASDBs, Fondo Tredici, b. 108, fasc. Giornale di Brescia.

[24] Verbale dell'Assemblea degli azionisti della SEB del 29 aprile 1964.

[25] Verbale dell'Assemblea degli azionisti della SEB del 8 aprile 1968.

[26] Bilancio al 31 dicembre 1980, allegato al Verbale dell'assemblea degli azionisti della Scuola Editrice del 26 giugno 1981.

[27] Verbale dell'assemblea degli azionisti della SEB del 18 aprile 1966.

[28] Il periodico locale Provincia Democratica, organo della sinistra DC, aveva iniziato le pubblicazioni l'8 novembre 1958. Si presentava come «Lettera circolare ai dirigenti provinciali e sezionali della DC» e fin dal primo numero assumeva un orientamento fortemente polemico nei confronti del gruppo dirigente della DC bresciana e accusava Boni ed i «notabili» di «immobilismo, provincialismo ed empirismo». La sinistra DC era composta da sindacalisti (come Franco Castrezzati, eletto segretario dei metalmeccanici CISL nel 1958), dirigenti aclisti (come Michele Capra, Mario Faini e Mario Picchieri), giovani DC politicamente vicini ai milanesi della Base (come Pietro Padula, Giulio Onofri e Vittorio Sora) a da amministratori locali come Angelo Grazioli.

[29] S. Fontana, Il Giornale di Brescia, ossia della persuasione occulta, in «Provincia democratica», 10 dicembre 1962, p. 3.

[30] Archivio privato della sig.ra Gianna Salvinelli vedova Fada, Lettera dell'on. Annibale Fada all'on. Lodovico Montini, 8 aprile 1965, p. 6.

[31] Proprio nulla di nuovo al Giornale di Brescia?, in La Voce del Popolo, 26 marzo 1960, p. 11.

[32] Lettera di Bruno Boni alla sorella Ines, del 13 novembre 1967, su carta intestata del Sindaco di Brescia, in: B. Boni, Lettere a Ines, sorella "buona e serena", Brescia, Tip. Fiorucci di Collebeato, 2011, ed. fuori commercio, p. 34.

[33] Verbali dell'assemblea annuale degli azionisti de La Scuola Editrice del 23 giugno 1978 e del 22 giugno 1979.

[34] Verbale dell'assemblea annuale degli azionisti de La Scuola Editrice del 26 giugno 1981.

[35] Colloquio con l'autore del 13 gennaio 2012, dalle ore 16 alle ore 17, in Brescia.

[36] Colloquio dell'autore col dott. Bruno Frugoni, presidente diocesano d'AC dal 1972 al 1979; 12 settembre 2012 a Brescia.

[37] Allo stato attuale i bilanci della fondazione Brixia Fidelis non sono né pubblici, né consultabili. Per questo motivo non sono in grado di ricostruire se, e come, siano stati versati dalla Tovini alla Brixia Fidelis i dividendi delle azioni suddette tra il 1981 e il 1996.

[38] Camera di Commercio di Roma, Certificato di Visura ordinaria di società di capitale, n. T95216113 del 3 gennaio 2012, p. 4 di 14.

[39] Relazione al Bilancio consuntivo 1979 della Banca S. Paolo, presentata all'assemblea degli azionisti del 26 aprile 1980, p. 31.

[40] Bilancio consuntivo 1980 della Banca S. Paolo, p. 17.

[41] M. Mucchetti, Il baco del Corriere, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 125.

[42] Il dott. Giuseppe Camadini era stato presidente della Banca dal 1970 al 1976, ma si era dimesso dalla carica per incompatibilità con la professione di notaio. (Colloquio con l'autore del dott. Giuseppe Camadini, del 28 marzo 2012, dalle 18 alle 19.30, in Brescia)

[43] Colloquio con l'autore del dott. Giuseppe Camadini, cit.

[44] Michele Bonetti nuovo presidente della Fondazione Giuseppe Tovini, in Il Giornale di Brescia, 18 settembre 2012, p. 11.

 

 

 

N.B:ulteriori ricerche su aspetti specifici della vicenda saranno pubblicate successivamente, unitamente ad un'ampia selezione della documentazione disponibile.
 

 

 

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mons. Giacinto Tredici

 

 

mons. Giuseppe Almici

 

 

dott. Giuseppe Camadini

 

 

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