Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

Parole di fede per il momento presente (1945)

 

 

 

 

 

 

Nel rivolgervi, figli dilettissimi, come di consueto, la nostra parola pastorale in occasione della Santa Quaresima, il nostro pensiero non può staccarsi dal momento gravissimo che tutti viviamo, la guerra con tutte le sue conseguenze: i vuoti dolorosi lasciati in tante famiglie; la prolungata lontananza di persone care, prigionieri lontani, quasi in ogni parte del mondo, o in altre parti d'Italia separate da noi da un fronte di combattimento e di fuoco; l'incertezza della sorte di tanti altri; le distruzioni di una guerra spietata portata al di là del fronte dove si combatte, a recare sterminio anche nelle nostre città e nelle nostre campagne, e a seminane di vittime innocenti: i disagi presenti e le incertezze del domani; e poi, le condizioni dolorose della Patria martoriata, divisa, villipesa, nonostante le sue gloriose tradizioni e gli sforzi e i sacrifici di tanti suoi figli.
In questo cumolo di mali che ci affligge, voi aspettate da Noi, non la parola della strategia o le discussioni della politica, ma l'accento della fede, la nostra santa fede cristiana; che forse qualche volta sembra venirci meno di fronte al prolungarsi della tribolazione, ma che pure ha sempre una parola da dire a noi, per ristabilire nella nostra anima un po' di serenità, per sostenere la nostra fiducia e additarci la via del dovere.
Che cosa ci dice la nostra fede nel momento presente della tribolazione?
Che via ci addita per il prossimo domani?


I

LA PAROLA DELLA FEDE NEL MOMENTO PRESENTE

UN PENSIERO ALLA PROVVIDENZA

Innanzi tutto, dobbiamo guarderei dalla insidia della tentazione che facilmente si presenta al nostro spirito, desideroso di bontà e di pace, di fronte ai mali della vita, ai dolori che ci fanno soffrire; tanto più quando vediamo la sofferenza prolungarsi ed estendersi anche ai buoni, e la violenza minacciare di compromettere cose e istituzioni che ci sono care e ci sembrano meritevoli di vivere e di compiere la loro benefica funzione nel mondo: la famiglia e la Patria.
Come possono conciliarsi - così la tentazione - colla Provvidenza divina tanti mali, tanti dolori che da tanto tempo affliggono il mondo?
La domanda è spesso sulle labbra di increduli e anche di credenti, e qualche volta sembra assumere il tono del lamento irriverente e della bestemmia, e concludere in una negazione della stessa esistenza di Dio.
Ebbene, no. Tronchiamo sul nostro labbro la domanda indiscreta, la parola irriverente. Anche se qualche volta l'azione di Dio nel mondo ci si può presentare avvolta in una certa oscurità (che non ci deve meravigliare trattandosi di Dio, tanto al di sopra della nostra intelligenza), la sua Provvidenza ci si manifesta così grandiosa ed evidente nel mondo che ci circonda, che deve rassicurarci e farci chinare riverenti e fiduciosi il capo davanti alle sue disposizioni, anche se avvolte di mistero.
Guardatevi intorno, e vedete come nel mondo materiale e e un ordine grandioso, magnifico, dove tutto procede in modo da attirare la nostra ammirazione, tanto più quanto più si avanzano le nostre conoscenze. Da tutto questo universo materiale viene quanto è necessario per il sufficiente e conveniente sostentamento della grande famiglia umana. E' Dio che provvede a tutti l'alimento, il vestito, l'alloggio, anche il rimedio per le eventuali malattie.
Ma Dio ha dato all'uomo, il re dell'universo, intelligenza e libertà, e con questo ha disposto che egli potesse governarsi da sè, diventato, sotto la generale Provvidenza di Dio, provvidenza a se stesso. Egli dovrà crearsi il suo benessere, la sua felicità, e ne avrà merito. E perchè vi possa riuscire, bene usando della sua libertà, Dio gli ha dato una legge, magnifica espressione della sapienza del Creatore, adattata perfettamente alle esigenze della nostra natura. E questa legge ha scolpito nella coscienza dell'uomo, l'ha scritta nella sua rivelazione, l'ha perfezionata nel suo Vangelo.
Come nelle leggi fisiche che reggono l'universo materiale c e quanto basta per il nostro sostentamento, così nella legge morale che Dio ha dato alla nostra coscienza c'è quanto basta, colla sua grazia ch'Egli non manca di aggiungere, perchè l'uomo si contenga bene in modo conforme alla sua dignità e nei rapporti coi suoi simili. Questa legge impone agli uomini, - a tutti gli uomini, nonostante le differenze di nazionalità o di civiltà, - di volersi bene, di aiutarsi gli uni gli altri, di scambiarsi i prodotti del suolo, che Dio ha sparso nelle diverse parti del mondo, ma devono servire ai bisogni di tutti. Ce n'è quanto basta per una pacifica e fruttuosa convivenza di uomini e di popoli.
Sono gli uomini che non hanno voluto seguire questi dettami di sapienza e di bontà. Purtroppo, al posto dell'amore, che doveva portare ad una collaborazione amichevole, sono sorti gli egoismi:
egoismi di individui, che hanno spinto l'uomo contro il suo simile; egoismi di popoli, che hanno spinto i popoli ricchi di forza e di risorse a rifiutare ai popoli deboli e poveri il necessario per una vita conveniente e dignitosa. Di qui le guerre economiche, e poi le guerre militari, con tutte le orribili conseguenze. Poichè in questi conflitti generati dagli egoismi gli uomini hanno saputo portare tutta la loro scienza, diventata non più nobile espressione dell'intelligenza rivolta a progresso e bene comune, ma strumento per trovare nuovi mezzi sempre più potenti di violenza e di distruzione.
Così è avvenuto, o figli dilettissimi. E allora, oseremo accusare Dio e la sua provvidenza per i mali della guerra?
Riconosciamo invece nel fatto che non si sia potuto provvedere alle giuste aspirazioni dei popoli senza il flagello della guerra il gran delitto dell' umanità, che ha rifiutato la legge di bontà e di amore e ha voluto allontanarsi da Dio, pensando di poter fare da sè. Dio ha lasciato che gli uomini facessero da sè. Ecco il grande castigo!


PERCHE' GLi INNOCENTI?

Ma intanto, si dice, ne soffrono anche tanti innocenti. E qui alla nostra mente si affacciano tante vittime morte nell'adempimento del proprio dovere, o colpite dalla violenza nemica in tante barbare incursioni su città e campagne indifese. E poi, anche i popoli non sono tutti egualmente colpevoli.
E' vero. Ma quanti possono dirsi veramente senza peccato? Persone singole e popoli? Non crediamo di non lasciarsi prendere da una soverchia ambizione nazionale pensando che il popolo italiano ha tante belle qualità e, in confronto di altri popoli, lo si può dire più attaccato alla sua fede, provvisto di buone tradizioni e di virtù familiari. Ma pure, se ci guardiamo intorno, noi vediamo purtroppo che anche queste sue virtù vanno diminuendo, e si avanza nella vita delle nostre masse, umili ed elevate, un paganesimo pratico, che fa spavento, e che, insieme con tante offese di Dio, sembra compromettere la stessa fede del nostro popolo, che minaccia di ridursi ad un puro formalismo esteriore. Ed allora oseremo insorgere contro la Provvidenza di Dio, se egli permette che anche noi, che anche gli innocenti sentano le conseguenze del castigo che l'umanità peccatrice infligge a se stessa?
Piuttosto, un conforto noi possiamo ricavare dal pensiero della misericordia divina. Attraverso a questo cumulo di dolori, a questo bagno di sangue, Dio vuole purificarci e ricondurci ad una vita migliore. E le stesse sofferenze dei buoni, sopportate con fede e rassegnazione, insieme con quelle del vero grande Innocente, il Salvatore divino, serviranno come espiazione davanti alla giustizia di Dio per propiziare il perdono alla umanità peccatrice. Felici voi, individui e popoli, se attraverso questa espiazione ne vorremo uscire migliorati, più aderenti ai grandi dettami della Fede, ridiventata la nostra ancora di salvezza in mezzo al naufragio della civiltà.
Ma per propiziarci così la divina misericordia, sono necessarie tre cose, che non cessiamo dal raccomandarvi.


PREGHIERA

1. Dobbiamo pregare.
La preghiera è l'atteggiamento di chi si trova nel bisogno, e sa di poter rivolgersi per questo al Padre che è nei cieli; non colla pretesa di chi vanta un diritto e si presenta a riscuotere un credito, ma colla fiducia nella bontà e provvidenza di chi conosce le nostre miserie ed è inclinato a perdonarci le nostre colpe. E' l'invocazione " liberaci dal male " che Cristo stesso ci ha messo sulle labbra nella preghiera insegnata da lui, che, se in primo luogo deve essere intesa del peccato, che è il più grande e vero male nostro, secondariamente si intende anche degli altri mali che ci possono incogliere nelle vicende della vita. Egli stesso, il Salvatore divino, come ci narra il Vangelo, nella sua vita terrena ha accolto le suppliche delle turbe che si affollavano intorno a lui e gli domandavano la guarigione dalle malattie, il conforto nei dolori.
Pregheremo dunque, e pregheremo con perseveranza e fiducia, che il Signore si degni risparmiare a noi, alle nostre città, alle nostre campagne, i mali della guerra. Pregheremo che siano confortati tanti dolori, provveduto a tante necessità. Pregheremo che, mentre gli uomini combattono, egli colla sua azione misteriosa e potente diriga gli avvenimenti ed influisca sugli uomini da cui dipendono le sorti della guerra, perchè questa conduca presto ad una pace giusta e duratura, nella quale siano salvaguardati gli interessi della civiltà, e la Patria nostra, riunita e ricomposta, possa riparare le sue ferite ed avere nel mondo quel posto che spetta al suo popolo laborioso e fecondo, alla sua storia, alle sue tradizioni di maestra di civiltà.
Salga così al cielo la nostra preghiera, per i meriti del Divin Salvatore, per l'intercessione della Vergine Santa e dei Santi nostri Patroni. Ma perchè la nostra preghiera possa essere accetta, facciamo in modo di presentarci al Signore coll'anima monda dal peccato e rivestita della sua grazia. Come potremo pretendere che Dio ci guardi con benevolenza ed accolga le nostre suppliche, se persistiamo ad essere nemici suoi col peccato, e ci mostriamo incuranti della sua santa legge e della sua gloria? Beati noi, se i mali della guerra ci avranno indotto a renderci migliori, e a riprendere una vita cristiana, forse da tempo abbandonata.

PENITENZA

2. Alla preghiera uniamo spirito di penitenza.
E' cosa altamente deplorevole che, mentre tanti soffrono e muoiono, e sono in pericolo le sorti della Patria, vi sia della gente che sembra non pensi ad altro che a divertirsi, sciupando nel lusso e nei bagordi quello che potrebbe meglio servire a rendere meno disagiata la condizione di fratelli nostri che sono nella privazione e nella miseria.
Il richiamo ad una vita più austera viene lanciato spesso anche in nome della economia pubblica della nazione, a cui nuoce il troppo spendere, mentre il risparmio rappresenterebbe per ciascuno un'utile previdenza, e per l'economia pubblica una diminuzione di circolazione, in vantaggio del valore della moneta. Ma valga, per un popolo cristiano, l'invito ad una vita più austera anche e specialmente in nome di un principio più alto. La penitenza rappresenta una espiazione, cioè una riparazione dei peccati coi quali abbiamo offeso la maestà di Dio: riparazione che noi gli rendiamo, o infliggendogli volontariamente una pena, o sopportando docilmente, a modo di pena, una afflizione che ci viene dalle vicende della vita.
C'è tanto bisogno di penitenza, perchè sono innumerevoli le offese che si fanno a Dio. E perchè molti purtroppo a questo non pensano, e invece di far penitenza moltiplicano i peccati, ecco che il cristiano offre in riparazione dei peccati degli altri le sue penitenze, in unione a quelle che ha sopportato per tutti il Divin Redentore, e prega con lui il Signore che, in vista di quelle, risparmi i suoi castighi.
Quante occasioni di penitenza ci offrono le stesse prescrizioni portate dal tempo di guerra, nel cibo e nella difficoltà di soddisfare a tanti nostri bisogni, che in tempi normali sembrano rappresentare altrettante necessità, ma ora ci siamo abituati a lasciare insoddisfatti. Invece di inutili lamenti, invece di tentativi di evadere le prescrizioni che vengono fatte in vista delle comuni necessità, sopportare con pazienza e con spirito di fede quelle privazioni o restrizioni vorrà dire cooperare all'ordine e al bene comune, ed insieme offrire a Dio qualche buona mortificazione, a titolo di salutare espiazione.
Così la penitenza si unirà molto bene alla preghiera, rendendola più accetta al Signore e più efficace ad ottenere la cessazione del castigo.


ADEMPIMENTO DEI PROPRI DOVERI

3. Alla preghiera ed alla penitenza dobbiamo aggiungere l'adempimento fedele dei nostri doveri. Tutti i nostri doveri. Per due motivi: per non aggiungere offese a Dio, perchè in ogni dovere il cristiano vede la volontà di Dio; e per contribuire meglio al bene comune in questo momento di tanta difficoltà.
Quindi, puntualità, ai doveri religiosi, anche se fin qui frequentemente trascurati. Impegno speciale nei doveri familiari: fedeltà, vigilanza, cura ed educazione dei figli, anche a compensare tanti dolori e tanti danni che alla famiglia vengono spesso dalla lontananza o dalla perdita di alcuno dei suoi membri. Esattezza nei doveri di cittadino, per contribuire al buon ordine, alla disciplina, evitando tutto quello che possa rendere più difficile la vita della Patria in un momento già tanto grave; ubbidendo alle autorità costituite e portando loro rispetto, evitando ogni violenza e tutto quello che può inasprire l'odio e la discordia che divide i cittadini della medesima Patria; pronti ad incontrare per amore della Patria qualunque sacrificio.



II

GLI AVVERTIMENTI DELLA FEDE PER IL PROSSIMO DOMANI

LE BASI DELLA RICOSTRUZIONE

Finirà la spaventosa bufera che ancora sconvolge il mondo. Verrà la pace, e come abbiamo detto sopra, noi pregheremo perchè sia una giusta pace, che ristabilisca il mondo su basi migliori, e colla pace la Patria nostra, colla collaborazione volonterosa di tutti i suoi figli ricomposti ad unità, dovrà accingersi a medicare le sue ferite e ad un'opera di ricostruzione.
La ricostruzione sarà laboriosa. Tanti edifici e tanti monumenti della sua civiltà distrutti, tanta ricchezza da rifare. Pregheremo l'Onnipotente che illumini e sostenga gli uomini che dovranno accingersi a dirigere la grande, ponderosa impresa, per il bene di tutti.
Ma alla ricostruzione materiale dovrà aggiungersi, più preziosa e difficile, la ricostruzione spirituale e morale. Bisognerà rifare le coscienze, sbandate da quel paganesimo pratico, che, come abbiamo detto sopra, è andato insinuandosi, spesso sotto una religiosità fattasi troppo superficiale. Bisognerà richiamare i grandi principi, ed a quelli uniformare con maggior diligenza e fedeltà la vita di tutti. E i grandi principi ci verranno ancora dalla fede cristiana, dagli insegnamenti 'del Vangelo.
Questa fede è stata già altre volte la salvezza della civiltà, che appunto per questo si chiama cristiana, in tempi, nei quali sembrava che le sue istituzioni dovessero venir travolte da una ondata di materialismo e di barbarie. A questa fede risale quello che ancora rimane di buono, di elevato, in mezzo ad un conflitto che tutto sembra travolgere, e quelle virtù umili, nascoste, che ancora formano la saldezza e la santità morale di molte famiglie del nostro popolo, sulle quali si basano le migliori speranze per la sorte delle nuove generazioni.

DIO E LA SUA LEGGE

1. La nostra fede ci richiama innanzi tutto ad una grande, fondamentale verità: che le virtù degli individui e l'ordine e la prosperità delle istituzioni pubbliche non hanno possibilità di sussistere e di esercitare la loro influenza benefica, se non si appoggiano su Dio e la sua santa legge.
Solo quando sa di dover ubbidire a un Essere Supremo che è il suo stesso creatore, e creandolo gli ha fissato la via da seguire, via sapiente ed apportatrice di gioia e di bene, e dell'osservanza di questa sua regola gli domanderà conto, ognuno si sente stimolato efficacemente ad osservarla. E solo quando il cittadino vede nelle leggi dello Stato non una disposizione arbitraria, ma una applicazione di una legge superiore, la legge naturale e divina, fonte di ogni diritto e di ogni dovere, insita da Dio nella natura stessa delle cose e da lui voluta per il bene di tutti, egli sentirà di doversi inchinare riverente e sottomettersi volonteroso.
Si è tentato molte volte dai filosofi e dai politici di sottrarre la coscienza e la legge positiva dal fondamento di Dio; e dovendoci pure essere un principio che sia il fondamento della obbligazione e del dovere, hanno voluto sostituirvi la ragione col suo imperativo categorico, la coscienza, la pubblica utilità. Tutte cose buone, ma di cui nessuna presenta quel carattere assoluto di obbligatorietà, davanti al quale l'uomo senta di doversi piegare.
Per questo, se si vorrà ricostruire efficacemente per il bene dei singoli e per il benessere della Nazione, bisognerà che le nuove generazioni siano educate alla conoscenza ed al rispetto di Dio ed alla pratica della religione, e che a Dio ed alla religione mostrino rispetto anche i pubblici poteri.
PUREZZA DI COSTUMI

2. Bisognerà, ci ammonisce ancora la nostra fede, rendere più morigerati i costumi della nostra gente.
La purezza dei costumi è, possiamo dire, il principale coefficiente della dignità personale, ed il fondamento dell'onestà e della stabilità della famiglia, che rende idonea alla sua altissima funzione educativa, sulla quale deve fare assoluto assegnamento la prosperità, come la sanità morale della società civile. La storia sta a dimostrare (a cominciare dalla stessa storia di Roma) che anche nazioni potenti ed altamente benemerite della civiltà hanno trovato il loro declino fatale, quando venne a mancare su larga scala la purezza dei costumi.
Le nostre popolazioni hanno avuto buone tradizioni su questo punto. E questo era il fondamento di altre loro virtù caratteristiche, la laboriosità, la parsimonia, la buona compagine e la buona educazione familiare.
Ma ora la moralità del nostro popolo sembra sbandare paurosamente. Il libertinaggio prende tanta parte della gioventù. Ed alla sfrontatezza della gioventù maschile fa riscontro mancanza di serietà nella gioventù femminile, la quale sembra aver perduto quell'amore al riserbo ed alla modestia, che era il suo principale ornamento e la principale difesa della sua virtù.
Quel grande scrittore, profondamente cristiano ed altamente italiano, che fu Alessandro Manzoni, diede nel suo immortale romanzo una magnifica figura della giovane delle nostre campagne, in Lucia, vero esempio di modestia e di virtù cristiane. Ma i romanzi di cui si compone ora tanta parte della nostra letteratura presentano ben altri tipi di donna e di giovane; e su di essi amano modellarsi tante, che così perdono l'amore alla famiglia, e preferiscono l'avventura, anche se scabrosa, anche se in essa trovano poi la catastrofe. Giovinezze sciupate, e di conseguenza famiglie male assortite, dove la fedeltà, la maternità, l'educazione non sono più l'onore e l'ambizione più bella, ma un peso portato mal volentieri e facilmente tradito.
Di qui gli scandali, le discordie familiari, le nascite illegittime, i delitti contro la maternità.
Che se ne può aspettare per la sanità morale della nostra gente, per la formazione delle nuove generazioni?
E' necessario che si ritorni alle migliori nostre tradizioni; meglio ancora, alla osservanza fedele della legge di Dio. A formare alla purezza la nostra gioventù, è necessaria un'educazione accurata e severa, illuminata dall'esempio di coloro stessi che la devono impartire, cioè i genitori. E intorno all'ambiente familiare ènecessaria una coraggiosa bonifica dell'ambiente esterno, troppo inquinato e scuola di immoralità.
Il costume pubblico, e anche un po' di santo coraggio dei singoli, devono reagire contro la bestemmia e il turpiloquio, dilaganti nei luoghi di pubblico ritrovo, negli stabilimenti, nei convogli affollati. Nei medesimi luoghi, dove tutti devono trovarsi per necessità, non devono essere permessi gesti indecenti, ed il pubblico sano deve abituarsi a reagire, come per un'offesa fatta a sè oltre che alla legge di Dio. Non si deve permettere che il teatro ed il cinematografo diventino per tanti scuola di immoralità. E lo sono, non solo per le nudità, ma anche per la vita che essi presentano, spesso contraria alle buone regole dell'onestà.


SENSO DI GIUSTIZIA

3. E' necessario un maggior senso di giustizia.
Le circostanze anormali in cui ora si vive danno a molti l'occasione di illeciti guadagni. Tipico il fenomeno a cui si è dato il nome di mercato nero. Molti approfittano della scarsità di alcuni prodotti necessari alla vita, ed eludendo le prescrizioni di legge, riescono ad accumularne quantità eccedenti i loro bisogni e a venderle a prezzi esorbitanti. E in questo modo sottraggono quelle merci e, quello che è peggio, generi alimentari di prima necessità, a tanti che ne hanno bisogno, ma non hanno le forti somme richieste.
E pur troppo questo non è il solo caso di ingiusti guadagni. Approfittando dei tempi anormali, molti cercano di guadagnare in tutti i modi possibili, in grandi o in piccole proporzioni, senza più domandarsi se così non eccedano i limiti del lecito ed onesto. Una brutta parola, " arrangiarsi ", sembra riassumere il programma di tutti. Si direbbe che è la stessa coscienza che è venuta meno ed ha rinunciato alla sua funzione di controllo, di fronte alla possibilità di un guadagno.
Ora bisogna che la giustizia riprenda il suo posto, come regolatrice sovrana dei rapporti fra gli uomini. A ciascuno il suo:
non è lecito approfittare di una circostanza favorevole, della propria abilità o del bisogno altrui, per appropriarci quello che non ci appartiene, anche se pensiamo di avere sicura l'impunità.
Anzi, un più completo senso di giustizia sociale sembra esigere qualche cosa di più. In un momento così grave della storia, quando tante cose e istituzioni sembrano crollare, e tutti, uscendo dalla spaventosa catastrofe della guerra, si aspettano qualche cosa di nuovo, di meglio, che ponga la compagine sociale su basi più solide, bisognerà che siano rivedute posizioni nei rapporti fra uomini ed uomini, che finora hanno potuto sussistere in un apparente ordine sociale, ma portando in sè i germi di dissensi e di convulsioni sociali. L'ordine nuovo che dovrà venire dopo la guerra terribile e sanguinosa, dovrà cercare di dare una soluzione più razionale ed umana, più cristiana, alla questione sociale. Non dovranno seguirsi ideologie utopistiche e pericolose, che vorrebbero l'abolizione delle classi sociali ed una eguaglianza assoluta, che la natura contraddice colle molteplici differenze di capacità, di attitudini, di necessità ch'essa ha posto negli esseri umani. E' lecito però auspicare che siano attenuate le differenze economiche e migliorate le condizioni degli umili. Non l'abolizione della proprietà privata, come si vorrebbe da alcuni; ma una condizione di cose che renda possibile una maggiore diffusione della piccola proprietà, considerata come fonte di iniziative, presidio di una onesta dignità e indipendenza economica, in armonia colla dignità propria della persona umana, e coefficiente di una più decorosa e tranquilla vita familiare. Ed insieme, un giusto riconoscimento dei diritti del lavoro: diritto ad una conveniente retribuzione, effettivamente sufficiente al sostentamento del lavoratore e della sua famiglia; col sussidio di quelle provvidenze che gli possano permettere di guardare al suo avvenire con relativa tranquillità, senza lo spauracchio della disoccupazione, della vecchiaia, della miseria.
Tale è la dottrina sociale della Chiesa, ripetutamente esposta in documenti immortali dei Pontefici Leone XIII, Pio XI, Pio XII: dottrina che non promette agli uomini un paradiso in terra colla esclusione di ogni sofferenza, ma, in nome della uguaglianza sostanziale degli uomini davanti a Dio, e della evidente destinazione dei beni materiali della terra al conveniente sostentamento di tutti, cerca di attenuare le troppo grandi differenze, rendendo migliori le condizioni delle classi più umili.
Questa attuazione di una maggiore giustizia sociale, che governi più illuminati hanno già in parte cercato di attuare, sarà il problema a cui dovranno tendere le riforme attuate dai pubblici poteri, che per altro la dottrina cristiana ammonisce a non pretendere l'impossibile e a non violare i diritti di nessuno. Ma dovrà incontrare anche la comprensione di tutti quelli che si ispirano alla dottrina della nostra fede, pronti per questo ad affrontare volonterosamente qualche riduzione delle proprie ricchezze per venire incontro ai fratelli che si trovano in condizioni inferiori.

MAGGIOR SENSO DI CARITA'

4. E' necessario anche, e soprattutto, un maggior senso di carità.
La carità non è un complesso di regole che rientrino nei codici umani, colle relative sanzioni del codice penale. Essa entra però nel gran codice divino del Vangelo di Cristo, di cui forma il distintivo ed il più bell'ornamento. Cristo l'ha chiamata il suo precetto, ha voluto che fosse il distintivo dei suoi seguaci. E perchè quasi non vi fosse un limite all'esercizio di essa fra gli uomini, ha dato come modello e misura nell'esercizio della carità l'amore che egli stesso ci ha portato.
Ma il mondo, come nella sua apostasia, troppo spesso effettiva se non ufficiale, dal Vangelo, ha passato sopra a tanti altri precetti del codice divino, così ignora quello della carità, O riduce la carità alla beneficenza burocratizzata, diventata una funzione di Stato, la pubblica assistenza.
La carità di Cristo è ben altra cosa. E' amore verso i nostri simili, che rientra nell'amore stesso di Dio, perchè i nostri simili sono sue creature ed immagini, per quanto imperfette e spesso cattive, e perchè è Dio che ci comanda di amarli. E questo amore ci porta a volere il loro bene come il nostro, e a soccorrerli in ogni bisogno.
La carità va al di là della giustizia. Questa ci fa dare a ciascuno il suo, ci fa rispettare i diritti di ognuno. La carità presuppone tutto questo, ma poi, al di là e al di fuori di ogni diritto, osserva dove c'è un bisogno, e vi provvede secondo le sue possibilità. Così essa colma le lacune lasciate dalla stessa giustizia. Di più, essa stabilisce fra gli uomini un rapporto di amicizia, che sa comprendere e confortare le sventure degli altri, compatire i difetti, perdonare le offese.
Questo è ben di più della semplice beneficenza organizzata, anche, se volete, con potenza di mezzi. Essa elimina la distanza, avvicina gli animi.
E' questa carità che pur troppo manca, anche se si possono enumerare molte istituzioni di beneficenza e funzioni pubbliche di assistenza. La guerra, condotta spietatamente, senza limiti di offesa, colle sue distruzioni e le sue morti, ha creato una infinità di dolori e di bisogni. Ed ha insieme strappato dall'animo di molti ogni sentimento di amore. Si è seminato su larga scala l'odio. Odio contro il nemico, con propositi di mutua distruzione. Odio anche fra i concittadini, specialmente in questa Italia nostra, che alle sue disavventure dolorose ha visto aggiungersi la guerra civile di Italiani contro Italiani. Odio, violenza, desiderio di vendetta, ecco il triste retaggio, che minaccia di prolungarsi anche quando la guerra sarà finita e ristabilita la pace.
Ma non deve essere così. Guai se così fosse! La guerra ha seminato una quantità di dolori e di bisogni. La nostra carità deve aumentare in proporzione.
Al dolore dei nostri fratelli daremo la compassione sincera, affettuosa, di un cuore che sa comprendere, confortare, suggerire le grandi consolazioni della fede.
Di fronte ai loro bisogni, la nostra carità diventerà attiva, generosa, spezzerà il proprio pane per farne parte al fratello, si farà sua compagna e guida per trovargli aiuto.
Di fronte ad ogni manifestazione di odio, specialmente fra i concittadini, faremo opera di pacificazione, di comprensione, nel rispetto vicendevole, nella considerazione della Patria comune, che ha bisogno dell'opera concorde di tutti i suoi figli, anche al di sopra delle eventuali divergenze di vedute.

* * * * * * *

Ecco, o figli dilettissimi, alcuni pensieri, fecondi di propositi generosi, che la nostra fede ci suggerisce per il tempo di guerra, e per il prossimo futuro, quando la guerra sarà finita e verrà il tempo della ricostruzione.
La Quaresima e la Pasqua che si avvicina sono un tempo propizio per meditarli. La Pasqua soprattutto, mediante la partecipazione al Sacramento della riconciliazione e a quello augustissimo del Corpo e del Sangue del Salvatore, fatto cibo delle anime nostre e sacro vincolo di unità di tutti i redenti, ravvivi negli animi nostri propositi generosi di vita cristiana, a vantaggio nostro e della Patria diletta.
Il Signore benedetto, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, ci benedica tutti e ci conceda la sua pace.

Brescia, 4 febbraio 1945.

 

 

 

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