Franco Manni Recensione
del film Lolita
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Regia :
Stanley Kubrick Produzione :
Seven Arts Production & Metro
Goldwyn Mayer , USA 1962 Sceneggiatura
:
Vladimir Nabokov , dal suo romanzo Musiche :
Nelson Riddle (il tema Lolita è di Bob Harris ) Scenografia :
Bill Andrews Cast :
James Mason ( Humbert Humbert ) , Shelley Winters ( Charlotte ) , Sue
Lyon ( Lolita ) , Peter Sellers ( Quinty )
dura 147 minuti , è in bianco e nero , il titolo originale è Lolita |
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Il
professor Humbert è divorziato e, cercando
una camera di affitto nella cittadina
universitaria dove gli hanno offerto un lavoro, incontra Charlotte,
una vedova fatua , sentimentale e in cerca di uomini, che è subito attratta
da lui. Humbert ne è
disgustato, ma vede che lei ha una bella
figlia tredicenne, Lolita. Humbert
è pedofilo, è attratto dalla ragazzina e si stabilisce in casa di
Charlotte. Scopre che Lolita , capendo il suo desiderio, mostra di
accettarlo e, quando una circostanza imprevista toglie di scena Charlotte,
l’uomo e la ragazzina formano per qualche mese una sorta di impossibile
“coppia”. Ma Lolita vuole
vivere e crescere, e necessariamente fuoriesce dalla claustrofobica
prospettiva che il possessivo e malato professore gli vorrebbe imporre. L’individualità
di Humbert ci stupisce, irrita e impietosisce. Ha intorno un deserto
affettivo (come l’altro pedofilo letterario-cinematografico, Aschembach in
Morte a Venezia di Mann/Visconti)
: non ha amicizie per i suoi
coetanei, non crede nel suo lavoro e cioè nelle cose intellettuali
(non ne è coinvolto, è pronto a lasciarlo, non gli importa che Lolita
abbia un’istruzione ), non ha ideali religiosi
(è ateo) o politici ( si fa
beffe delle regole sociali ma opportunisticamente le usa e non aspira
affatto a cambiarle). In Lolita
mette tutta la sua ridotta capacità affettiva : a parte lei (meglio
: a parte l’immagine che lui ha di lei) egli non ha niente che lo motivi a
vivere. E’ egoista : non gli
importa il bene di Lolita, non riesce nemmeno a vederlo, e vuole toglierle
tutto : amici, amiche, madre, scuola, indipendenza, futuro. E’ braccato
dalla sua malattia , che non riesce a riconoscere come tale.
D’altra parte non è completamente egoista : nella scena di
“quattro anni dopo” dà a Lolita i 13000 dollari, indipendentemente dal
fatto che lei lo segua o no. Non è un sessuomane (piuttosto è timido e
pudico) : è incantato dal corpo di Lolita, ma non è questo che egli cerca
sopra tutto : egli vuole “vivere con lei fino alla morte”. Non è la
commedia del sesso il tema di questo film, ma la tragedia di un
innamoramento impossibile, impossibile perché rivolto non a una persona
reale ma a una persona ideale, cioè costruita dalla propria mente. C’è qualcosa della Lolita
reale nella Lolita idealizzata da Humbert
: la capricciosità (“odio la
scuola ! Va benissimo, andremo via da qua e andremo dovunque vorrò io!”),
l’atteggiamento pseudo-adulto ( il paternalismo con cui parla dei suoi
coetanei), il consumismo (“di cosa sento la mancanza ? Dei miei
dischi!”), la “ragazzinità” (patatine fritte per pranzo, la noia per
i film europei, l’amore per la musica rock del momento, i fumetti, il
gioco del contachilometri). Ma
ci sono cose della Lolita ideale assenti in quella reale :
l’innamoramento per Humbert, la valutazione sensuale della bellezza del
proprio corpo, la capacità di comprendere i sentimenti di Humbert.
E ci sono cose della Lolita reale assenti in quella ideale :
l’infatuazione snob per i personaggi “geniali” , superficialmente
anticonformisti e di successo come Quinty, il normale e temporaneo bisogno
infantile di protezione (quando si accuccia piangendo nelle braccia di
Humbert dopo la morte della madre, situazione che Humbert fraintende
completamente come se fosse la promessa di una vita insieme), il piacere di
frequentare i propri coetanei e divertirsi con loro, , il bisogno di fare
esperienze e vedere il mondo, il desiderio di indipendenza, l’affetto per
i cagnolini e per i bambini, il desiderio di aiutare chi è in difficoltà
(sposa un giovane povero e portatore di handicap). In
effetti la Lolita di Kubrick è molto meno “ninfetta seduttrice” di
quella di Nabokov : il film mostra l’iniziativa di Humbert, non quella di
Lolita ; la ragazzina cerca nel professore una figura paterna “seria” (Humbert
si atteggia a serio, calmo, razionale) più affidabile di quella fatua e
isterica materna ; ci trova suoi alleati quando nella scena del litigio
contro la folle possessività di Humbert grida
con la voce dell’infanzia violata di tutti i tempi il sacrosanto
:”Non hai il diritto!”. Anche
dopo tutte le esperienze non disprezza o umilia mai
Humbert, non gli rinfaccia i suoi abusi,
e riesce a dirgli :”Mi dispiace, mi dispiace tanto
di averti ingannato, ma è così che sono andate le cose. Teniamoci in
contatto, ti scriverò quando arriveremo in Alaska”. La
scena dell’ultimo incontro tra i due
è impressionante per la compresenza di confidenza e separazione : le
due persone sono diversissime tra di loro e i loro destini completamente
divaricati, eppure parlano con la confidenza tipica dei vecchi amici. E’
come se Lolita (che domina la scena) fosse la mamma e Humbert un piccolo
bambino romantico che vuole sposare la mamma, e Lolita gli dicesse : “Il
destino (età, caratteri, circostanze della vita) impediscono questo tuo
sogno impossibile, ma io non lo disprezzo, ti conosco, vecchio mio!, devi
arrenderti alla realtà, e comunque, poiché ti sono affezionata, possiamo
rimanere amici”. La
regia di Kubrick è priva di retorica così come è priva di qualsiasi anche
remota morbosità (chissà come sarà il remake
presente nelle sale in questi giorni!). Mostra invece appieno quella
tragedia individuale che oggi si chiama pedofilia e che i media
trattano in genere
malissimo, cercando di vellicare contemporaneamente gli istinti morbosi e
quelli forcaioli del loro pubblico. La
recitazione dei quattro attori
protagonisti è eccellente , soprattutto quella di James Mason ci fa pensare
a un Oscar non dato solo a causa di un tema troppo scomodo nel 1962.
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