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    VITA: nasce a Vienna nel 1902. Si occupa
    principalmente di due ambiti: la filosofia della scienza e la filosofia
    della politica. È stato impropriamente considerato come appartenente del
    circolo di Vienna, in realtà si considerava lui stesso come un killer del
    circolo, poiché la sua concezione della scienza aveva messo in crisi il
    neopositivismo. 
    Dopo la Prima guerra mondiale Popper aderisce al partito social democratico
    austriaco e ottiene l'abilitazione per insegnare scienze nelle scuole
    superiori e nel frattempo prosegue gli studi di filosofia. 
    Nel dicembre del 1934, ma con la data del 1935, pubblica la Logica della
    scoperta scientifica, in tedesco, (nel 1959 uscirà una nuova edizione
    ampliata in inglese. Si tratta di un libro, riassunto de I due problemi
    fondamentali della teoria della conoscenza, che non era stato pubblicata). 
    Nel 38-39 Popper emigra e trova lavoro in Nuova Zelanda (dove sta per tutta
    la guerra) in università e al college. Qui scrive due libri di filosofia
    politica La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello
    storicismo. Scrive queste opere perché si domanda come mai quasi tutta
    Europa era sotto il totalitarismo (stalinismo, fascismo, nazismo,
    franchismo) e solo l'Inghilterra e la Svizzera erano rimaste democratiche.
    Sviluppa una tesi, per altro molto discussa, secondo la quale ci sono delle
    radici culturali del totalitarismo nella filosofia di Platone e di Hegel. 
    Finita la guerra nel 48-49 è chiamato alla  London School of Economics, dove
    insegna filosofia delle scienze, potendo così dedicare più tempo alla
    studio e alla scrittura. Ripubblica la Logica della scoperta scientifica e
    altre opere. Il suo stile è chiaro e accessibile a tutti. Popper in Italia
    è stato all'inizio molto oscurato, la traduzione dell'opera principale ci
    fu solo nel 1979. 
    
     I DUE PROBLEMI FONDAMENTALI DELLA
    TEORIA DELLA CONOSCENZA 
     
    
    Il problema della demarcazione è il problema di distinguere fra ciò
    che è scientifico e ciò che non lo è. Quando abbiamo una proposizione
    possiamo valutare se appartiene all'ambito scientifico, oppure no. È
    importante definire un confine alla scienza. Il criterio di verificazione
    dei neopositivisti è un criterio di significato e non di demarcazione.
    Secondo Popper  è più importante stabilire se una frase appartiene al mondo
    della scienza, piuttosto che vedere se una frase ha significato o meno.
    Propone quindi il criterio di  falsificabilità: "una proposizione
    appartiene all'ambito della scienza se e solo se è falsificabile". Per
    falsificarla basta trovare un caso che va contro alla legge, per esempio
    trovare un corvo bianco, se abbiamo ipotizzato che tutti i corvi siano neri.
    Il criterio di falsificabilità di Popper è un criterio di demarcazione e
    non di significato, perché  se una proposizione non è scientifica può
    comunque aver significato. 
    Il problema dell'induzione: Popper afferma che  l'induzione non esiste,
    né come metodo scientifico, né nella vita comune. Secondo Popper non
    arriviamo alla conoscenza per induzione, cioè accumulando più esperienze
    (vedo un corvo nero, ne vedo un altro e un altro ancora e quindi ne deduco
    che "tutti i corvi sono neri"). Questo perché  non esistono delle
    inferenze induttive. Popper è drastico: non esiste alcun metodo induttivo,
    l'induzione non esiste, né nel metodo scientifico, né in nessun altro
    campo conoscitivo. 
    Il problema dell'induzione non viene risolto, ma dissolto. Non solo
    le inferenze induttive non sono valide (come aveva già dimostrato Hume), ma
    non si può procedere - né di fatto gli scienziati procedono - da
    asserzioni singolari, quali i resoconti di risultati di osservazioni ed
    esperimenti (per quanto numerosi essi siano) ad asserzioni universali
    (ipotesi e teorie), né per stabilirne la verità, né per determinarne il
    grado di probabilità. 
     
    "L'induzione, cioè l'inferenza fondata su numerose osservazioni è un
    mito. Non è né un fatto psicologico, né un fatto della vita quotidiana, e
    nemmeno una procedura scientifica. (…) Il procedimento effettivo della
    scienza consiste nell'operare attraverso congetture. (…) Le osservazioni e
    gli esperimenti reiterati fungono, nella scienza, da controlli delle nostre
    congetture od ipotesi, costituiscono, cioè, dei tentativi di
    confutazione"  
    Secondo Popper esiste un ragionamento deduttivo, come ad esempio la
    dimostrazione di un teorema, ma non esistono ragionamenti induttivi. Perché
    dal punto di vista logico noi non possiamo mai osservare tutti i casi
    particolari e trovare il caso che non conferma la regola. Come diceva  Hume
    non c'è connessione necessaria tra causa e effetto. Si potrebbe pensare che
    in alcuni casi della scienza si usi l'induzione. Es: "la massa di un
    corpo rimane costante indipendentemente dal tempo e dal luogo", perciò
    per quanti controlli faccio, la massa rimane invariata. Secondo il metodo
    induttivo (di  Bacone  e  Mill) non ci si deve fidare di una semplice
    enumerazione dei casi, ma devono essere introdotti dei metodi. Russell per
    dimostrare che l'induzione non esiste fa l'esempio del "tacchino
    induttivista": c'è un tacchino che segue il metodo di Bacone e vuole
    controllare le sue conoscenze col metodo induttivo. Vede che il primo giorno
    il padrone porta il cibo alle 9, e così tutti i giorni sempre alla stessa
    ora. Arriva alla conclusione che ogni giorno alle 9 il padrone porta da
    mangiare. Vuole però dei controlli più accurati, come quelli ipotizzati da
    Mill, e quindi inizia a osservare se l'ora del cibo cambia se per esempio
    piove, o è estate o inverno. A Natale il padrone tira il collo al tacchino.
    Non può prevedere l'evento eccezionale, anche se ha fatto tutte le
    verifiche. Come il tacchino non può prevedere il futuro, così gli
    scienziati del '700 non potevano immaginare che alla velocità della luce la
    massa aumentava (come invece scopre Einstein). Questo dimostra che per
    quante casi noi possiamo prendere in considerazione, noi non possiamo
    controllare tutte le possibilità perché sono infinite. Russell affermava
    che l'induzione, pur non essendo logicamente fondata, nonostante tutto
    veniva accettata talvolta dagli scienziati e anche dal senso comune, in
    mancanza di meglio. Popper invece non accetta l'induzione perché essa non
    esiste; in realtà spesso ci basta anche un solo esempio per formulare
    un'ipotesi. 
    Per Popper quindi la nostra conoscenza procede per tentativi e correzioni
    degli errori, non siamo mai certi della verità delle leggi che usiamo.
    Galileo aveva affermato che la scienza si basa su sensate esperienze e
    necessarie dimostrazioni (componente deduttiva). Per Popper i dati empirici,
    come i risultati degli esperimenti, hanno la sola funzione di controllo, il
    primo passo è l'ipotesi. L'ipotesi non è frutto dell'esperienza, ma è
    frutto della congettura. 
    
    Un'ipotesi scientifica, e come tale universale, può essere logicamente
    falsificata da un dato osservativo ("asserzione-base"); ma c'è
    una difficoltà, in realtà  non esistono, né possono esistere dati
    osservativi "puri". I risultati degli esperimenti, le
    "registrazioni" degli scienziati sono sempre  impregnati di teoria
    
    (theory soaked o theory impregnated), cioè il risultato
    dell'esperimento implica l'accettazione di una  conoscenza di sfondo, che a
    volte dipende da altre assunzioni teoriche, diverse da quelle che si
    vogliono controllare. In linea di principio è impossibile separare
    nettamente i dati dalle teorie, ma nella pratica della ricerca scientifica,
    di fatto, ci si arresta nel controllo ad asserzioni sulla cui accettazione i
    ricercatori possono facilmente accordarsi, anche se secondo Popper, da un
    punto di vista logico, qualunque asserzione può essere controllata
    ulteriormente per mezzo di un'altra che sia dedotta da essa con l'ausilio di
    una teoria. E' introdotto un criterio convenzionale, ma esso riguarda solo
    l'accettazione degli asserti-base, non certo la validità delle teorie
    scientifiche. 
     
    Torniamo al principio di demarcazione: prendiamo la scoperta del pianeta
    Nettuno. 
    Consideriamo l'orbita di Urano, che tra l'altro ha massa molto maggiore di
    Nettuno. Attraverso dei calcoli, basati sulla meccanica di Newton, prevedo
    che Urano fra 10 giorni sarà in un tal posto, ma dopo 10 giorni vedo che
    anziché trovarsi lì, si trova in un altro luogo, anche se non molto
    lontano. Nella metà dell'800 gli scienziati affermano che questi errori di
    previsione non dipendono dalle leggi di  Newton (gravitazione universale),
    perché si pensa siano dovuti al fatto che c'è un altro pianeta che, con la
    sua massa, perturba l'orbita di Urano. Questo pianeta esercita un'attrazione
    gravitazionale su Urano e devia la sua traiettoria. Perciò tenendo in
    considerazione la posizione di Urano e le leggi fisiche, riuscivano a
    calcolare la posizione esatta di Nettuno. Puntarono il telescopio dove
    doveva trovarsi Nettuno e lo videro! Vediamo che in questo caso il tentativo
    di falsificazione della legge scientifica si tramuta in una conferma della
    stessa. 
    Abbiamo delle leggi: gravitazione universale di Newton 
    Abbiamo dei dati: movimento di Urano 
    Abbiamo come conseguenza: esistenza di Nettuno 
    Quando la previsione è falsa (Urano doveva trovarsi in un posto preciso e
    invece non è lì) ci sono due possibilità: o ci mancano dei dati o è
    sbagliata la legge che si utilizza. In questo caso introducendo nuovi dati
    la previsione è stata corretta. 
    Se ci chiediamo, invece, perché il perielio di Mercurio si sposta, potremmo
    affermare che avviene perché c'è un altro pianeta, (l'ipotetico Vulcano)
    ma questo pianeta non si vede, non esiste. Oppure introduciamo nuove
    ipotesi: il sole ha una massa, ma la massa potrebbe essere distribuita in
    modo non omogeneo rispetto al volume, più concentrata da una parte
    piuttosto che da un'altra e questa dislocazione anomala potrebbe spiegare lo
    spostamento del perielio di Mercurio, ma questa ipotesi allo stato attuale
    della scienza non è controllabile empiricamente. Oppure, come fece Einstein, possiamo pensare che le leggi di Newton siano false. 
    Obiezione: ma allora ogni volta che la previsione non funziona, noi possiamo
    "salvare la legge" formulando un'ipotesi ad hoc
    (appositamente per impedire la falsificazione dell'ipotesi), cioè
    un'ipotesi non ulteriormente controllabile. Popper affermava che si può
    sempre  immunizzare le teorie, cioè formulare delle ipotesi per non
    falsificare le leggi. 
    
    Galileo falsifica la teoria aristotelica, affermando che la luna non è
    sferica; il gesuita  Cristoforo Clavio aveva formulato un'ipotesi per
    immunizzare la teoria aristotelica (la luna è circondata da una sfera
    cristallina perfetta, che però non può essere vista). 
    La tesi di Popper è che si possono formulare ipotesi alternative, però
    queste ipotesi sono valide dal punto di vista scientifico solo se sono
    controllabili indipendentemente dai motivi per cui sono state introdotte. Ma
    se l'ipotesi è formulata in modo che non può essere controllabile, allora
    non è valida. 
    In conclusione:  non è sempre immediato vedere se una teoria è stata
    falsificata, ma ci possono essere dei dubbi. Ciò non mette comunque in
    crisi il principio di falsificazione, perché si deve distinguere l'aspetto logico
    (basta che trovi un caso contrario, perché l'ipotesi sia falsa) e aspetto metodologico
    della falsificazione (il problema è dovuto al fatto che non siamo sicuri
    che l'esperienza che falsificherebbe l'ipotesi sia vera; per esempio, se
    l'ipotesi è che tutti i corvi sono neri, e vedo passare un corvo bianco,
    magari qualcuno ha dipinto il corvo di bianco; perciò si fanno molti
    esperimenti per verificare che il falsificatore sia effettivo). 
    Popper pensa che la base empirica delle scienze non ha in sé nulla di
    "assoluto". La scienza non posa su un solido strato di roccia. E'
    come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate
    dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o
    "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di
    conficcare più in fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un
    terreno solido. 
     
    Contro l'antinduttivismo di Popper sono state mosse varie critiche. E' stato
    sostenuto: 
     
    1) La presunta esistenza di una "razionalità induttiva". 
    Nell'ambito del neopositivismo e della filosofia analitica, si è sostenuto
    che la critica di  Hume (condivisa da Popper) dimostra solo che l'inferenza
    induttiva non è valida dal punto di vista della logica deduttiva, ma si
    può sempre sostenere che l'inferenza induttiva, oltre ad esistere di
    fatto, è induttivamente valida, cioè conforme ad una procedura razionale,
    ad una "razionalità induttiva". 
    Per Popper non esistono di fatto procedure induttive; ma anche se
    esistessero, anche se noi "ragionassimo" induttivamente, il
    "fatto" non ne proverebbe la validità. Per Popper tutte le
    argomentazioni che si basano sulla mancata distinzione di quid facti e quid
    iuris non sono altro che tentativi di far tornare in vita una teoria
    accantonata molto tempo fa da  Hume  e  Kant; e coloro che oggi cercano di
    farla rivivere calpestano irriverentemente il lavoro di questi grandi uomini
    senza curarsi di controbattere le loro argomentazioni e neppure di capirle.
    In realtà mentre per le inferenze deduttive possediamo un metodo di
    controllo critico oggettivo (se un'inferenza deduttiva è valida, non può
    esistere alcun controesempio), nulla di simile esiste per le cosiddette
    "inferenze induttive". 
     
    2) La presunta giustificazione trascendentale dell'induzione. 
    Si è sostenuto che nel passaggio dalle intuizioni (nel senso kantiano del
    termine) alla categorizzazione delle proprie percezioni, riconosciute come
    percezioni di oggetti, è necessario trascendere induttivamente i dati
    sensibili che si danno nell'esperienza immediata. affermando che per poter
    riconoscere che le nostre facoltà percettive sono valide abbiamo bisogno
    che ci venga soddisfatta la maggioranza delle nostre aspettative induttive,
    mentre in caso contrario non potremmo sapere se i mutamenti che percepiamo
    nel corso della natura non siano dovuti alla natura stessa, piuttosto che a
    qualche stravolgimento avvenuto in noi. Le difficoltà incontrate dal
    tentativo di Popper di sviluppare una metodologia autenticamente non
    induttiva non sarebbero un risultato casuale, ma avrebbero profonde radici
    nei fatto che la credenza nell'induzione non è qualcosa che possa essere
    eliminata senza provocare alterazioni sostanziali in qualche altra parte del
    nostro schema concettuale. La razionalità dell'induzione sarebbe un
    tutt'uno con la razionalità della credenza in un mondo esterno oggettivo. 
    Per Popper, invece, l'uomo impara a decodificare i messaggi caotici che
    incontra nel suo ambiente fin da bambino. Questa decodificazione è basata
    anche su disposizioni innate. Ma anche le aspettative istintive od inconsce
    (per esempio, che uno stesso oggetto, percepito in condizioni simili, dia
    luogo a rappresentazioni simili) non sono aspettative induttive, non sono un
    trascendimento induttivo dei dati. Noi impariamo comunque a decodificare per
    tentativi ed eliminazione degli errori e sebbene noi diventiamo estremamente
    abili e rapidi a sperimentare il messaggio decodificato come fosse
    "immediato" o "dato", vi sono sempre alcuni errori,
    corretti di solito da speciali meccanismi di grande complessità e
    considerevole efficacia. Così l'intera storia dei dati puri, veri, con la
    relativa certezza, è una teoria sbagliata, sebbene sia parte del senso
    comune. Per Popper tutta la conoscenza acquisita consiste nella
    modificazione o nel rigetto di conoscenze o disposizioni precedenti, in
    ultima analisi di disposizioni innate. Egli scrive: "Non vi è organo
    di senso in cui non siano geneticamente incorporate teorie
    anticipative". 
     
    3) L'induzione sarebbe necessaria per formulare nuove teorie. 
    Se la formulazione di un'ipotesi fosse un trial casuale, un tentativo cieco
    di indovinare, allora non si riesce a spiegare la scelta di un'ipotesi come
    meritevole di attenzione e di essere sottoposta a controlli. Siccome i
    tentativi sono infiniti, il fautore del metodo delle congetture e
    confutazioni si troverebbe in un'impasse logica. E non ci sarebbe modo di
    uscire da questa difficoltà, se non ammettendo che le ipotesi sono
    conclusioni di ragionamenti induttivi. 
    Popper replicherebbe affermando che è vero che esistono infinite ipotesi:
    da un punto di vista logico un evento o una serie di eventi possono essere
    spiegati da una gamma infinita di possibili teorie. Di fatto però una nuova
    ipotesi emerge in seguito alla falsificazione di teorie precedenti. Per
    esempio, Keplero, avendo a disposizione osservazioni che falsificavano la
    teoria aristotelico-tolemaica che prevedeva orbite circolari dei corpi
    celesti, si è trovato di fronte al problema di definire le orbite dei
    pianeti (delle tre coordinate polari: angolo azimutale, angolo zenitale e
    distanza, quest'ultima non era empiricamente osservabile e poteva assumere
    infiniti possibili valori). Per formulare la sua prima legge ha combinato
    credenze metafisiche (l'aspettativa di qualche regolarità nel cosmo) e
    conoscenze scientifiche precedenti. Se l'ipotesi più semplice, quella
    ellittica, che ha guidato le sue osservazioni astronomiche, fosse stata
    falsificata, sarebbe presumibilmente passato a controllare ipotesi meno
    semplici. Popper ha più volte rifiutato il principio di semplicità come
    criterio di accettazione di una teoria (a differenza dei convenzionalisti),
    ma non l'ha mai escluso come uno dei tanti motivi extralogici che
    contribuiscono all'elaborazione di nuove congetture. Anzi, per Popper in
    questo campo non ci sono limiti. Scrive: "Alcuni scienziati ritengono,
    o almeno così pare, di avere le loro idee migliori mentre fumano, altri
    mentre bevono caffè o whisky. Perciò non c'è motivo per cui non dovrei
    ammettere che alcuni possono avere le loro idee mentre osservano, o mentre
    ripetono le loro osservazioni". Ma ciò in modo in parte accidentale,
    non certo per inferenza induttiva o sulla base di una presunta logica
    induttiva. 
    4) L'induzione sarebbe necessaria per il controllo
    delle teorie, anche se non interviene nella scoperta di nuove ipotesi. 
    È forse la convinzione più diffusa tra i neopositivisti ed è stata per
    lungo tempo la posizione di Hempel. Come è noto per Popper, all'opposto, il
    controllo delle teorie sulla base dell'esperienza può avvenire solo
    tentando di falsificarle; non è possibile alcuna verifica sperimentale
    delle teorie. Su questa tesi di Popper si sono sviluppate varie critiche. 
    
    Marcello Pera, filosofo della scienza ed ex presidente del Senato della
    Repubblica, ha sostenuto che, quando si giudica che una teoria è falsa
    perché confutata, si assume che essa continuerà a essere confutata, cioè
    che gli esiti negativi dei controlli passati permarranno anche in futuro.
    Senza questa assunzione induttiva noi saremmo costretti a prendere in seria
    considerazione qualunque teoria comunque confutata e quindi a non eliminarne
    mai alcuna. La regola di rifiuto del razionalismo critico di Popper che
    vieta questo comportamento è pertanto una regola induttiva. 
    
    Queste argomentazioni sono fallaci, assolutamente inaccettabili dal punto di
    vista logico: infatti qualora non sussistano dubbi sul fatto che una teoria
    sia stata falsificata da un esperimento, la teoria è falsa e viene scartata
    quale candidata alla verità, indipendentemente da ogni previsione sul
    funzionamento futuro (anche se questa teoria fornisse in futuro previsioni
    corrette per migliaia di anni, per Popper resterebbe inevitabilmente ed
    ineluttabilmente falsa!). Ovviamente può ancora essere usata, quale
    sufficiente approssimazione, per fare previsioni (è il caso della meccanica
    newtoniana, falsificata dalla relatività di Einstein). Altrettanto
    ovviamente, poiché gli scienziati non raggiungono mai l'assoluta certezza
    sulla avvenuta falsificazione (come si è visto, tutti i dati e i responsi
    sperimentali sono impregnati di teoria) l'esperimento falsificante viene
    spesso ripetuto, ma non per qualche inconscia aspettativa induttiva, bensì
    per controllare che la falsificazione sia accettabile come tale, che l'esito
    dell'esperimento non sia determinato da errori strumentali o dall'esistenza
    di fattori perturbanti ancora sconosciuti. 
    Premesso quindi che anche una teoria scientifica falsificata può comunque
    rivestire un'utilità per la tecnologia e può essere usata, basta che
    costituisca un'approssimazione sufficientemente buona per lo scopo prefisso,
    pare del tutto razionale fidarsi di quelle teorie non ancora falsificate, e
    che quindi sono "candidate alla verità". 
    Tuttavia, scrive Popper: "Le possibilità di sopravvivenza di una
    teoria non crescono, penso, parallelamente al suo grado di corroborazione, o
    al suo passato potere di sopravvivere ai controlli. Il mio rifiuto di
    scommettere sulla sopravvivenza di una teoria ben corroborata dimostra che
    io non traggo alcuna conclusione induttiva dalla sopravvivenza passata a
    quella futura". E ancora: "Naturalmente, se delle leggi reali (a
    noi ignote) hanno effettivamente operato in passato (come io credo),
    continueranno a farlo anche in futuro. Ma questa asserzione non si basa
    sull'induzione: si basa sul fatto che noi spieghiamo i mutamenti con l'aiuto
    di leggi immutabili, e che dovremmo rifiutarci di chiamare una legge vera (o
    reale) qualsiasi cosa che non "operi" - che non sia cioè valida -
    sempre e dovunque". 
    5) La concezione "probabilistica"
    dell'induzione. 
    L'inferenza induttiva, pur non garantendo la verità della conclusione, ne
    fonderebbe un certo grado di probabilità. Il rapporto tra probabilità e
    induzione è stato approfondito con chiarezza in particolare da  Reichenbach
    e Russell. 
    Nell'ambito della concezione probabilistica sono stati costruiti dei sistemi
    di logica induttiva, di cui quelli di Rudolf Carnap e Jaakko Hintikka sono i
    più significativi. 
    Popper ha sempre contrastato la concezione probabilistica, ancor prima del
    sorgere della logica induttiva, e nel paragrafo 80 della Logica ha sostenuto
    che tutte le leggi fisiche, in quanto proposizioni universali, hanno
    probabilità zero, poiché si riferiscono ad un dominio infinito. 
    In effetti, mentre nei sistemi di logica induttiva di  Carnap le leggi
    universali hanno tutte probabilità zero,  Hintikka riesce ad attribuire una
    probabilità maggiore di zero ad enunciati universali, ma nell'ambito di un
    linguaggio estremamente "povero" (predicati monadici, numero
    finito di alternative teoriche ecc.) nel quale non è possibile formulare
    nemmeno le leggi più semplici delle scienze della natura. Non solo, ma come
    mostra lo stesso Hintikka, per evitare i famosi paradossi della conferma di Hempel, anche nel caso più semplice del linguaggio con solo predicati non
    relazionali, diviene necessario introdurre un numero impressionante di
    parametri, il cui valore non può essere stabilito a priori. Si può quindi
    concludere che  i sistemi di logica induttiva, pur se consistenti, non sono
    idonei  rispetto allo scopo iniziale di Carnap, che era quello di trovare una
    funzione di conferma di un'ipotesi sulla base di evidenze osservative;
    quindi l'esistenza di sistemi di logica cosiddetta "induttiva" non
    fornisce, allo stato attuale degli studi, alcuna valida motivazione a
    sostegno della plausibilità dell'inferenza induttiva nelle scienze della
    natura. 
    Molte delle argomentazioni esaminate derivano
    dalla convinzione che negare l'induzione equivalga a negare che si possa
    apprendere dall'esperienza. 
    Ha scritto Bertrand Russell che se non si trova una risposta alla critica di Hume
    al principio di induzione, all'interno di una filosofia del tutto o per lo
    più empirista, "non c'è neanche alcuna differenza intellettuale tra
    la saggezza e l'insania". E il filosofo italiano della scienza Ludovico
    Geymonat: "Si ha l'impressione che, negando ogni valore al principio di
    induzione, cioè negando che esso adempie una qualsiasi funzione
    nell'invenzione delle teorie scientifiche, Popper finisca per rifiutare uno
    dei due fattori che già Galileo aveva posto alla base della conoscenza
    scientifica (come ben noto i due fattori sono: le sensate esperienze e le
    certe dimostrazioni) non sembra lecito risolvere questo antico problema con
    la semplice cancellazione di uno dei due fattori (cioè l'esperienza)". 
    Infine un neopositivista italiano,  Francesco Barone  liquida con una sola
    battuta la confutazione popperiana del principio di induzione, con la
    domanda: "Perché, infatti, non riteniamo ugualmente ragionevole
    l'attenderci manna anziché pioggia da una nuvola?" Popper ha sempre
    risposto ad obiezioni di questo genere affermando che non ha mai inteso
    cancellare il ruolo dell'esperienza: semplicemente ha preso atto che
    l'esperienza, dal punto di vista logico, può solo falsificare e non
    verificare le teorie, per la nota asimmetria. Aggiungiamo che, anche ammesso
    che in qualche modo si possa apprendere direttamente dall'esperienza, ciò
    non implica l'accettazione del principio di induzione. 
    Infatti, se affermo: (a) "le nuvole possono lasciar cadere acqua",
    (b) "le nuvole possono lasciar cadere manna" queste ipotesi sono,
    da un punto di vista logico (a priori), egualmente possibili. Tuttavia, dopo
    aver fatto esperienza della pioggia, posso accettare (fatte salve tutte le
    cautele dovute al fatto che i responsi dell'esperienza non sono mai puri, ma
    impregnati di teoria) la verità di(a), che dal punto di vista logico
    equivale a "esiste almeno una nuvola che lascia cadere acqua"?
    Questo potrebbe essere un modo di apprendere dall'esperienza (chi teme di
    bagnarsi prende l'ombrello). Per Popper questo punto di vista è scorretto,
    poiché i concetti universali "nuvole" e "acqua", come 
    tutti i termini universali, sono "disposizionali" e quindi 
    implicano assunzioni teoriche anticipative, apprese col metodo per tentativi
    e correzione degli errori. Quindi l'osservazione di fatti, la registrazione
    nella memoria di esperienze vissute ecc., anche a livello del senso comune (pre-scientifico),
    è di fatto una concausa che può indirizzare la nostra mente a formulare
    congetture in grado di spiegare i fenomeni. Tuttavia, anche a prescindere da
    questa teoria popperiana sugli universali, è evidente che l'accettazione di
    un'asserzione esistenziale come "esiste almeno una nuvola che lascia
    cadere l'acqua" equivale ad accettare: non è vero che tutte le nuvole
    non possono lasciar cadere acqua". Quest'ultima proposizione ha la
    stessa forma logica (di negazione di legge universale) di: "non è vero
    che tutte le nuvole non possono lasciar cadere manna". Perché
    accettiamo la prima e non la seconda? Popper direbbe perché "tutte le
    nuvole non possono lasciar cadere acqua" è già stata sicuramente
    falsificata, mentre "tutte le nuvole non possono lasciar cadere
    manna" non è stata falsificata e rimane candidata alla verità. E'
    certamente più razionale credere ad una congettura che potrebbe essere
    vera, piuttosto che ad una sicuramente falsa. 
    Riconoscere che si apprende dall'esperienza dunque non implica certamente la
    validità dell'inferenza induttiva nel senso tradizionale del termine, che
    è poi quello a cui si riferisce Popper nella sua critica. 
    Già  Aristotele affermava che l'induzione è il procedimento che dai
    particolari porta all'universale. E Popper: "Si è soliti dire che
    un'inferenza è induttiva quando procede da asserzioni singolari quali i
    resoconti di osservazioni o di esperimenti ad asserzioni universali quali
    ipotesi o teorie"; e ancora: "Io preferisco usare il termine
    "induzione" per riferirmi al mito che la ripetizione di qualcosa -
    osservazioni o esempi, forse - fornisca qualche base razionale per
    l'accettazione di ipotesi". Per Popper ovviamente "nulla dipende
    dalle parole e nulla vieta di chiamare induzione qualcosa di diverso".
    Se però si vuol criticare la tesi popperiana è necessario tener ben
    presente il significato che Popper ha sempre attribuito a questo termine. 
     
    Popper riprende la  teoria corrispondentista della verità, cioè la tesi
    secondo cui una proposizione è vera se, e solo se, corrisponde ai fatti;
    teoria che era stata messa in crisi da una serie di paradossi: 
     
    Paradosso del mentitore: un cretese, Epimenide di Cnosso, dice
    "io dico che sto mentendo". Se dico che la frase è vera, è vero
    che sta mentendo e quindi dice il falso. Se la frase è falsa, è falso che
    sta mentendo e quindi dice il vero. Si contraddice in entrambi i casi. 
     
    Prendiamo un foglio di carta: la frase scritta su una facciata dice
    "ciò che c'è scritto sul retro del foglio è vero", quella
    sull'altra facciata dice "ciò che c'è scritto sul retro è
    falso". 
    Anche qui la situazione genera una contraddizione. 
     
    Il barbiere di Bertrand Russell: su un'isola in cui nessuno ha la
    barba c'è un barbiere che è definito come colui che rade tutti quelli che
    non si radono da soli e per ipotesi nessuno si fa crescere la barba. Chi
    rade il barbiere? 
     
    Nel 1933 Alfred Tarski pubblica un libricino prima in polacco (1933)
    poi in tedesco (1935): Il concetto di verità nei linguaggi
    formalizzati. Tarski diceva che non c'è nessuna contraddizione nella
    tesi corrispondentista, perché fa vedere che questi paradossi  nascono da
    una confusione tra linguaggio e metalinguaggio e non dalla concezione della
    verità. Il linguaggio parla del mondo, il metalinguaggio parla del
    linguaggio (se dico Roma è una parola di quattro lettere, non penso a Roma
    come città). 
    Se si mantiene una distinzione tra linguaggio e metalinguaggio (per esempio
    il linguaggio in inglese e il metalinguaggio in tedesco) non si cade in
    contraddizione. Secondo Popper questo concetto di verità come
    corrispondenza è valido. Tarski formula la cosiddetta "convenzione
    V": la frase è vera se e solo se corrisponde ai fatti. Se dico
    "la neve è bianca" è vera se e solo se la neve è bianca. 
    Il vero e il falso si riferiscono alle frasi: il vero si ha se la frase
    corrisponde al mondo, il falso se non corrisponde al mondo. Perciò è vera
    la teoria corrispondentista. Popper inizialmente non aveva letto Tarski e
    quindi non aveva usato il suo concetto di verità nella  Logica della
    scoperta scientifica. Quando lo lesse, accettò la sua posizione.
    Applicandola alle scienze: se le leggi scientifiche le possiamo solo
    falsificare, io non sono mai sicuro delle verità di esse, tuttavia non è
    insensato parlare di verità. 
    Secondo Popper l'attività scientifica serve a scoprire delle leggi che si
    approssimano alla verità. Anche se una legge raggiunge la verità, noi non
    possiamo comunque saperlo. Se una legge non è mai falsificata allora la si
    usa come se fosse vera. Magari la fisica di  Einstein è verità assoluta, ma
    non possiamo sapere se un giorno saranno scoperte altre teorie più
    complesse e generali, che la renderanno falsa in almeno un caso. 
    Es: uno scalatore si ferma su una zona pianeggiante della montagna. C'è la
    nebbia: non sa se ha raggiunto la vetta o se deve scalare ancora. 
    RAPPORTO CON L'OLISMO 
    Problema della conoscenza di sfondo. 
    Es: Urano doveva trovarsi in un punto ben preciso, prima della scoperta di
    Nettuno. Ma in quel punto, puntando il telescopio, non si trova. Quindi ci
    sono tre possibilità: 
    È sbagliata la legge astronomica di Newton. 
    Ci manca un dato, ossia l'esistenza di Nettuno. 
    Difetto nelle leggi dell'ottica, perché io posso pensare che i raggi
    luminosi siano dritti, mentre è possibile che vengano deviati. 
    Siccome i fenomeni scientifici sono tutti collegati tra loro, se gli
    scienziati stanno facendo una verifica sulle leggi di Newton, considerano le
    leggi ottiche come conoscenza di sfondo, cioè  le considerano vere,
    indipendente dal controllo sperimentale in atto. 
    Alcuni neopositivisti dicono che è come se l'uomo di fronte alla scienza
    sia come l'equipaggio di una nave che deve ripararla continuando a navigare:
    non si può mai isolare un pezzo della scienza dall'altro, perché c'è una
    sorta di  olismo  (tutte le teoria sono collegate tra loro e noi prendiamo
    come conoscenza di sfondo delle leggi che consideriamo vere, ma che non
    siamo certi se lo siano davvero o no). 
    I TRE MONDI DI POPPER 
    È un argomento tratto da "L'io e
    il suo cervello" opera in tre volumi (uno filosofico, uno medico, uno a
    forma di dialogo), scritta insieme a Eccles, un medico, premio Nobel. 
    Popper dice che la realtà è articolata in tre mondi: 
    MONDO 1: Stati fisici, tutto ciò che è fatto di materia. 
    MONDO 2: Stati mentali, disposizioni psicologiche, contenuti mentali,
    rappresentazioni, ricordi, sentimenti, ecc.. 
    MONDO 3: Mondo dei prodotti della mente umana.(libri, teorie, opere
    d'arte, ecc.) 
    Premessa: storicamente noi abbiamo visto concezioni dualiste che credono
    nell'esistenza di due realtà (fisica e spirituale, come ad esempio
    Cartesio). Abbiamo poi teoria moniste (Spinoza). 
    La descrizione dei tipi di realtà per Popper è a tre livelli. Simile a
    quello sostenuto da  Locke nel  Saggio sull'intelletto umano (mondo fisico,
    mondo delle idee, linguaggio), il cui livello del "linguaggio" è
    meno ricco del terzo mondo di Popper. 
    Mondo dei prodotti della mente umana. 
    Es: il libro come oggetto fisico appartiene al mondo degli stati fisici;
    supponiamo che un tipografo abbia stampato un libro che contiene i medesimi
    caratteri, ma mescolati; in questo caso il libro come oggetto fisico è lo
    stesso. Ma il primo libro contiene anche le idee. 
    Il terzo mondo è rappresentato sia da oggetti del mondo 1 che contengono
    idee (dotati di significato) oppure possono essere teorie immateriali (come
    il teorema di Pitagora in sé). 
    Problemi: 
    Non si può provare che esiste questo terzo mondo. Risposta: noi diciamo che
    qualcosa è reale se incide sul mondo fisico. Posso quindi dire che oggetti
    del terzo mondo esistono perché vanno a modificare il mondo fisico. 
    Che senso ha distinguere un terzo mondo? Uno potrebbe dire che il mondo 3 in
    realtà è riducibile al primo o al secondo o a entrambi. La risposta sta
    nell'autonomia. Le teorie, come i libri, hanno qualcosa in più rispetto
    agli stati mentali. 
    Es: la Critica della ragion pura: tutto ciò che Kant aveva in
    testa è stato materializzato. Ma se dico che in quel libro c'è qualcosa di
    più, chi lo legge lo può interpretare in modo nuovo. Ogni prodotto della
    mente umana ha l'autonomia di creare nuovi pensieri. All'inizio sono
    semplicemente l'esplicazione delle idee dell'autore o dell'artista, poi
    acquistano forma propria (il bambino nella pancia della mamma è un tutt'uno
    con lei, quando nasce acquista una sua vita propria). 
    Dice Popper: facciamo un esperimento mentale, supponiamo che ci sia un
    cataclisma che distrugge ogni cosa. Solo pochi uomini sono sopravvissuti.
    L'umanità dovrà ripartire da zero (soprattutto se tra questi non ci sono
    scienziati). Ma supponiamo che qualche biblioteca o museo non venga
    distrutto, i sopravvissuti potranno risollevarsi più facilmente. 
     
    PENSIERO POLITICO E SOCIALE 
     
    Per Popper i problemi delle scienze sociali sono per lo più trattati con
    metodi essenziali, cioè attraverso definizioni astratte e affermazioni di
    principio. Questa è, a suo giudizio, una delle fondamentali ragioni della
    loro arretratezza. Con  Galileo e  Newton la fisica cominciò a ottenere
    successi al di là di ogni attesa, lasciando molto indietro tutte le altre
    scienze, e dal tempo di  Pasteur - il Galileo della biologia - si può
    sostenere che anche le scienze biologiche si sono messe su una via analoga.
    Le scienze sociali, invece, non hanno ancora trovato il loro Galileo. 
    Non c'è nessuna scienza che consista nella pura
    osservazione, ci sono solo scienze che teorizzano in modo più o meno
    consapevole e critico. Ciò vale anche per le scienze sociali. 
    Come tutte le altre scienze, anche le scienze sociali danno o meno risultati
    utili, sono interessanti o insulse, fertili o sterili, in diretto rapporto
    con l'importanza o l'interesse dei problemi di cui si tratta; e naturalmente
    anche in diretto rapporto con l'onestà e la sincerità, la linearità e la
    semplicità con cui questi problemi vengono affrontati. Non è detto che
    debba sempre trattarsi di problemi teorici. Seri problemi di carattere
    pratico come il problema della povertà, dell'analfabetismo, della
    repressione politica e dell'insicurezza giuridica sono stati importanti
    punti di partenza della ricerca sociale. Ma questi problemi pratici inducono
    a riflettere, a teorizzare, e quindi danno luogo a problemi teorici. 
    Per Popper la sola via aperta alle scienze sociali è di abbandonare del
    tutto il verbalismo e di affrontare i problemi pratici del nostro tempo con
    l'ausilio dei metodi teorici che sono fondamentalmente gli stessi in tutte
    le scienze. Cioè il metodo per tentativi ed errori. 
     
    Popper chiama società chiusa, la società magica o tribale o
    collettivista e società aperta la società nella quale i singoli
    sono chiamati a prendere decisioni personali. 
    Una società chiusa può essere giustamente paragonata a un organismo. La
    cosiddetta teoria organica o biologica dello stato può essere applicata in
    larga misura ad essa. Una società chiusa assomiglia a un gregge o a una
    tribù per il fatto che è un'unità semi-organica i cui membri sono tenuti
    insieme da vincoli semi-biologici: parentela, vita in comune, partecipazione
    agli sforzi comuni, ai pericoli comuni, alle gioie comuni e ai disagi
    comuni. 
    In una società aperta, molti membri si sforzano di elevarsi socialmente e
    di prendere il posto di altri membri. Ciò può condurre, per esempio, a un
    fenomeno sociale importante come la lotta di classe. Noi non possiamo
    trovare niente di simile alla lotta di classe in un organismo. Le cellule o
    i tessuti di un organismo che si dice talvolta corrispondono ai membri di
    uno Stato, possono anche competere tra loro per la nutrizione; ma non c'è
    alcuna tendenza inerente per esempio nelle gambe a diventare cervello o in
    altre membra del corpo a diventare il ventre. Poiché non c'è nulla
    nell'organismo che corrisponda a una delle più importanti caratteristiche
    della società aperta, cioè la competizione fra i suoi membri per il
    conseguimento di uno status superiore, la cosiddetta teoria organica dello
    stato è fondata su una falsa analogia. La società chiusa, d'altra parte,
    non presenta tendenze siffatte in misura rilevante. Le sue istituzioni,
    comprese le sue caste, sono sacro-sante: sono tabù . 
    
    La società chiusa è caratterizzata dalla fede nei tabù magici. mentre la
    società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere
    un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a
    basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza  (dopo la
    discussione pubblica). 
    La sua caratterizzazione della società chiusa come società magica e della
    società aperta come società razionale e critica impedisce naturalmente di
    applicare questi termini senza idealizzare la società in esame.
    L'atteggiamento magico non è affatto sparito dalla nostra società, neppure
    nelle più "aperte" società finora realizzate e ritengo
    improbabile che possa mai sparire completamente. Nonostante ciò, sembra sia
    possibile fornire qualche utile criterio della transizione dalla società
    chiusa alla società aperta. La transizione ha luogo quando le istituzioni
    sociali sono per la prima volta consciamente riconosciute come fatte
    dall'uomo e quando la loro conscia modifica è discussa sotto il profilo
    della sua convenienza per il conseguimento dei fini od obiettivi umani. O,
    per indicare la cosa in maniera meno astratta, la società chiusa si
    disgrega quando la soprannaturale riverenza con la quale l'ordine sociale è
    considerato cede il posto alla interferenza attiva e al consapevole
    perseguimento di interessi personali o di gruppo. 
    Come abbiamo visto, nel 38-39 Popper era emigrato in Nuova Zelanda (dove sta
    per tutta la guerra) insegnando all'università e al college. Qui scrive due
    libri di filosofia politica La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello storicismo. Scrive queste opere perché si domanda
    come mai quasi tutta Europa era sotto il totalitarismo. 
    
    Il fascismo, il nazismo e il comunismo sovietico sono per Popper esempi di
    società chiuse. 
    I nemici della società aperta sono a detta di Popper tanto gli storicisti
    (coloro cioè che ritengono che sia possibile profetare sul futuro
    dell'umanità, in quanto esistono leggi necessarie dello sviluppo storico)
    quanto gli utopisti (coloro cioè che vedono possibile ]a creazione di una
    società perfetta). Tra l'altro storicismo ed utopismo spesso hanno
    camminato mano nella mano sui sentieri della storia (ciò vale, ad esempio,
    per Platone, ma anche per Marx). 
    Nonostante la molteplicità delle riflessioni intorno alla problematica
    utopica che le opere di Popper contengono, tre sono le idee più rilevanti.
    Popper critica l'utopismo in quanto questo si fonda su un grave errore
    metodologico e conduce inevitabilmente alla violenza. Inoltre l'utopismo
    ritiene erroneamente che lo scopo fondamentale della politica consista nel
    conseguire la felicità dei cittadini. 
    Secondo Popper, in linea di massima, due sono gli atteggiamenti antiteci
    che, per tentare di risolvere i problemi e le difficoltà sociali, possono
    essere assunti, e cioè quello  gradualistico o riformistico  e quello
    olistico o utopistico. A suo avviso il modo di pensare utopistico non solo
    non rappresenta un livello elevato, ma anzi è addirittura caratteristico di
    una fase prescientifica e si fonda su un grave errore metodologico. Infatti,
    gli utopisti non si accorgono di non poter mai cogliere con uno sguardo
    d'insieme l'intera realtà sociale, di non poter, cioè, mai afferrare una
    situazione sociale concreta ed intera dal momento che essi, per motivi
    logici, devono sempre trascurare degli aspetti. 
    Tuttavia, gli utopisti non contenti di far uso di un metodo non esistente,
    redigono sulla sua scorta anche dei piani per ricostruire la società nella
    sua interezza. In tal modo, essi cadono inevitabilmente, per quel che
    riguarda la pratica politica, nel totalitarismo. Per gli utopisti, infatti,
    "il controllo dev'essere totale, poiché se una qualunque zona della
    vita sociale non fosse controllata in tal modo, vi si potrebbero annidare
    quelle forze pericolose che conducono a cambiamenti imprevisti". 
    Di fatto però per svariati motivi, è impossibile controllare tutti i
    rapporti sociali, compresi quelli personali, che il termine società
    comprende. E questo se non altro perché ogni volta che controlliamo dei
    rapporti sociali, ne creiamo degli altri in quantità che a loro volta vanno
    controllati. Cioè l'impossibilità è una impossibilità logica, il
    tentativo conduce ad una regressione infinita. Eppure per Popper non può
    esservi dubbio alcuno che gli utopisti nei loro piani tentano precisamente
    questa impossibilità. 
    Per lui, l'utopismo è indissolubilmente legato alla violenza. Infatti,
    anche se l'utopismo ama presentarsi nelle forme di un razionalismo, in
    realtà non è altro che uno pseudorazionalismo. Del resto, l'utopismo ha
    spesso espresso con gli ideali di Platone (i filosofi-re) una richiesta di
    potere in base a delle doti superiori. Tale richiesta è totalmente estranea
    all'atteggiamento del vero razionalista, il quale sarà sempre consapevole
    di quanto poco sa, e del semplice fatto che, qualsiasi facoltà critica o
    ragione possegga, egli ne è debitore ai rapporti intellettuali con gli
    altri. Sarà, dunque, portato a giudicare gli uomini fondamentalmente
    uguali, e a vedere nella ragione umana un legame che li unisce. La ragione
    per lui è esattamente il contrario di uno strumento di potere e di
    violenza: egli vede in essa un mezzo cui sottomettere il potere e la
    violenza. 
    Di fatto, l'utopismo, a suo avviso, alimenta necessariamente, cioè per
    motivi logici, la violenza. "Che il metodo utopistico - scrive Popper
    -,  che elegge uno stato ideale della società come scopo cui tutte le azioni
    politiche devono tendere, possa generare violenza, è dimostrabile nel modo
    seguente. Dato che non è possibile determinare i fini ultimi delle azioni
    politiche scientificamente, o con metodi puramente razionali, le differenze
    d'opinioni circa le caratteristiche dello stato ideale non possono venire
    appianate col metodo dell'argomentazione. Esse avranno almeno in parte il
    carattere dei contrasti di natura religiosa, e non può esservi tolleranza
    fra religioni utopistiche diverse". 
    L'utopista dovrà così riuscire vincitore o vinto nei confronti dei suoi
    rivali, dovrà sforzarsi di essere implacabile nell'eliminarli. Infatti, la
    via che conduce alla meta utopistica è lunga. La razionalità dell'azione
    politica esige, quindi, costanza di intenti per molto tempo a venire; e ciò
    può realizzarsi soltanto se non ci si limiterà a sconfiggere le religioni
    utopistiche rivali, ma si eliminerà il più possibile la loro memoria.
    L'impiego dei metodi violenti nella soppressione delle tendenze rivali
    diventa ancor più urgente se consideriamo che il periodo di edificazione
    dell'utopia può essere un'epoca di rivolgimenti sociali. In un periodo
    siffatto anche le idee possono mutare. Così quel che appariva a molti
    desiderabile all'epoca in cui fu stabilito il progetto utopico, può
    risultare in seguito meno desiderabile. In tal caso la concezione utopica
    nel suo complesso rischia di infrangersi. 
    E' necessario precisare che  quando Popper accusa Platone o Hegel di essere
    precursori del totalitarismo del Novecento, non intende affermare che questi
    filosofi avrebbero appoggiato o desiderato il totalitarismo, ma che le loro
    idee, diffondendosi, hanno contribuito a creare una mentalità che ha
    facilitato l'affermazione delle dittature (pensiamo alla  concezione
    hegeliana dello Stato etico, fatta propria dal Fascismo). 
     
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