Norberto Bobbio  Liberalismo e democrazia

recensione di Maurilio Lovatti

 

 

Nel gennaio del 2006 è stato ripubblicato Liberalismo e Democrazia di Norberto Bobbio (ed. Simonelli, Milano, pag. 152, 10 euro), uscito per la prima volta nel 1985 e ormai esaurito da molti anni. Può sembrare paradossale che per quasi vent'anni non si sia potuto trovare in libreria un testo di tale importanza, tradotto in portoghese nel 1988, in spagnolo nel 1989, in inglese nel 1990, in croato nel 1992, in danese nel 1993 e in francese nel 1996, usato come introduzione in molti corsi di filosofia politica nelle università di tutto il mondo (per esempio le inglesi di Oxford, Londra e Reading, le statunitensi di Stanford, Murdoch e del Maryland, la lèttone di Riga, l'èstone di Tartu, la norvegese di Oslo e tante altre come si può verificare semplicemente navigando in internet). Ben venga dunque questa nuova edizione, arricchita da un'illuminante e documentata introduzione, note e ampia bibliografia di Franco Manni, a colmare una lacuna che non faceva onore alla cultura italiana. Di primo impatto, saremmo portati a pensare che il significato dei termini liberalismo e democrazia sia abbastanza chiaro all'opinione pubblica, considerata l'importanza che essi rivestono nell'ambito della politica; basta invece provare a chiedere ai propri conoscenti o prestare attenzione a come spesso sono utilizzati dalla televisione per capire che le cose non stanno proprio così. Per questo il libro di Bobbio è particolarmente utile e attuale. Bobbio dedica i primi cinque capitoli del libro alla definizione rigorosa del liberalismo, il sesto e il settimo alla democrazia, l'ottavo e il nono ai rapporti concettuali tra liberalismo e democrazia, e i rimanenti sette all'evoluzione storica dei due concetti. Con liberalismo, afferma Bobbio; "s'intende una determinata concezione dello stato, quella concezione per cui lo Stato ha poteri e funzioni limitate", e che come tale si contrappone allo stato assoluto. Egli rileva come lo stato liberale non sia necessariamente democratico, e che anzi, storicamente, esso si realizza inizialmente in società in cui la partecipazione al governo è molto ristretta, limitata alle classi abbienti. Il liberalismo nasce dall'esigenza di limitare il potere dello stato, la democrazia di distribuirlo. Bobbio ricorda come nel pensiero di Locke, padre del liberalismo, il liberalismo si fonda sul presupposto filosofico del giusnaturalismo. Per il filosofo inglese, l'affermazione dei diritti naturali e la teoria del contratto sociale sono strettamente connessi: l'idea che l'esercizio del potere politico sia legittimo soltanto se fondato sul consenso di coloro su cui esso deve essere esercitato deriva dal presupporre che gli individui abbiano dei diritti che non dipendono dal sovrano. Per Bobbio, il contrattualismo moderno rappresenta una vera e propria svolta nel pensiero politico dominato dall'organicismo, poiché, rovesciando il rapporto tra individuo e società, "fa della società non più un fatto naturale, che esiste indipendentemente dagli individui, ma un corpo artificiale, creato dagli individui a loro immagine e somiglianza e per la soddisfazione dei loro interessi e bisogni e il più ampio esercizio dei loro diritti." Sono parte integrante dello stato liberale, per il filosofo torinese, tutti quei meccanismi costituzionali che precludono l'esercizio arbitrario del potere e ne impediscono o scoraggiano l'abuso o l'esercizio illegale, e in particolare il controllo del potere esecutivo da parte del potere legislativo, una magistratura indipendente dal potere politico, l'esistenza di una Corte giurisdizionale, a cui è demandato di sindacare sulla costituzionalità delle leggi e infine una relativa autonomia dei governi locali. Dal punto di vista dell'individuo da cui si pone il liberalismo lo stato è concepito come un male necessario: "appunto, in quanto male, se pure necessario (e in ciò il liberalismo si distingue dall'anarchismo), lo stato deve intromettersi il meno possibile nella sfera d'azione degli individui." Da questa prospettiva il pensiero liberale, sia in Locke, Kant e Montesquieu, si contrappone alle varie forme di paternalismo, "secondo cui lo stato deve prendersi cura dei suoi sudditi come il padre dei suoi figli, cura giustificata dal fatto che i sudditi sono considerati come perennemente minorenni." Il concetto di democrazia è invece già presente nel pensiero greco antico, come "governo dei molti"; nel moderno pensiero democratico, il titolare del potere politico è sempre il popolo, "inteso come insieme dei cittadini cui spetta in ultima istanza il diritto di prendere le decisioni collettive", ma diverso è il modo di esercitare questo diritto: la moderna democrazia è rappresentativa e parlamentare, fondata sull'istituto della rappresentanza politica dei parlamentari, "senza vincolo di mandato". Questo, nonostante Rousseau, vero padre spirituale delle correnti democratiche dell'Ottocento, ritenesse che la vera democrazia non esisterà mai, poiché richiede anzitutto uno stato molto piccolo, in cui al popolo sia facile riunirsi. Bobbio tratta sempre la democrazia dal punto di vista dell'eguaglianza formale (vale a dire di fronte alla legge) e così intesa la democrazia e compatibile col liberalismo, anche se sono esistiti stati liberali e non democratici e possono esistere stati democratici non liberali. Se invece si assume la prospettiva dell'uguaglianza sostanziale (effettiva o tendenziale eguaglianza d'opportunità), il problema del rapporto tra liberalismo e democrazia diventa molto complesso e sfocia in discussioni inconcludenti: infatti, rileva Bobbio, libertà ed eguaglianza sono valori antitetici, nel senso che non si può pienamente attuarne uno senza limitare fortemente l'altro; "una società liberal-liberista è inevitabilmente in egualitaria, così come una società egualitaria è inevitabilmente illiberale". Ciò perché per il liberale il fine principale è l'espansione della personalità individuale, anche se lo sviluppo della personalità più ricca e dotata può andare a detrimento della persona meno dotata, mentre per l'egualitario il fine principale è lo sviluppo della comunità nel suo insieme, anche a costo di ridurre la sfera di libertà dei singoli. Per Bobbio tutta la storia del pensiero politico è dominata da una grande dicotomia, tra la concezione organicistica (olistica) della società e dello stato, propria del pensiero aristotelico, secondo cui la polis è per natura anteriore all'individuo, e quella individualistica (atomistica) del pensiero moderno. E' proprio il comune fondamento filosofico, cioè l'individualismo (che ovviamente non implica, correttamente inteso, la negazione della natura relazione della persona umana) che rende possibile la proficua convivenza, nella nostra epoca di liberalismo e democrazia. Vi sono insomma buone ragioni per credere che oggi il metodo democratico sia necessario per la tutela dei diritti fondamentali della persona che fondano lo stato liberale e che la salvaguardia di questi diritti sia necessaria per il corretto funzionamento del metodo democratico. Negli ultimi capitoli del libro, quelli relativi al contesto storico italiano, Bobbio analizza anche i rapporti tra liberalismo e comunismo. Per comprendere il senso degli ultimi capitoli del libro, come opportunamente segnala Franco Manni nell'introduzione, occorre tener presente la lunga polemica di Bobbio coi comunisti italiani come emerge nello scritto Politica a cultura, composto in gran parte tra il 1951 e il 1954 : sono gli anni del maccartismo e assieme sono anche gli ultimi anni dello stalinismo. Se questa era l'atmosfera per gli ideali del liberalismo all'interno delle due superpotenze vincitrici della seconda guerra mondiale - guerra fatta da esse contro Hitler nel nome della libertà - possiamo capire l'urgenza militante che allora aveva Bobbio nel polemizzare con quegli intellettuali e politici italiani che attaccavano il liberalismo. Costoro erano poi i comunisti, i comunisti italiani così come essi erano prima che nel 1956 Nikita Kruschev al vertice dell'Unione Sovietica ripudiasse molte cose dette e fatte dall'ormai defunto Josef Stalin. Ritornando a quei primi Anni Cinquanta e ricordando che egli, pur nella netta e sostanziale critica alle loro idee, aveva però accettato il dialogo pubblico con loro, nel 1993 Bobbio scriveva:

"la politica del dialogo aveva le sue buone ragioni nella situazione del nostro paese, dove si era venuto affermando il più forte partito comunista dell'occidente, che non poteva essere messo fuori legge, come era accaduto in altri paese, salvo a mettere il paese in uno stato di guerra civile permanente. /.../ Dialogo e confronto hanno caratterizzato la storia ella nostra repubblica. Ma né il dialogo né il confronto furono mai ispirati all'idea di operare una sintesi filosofica tra i due "ismi", liberalismo e comunismo, che sono filosoficamente incompatibili. Furono molto più semplicemente due strategie politiche per un compromesso pratico".

Questa posizione di Bobbio non porta però ad un atteggiamento pregiudizialmente negativo verso il comunismo. Egli infatti sostiene che il comunismo aveva additato dei problemi reali e importanti:

 "il comunismo era una "utopia capovolta", perchè era una utopia di liberazione che si era capovolta nel suo contrario, e cioè nella costrizione e nell'oppressione degli esseri umani (...) Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi che l'utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire :"L'avevamo sempre detto!". O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo "storico") abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? (...) affermo, ripetendomi, di non essere mai stato comunista, ma anche di non essere mai stato anticomunista, nel senso in cui l'anticomunismo è inteso oggidì. E dico che le lotte per una maggiore eguaglianza sociale contro le ingiustizie così drammatiche presenti nel mondo - lotte fatte non solo ma anche dai comunisti - sono sacrosante".

 Maurilio Lovatti

 

 

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