Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

Cristianesimo vissuto (1948)

 

 

 

Chi, fra le nostre popolazioni, non vorrebbe dirsi cristiano?
Il Cristianesimo è da secoli parte integrante della nostra civiltà. In mezzo a tante brutture, a tante asprezze ed ingiustizie della civiltà moderna, se c'è ancora un po' di bontà, di onestà, di gentilezza, sono elementi entrati nel pensiero e nella pratica della civiltà dal Cristianesimo. Il Cristianesimo è anche la fede della grandissima maggioranza di noi. L'abbiamo imparato al catechismo nella nostra infanzia. Se molti hanno dimenticato quelle verità, esse riaffiorano spesso al pensiero ed alla coscienza nei momenti migliori, quando si tratta di prendere delle deliberazioni decisive, quando vogliamo attaccarci ad una speranza che ci sostenti e ci conforti. E se anche alcuni credono di aver perduto questa fede, praticamente spesso vi ritornano loro malgrado.
Ma io so di parlare a voi, figli dilettissimi, che nella grandissima maggioranza siete e volete essere cristiani, e vi offendereste se alcuno ne volesse dubitare.
Eppure, se volessimo analizzare un po' minutamente, non il Cristianesimo in sè, ma il Cristianesimo vissuto da ciascuno di noi, spesso troveremmo che esso non è il Cristianesimo vero e genuino, ma un Cristianesimo dimezzato e superficiale, che si riduce ad una apparenza, ad una veste esteriore, e che spesso rinnega praticamente quello che forma oggetto di una nostra affermazione teorica. Il Giudice vero, davanti al quale compariremo per essere giudicati, forse non riconoscerebbe come suoi fedeli molti che pure si professano cristiani. E spesso un giudizio analogo lo pronunciano anche quelli che sono fuori del Cristianesimo, e che noi siamo abituati a considerare come avversari: essi si meravigliano della nostra condotta dissimile dagli insegnamenti del Vangelo, e spesso ne prendono motivo per fare al Cristianesimo l'accusa di non aver saputo cambiare le coscienze e di averle lasciate in tanta parte pagane.
Purtroppo molte volte è proprio così. Molti sono cristiani soltanto di nome, o cristiani a metà. Ma noi non ne dobbiamo fare colpa al Cristianesimo in sè: alla sua dottrina, che è sempre vera, alta, completa, feconda; alla sua morale che è pura, altissima ed insieme profondamente umana; ai suoi mezzi di santificazione, che sono divinamente fecondi. La colpa è nostra, di noi che, superficiali, fiacchi, incoerenti, viviamo un Cristianesimo incompleto, o non lo viviamo affatto, contenti di aver imparato delle formule che ripetiamo inconsciamente, o di compiere qualche pratica religiosa, che forse riusciamo anche a vuotare del suo vero contenuto.
E così ci addossiamo una gravissima responsabilità: di non attingere dal Cristianesimo quei frutti ai quali è legata la nostra salvezza eterna e di scandalizzare quelli che sono "fuori" e che, giudicando il Cristianesimo dal nostro modo di pensare e di operare, se ne formano un giudizio sfavorevole, e, come dicevamo, lo considerano infecondo ed inutile a risolvere i grandi problemi della vita.
Se non vogliamo tradire noi stessi e far torto alla nostra fede, è necessario che il nostro Cristianesimo sia vissuto intero, intimamente, profondamente, cosicchè non vi sia pensiero od azione della nostra vita morale, che non si ispiri ad esso.
E' quello che vogliamo dirvi brevemente, figli dilettissimi, in questa lettera pastorale, esaminando qualche punto fondamentale della dottrina e della morale cristiana in ordine alla nostra vita quotidiana.

CONCEZIONE GENERALE DELLA VITA

E dapprima, il Cristianesimo ci dà una concezione generale della vita caratteristica, che è alla base di tutta la sua dottrina e della sua morale: una concezione spiritualistica, trascendente.
Al disopra del corpo e dei sensi c'è in ciascuno di noi l'anima, che è spirituale. Quantunque dipenda dai sensi nell'esercizio delle sue facoltà, essa li trascende. La sua intelligenza, non limitata come i sensi a quello che è materiale e contingente, assorge a conoscere lo spirituale e l'eterno. La sua volontà, libera, non è limitata all'istinto ed alla inclinazione del momento, ma sa tendere ad un ideale superiore di bontà, e si sente spinta ad orientare ad esso tutta la vita, fino alle vette della santità e dell'eroismo. Come guida alla volontà nella scelta della via da seguire, il Cristianesimo ci presenta una norma ben precisa, che è la legge di Dio, radicata nel cuore e nella coscienza di tutti e promulgata in un codice divino. Al termine della vita presente ci attende il giudizio di Dio, e poi una eternità di godimento o di pena, secondo che avremo qui meritato.
Il cristiano sa tutto questo. Di conseguenza sa che la vita non deve consistere solamente nella ricerca di un bene sensibile, come può essere la ricchezza, il benessere materiale, il piacere. Al disopra di questi vi sono i valori dello spirito: la verità, la virtù. E l'uomo li deve cercare, anche a costo di limitare qualche volta la ricerca del benessere materiale ed egoistico.
Non è detto che per questo il cristiano si debba disinteressare del mondo che lo circonda, delle stesse cose materiali che pure gli sono necessarie per la vita. Ma queste cose le considera alla luce di quella dottrina, e diventano strumenti, sia pure necessari, di un aspetto della vita presente, non il fine ultimo a cui sacrificare ogni cosa.
Di qui una caratteristica della vita del cristiano, segnata in una grande parola di Cristo nel Vangelo: "Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? - Che gioverebbe all'uomo guadagnare tutto il mondo, se dovesse aver danno l'anima sua? " (Mat., 16, 26).
Non vive dunque il suo Cristianesimo, anche se è battezzato e compie qualche pratica religiosa, chi cerca sopra ogni cosa il benessere materiale, e a quello è pronto a tutto sacrificare. E' ciò che molti fanno. Quanti vi sono infatti che per i loro affari trascurano la santificazione del giorno festivo, non ascoltano la S. Messa, non si curano di tenere aggiornata la loro fede e cultura religiosa. E quanti ancora vi sono che per conseguire un vantaggio materiale non si peritano di commettere ingiustizie e violenze, a danno del proprio simile e contro la legge di Dio.
Tanto più si dovrà dire che non vive il suo Cristianesimo chi aderisce a dottrine che sono la negazione della fede cristiana. L'eresia, cioè la negazione di una o altra verità contenuta nel deposito della fede, è spuntata spesso nella storia della Chiesa di Cristo, a confondere le idee, e a intaccare la purezza e l'integrità della fede. Ai nostri giorni v'è una eresia più grave e pericolosa, perehè nega tutte le grandi verità cristiane. E' il materialismo, che nega Dio, nega lo spirito, e tutto riduce alla materia ed alla sua èvoluzione. Che cosa rimane infatti delle verità rivelate, una volta negato Dio e la spiritualità dell'anima? Ora il materialismo ha preso una forma ed una importanza speciale, quando il marxismo l'ha messo a fondamento del suo sistema economico e sociale. Le idee come le istituzioni umane, compresa la stessa religione, non sarebbero che il frutto dell' ordinamento economico della società, destinate a mutarsi in un eventuale cambiamento delle istituzioni stesse. E fu detto che la religione è insieme frutto e difesa dell'ordinamento capitalistico della società, e deve essere osteggiata ed abolita in un ordinamento diverso. Il Santo Padre Pio XI, in una memoranda enciclica, ha denunciato l'errore e l'insidia del comunismo ateo, negatore di Dio, dell'anima, della libertà, e ne ha messo in guardia i fedeli, in nome della loro fede cristiana.
E' vero che il comunismo ama presentarsi fra noi diversamente, come una ricerca di un nuovo ordinamento sociale, che porti condizioni migliori al popolo lavoratore, e dichiara di permettere ai suoi seguaci di conservare le loro idee religiose. Esso non rinnega però le sue origini e i fondamenti marxistici, e quindi materialistici, e dove ha potuto affermarsi, ha mostrato e mostra ancora tutta la sua avversione alla religione ed espressamente al Cristianesimo, come ad una giusta libertà, tutto riducendo al fattore economico, sotto l'unica direzione dello Stato.
Il cristiano quindi, che vuole essere veramente tale, cioè vivere il suo cristianesimo e conservare integra la sua fede, quella fede che sarà il suo conforto in vita e gli indicherà la via della salvezza, deve guardarsi dal comunismo come da una eresia. Nè gli è per quèsto vietato di cercare un giusto miglioramento delle sue condizioni economiche, e di farsi promotore di un migliore ordinamento sociale, in favore specialmente delle classi più umili, in armonia coi dettami della sua fede e di una giusta sociologia cristiana.

LE PRATICHE RELIGIOSE

Se dal modo di concepire la vita passiamo ai singoli doveri che caratterizzano la vita del cristiano, non v'ha dubbio che il primo dovere del cristiano è quello delle pratiche religiose, cioè del culto che noi rendiamo a Dio. Evidentemente mostrerebbe di non comprendere nulla del Cristianesimo, o di averlo ripudiato, chi volesse trascurare i doveri religiosi, che lo stringono a Dio, suo Creatore, Redentore, Giudice.
Che dire quindi di quei cristiani - perchè cristiani vogliono essere creduti, e si offenderebbero se noi ne dubitassimo - che non pregano mai, hanno abbandonato anche l'abitudine appresa nella infanzia delle preghiere del mattino e della sera? E non c'è pericolo che li si veda qualche volta in chiesa, se non per farvi una visita da turista o da amatore d'arte, ad ammirare i tesori d'arte di cui le nostre chiese sono abbondantemente fornite; o per partecipare al funerale di un conoscente, o ad alcuna di quelle funzioni pubbliche, alle quali sogliono essere invitati, e non possono mancare, i rappresentanti delle autorità o le persone distinte del luogo. E naturalmente, questi tali, e i loro parenti ed credi per essi, esigeranno che si faccia in chiesa il loro funerale, fors'anco con sfoggio di solennità ed apparati. Quante volte i venerandi muri delle nostre chiese, o le immagini sacre che ne adornano gli altari, protesterebbero sdegnosi, se lo potessero, vedendo le cerimonie solenni di uno di questi funerali, per chi forse non ha mai varcato le soglie del tempo da tanti anni in vita sua, e mai ha rivolto riverente il suo omaggio a Dio.
Vi sono molti che non meritano questo rimprovero. Essi frequentano la chiesa; li si vede ordinatamente alla Messa la domenica, salva però la facilità di dispensarsene per qualunque pretesto. E non mancano anche alla Confessione e Comunione pasquale. Messa press'a poco tutte le feste e Confessione e Comunione pasquale: che cosa volete di più?
Ma se volessimo avvicinarci un po' alla loro coscienza e vederli nel loro intimo, troveremmo che la loro Messa si riduce ad una mezz'ora (ed anche meno quando trovano la fortuna di un sacerdote svelto e di una Messa senza omelia) passata in una chiesa, con discreta noia, mentre il labbro non si è aperto a mormorare una preghiera e la mente si è occupata di tutte le faccende della giornata e di tante altre cose che la memoria ha potuto ricordare; un segno di croce quando il sacerdote ha benedetto, ha indicato il termine e la sollecita uscita dal tempio.
E' questa la Messa come il Cristianesimo la intende, e come la Chiesa ne ha fatto un precetto? No, di certo. La Messa è il più grande atto di culto a cui il cristiano possa partecipare. E' Cristo stesso che rinnova sull'altare il sacrificio con cui ci ha redento; ed è il fedele che si unisce a lui nell'offrire a Dio il supremo omaggio della adorazione e della preghiera. Ad un atto così grande il cristiano partecipa coll'atteggiamento riverente del contegno esteriore, e più, col raccoglimento del suo spirito, tutto intento alla grande azione che si compie, all'omaggio che si rende alla maestà di Dio.
E che valore possono avere la Confessione e la Comunione pasquale, se queste non sono che una formalità esteriore, compiuta perchè è venuto il tempo fissato, perchè così fanno anche gli altri, senza che ne sia impegnata la volontà per una ritrattazione risoluta e sincera dei peccati commessi e un proposito altrettanto sincero ed efficace di non commetterli più?
Pur troppo questo è il modo con cui molti credono di soddisfare i loro doveri religiosi. Ne segue che questi atti, destinati a rinnovare la vita spirituale del cristiano, non influiscono per nulla sulla vita di molti fedeli, i quali rimangono quello che erano, ripetono regolarmente i loro peccati, e continuano tranquillamente una vita di mediocrità e di bassezze, non certo degna di chi ha chiesto a Dio il perdono delle sue colpe e si è nutrito del corpo e del sangue del Salvatore, divenuto nutrimento spirituale del-1 anima sua.
E che dire di certe forme di divozione, nelle quali si cercherebbe invano un sentimento di omaggio verso Dio, di ringraziamento, di proposito di vita cristiana, ma unicamente la ricerca ansiosa di un beneficio materiale, colla minaccia implicita, e qualche volta espressa, di abbandonare ogni pratica religiosa se non si ottiene, e subito, quello che si domanda? Come sono lontane certe divozioni dalla preghiera che Cristo ci ha insegnato come modello di ogni preghiera ("quando pregherete, pregate così"); dove siamo invitati a chinarci riverenti davanti al Padre che è nei cieli, per desiderare prima di ogni cosa il suo onore e la sua gloria e la docile esecuzione della sua volontà, e poi domandare fihialmente il perdono delle nostre colpe e il soccorso nei nostri bisogni!


L' ESERCIZIO DELLA CARITA'

IL MESSAGGIO CRISTIANO

E' noto a tutti che Cristo nel Vangelo, dopo di averci comandato di amare Dio sopra ogni cosa, facendo di questo il primo comandamento della legge, ha aggiunto immediatamente un altro eomandamento, intimamente connesso col primo, di amare il prossimo come noi stessi.
L'antica legge aveva già comandato di amare il prossimo. Ma questo amore sembrava limitarsi alle persone più vicine, per amicizia, per parentela, per razza o nazionalità. Nei termini così assoluti come Cristo li enunciò, era un comandamento nuovo, e così egli si compiacque di chiamarlo, ed un comandamento suo, perchè sgorgava proprio dal suo cuore pieno di immenso amore per gli uomini, fino a dare per essi la vita. E come sopprimeva ogni limite alla estensione di questo amore, che doveva abbracciare tutti gli uomini, così Cristo elevava la intensità di questo amore ad altezze impensate, dandogli come modello l'amore stesso da lui portato a noi: "sicut ego dilexi vos - come io ho amato voi ".
Messaggio veramente divino! Programma magnifico, che vuole stringere in un solo vincolo di amore e di aiuto vicendevole tutte le creature: destinato a sopprimere le distanze, a lenire le sofferenze, ad attenuare le miserie che affliggono l'umanità, a rendere a tutti più dolce la vita.

IL GRANDE SCANDALO DELLA UMANITÀ

E perchè invece ancora tante miserie, tante cattiverie, tante asprezze? Perchè ancora la guerra colle sue stragi e le sue devastazioni, rese anzi Ogni volta più gravi? Perchè dopo di essersi scagliati ferocemente gli uni contro gli altri, gli uomini non sanno ancora deporre le diffidenze, e danno l'esempio sconfortante, pauroso, della discordia? E quello che si vede nei rapporti fra i popoli è, più in grande, quello che avviene, proporzionalmente, fra i cittadini di una medesima patria, fra i membri delle famiglie.
Questo inumano persistere di odii, di discordie, di asprezze, è il grande scandalo della umanità intera, che dopo tanti secoli di Cristianesimo, non è ancora riuscita ad attuare in pieno il gran comando di Cristo: "Amatevi gli uni gli altri ".
Scandalo, di cui a torto si farebbe risalire la responsabilità al Cristianesimo stesso. No, perchè esso contiene, nell'insegnamento di Cristo che ci ha rivelato di essere tutti figli del medesimo Padre, nel suo comando di amarci gli uni gli altri, di aiutarci, di perdonarci, nella promessa di una ricompensa celeste per quello che avremo fatto ai nostri fratelli, e più negli esempi stessi del Salvatore che ha data la vita per la nostra salvezza - quanto basta per indurci alla pratica dell'amore.
E tanti infatti ci furono sempre, in tutti i tempi da che il Cristianesimo è comparso sulla terra, che attuarono, spesso in modo grandioso ed eroico, il precetto cristiano della carità.
Dall'addolcimento e poi il progressivo trasformarsi a scomparire della schiavitù, alle distribuzioni di soccorsi organizzati intorno alle chiese ed ai monasteri, poi al sorgere delle opere pie, ospedali, orfanotrofi, ricoveri di ogni specie, sempre sotto la ispirazione di Cristo e l'assistenza materna della Chiesa, fu continua e grandiosa la fioritura della carità, cioè del vero amore, grande, operoso, sulla via del Cristianesimo.
E la Provvidenza ha disposto che anche nei tempi moderni, quando al concetto della beneficenza ispirata alla carità andava sostituendosi quello della assistenza come funzione sociale, non mancassero, a colmare tante immancabili lacune e a portare in mezzo al dolore uno speciale profumo di gentilezza, ancora i grandi esempi della carità cristiana, che rispondono ai nomi venerati di S. Giovanni di Dio e S. Camillo, e poi S. Vincenzo de' Paoli, e poi gli eroi modernissimi della carità, i Santi Cottolengo e Don Bosco, Don Guanella e Don Orione, per non nominare che i defunti già passati al premio della loro carità, ma ancor vivi nelle opere grandiose da loro fondate e viventi sulle due grandi basi, tutte cristiane, della carità e della Provvidenza, che è, anch'essa, la più grande, divina, organizzazione della carità.
Opere grandiose, queste, della carità cristiana; alle quali però è doveroso aggiungere l'esercizio innumerevole di tanti atti di carità nelle proporzioni piccole, minute, ma tanto preziose, della vita quotidiana.
E perchè, torna la domanda, rimane ancora tanta asprezza, tanto odio, nelle famiglie, fra le classi sociali, fra le nazioni?

IL NEMICO DELLA CARITÀ: L' EGOISMO

Si è che pur troppo spesso ancora alla carità di Cristo si contrappone quello che è il suo principale nemico, l'egoismo, per cui l'uomo si stringe nella adorazione di sè, fino a disconoscere il bene e il bisogno degli altri, e tutto sacrifica a questo idolo mostruoso, inumano. Egoismo che diventa l'indifferenza e l'insensibilità verso i bisogni del fratello, lo sfruttamento dell'opera e del bisogno altrui, l'antagonismo di classe, l'imperialismo delle nazioni. Questo mostruoso idolo si contrappone al Dio vero, il quale, pur non avendo bisogno di nessuno, usa la sua infinita potenza per distribuire a tutti i suoi benefici, e in questo fa consistere la sua gloria. Esso impedisce l'applicazione integrale del gran precetto della carità, che appartiene alla essenza della vita cristiana, ed è il secondo comandamento simile al primo.
Contro l'egoismo quindi, e invece verso l'esercizio largo, fervido della carità deve rivolgersi l'attività del cristiano che vuoi vivere davvero, in pieno, il suo cristianesimo. Ed egli trova nella sua fede e nella sua professione cristiana i motivi altissimi per ispirarsi alla carità più generosa. Il cristiano, alla luce del Vangelo, vede nell'altro uomo un suo simile, a cui lo stringe comunanza di natura, di aspirazioni, di bisogni. Vede la creatura di Dio, che ha in sè l'immagine del Creatore e una partecipazione, per quanto limitata e fors'anco deturpata delle sue perfezioni. Vede il fratello, perchè tutti. sono figli dei medesimo Dio, che vuoi essere il Padre di tutti, e a tutti ha dato una figliolanza adottiva, innalzando la natura col dono della grazia. Vede nel fratello Cristo stesso, che ama di essere rappresentato presso ciascuno di noi dal minimo dei nostri fratelli. Vede il comando di Dio, preciso, imperioso ed insieme pieno di tanta, affettuosa, paterna sollecitudine: amatevi gli uni gli altri.

ASPETTI SOCIALI DELLA CARITÀ

Ma di questo amore per i propri fratelli il cristiano deve avere un'idea, e poi una pratica larga, ampia, quanto è ampio l'amore di Dio che l'ispira e il bisogno dei fratelli. Non si esaurisce la carità nell'esercizio della elemosina, colla quale, avendone il mezzo, procuriamo a chi non l'ha il pane, il vestito, il ricovero, la cura all'ospedale. Questo rappresenta il primo passo, un dovere immediato, un dovere di coscienza che tutti ci stringe secondo la possibilità, e la cui trasgressione è una colpa, che può essere grave se grave ed immediato è il bisogno del fratello e noi possiamo venirgli in aiuto. E' un precetto scritto nel Vangelo: " Quod superest date pauperibus ".
Ma come dicemmo, la carità, per il cristiano che la vuoi vivere intera come Cristo gliela ha insegnata, non si esaurisce qui. Non è certo il caso di pensare ad una assoluta uguaglianza di condizioni sociali ed economiche di tutti gli uomini, chimera utopistica a cui nessuno seriamente può pensare, per le infinite diversità di attitudini, di funzioni, di circostanze, cosicchè neppure i regimi più avanzati hanno potuto attuarla. E' indiscutibile però che un cristiano si deve sentire turbato al vedere le troppe disparità fra una piccola classe di ricchi e la grande massa del proletariato, che non possiede che le proprie braccia e il proprio lavoro. E vede con turbamento e con timore per la tranquillità sociale la divisione della umanità nelle due grandi classi, ricchi e proletari, fra di loro divisi da antagonismo che raggiunge spesso l'odio.
Ed allora il cristiano pensa ad un migliore ordinamento sociale, che diminuisca la distanza delle classi, con una migliore partecipazione dei nullatenenti alla cultura, alle comodità della vita, alla stessa proprietà, che anche in piccole proporzioni può rappresentare un fattore di sicurezza avvenire, di giusta indipendenza. E nello stesso rapporto fra capitale e lavoro, pensa ad una maggiore partecipazione del lavoratore alla responsabilità della azienda, sia pure in limiti che non compromettano l'ordine e lo sviluppo della produzione.
Sono questi i problemi che da decenni formano la questione sociale. Essi sono molte volte agitati in forma concitata e rivoluzionaria. Perchè il cristiano non li dovrebbe guardare da un punto di vista di maggior giustizia e concordia sociale, pronto a prendere in considerazione con animo sereno anche riforme sociali ardite, se intese a favorire un regime di maggiore uguaglianza e concordia fra le classi? Con questo spirito, potrà trovare conforme ad equità ed a cristiano spirito di concordia anche qualche onesta e pacifica riduzione della condizione di privilegio finora da lui goduta, sia pure come frutto del suo lavoro o del lavoro dei padri, in vista della possibilità che anche per altri maturi un analogo frutto del proprio lavoro.
Questo è il contenuto del pensiero sociale della Chiesa, illustrato in documenti immortali dei Sommi Pontefici. Leone XIII nella enciclica Rerum Novarum invitò tutti a procurare un miglioramento della condizione degli operai, secondo giustizia e carità. Pio XI nella enciclica Quadragesimo anno auspica una evoluzione del contratto di salariato verso la compartecipazione propria del contratto di società. Pio XII, difendendo contro il collettivismo i fini sociali della proprietà privata, ha auspicato una larga partecipazione dei lavoratori alla piccola proprietà (Messaggio Natalizio 1942).
Un cristiano che, perchè favorito fin qui dalla fortuna, non vedesse di buon occhio e non si credesse in dovere di favorire, nelle forme temperate e legali, un miglioramento, una elevazione delle classi umili, non mostrerebbe di vivere in tutta la sua interezza il suo Cristianesimo, ideale di giustizia, di carità e di concordia sociale. Come non lo vivrebbe il cristiano che per arrivare a questo risultato pensasse a violenze, o a utopistici livellamenti che la natura non permette. E peggio se per questo volesse seminare nelle masse l'odio e lo spirito di sopraffazione.


LA PARTECIPAZIONE ALLA VITA PUBBLICA

Finalmente richiamiamo la vostra attenzione sopra un altro punto di vita cristiana: la vita pubblica.
L'uomo non è un individuo isolato, che debba starsene appartato, trascurando ogni rapporto colla vita dei suoi simili, o lasciandone la cura agli altri che se la vogliano assumere. No; l'uomo vive nella società e ne fa parte. E le forme più evolute dei regimi, quali si sono andate sempre più sviluppando in senso democratico, importano che dalla partecipazione di tutti vengano l'andamento e il governo della vita pubblica. Naturalmente, non nel senso che a tutti possa spettare una effettiva direzione della cosa pubblica; ma a tutti, nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge, spetta contribuire col proprio voto alla scelta delle persone che dovranno assumere le funzioni di partecipazione effettiva al governo della nazione.
Ne segue, che partecipare col proprio voto alle elezioni legislative è un atto di carità patria. E diventa un dovere grave, quando si sa che dalla propria astensione o da una votazione fatta male possa essere favorita l'elezione di persone che possano imprimere al governo della Patria un indirizzo non buono.
Per questo noi rinnoviamo le notificazioni che già sono state date a suo tempo.

a) Mentre l'Assemblea Costituente eletta due anni or sono ha provveduto a compilare la nuova Costituzione, cioè la legge fondamentale intorno al governo dello Stato, ora si tratta di eleggere il nuovo Parlamento (Camera dei Deputati e Senato), che dovrà fare le leggi intorno ai tanti problemi che riguardano gli interessi di tutti i cittadini. Fra questi problemi ce ne sono che importano molto anche alla nostra coscienza di cattolici, come il matrimonio, l'indirizzo da dare alla scuola, i rapporti colla Chiesa, che noi dobbiamo volere sempre buoni.

b) E' dunque dovere grave di ogni cittadino cattolico di partecipare alla votazione del 18 aprile, e di dare il voto per quelle liste e quelle persone, delle quali siamo sicuri che si ispirino al pensiero cristiano, e non favoriranno leggi o provvedimenti contrari alla religione ed al bene della Patria.

c) Per questo bisognerà accertarsi quali siano le liste e le persone che, per i loro princìpi e per la loro attività antecedente, diano questo sicuro affidamento.
Non avvenga che per l'astensione di alcuni o per una votazione fatta non secondo le avvertenze dette sopra, si costituisca un Parlamento dal quale la Religione o la Patria abbiano a temere gravi danni. Rìcordiamoci del nostro dovere di cattolici e di italiani.

* * * * *

Figli dilettissimi, vi abbiamo rivolto una parola intesa a ricordarvi il vostro dovere, per una vita veramente cristiana, per cui quando compariremo al tribunale di Dio, egli ci riconosca veramente suoi fedeli, e possiamo intanto essere di edificazione, non di scandalo a chi ci osserva, e non avvenga che per colpa nostra ne scapiti l'onore e l'efficacia della nostra fede.
I tempi sono tristi, per le difficoltà della ricostruzione dopo i danni della guerra e per l'irrequietudine degli animi. Il Signore ci assista e preservi dal male ciascuno di noi, la Patria diletta, il mondo intero.
Vi benedico nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Brescia, 15 febbraio 1948.

 

 

 

 

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