Battaglie Sociali, periodico delle ACLI bresciane, giugno 2017, pag. 14

 

Le uscite di emergenza sono qui?

Ovvero: l'Italia deve salvare Alitalia?

 

 

Nelle ultime settimane la questione Alitalia sull'orlo del fallimento è stata al centro dell'attenzione di tv e giornali. Dal 2008 a oggi, da quando cioè la proposta di vendita avanzata da Prodi ad Air France è stata bocciata da Berlusconi e dai sindacati, Alitalia è costata ai contribuenti oltre 4,5 miliardi di euro, nonostante abbia ridotto gli occupati di circa 10 mila unità. Se consideriamo gli ultimi quarant'anni, il salasso per lo Stato è di circa 8 miliardi. Nel 2016 la compagnia ha perso oltre 400 milioni. Le due maggiori banche italiane, Unicredit e Intesa-Sanpaolo, hanno perso circa 500 milioni a testa (anche se Intesa, entrando a far parte della cordata di salvataggio del 2008, ha almeno recuperato un'analoga cifra, frutto di un maldestro investimento in Air One).
Quali sono le cause e le responsabilità di questo disastro? Va detto subito che i privilegi dei lavoratori incidono, ma fino ad un certo punto. In primo luogo c'è l'anomalia che i lavoratori che non risiedono a Roma o Milano hanno diritto al rimborso delle spese di viaggio per recarsi al lavoro (anche se abitano a Venezia o a Catania...). Ma soprattutto i lavoratori Alitalia godono della Cassa Integrazione (all'80% dello stipendio) per ben 7 anni, contro i due dei normali lavoratori, e ulteriori garanzie in caso di mobilità: tutto ciò è costato alla collettività circa 1,2 miliardi dal 2008. Inoltre l'anzianità richiesta per andare in pensione è minore rispetto agli altri lavoratori. Tuttavia il costo medio per dipendente (circa 49 mila euro annui) è inferiore a quello di British Airways e Lufthansa.
Incidono di più sprechi, disfunzioni ed errori manageriali. La manutenzione degli aerei costava circa il 40% in più della media del settore; i servizi a terra il 20% in più; il carburante, anche a causa di singolari contratti finanziari tramite derivati con le banche, circa 100 milioni in più all'anno. I commissari nominati dal governo hanno iniziato fin dai primi giorni a metter mano a queste voci di spesa. Le commissioni per la vendita dei biglietti costano circa il doppio della media delle altre compagnie. Spesso gli aerei viaggiano poco pieni (mediamente circa il 76% di riempimento). La scelta di molte rotte non è indovinata.
L'ultimo prestito statale di 600 milioni, seguito al commissariamento della compagnia, è almeno a condizioni di mercato e, se verrà restituito (ma sarà realistico?), lo Stato non ci rimetterà nulla.
Sulla questione Alitalia in generale, i cittadini si domandano: è giusto sprecare così denaro pubblico in periodi di bilanci in sofferenza? E' giusto e sensato che i soldi dei contribuenti servano a finanziare privilegi dei lavoratori, sprechi, pressapochismi e favoritismi ed anche gravissimi errori di dirigenti e manager pagati profumatamente? I piccoli azionisti e i risparmiatori delle due grandi banche si domandano come mai sono stati sprecati centinaia di milioni in quel modo? Come mai gli amministratori, strapagati, abbiano letteralmente buttato via tanti soldi? Il pagamento di retribuzioni e liquidazioni enormi agli amministratori potrebbe, forse, esser accettato a fronte di guadagni rilevanti, ma è assurdo e immorale se hanno contribuito a produrre perdite e sprechi.

Maurilio Lovatti

 

 

 

Battaglie Sociali, giugno 2017, pag. 14

 

 

 

 

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