Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

La nostra gente come è e come la vorremmo (1952)

 

 

 

Coll'aiuto di Dio, che ci ha sempre assistito con tanta bontà, abbiamo terminata, ormai, anche la seconda Visita Pastorale. Sono 421 Parrocchie, che abbiamo potuto vedere a una a una, per la seconda volta. E noi le ricordiamo tutte, sparse come sono, nella vasta Diocesi: dalla nostra ubertosa pianura soleggiata e feconda, ai nostri laghi, alle valli ed alle montagne, fino ad alcuni villaggi remoti ed impervii, che ricordiamo con speciale simpatia, proprio perchè così lontani e così fuori da tutte le comodità della vita.
Abbiamo goduto per un giorno la vostra ospitalità, sempre cortese, o reverendi e carissimi Parroci, nostri principali cooperatori nella cura del popolo che il Signore ci ha affidato, nelle vostre case per lo più modeste e spesso disagiate: una giornata piena di sacre funzioni, di predicazioni ripetute, di visite alla Chiesa, ai cari fanciulli del catechismo, agli oratori, alle opere parrocchiali. Spesso abbiamo constatato i vostri sforzi, i vostri sacrifici, coronati da Dio, per fornire alle vostre parrocchie l'attrezzatura, spesso imponente e costosa, voluta dai tempi nuovi. Abbiamo vedute le vostre popolazioni, ed abbiamo vissuto anche con esse una giornata per lo più intensa segnata dalla loro corrispondenza: frequenza alle funzioni ed alla parola di Dio, oltre il ricevimento rispettoso ed il congedo affettuoso del Vescovo, proprio considerato come l'inviato del Signore, il Padre delle anime, che parlava in nome di Dio, e che la nostra gente ascoltava con attenzione, l'attenzione desiderosa di sapere, di sentire volentieri anche gli ammonimenti rivolti al bene delle loro anime, per il bene dei loro figli, per il buon andamento della parrocchia.
Lo diciamo con tutta verità. Sono state queste, per noi, le giornate più gradite del nostro ministero episcopale, ormai lungo, giornate che non dimenticheremo. E ci pareva di vedere che il Signore accompagnava l'opera del suo Servo, lasciando nelle popolazioni un ricordo ed una impressione salutare.
Ne ringraziamo il Signore, e ringraziamo voi pure, parroci e tutti i sacerdoti, e tutti i fedeli, che il Vescovo sente di amare come figli, come la sua famiglia. E preghiamo il Pastore Divino, che conservi e faccia fruttificare nelle nostre popolazioni quello che Egli stesso vi ha seminato.
Ma dopo questa parola di ringraziamento, dopo matura riflessione, vi vogliamo rivolgere una parola, che sia il frutto delle constatazioni fatte in questa Visita Pastorale, e insieme un salutare ammonimento per il bene delle vostre anime, che è il fine del ministero episcopale, come è stato il fine stesso della Redenzione operata dal Salvatore. L'abbiamo fatto anche dopo la prima Visita Pastorale, nella Quaresima del 1940. Lo facciamo anche ora con sincerità e franchezza.

I

LA CONDIZIONE RELIGIOSA DELLA NOSTRA GENTE BRESCIANA

Ci pare di poter dire, con intimo conforto, che, in generale, la nostra gente è attaccata alla sua fede ed alle pratiche della medesima. La grande maggioranza frequenta la Messa festiva, adempie il precetto pasquale; il catechismo dei fanciulli è frequentato, e nelle parrocchie più importanti esso è continuato anche oltre il corso elementare. Si celebrano con solennità e con buona partecipazione del pubblico le grandi feste religiose; v'è frequenza notevole alle predicazioni straordinarie di Missioni o cose simili. Anche il Congresso Eucaristico di quest'anno è cominciato ed è in corso nelle diverse parrocchie, con esito che si può dire confortante.
I nostri fedeli amano la loro Chiesa e le opere parrocchiali, e spesso sostengono spese ingenti per restauri, decorazioni, e costruzioni di aule catechistiche, oratori con relativi saloni, e simili.
Si può dire anche che sentono il bisogno e il desiderio dell'opera del sacerdote: e lo sa il Vescovo quando per le condizioni numeriche del Clero non può mandare subito il parroco in una parrocchia vacante, o il coadiutore giovane per l'assistenza dei fanciulli e della gioventù.
Tutto questo conforta il cuore del Vescovo, quantunque egli debba constatare con rammarico, che non manca, dappertutto, un numero più o meno grande di persone che non sono così fedeli alle pratiche cristiane, o per negligenza, o per affievolimento della fede, o per altri motivi. E questo avviene specialmente nella città o nei centri numerosi, dove le distrazioni domenicali ed i pericoli sono più insistenti.

UN PO' DI ESAME CRITICO TRADIZIONE O CONVINZIONE?

Ma il Vescovo non può accontentarsi di una constatazione sommaria, vorrei dire statistica, relativamente confortante. Noi ci siamo posti ancora una domanda, di cui già abbiamo fatto cenno dopo le constatazioni della prima Visita Pastorale. La fede e la pietà cristiana delle nostre popolazioni è proprio e sempre una fede di intima, profonda convinzione, capace di resistere alle crisi eventuali e di conservarsi, o piuttosto, in alcuni, una fede tradizionale, perchè hanno sempre creduto e fatto così anche i padri e i padri dei padri, e non si è trovato motivo di cambiare?
La domanda ha la sua importanza, e grande, sia per stabilire la qualità della fede della nostra gente, sia per fare opportune congetture intorno alla sua stabilità, di fronte a circostanze speciali, o ad una propaganda in senso contrario.
Ora, mentre non abbiamo motivo di dubitare per tanta parte delle nostre popolazioni, che alla fede tradizionale aggiungono una conoscenza abbastanza profonda della dottrina cristiana, e un desiderio di sapere congiunto ad una lodevole frequenza alla catechesi dove le verità della fede sono ripetute e commentate, abbiamo motivo per un giudizio diverso, o almeno per un ragionevole dubbio, intorno alla fede di qualche parte della nostra popolazione.
Come già dicevamo nella citata lettera dopo la prima visita pastorale, si verifica spesso un fatto doloroso, quando alcuni dei nostri uomini o dei nostri giovani lasciano il loro paese per recarsi altrove in cerca di lavoro, dalla campagna alla città o ad altri centri di lavoro, o peggio all'estero, dove si trovano fuori del loro sano ambiente di origine, o a lato di compagni di lavoro che hanno fatto naufragi nella fede. Allora avvengono spesso crisi nella fede di questi nostri uomini, i quali abbandonano le pratiche della pietà cristiana. E se per molti la crisi è momentanea, e la pratica cristiana ritorna quando essi rientrano nell'ambiente più sano delle loro famiglie e nel luogo della loro prima educazione, per altri pur troppo non è così. E' un fatto questo che può avere molte spiegazioni, ma che lascia dubitare che manchi qualche cosa alla conoscenza ed alla convinzione nella fede primitiva di questi nostri fratelli.

PROPAGANDA INSIDIOSA

A quel fatto doloroso se n'è aggiunto un altro.
In questi anni, dopo le convulsioni della guerra e gli episodi della liberazione, si ebbe un po' dappertutto, e anche fra le nostre popolazioni operaie e contadine, una intensa propaganda di comunismo e socialismo di tinta marxistica. Molta della nostra gente avvertì l'insidia e non aderì. Ma una parte accettò l'insidiosa propaganda. Quei movimenti e quei partiti si presentavano come amici del popolo, e specialmente della parte di esso più povera e bisognosa, cioè dei lavoratori, in possesso non d'altro che delle loro braccia, desiderosi di migliorare la loro condizione. E molti non videro in essi che questo aspetto, certo seducente, ed accettarono di mettersi fra le file di coloro che annunciavano la tanto desiderata riforma della società, senza per questo intendere di rinunciare alla propria fede.
Ed infatti abbiamo assistito, in un primo tempo, allo sforzo di molti di quei propagandisti, di assicurare che si poteva partecipare a quel movimento e a quei partiti ed essere ancora cristiani e cattolici. Ma non era così. Alla base di quei sistemi c'è una ideologia prettamente materialistica, che teneva conto soltanto della materia e delle sue leggi, negando Dio e l'anima spirituale ed immortale. Metodo è la lotta di classe; termine una società dove lo Stato è tutto, senza tener conto dei diritti della persona umana e della sua coscienza. Difatti si vide che i capi di questi movimenti avevano abbandonato la fede e ogni pratica cristiana; e dove essi erano riusciti ad afferrare il potere, avevano osteggiato apertamente l'opera della Chiesa, lino alla scristianizzazione della educazione, ed alla persecuzione della Chiesa, resa priva di ogni libertà.
La Chiesa non poteva lasciar correre un così grave pericolo per la fede di tanti suoi fedeli, ingannati dal miraggio di miglioramenti economici, ed ammonì tutti, paternamente insieme e severamente, che abbracciando quelle ideologie materialistiche si rinunciava alla fede, e anche solo dando con la propria adesione e col proprio numero l'aiuto a coloro che sostenevano quelle dottrine, si cooperava al male che essi facevano, favorendo negli altri la perdita della fede e la persecuzione della Chiesa.
Molti ascoltarono docilmente le ammonizioni della Chiesa, e rifiutarono l'adesione a quei movimenti insidiosi, cercando in altri modi i miglioramenti economici e le rivendicazioni sociali. Ma abbiamo veduto un certo numero di fedeli rimanere sordi agli avvertimenti di chi parlava loro in nome di Dio e della fede, e continuare nella falsa posizione in cui si erano messi.

CRISTIANI A META'

Come ha potuto avvenire questo disorientamento?
Noi possiamo compatire questi nostri fratelli che non hanno voluto vedere la falsa posizione in cui si mettevano. Ma dobbiamo invitarli a riflettere che alla base del loro atteggiamento c'è un doppio difetto che compromette la loro fede.
In primo luogo essi hanno sopravvalutato il valore del loro interesse materiale, dimenticando una parola di Cristo nel Vangelo:
" Che giova all'uomo di guadagnare anche tutto il mondo, se dovesse aver danno per la sua anima? " (Matt. 16, 26). Qual danno maggiore che la perdita della fede? ed anche solo appoggiare l'opera scristianizzatrice dei suoi nemici? Deve bastare questa parola per richiamare ogni cristiano alla fedeltà alla fede del suo battesimo.
In secondo luogo questi nostri fratelli hanno dimenticato il dovere che ha ogni cristiano verso la Chiesa a cui appartiene, e coloro che nella Chiesa hanno da Dio l'incarico di guidarci nella via della fede. E' una specie di eresia che tende a diffondersi anche nelle nostre popolazioni, diffusa con insistenza dai propagandisti dell'errore: compiere, sì, le pratiche cristiane, la Messa, i Sacramenti, ma non tener conto della Chiesa che ci insegna e ci ammonisce in nome di Dio. Dimenticano che Cristo nel Vangelo ha dato agli apostoli e ai loro successori l'incarico di guidare i suoi seguaci nella fede e preservarli dalle insidie dell'errore. Ed ha pure aggiunto: " Se alcuno non vorrà ascoltare la Chiesa, consideratelo come un infedele " (Matt. 18, 17).
Avviene oggi con relativa frequenza che, di fronte ad ammonimenti anche severi del Papa o dei Vescovi, alcuni li rifiutano o non ne tengono conto, perchè hanno sentito qualche cosa in contrario. Da chi? da propagandisti di questo o di quel partito, che hanno svalutato le parole del Papa e dei Vescovi. E i propagandisti dell'errore sanno che è qui che bisogna puntare; scuotere la docilità dei fedeli. E per questo continuano in una campagna astiosa, che con nessun rispetto verso l'augusta autorità del Vicario di Gesù Cristo contraddice le sue parole, dando ad esse interpretazioni maligne, quasi che egli sia l'esponente di interessi capitalistici e reazionari, mentre dà come insegnamento assoluto e insindacabile ogni parola che venga da altri, che rappresentano la lotta contro ogni idea cristiana. E questa insidiosa propaganda va dicendo, per contestare il proprio atteggiamento, che le cose politiche ed economiche sono fuori della competenza della Chiesa e non entrano nel suo magistero. Cosa questa che in un certo senso è vera; e la Chiesa non intende farsi maestra di politica e di economia, e lascia che i popoli tengano quelle forme di governo che si sono date. Ma quando si prende occasione di questioni politiche od economiche per allontanare i fedeli della fede ed avviarli ad una concezione materialistica della vita, che è la negazione della dottrina e della vita cristiana, allora la Chiesa, in nome della sua divina missione, interviene e fa sentire la sua parola ammonitrice.
E' quello che comprende la maggior parte della nostra popolazione cristiana. E sa che questa docilità agli insegnamenti della Chiesa non rappresenta per lei un giogo penoso e un attentato alla sua libertà, ma una amorevole assistenza voluta dal Divin Fondatore della Chiesa, per preservarci dall'errore nelle cose dell'anima nostra.
V'è però una parte della nostra gente che questo ha dimenticato, e si lascia adescare dalla propaganda dell'errore. Ad essa va il nostro avvertimento, nel vivo desiderio del loro bene, perché si mantengano veramente, interamente cristiani, senza accomodamenti impossibili coll'errore.

RIMEDI

Ai pericoli sopra indicati, per conservare intera la fede della nostra gente, bisogna opporre qualche opportuno rimedio. Ma non crediamo che sia necessario escogitare cose sostanzialmente nuove; bisognerà potenziare al massimo, ed eventualmente aggiornare alle nuove esigenze della vita i mezzi che già sono a nostra disposizione, e che del resto entrano nella natura stessa della fede e della vita cristiana, come il Salvatore l'ha stabilita. E questi mezzi si possono ridurre ad uno, l'istruzione religiosa, che fu quello già usato da Cristo; egli insegnava, ed insegnavano gli Apostoli, disseminatisi nel mondo per portare la fede.
E' dovere di tutti procurarsi della nostra santa Religione una conoscenza il più possibile completa.
Sarà questa, in primo luogo, l'opera del catechismo per tutti i nostri fanciulli e giovinetti. L'imparino fin dai primi anni della loro infanzia, ma continuino a seguirne l'insegnamento per tutto il tempo della loro adolescenza, perchè l'insegnamento stesso progredisca in proporzione della loro età ed intelligenza. E' questo un grave dovere dei genitori, a cui Dio ha dato l'incarico della educazione dei figli; ed essi mancherebbero gravemente se essi non lo procurassero, e non mostrassero di dare essi stessi a tale insegnamento tutta. l'importanza che si merita.
A loro volta, i curatori d'anime, parroci e al loro fianco tutti i sacerdoti, considereranno il catechismo come una delle loro mansioni principali. E useranno tutti gli accorgimenti del loro zelo e di una sana ed aggiornata pedagogia perchè l'insegnamento sia efficace. Quindi, ambienti scolastici sufficienti e per quanto possibile accoglienti ed arredati; preparazione degli insegnanti dal punto di vista della dottrina e della didattica; testi didatticamente compilati in proporzione della età e dell'indole dei giovani alunni; attrattive proporzionate perchè la scuola del catechismo sia frequentata ed amata come si deve e con frutto. Parliamo qui, dove è ancora vivo il ricordo di Mons. Pavanelli, che nell'insegnamento del catechismo in forma di vera scuola è stato un apostolo illuminato. Tutti si domandino se dovunque le nobili sue fatiche e le tradizioni diocesane siano veramente osservate, per l'efficacia di questo insegnamento tanto necessario.
Ma il catechismo che i nostri fanciulli e i nostri giovani imparano non deve essere soltanto una lezione appresa per la scuola, e magari ripetuta con esattezza meccanica nel giorno delle interrogazioni. Deve mettere solide radici nella loro intelligenza e diventare parte importante della loro vita. Per questo all'insegnamento delle singole verità della fede e della morale cristiana deve congiungersi una progressiva conoscenza dei fondamenti della medesima. Sarà una apologetica dapprima elementare, che darà di ogni verità imparata la ragione, nelle parole del Vangelo o in un argomento della ragione, e poi, nelle ultime classi del catechismo, un po' di apologetica vera e propria, chiara, semplice, ma ben fondata.
Inoltre si cerchi di unire sempre all'insegnamento del catechismo la pratica della vita cristiana. La Messa e la partecipazione alla vita liturgica, non ridotta alla presenza materiale e forzata, nè a una ripetizione meccanica di formule di preghiera, ma guidata così da lasciar posto alla riflessione e a una certa spontaneità. Una conclusione pratica delle singole lezioni del catechismo, che guidi gli alunni a vivere cristianamente in conformità alla verità dogmatica o al precetto morale che hanno imparato, a partecipare ai bisogni dei fratelli, alla vita della Chiesa considerata nella sua pratica e nella sua gerarchia.
L'istruzione religiosa non deve finire con quello che si suoi chiamare il catechismo, fatto per la fanciullezza e per l'adolescenza. La Chiesa ha nel suo programma una istruzione religiosa che accompagna il cristiano in tutte le sue età. La spiegazione del Vangelo alla Messa festiva, e poi per tutti una istruzione proporzionata alla loro età e condizione, la catechesi, nella quale si espone e si commenta organicamente tutta la dottrina cristiana. E' quella che il nostro popolo suoi chiamare la Dottrina. Essa mette alla disposizione dei fedeli che sono capaci di comprenderla il tesoro della sapienza cristiana. Essa ha fatto, da gran tempo, una preziosa tradizione della nostra chiesa bresciana, ed ancora vi sono i buoni cristiani che sentono il dovere di procurarsi questo tesoro di cultura religiosa, e premunirsi da quel grande nemico della nostra fede che è l'ignoranza religiosa. Noi vogliamo qui invitare tutti i fedeli a frequentare questa cattedra di verità, che per la maggior parte è il solo modo di avere una cognizione sufficiente della fede. Essa dovrebbe entrare per tutti come una parte della santificazione della festa.
Pur troppo però, oggi la fisionomia della domenica si è mutata, e troppe distrazioni allontanano tanti della nostra gente dalla spiegazione della Dottrina cristiana, con scapito della loro vita cristiana e della loro fede. I nostri Parroci la devono considerare come un loro preciso dovere, e cercheranno di renderla sempre meglio preparata e corrispondente alle necessità dei tempi.
Se sarà necessario, tenteranno qualche opportuno cambiamento di orario, in corrispondenza delle mutate esigenze della vita della domenica nelle loro popolazioni. Ma non si fermeranno qui. Per quelli che non possono frequentare la nostra catechesi domenicale, e che comunque di fatto non la frequentano, bisognerà trovar modo di organizzare un'altra forma di istruzione religiosa. Sappiamo che vi sono in città e altrove corsi di conferenze religiose per studenti, per professionisti; sappiamo che per quelli che non sanno resistere alle attrattive dello sport domenicale in alcune parrocchie si tiene per essi l'istruzione religiosa in giorni o ore diverse dalla catechesi che si fa per tutti. Noi benediciamo tutte queste iniziative; esse devono conservarsi, moltiplicarsi, adeguarsi alla qualità delle persone a cui si indirizzano.
Ma ricordiamo a tutti i fedeli che, in un modo o in un altro, hanno il dovere di procurarsi abitualmente un supplemento di cultura religiosa proporzionata alla loro mentalità. Trascurandolo, mancherebbero contro la loro fede di cristiani, privandola della difesa contro le offensive del dubbio o della incredulità, e togliendo a se stessi il vantaggio della sua benefica influenza come direttiva della vita.

II

LA VITA CRISTIANA DELLA NOSTRA GENTE

Un'altra domanda ci siamo fatta riflettendo sulle constatazioni della Visita Pastorale. Alla fede della nostra gente corrisponde sempre una vita veramente, integralmente cristiana?
La domanda ha la sua ragione d'essere, perchè il Cristianesimo non è soltanto un sistema di nozioni astratte intorno a Dio e ai nostri rapporti con Lui. Con la sua dottrina che ci dà le ragioni stesse della nostra esistenza, con una legge altissima e completa che ci designa i nostri doveri, il Cristianesimo investe tutta la nostra attività. La fede senza le opere corrispondenti non è la vera fede come la intende il Salvatore che ce l'ha data; " la fede senza le opere è una fede morta ", come dice l'Apostolo (Giac. 2-20, 26).
E' quello che molte volte ci manca; e gli avversari della nostra fede qualche volta ce ne fanno rimprovero: un rimprovero che nelle loro mani pur troppo diventa spesso un argomento contro la verità o almeno l'efficacia della stessa fede.

LA SANTIFICAZIONE DELLA FESTA

Abbiamo già accennato sopra che anche dove i nostri parroci vedono le Chiese affollate alle Messe domenicali, calcolando e facendo i confronti, devono concludere che vi è sempre un certo numero di persone, spesso notevole, che mancano a questo che è il primo nostro dovere religioso. Pur troppo le distrazioni sono molte, i pretesti non mancano ; per molti la festa è diventata, più che altro, una giornata di sollievo e di divertimento, e sembra dimenticata la sua funzione religiosa, il grande comandamento della legge di Dio: " Ricordati di santificare la festa".
Bisogna che in tutti rientri la persuasione che il primo dovere del cristiano rimane in tutto il suo valore e nessuno ce ne ha dispensato. E il sollievo e divertimento, che pure è cosa lecita ed onesta, non deve essere a scapito del gran dovere religioso.
Su questo punto noi vogliamo confidare che il Congresso Eucaristico diocesano, che già è in corso, e possiamo dire, già ottiene buoni risultati, ed è appunto diretto principalmente ad inculcare a tutti il gran precetto della Messa come santificazione del giorno festivo, abbia ad ottenere il suo frutto: il frutto di un ritorno di tutti al gran dovere della pietà cristiana, la Messa domenicale, e con la Messa, la partecipazione Pasquale alla mensa Eucaristica, anch'essa disertata da non pochi.

IL BUON COSTUME

I costumi, anche solo per quello che appare agli occhi di tutti, non sono per molti come li vuole la legge di Dio, sacra per oeni cristiano. La constatazione è di tutti.
La gioventù dovrebbe crescere sana, serena, lieta se volete, ma educata al rispetto di se stessa, nella purezza che ne è il migliore ornamento, la vera sanità dell'anima e del corpo insieme per prepararsi, attraverso al matrimonio, alla famiglia, intesa come il sacrario delle virtù più belle, con un amore benedetto da Dio, destinato al mutuo perfezionamento e alla trasmissione della vita, in una prole che continui nel tempo le tradizioni e le virtù dei genitori.
Purtroppo pare che su questo punto le buone tradizioni vadano affievolendosi. Cause sono una soverchia libertà di tratto, promiscuità pericolose non sufficientemente evitate, una stampa avvelenatrice, divertimenti scandalosi, cinematografi che spesso sono il trionfo e la scuola del vizio. Le conseguenze sono quali naturalmente possono derivare da questo genere di vita: giovinezze sciupate, matrimoni profanati, discordie, e le nuove generazioni che minacciano di continuare a peggiorare una condizione di cose che è già preoccupante. Le statistiche che registrano le natalità illegittime e altri delitti contro il matrimonio e la famiglia sono indici di una situazione di cui tutti devono preoccuparsi seriamente.
Pur troppo la nostra gente non è immune da queste tristezze. E il Vescovo fa sentire la sua voce, come un grido di allarme, in nome della sanità morale della nostra gente, e chiama a raccolta tutti quelli che possono influire per una bonifica morale di un ambiente che va peggiorando: genitori, educatori e tutti coloro che possono frenare l'immoralità pubblica, che forma l'ambiente viziato in cui crescono le nuove generazioni.

PER UNA CONVIVENZA PIU PACIFICA E CONCORDE

Altro elemento fondamentale della vita cristiana è quello che riguarda i rapporti fra uomini e uomini, classi e classi sociali. Dio ha stabilito questi rapporti in una forma che è insita nella stessa nostra natura, ed è perfezionata dagli insegnamenti del Vangelo. Tutti sentiamo di essere imperfetti, singolarmente insufficienti, bisognosi gli uni degli altri. Egli ci ha fatti così, perchè ci vedessimo costretti ad aiutarci a vicenda, con uno spirito di volonterosa collaborazione, come una magnifica collaborazione regge il mondo fisico nella sua immensità. E questa collaborazione è regolata da due grandi leggi che reggono socialmente la convivenza umana:
giustizia e carità: cioè, dare a ciascuno quello che gli spetta, e in più andare incontro ai bisogni dei nostri simili per venir loro in aiuto.
Ma non è tale molte volte la vita delle nostre popolazioni. A dire vero, contrasti fra gli uomini ce ne sono sempre stati; ma ora par di veder diffondersi anche fra la nostra gente quello che pur troppo è diventato un male comune: invece della collaborazione la discordia, invece dell'amore l'odio: l'odio di classe, che per molti che lo vanno predicando è un programma esplicitamente affermato come un mezzo di riforma sociale: odio che è favorito dalle difficoltà economiche, e dalle condizioni di disagio in cui molti si trovano. In momenti critici di competizioni fra lavoratori e datori di lavoro abbiamo assistito anche ad atti di violenza; ma anche al di là di quegli episodi fortunatamente isolati, non è difficile sentire sulla bocca degli uni e degli altri parole che sembrano venire da sentimenti che si potrebbero qualificare come odio.
Ma non dev'essere così. Gli uni e gli altri devono trattarsi con mutua comprensione, per venire ad intese ragionevoli. La Chiesa, interprete del Vangelo, ha una parola da dire a tutti.
Ai poveri che sono portati a lamentarsi in confronto di quelli che posseggono, essa ricorda che non è praticamente possibile una assoluta eguaglianza di tutti. La impediscono tante circostanze che formano la realtà; come diverse capacità di lavoro, diverse abitudini di sobrietà e di risparmio. Tanto che anche dove si è voluto attuare un collettivismo che dovrebbe rappresentare la soppressione delle disuguaglianze, non si è potuto ottenerlo che a costo della pratica soppressione di ogni libertà di scelta e di lavoro, colla esclusione della stessa possibilità a cui ognuno naturalmente aspira di acquistarsi col suo risparmio un po' di agiatezza e di indipendenza mediante una sia pur piccola proprietà. Senza contare che anche in quel regime affiorano sempre le disuguaglianze sociali, spesso grandissime, non foss'altro, fra dirigenti e la\oratori.
Tuttavia la Chiesa ricorda ai ricchi che, se le disuguaglianze sono inevitabili, è anche vero che quando le differenze sono portate ad un limite esagerato di ricchezze sterminate in mani di pochi, e miseria sconfortante nei più, un senso di giustizia sociale che è insito nella uguaglianza di natura di tutti gli uomini e nella destinazione dei beni creati ai bisogni di tutti, esige che vi sia uno scambio che faccia un po' circolare la ricchezza da quelli che la possiedono in abbondanza a quelli che ne sono privi.
E questo avviene in diversi modi:

1. Col dovere di coscienza di chi più ha, di soccorrere efficacemente chi manca del necessario. E' un dovere di carità che ci viene espressamente imposto dal Vangelo, naturalmente, in proporzione della possibilità di chi dà e della necessità di chi riceve. Alla luce di questo precetto, uno che abbonda del superfluo non può star quieto in coscienza se ha vicino a sè uno che manca del necessario per vivere.

2. Altro mezzo di giusta perequazione usa la legge civile, in nome di un criterio di giustizia sociale ed insieme di ordine pubblico, con gravami fiscali che pongano prevalentemente a carico dei più abbienti le pubbliche necessità; disposizione questa, a cui gli abbienti non hanno diritto di opporsi o di evadere.

3. E non è neppure da escludersi che, con la dovuta moderazione la legge civile, per venire incontro ai bisogni delle masse proletarie, stabilisca dei limiti alla stessa proprietà, che è certo un diritto naturale, ma non un diritto illimitato, e subordinato alla possibilità che ne possano partecipare altri che ne sono privi.
Aggiungeremo, che in vista della destinazione, da parte della Provvidenza, di tutti i beni materiali al sostentamento di tutti gli uomini, i detentori del capitale debbono sentire il dovere di non lasciarli inerti o usarne soltanto come mezzo di proprio godimento, ma debbono, secondo le possibilità, destinarli, come fonte di nuova produzione e di lavoro, provvedendo così ai bisogni di tutti e contribuendo a diminuire il triste fenomeno della disoccupazione.
Son questi ed altri analoghi principii, che provengono dalla natura delle cose e da un senso di carità e giustizia secondo le norme del Vangelo, principi applicati con un senso di responsabilità e di moderazione nei rapporti fra ricchi e poveri, datori di lavoro e lavoratori considerati non come macchine, ma come persone che dispongono del proprio lavoro come mezzo di sostentamento e come aspirazione a migliorare gradualmente con esso la propria condizione e tenore di vita, non dovrebbe essere impossibile intendersi, e risolvere con mutua soddisfazione le eventuali divergenze, con vantaggio di tutti, e stabilire quella cooperazione che è voluta da Dio e dalla legge stessa di natura, oltre che dagli insegnamenti del Vangelo. Non sarà il paradiso in terra, perchè il paradiso in terra non c'è e Dio ce lo riserva come premio nella vita futura; ma sarà una convivenza migliore, più pacifica, a vantaggio di tutti.
Carissimi, abbiamo intitolato questa lettera che abbiamo scritto, dopo la seconda Visita Pastorale con le parole "La nostra gente come è e come la vorremmo". Abbiamo ricordato sommariamente il bene che v'è nelle nostre popolazioni, che dovremo cercare di mantenere, ed anche condizioni che fanno pensare. Vi abbiamo indicato con franchezza i rimedi, che affidiamo alla riflessione ed alla buona volontà di tutti, sacerdoti e fedeli. Il Signore ci aiuti ad essere sempre degni di Lui, e di quel grande suo dono che è la nostra Fede. Il Congresso Eucaristico indetto quest'anno, e che già si sta svolgendo con buoni risultati, in attesa della grande settimana cittadina nel settembre venturo, sarà una bella occasione per un risveglio salutare di vita integralmente cristiana.
Vi benediciamo nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, e vi auguriamo, piena di gioia e di bene, una buona Santa Pasqua.

Brescia, 2 marzo 1952.

 

 

 

 

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