Maurilio Lovatti Riflessioni sulla riforma della scuola del 1923 (la cosiddetta riforma Gentile)
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Riflessioni sulla riforma scolastica del 1923 (la cosiddetta riforma Gentile) Comunicazione al convegno Cento anni dai manifesti di Croce e Gentile e della loro riforma scolastica Brescia 29 aprile 2025 Intendo sostenere e giustificare due tesi:
E' necessaria una premessa: la cosiddetta riforma Gentile non è codificata in una legge del Parlamento, quindi non vi è stata nessuna discussione parlamentare, né in Commissione, né in Aula; né alla Camera, né al Senato del Regno. Infatti con legge del 3 dicembre 1922, il Parlamento aveva delegato il Governo a "riorganizzare i pubblici uffici ed istituti" per "renderne più agili le funzioni e diminuire le spese". Si tratta di un mandato molto ampio, praticamente senza limitazioni. Va tenuto presente che i decreti attutativi dovevano essere approvati dal Consiglio dei Ministri, presieduto da Mussolini, ma composto da ministri espressione delle forze politiche che sostenevano la coalizione (liberali, cattolici, democratico-sociali, nazionalisti, indipendenti; i ministri fascisti erano solo 3 su 13). Pertanto la riforma Gentile fu realizzata con una serie di Decreti tra maggio e dicembre del 1923. I principali sono:
Nella predisposizione di tali decreti il ministro Giovanni Gentile si avvalse della collaborazione di personaggi del calibro di Ernesto Codignola, Giuseppe Lombardo Radice e Leonardo Severi. Esaminare accuratamente tutti questi decreti richiederebbe molto tempo; mi soffermerò in particolare sul decreto di maggio riguardante la scuola media e superiore, poiché molte norme e molti principi ivi contenuti sono tuttora in vigore o lo sono rimasti per decenni, caratterizzando e segnando la vita della scuola italiana. In particolare la riforma Gentile:
Va inoltre precisato che la scelta del tipo di scuola avveniva allora dopo la quinta elementare. Al liceo, di tre anni si accedeva dopo il ginnasio di cinque, mentre agli istituti tecnici di 4 anni (per ragionieri, geometri, periti agrari e periti industriali) si accedeva dopo 4 anni di scuola inferiore. In ogni caso all'esame di Stato conclusivo del ciclo di studi si accedeva dopo 8 anni dal completamento della scuola elementare, come avviene anche oggi.
Non è una riforma fascista Benito Mussolini definì la riforma come "fascistissima", nel discorso del 13 dicembre 1925, e addirittura "la più fascista delle riforme" (nella Circolare ai prefetti delle città sedi universitarie del 6 dicembre 1923) e lo stesso ministro Giovanni Gentile in più occasioni pubbliche confermò il giudizio del Duce. Inoltre il 31 maggio 1923, solo tra settimane e mezza dopo il decreto del 6 maggio, Gentile aderì pubblicamente al Partito Fascista e qualche mese dopo giustificò totalmente la violenza fascista contro gli oppositori (discorso al Teatro Massimo di Palermo del 31 marzo 1924) enunciando la cosiddetta "filosofia del manganello", che autorizza l'educatore, e quindi anche lo Stato etico (fascista), a usare la violenza "a seconda dei temperamenti e delle circostanze". A prima vista sembrerebbe dunque che la riforma scolastica realizzata da Gentile fosse effettivamente una riforma fascista. E questo giudizio è riportato in molti libri e molti manuali di storia. Dimostrerò esattamente il contrario: non si tratta di una riforma fascista, ma di una riforma liberale e meritocratica. Ovviamente Giovanni Gentile era e rimase fascista, pienamente fascista, e tutte le fonti storiche lo confermano. Rimando per questo tema al libro dello storico Mimmo Franzinelli (Il filosofo in camicia nera, Mondadori, Milano 2021) documentato e chiarissimo, che mette in luce tutte le malefatte e l'opportunismo cinico del suddetto Gentile. Libro che condivido totalmente. Nel verbale del Consiglio dei Ministri del 18 marzo 1931, trovo scritto: "il Capo del Governo (Mussolini) propone di riformare la scuola e da istruzioni al Ministro" (Giuliano Balbino, ministro dell'Educazione Nazionale dal 1929 al 1932) poiché "la riforma Gentile fu un errore dovuto ai tempi e alla forma mentis dell'allora Ministro". Il riferimento ai tempi è chiaro: nel 1923 vi era un Governo di coalizione, ove i fascisti erano in minoranza. Mussolini aveva bisogno di accreditarsi verso l'opinione pubblica, mostrando come il fascismo riuscisse a realizzare rapidamente riforme che i precedenti governi liberali avevano concepito, ma non erano riusciti a portare a termine. Nel 1931, quando ormai la dittatura si era affermata da 5 anni, Mussolini intendeva cambiare le norme sulla scuola per introdurre indirizzi marcatamente fascisti, assenti nei decreti del 1923. Sempre nel suddetto verbale leggo che il Ministro Balbino si dice "d'accordo col Duce", nel senso che la riforma Gentile va corretta "dove appare manchevole e contraria" ai principi fascisti, ma non sostituita del tutto, presumibilmente per evitare brutte figure al Regime. E in effetti tra la fine degli Anni Venti e i primi anni Trenta vengono introdotte numerose norme per fascistizzare la scuola (come il libro di testo stabilito dal Governo fascista per le scuole elementari, il giuramento al fascismo degli insegnanti, l'obbligo di iscrizione al Partito fascista degli stessi, elementi di dottrina fascista nei programmi, il sabato fascista, la divisa per i docenti e gli studenti, ecc.) tutte norme assenti nei decreti del 1923. Lo stesso Gentile, non più Ministro (era cessato dall'incarico, per dimissioni, il 1 luglio 1924) in un discorso al Senato del Regno, il 5 febbraio 1925, intervenendo sul Disegno di legge di previsione della spesa del Ministero dell'istruzione pubblica per l'esercizio finanziario dal 1 luglio 1924 al 30 giugno 1925, afferma sulla riforma scolastica; "io posso dire di non aver nulla inventato", riconoscendo di aver fatto sintesi delle varie proposte dei governi liberali, prima e dopo la guerra, conferendogli, con i decreti del 1923, solo una forma organica d'insieme. Inoltre Luigi Volpicelli, uno dei più autorevoli ed affermati pedagogisti del Regime, fascista ortodosso, giudica la riforma Gentile come "controriforma", "eredità dell'Italia liberale", "riforma idealistica e liberale" (L. Volpicelli, La scuola italiana dopo la riforma del 1923, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Roma 1939). Se il capo del fascismo (Mussolini), l'artefice della riforma (Gentile) e uno dei più autorevoli pedagogisti fascisti (Volpicelli) riconoscono esplicitamente che la riforma del 1923 non è fascista, ma ha caratteri liberali, la tesi potrebbe considerarsi dimostrata. Tuttavia può essere interessante ricostruire il punto di vista dei liberali antifascisti, in particolare di Croce, per disporre di un quadro più completo. Benedetto Croce scrisse una lettera al Giornale d'Italia a sostegno della riforma, che fu pubblicata il 3 novembre 1923, in prima pagina, col titolo Sulla riforma Gentile. Rivolgendosi a chi ha "a cuore il bene della scuola italiana" afferma che è necessario essere vigili "al gioco che ora si tenta, che è di arrestare o mandare all'aria le riforme del Gentile". E spiega: "avevamo in Italia non già un ordinamento scolastico, ma un groviglio di scuole e ordinamenti, sorti in modo occasionale e contraddittorio." Grazie all'opera di Gentile si ha invece ora "un ordinamento saldo, razionale e coerente, indirizzato al rinvigorimento del pensiero, del carattere e della cultura italiana". Anche diversi anni dopo, Croce conferma la sua valutazione positiva sulla riforma Gentile e spiega meglio il suo ruolo nel difenderla. In Nuove pagine sparse, 1. Vita pensiero e letteratura (Ricciardi, Napoli 1948, p. 63 e seguenti) scrive che la riforma che Gentile stava realizzando nel 1923 "vide levarsi contro non solo gli onesti dissenzienti. Ma molti scomodati nelle loro abitudini e nei loro interessi e la grande maggioranza dei fascisti". E aggiunge che la riforma Gentile "nella sua prima idea era quella che era stata studiata e proposta nel periodo liberale e alla quale io stesso avevo dato avviamento nel Gabinetto Giolitti, che l'aveva messa nel suo programma". Racconta che all'inizio di novembre Gentile gli scrisse, chiedendogli una lettera col suo giudizio positivo sulla riforma da far vedere a Mussolini. E aggiunge: "io, non pago di scrivere la lettera, scrissi anche un articolo per il Giornale d'Italia, che era tra i più vivaci oppositori della riforma". Croce racconta che Gentile si recò dal Capo del Governo lo stesso 3 novembre, giorno della pubblicazione del parere di Croce sul Giornale d'Italia, intenzionato a dimettersi da Ministro se i fascisti avessero bloccato o snaturato la riforma. Gentile vide che Mussolini stava appendendo nel suo studio lo scritto di Croce appena uscito sul quotidiano romano e fin dalle prime parole del Capo del Governo comprese che la riforma era salva. Lo stesso giorno l'Agenzia Stefani diramò un comunicato in cui era scritto che "il Presidente del Consiglio [...] ha espresso tutto il suo compiacimento e la sua piena solidarietà al criterio fondamentale e al modo di attuazione della riforma. La versione di Croce, in particolare per quanto concerne il suo ruolo a difesa della riforma, è confermato da Gentile che, con una lettera a Croce, sempre del 3 novembre 1923, ringrazia Croce e afferma che la sua "lettera pubblica è eccellente e perfettamente rispondente allo scopo".
Come Croce da Ministro ha anticipato la riforma Gentile del 1923 Benedetto Croce fu ministro della Pubblica Istruzione dal 5 giugno 1920 al 4 luglio 1921, nel V Governo Giolitti. Nonostante un lavoro preparatorio del ministero e l'attività di diverse commissioni da lui costituite (e Gentile fu nominato nella commissione per la redazione dei programmi delle scuole medie), Croce non riuscì mai a presentare alle Camere un organico progetto di legge per riformare la scuola, sia per la precarietà del Governo, sia per il difficile momento politico e la conflittualità tra le forze politiche di maggioranza. Per una analisi più precisa di questi aspetti rimando al documentato lavoro di Giuseppe Tognon (Benedetto Croce alla Minerva : la politica scolastica italiana tra Caporetto e la marcia su Roma, La Scuola, Brescia 1990). Croce riuscì invece a far approvare dal Consiglio dei Ministri, il 30 ottobre 1920, un disegno di legge per istituire esami di Stato alla fine del ciclo di studi medio e superiore, con Commistioni d'esame tutte composte da docenti esterni. Il testo venne presentato alla Camera dei Deputati il 18 novembre 1920, fortemente sostenuto dai Popolari, che avevano due Ministri nel Governo, e che ritenevano che l'esame di Stato potesse creare le condizioni affinché le scuole private cattoliche più qualificate potessero rientrare, senza oneri per lo Stato, nel sistema dell'istruzione pubblica. Il provvedimento era invece osteggiato, oltre che dai socialisti e dalle opposizioni, anche da vari esponenti della maggioranza. L'idea guida di Croce era che, ad esempio, gli studenti alla fine del Ginnasio, fossero esaminati dai professori del Liceo a cui volevano accedere, e così gli studenti degli istituti tecnici inferiori, dai docenti degli istituti superiori. Alla fine del Liceo, per accedere all'Università, erano previsti esami di Stato in quaranta sedi in tutta Italia, con Commissioni in cui erano presenti anche docenti universitari. Il disegno di legge di Croce non fu mai approvato nella Legislatura 1919-1921, ma fu poi inglobato nella riforma Gentile del 1923. Il fatto che Benedetto Croce abbia di fatto contribuito a quella che poi sarà la riforma del 1923 solo con la normativa sugli esami di Stato potrebbe sembrare, a prima vista, un contributo marginale. In realtà l'introduzione degli esami di Stato con commistioni tutte esterne, quindi molto severe, oltre ad inserire le scuole private più qualificate nel sistema della pubblica istruzione, tra cui quelle cattoliche, pose le condizioni per affermare effettivamente la libertà d'insegnamento, anche se poi gli interventi normativi della dittatura fascista, tra la fine degli Anni Venti e l'inizio degli Anni Trenta, la vanificarono completamente. Il principio fondamentale che aveva ispirato Croce, poi integralmente ripreso dalla riforma Gentile, consisteva nella convinzione che gli obiettivi pedagogici si dovessero raggiungere attraverso precisi programmi di esame, invece che attraverso il controllo diretto dei singoli professori e dei loro metodi di insegnamento. Non a caso nell'articolo 33 della Costituzione italiana sono previsti sia il principio della libertà di insegnamento sia la prescrizione di "un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione degli stessi" (rispettivamente nei commi 1 e 5 di detto articolo) che anche ai Padri costituenti apparvero connessi. Giovanni Gentile, nel già citato discorso al Senato del 5 febbraio 1925, ricordava come prima della riforma del 1923 "questa scuola non era libera, perché l'insegnante aveva un programma da svolgere […] mese per mese, direi quasi giorno per giorno, con metodi che erano controllati dall'Ispettore". L'idea di Croce e Gentile invece si basava sulla convinzione che se la scuola consentiva ai suoi studenti di acquisire le necessarie conoscenze e competenze per superare i severi esami di Stato a conclusione del ciclo di studi (e i programmi di esame erano fissati dallo Stato) i metodi di insegnamento, la scelta del libro di testo, il progressivo sviluppo dei contenuti da spiegare, le modalità e il numero delle prove di verifica in itinere, ecc. fossero totalmente funzionali alla libera scelta del docente: solo così per i due filosofi si realizzava effettivamente il principio della libertà d'insegnamento (principio che, è opportuno ricordare, non è fascista, ma liberale e giustamente stabilito anche nella nostra Costituzione italiana).
Le conseguenze della riforma Gentile L'esame di Stato come previsto dalla riforma del 1923, entrò immediatamente in funzione fin dal 1924. Le commissioni d'esame tutte esterne, la severità dell'esame stesso e la necessaria gradualità della trasformazione complessiva del sistema scolastico comportarono nel breve periodo un calo sia delle iscrizioni all'Università, sia nella frequenza delle scuole superiori. Dal 1924 al 1929 gli iscritti all'università in Italia diminuirono da 43.235 a 40.399 (Marzio Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Mulino, Bologna 1974, p. 204) con un calo del 6,56%. Più marcata la diminuzione delle iscrizioni alle scuole secondarie superiori: a conclusione dell'anno scolastico 1923-24, gli iscritti alla scuola media e superiore erano 281.013, mentre nel 1927 si erano ridotti a 237.496 (Monica Gallar, Una riforma alla prova: la scuola media di Gentile e il fascismo, Angeli, Milano 2000, p. 82) con un calo complessivo del 15,49%. Va tenuto presente che il calo era stato ancora maggiore prima della riforma Gentile: a conclusione dell'anno scolastico 1920-21 (tre anni prima che entrassero in vigore i nuovi esami) gli iscritti erano ben 339.859, con una calo nel triennio 1921-24 del 17,32%. Per comprendere rettamente il significato di questi dati relativi al breve periodo, cioè agli anni immediatamente seguenti il 1924 occorre considerare almeno due fattori. In primo luogo i nuovi esami di Stato, fortemente selettivi, furono introdotti immediatamente, quando ancora la riforma del sistema scolastico non era a regime. Gli esami dunque certificarono lo stato di fatto della preparazione degli studenti e della qualità dell'insegnamento. La scuola negli anni della prima guerra mondiale e del primo dopoguerra forniva un'istruzione molto disomogenea, prevalentemente nozionistica e non al passo con le rapide trasformazioni della società. Inoltre, come ricorda Galfrè, "l'incompetenza e l'inaffidabilità, il diffuso assenteismo e una generale indisciplina di larga parte del personale docente e direttivo, motivo di ricorrente disappunto negli ambienti scolastici, rischiavano di costituire un serio ostacolo alla corretta applicazione della riforma" (Galfrè, p. 57). L'esigenza di una formazione più seria e di una selezione più meritocratica propugnata da Gentile era destinata a consolidarsi solo a completa realizzazione della riforma e a sortire i suoi effetti nel medio periodo. Prendiamo ad esempio il numero dei laureati in Italia (Barbagli, p. 257): 8076 nel 1924, scesi poi a 7404 nel 1926 e poi saliti progressivamente fino a 19.584 nel 1940. Poiché il nuovo esame di Maturità del 1924 produsse i primi effetti sui laureati del 1928 (che furono 8435) l'incremento dei laureati tra il 1928 e il 1940 fu del 132,18%. Un discorso analogo può essere svolto per gli studenti delle scuole secondarie: nel 1928 gli iscritti erano 187.041, mentre nel 1940 erano 551.464 (Barbagli, p. 213), con un incremento del 194,84%, mentre nello stesso periodo la popolazione italiana era cresciuta del 14,21%. Anche considerando solo il ginnasio-liceo classico (l'unico tipo di scuola che consentiva l'accesso a tutte le facoltà universitarie) l'incremento di iscritti tra il 1928 e il 1940 fu del 167,96% (da 82.864 a 222.039). Si trova spesso scritto che la politica scolastica durante la dittatura fascista mirasse ad ostacolare l'accesso popolare all'istruzione per garantirlo solo ai ceti privilegiati. La tesi non risulta sostenibile. Se confrontiamo i dati di vari Paesi europei sul numero di studenti tra superiori e università su 10 mila abitanti nel periodo 1924-39 (Barbagli, p. 216) non vediamo dati particolarmente negativi per l'Italia, tali da far supporre un esito di riduzione della scolarità attribuibile alle politiche del fascismo rispetto agli Stati liberal-democratici. Ad esempio nel 1939, la scolarizzazione italiana (17 su 10 mila) era superiore a quella della Gran Bretagna (16), dell'Olanda (14), del Belgio (12) inferiore a quella della Svezia (18) e della Svizzera (21). Certo, nell'Europa tra le due guerre, i giovani che non riuscivano a raggiungere la laurea o il diploma erano la stragrande maggioranza, e sicuramente la selezione avvantaggiava i giovani che provenivano da famiglie più colte e benestanti, rendendo difficile il proseguimento negli studi ai "capaci e meritevoli privi di mezzi". Ma questo era vero sia per Stati liberi, sia per quelli governati da dittature, come Italia e Germania. Il fascismo si è macchiato di colpe e responsabilità terribili e gravissime, come l'abolizione del pluralismo politico, delle libertà personali, della democrazia, come l'aver portato in guerra l'Italia, con le conseguenze di morti, feriti, distruzioni e perdita di vari territori, colpe e responsabilità tali da renderlo ripugnante ad ogni persona consapevole e di buon senso. Non ha alcun senso attribuirgli colpe immaginarie, non suffragate dai fatti, come la volontà di allontanare il popolo dall'istruzione, così come non è vero che la riforma Gentile sia una riforma fascista. Spero di aver dimostrato che si è trattato di una riforma liberale e meritocratica.
Lettera di Giovanni Gentile a Benito Mussolini di adesione al Partito Fascista (31 maggio 1923)
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