Maurilio Lovatti 

 

 

L'Octogesima adveniens di Paolo VI (1971)

 

 

Il Cantiere, giugno 2019

 

 

Il 14 maggio 1971, sei anni dopo la conclusione del Concilio e in occasione dell'80° anniversario della Rerum novarum, Paolo VI indirizza al card. Maurice Roy, presidente del consiglio dei laici e della commissione pontificia Giustizia e Pace, una lettera apostolica che applica i principi conciliari alla questione sociale e che contiene un forte appello alle comunità cristiane affinché si impegnino nell'azione sociale.
Fin dall'introduzione Paolo VI, dopo aver rilevato la diversità delle situazioni delle società in cui le comunità cristiane sono inserite, e quindi l'impossibilità di proporre “una soluzione di valore universale”, afferma:
“Spetta alle comunità cristiane individuare – con l'assistenza dello Spirito santo, in comunione con i vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà – le scelte e gli impegni per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi.” (n. 4)
La validità dei principi generali dell'insegnamento sociale della Chiesa rimane indubitabile, ma per la prima volta le comunità cristiane, nello spirito conciliare, sono esplicitamente chiamate alla responsabilità d'individuare concretamente le soluzione adatte al loro contesto, escludendo ogni forma di deduzione diretta dall'insegnamento della Chiesa. Da questo punto di vista si può affermare che tramonta la concezione del magistero sociale della Chiesa come dottrina ideologica compiuta, definita e vincolante, una sorta di terza via tra marxismo e liberismo economico.

 

 

 

 

Nella sua analisi del mondo contemporaneo, con uno sguardo attento alla complessità e alle nuove tendenze che emergono dalla realtà sociale, il Pontefice affronta con realismo i caratteri della civiltà emergente del nuovo capitalismo, e in particolare i problemi dell'urbanizzazione (la città che “invece di favorire l'incontro fraterno e l'aiuto vicendevole […] sviluppa le discriminazioni e anche l'indifferenza; fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio, dove certuni, speculando sulle necessità di altri, traggono profitti inammissibili”) dei giovani, della condizione femminile, dei lavoratori e dei sindacati, delle discriminazioni sociali, delle nuove povertà, dei mezzi di comunicazione che hanno accresciuto il loro potere in una civiltà dell'immagine. E' ben consapevole del consumismo dilagante, fondato su bisogni artificiali indotti. Afferma con coraggio e preveggenza il diritto all'emigrazione, già formulato dal suo predecessore nella Pacem in terris (n. 12), invocando la necessità di superare il nazionalismo per creare “uno statuto che riconosca un diritto alla emigrazione, favorisca la loro integrazione, faciliti la loro promozione professionale e consenta ad essi l'accesso ad un alloggio decente dove, occorrendo, possano essere raggiunti dalle loro famiglie.” (n. 17).
Per la prima volta nell'insegnamento della Chiesa si rileva la gravità delle minacce per l'umanità derivanti dal degrado ambientale:
“Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura [l'uomo] rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l'ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile.” (n. 21).
Le indicazioni della lettera apostolica sul significato cristiano dell'azione politica sono esplicite. Innanzitutto Paolo VI ricorda il dovere del cristiano d'impegnarsi in politica:
“Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell'uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell'umanità. La politica è una maniera esigente - ma non è la sola – di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri […] Pur riconoscendo l'autonomia della realtà politica, i cristiani, sollecitati ad entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e il Vangelo e di dare, pur in mezzo ad un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini.” (n.46).
Paolo VI dopo aver richiamato esplicitamente Giovanni XXIII che nella Populorum progressio aveva scritto che spetta ai laici impegnarsi in politica senza attendere passivamente consegne e direttive dalla gerarchia, conferma esplicitamente e autorevolmente il principio del pluralismo delle opzioni politiche già prefigurato dal Concilio:
“Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni politiche. Una medesima fede cristiana può condurre ad impegni diversi. La Chiesa invita tutti i cristiani al duplice compito d'animazione e d'innovazione per far evolvere le strutture ed adeguarle ai veri bisogni presenti. Ai cristiani che sembrano a prima vista opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede uno sforzo di reciproca comprensione...” (n. 50).
E' passato quasi mezzo secolo da questa importante lettera pastorale, ma non si può certo affermare che le esortazioni di Paolo VI sulla capacità di discernimento e sull'impegno sociale e politico delle comunità cristiane si siano realizzate. Spesso nelle comunità parrocchiali mancano momenti di formazione civica, sociale e politica, sia per gli adulta, sia nella catechesi dei fanciulli e dei ragazzi. Il clero spesso non parla di politica, per quieto vivere o per evitare complicazioni e potenziali divisioni. I laici tante volte non partecipano e rinunciano a far sentire la loro voce. Ma l'insegnamento di san Paolo VI rimane forte e chiaro.


Maurilio Lovatti

 

 

 

 

 

Il Cantiere,  giugno 2019, pag. 14-15

 

 

 

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