Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

La preghiera (1944)

 

 

 

 

 

La Santa Quaresima ci trova per la quarta volta in guerra, con tutti i disagi e le conseguenze che sono proprie dello stato di guerra. Anzi, le condizioni della Patria nostra si sono aggravate quest'anno per gli avvenimenti dolorosi che tutti ricordiamo. Vi potrei ripetere le raccomandazioni già fattevi altre volte, perchè tutti sappiamo compiere il duro dovere, di disciplina, di sacrificio, di concordia, preparando quelle condizioni morali di vita cristiana, che sole ci permetteranno di ricostruire per noi e per la Patria nostra un avvenire meno grave, degno della nostra qualità di cristiani e di italiani. Questi sono stati gli argomenti delle mie lettere nelle passate quaresime e dei frequenti appelli che ho avuto occasione di rivolgervi durante l'anno, quando le circostanze lo esigevano.
Ora ho pensato di parlarvi della preghiera, il gran mezzo che il Signore ci ha insegnato, per avere da Lui quello che le sole nostre forze non riescono ad ottenere.
Quante volte ci siamo sentiti invitati alla preghiera! Ce ne ha fatto invito ripetuto e pressante il Santo Padre nei suoi frequenti messaggi e in lettere sempre piene di tanta fede e di paterna sollecitudine. A lui hanno fatto eco i Vescovi e i sacerdoti, richiamandoci alla grande parola di Cristo: " Oportet sem per orare et non deficere (Luc. 18, 1): bisogna pregar sempre senza stancarsi mai.
Ma la nostra preghiera deve essere fatta bene, come la vuole il Signore. Così potrà davvero essere il mezzo potente per ottenere la sua misericordia; il grido: " Domine, salva nos, perimus (Matt., 8, 25): Salvaci, o Signore, che siam perduti ", che ottenga anche a noi, come già agli Apostoli sul lago di Tiberiade, l'intervento del Signore a liberarci dai pericoli gravissimi che ci incombono. E potrà insieme esercitare una salutare influenza sul nostro spirito, disponendolo a superare cristianamente la grande prova.


DUE ASPETTI DELLA PREGHIERA

Che cosa è la preghiera, come ce l'ha insegnata Nostro Signore nel Vangelo, e come è nella pratica della Chiesa?
La preghiera è una domanda che noi facciamo a Dio, per chiedergli qualche cosa che rientra nei nostri bisogni e nei nostri desideri. Ma non è soltanto questo. La preghiera è anche, anzi e prima di tutto una elevazione della nostra anima a Dio, fatta per compiere un nostro dovere verso di Lui, ed insieme per rinvigorire il nostro spirito, orientandolo ad una visione superiore delle cose, ispirata alle verità della fede.
E' sotto questi due aspetti che noi la dobbiamo considerare e praticare, perchè essa abbia tutta la sua grandezza ed efficacia, quella efficacia che Dio le ha assicurato, facendone un mezzo potente per la nostra salvezza. E' quello che molte volte non si fa, ed è appunto per questo che spesso la nostra preghiera riesce meno gradita al Signore, e meno efficace a nostro riguardo.

I

ELEVAZIONE DELL'ANIMA A DIO

La preghiera, ho detto, è in primo luogo elevazione dell'anima a Dio; cioè della nostra intelligenza, della nostra volontà, del nostro cuore.
Non è dunque preghiera il pronunciare meccanicamente delle parole,, se volete anche, molte parole, ma solo colle labbra, che seguono inconsciamente quello che la memoria ha appreso, o che un libro suggerisce, mentre la mente è lontana ed attende a tutt'altre cose; e non avverte il senso di quello che il labbro dice. A queste preghiere soltanto estèriori si può applicare il rimprovero fatto dal Signore al suo popolo: " Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me " (Matt., 15, 8).
La preghiera deve quindi essere anzitutto una elevazione dell'anima, anche se a questa si aggiunge, come è naturale per l'intimo rapporto fra il pensiero e la parola, il suono del labbro. E l'anima si eleva a Dio, sottraendosi quasi per qualche momento alla considerazione delle cose sensibili che ci circondano, e che occupano ordinariamente la nostra attenzione. O anche, la preghiera può prendere inizio dalla stessa visione delle cose sensibili, se di quelle usiamo, come un mezzo, una scala per salire a Dio che le ha create ed ha lasciato in esse un vestigio della sua esistenza e delle sue perfezioni. E' quello che faceva S. Francesco d'Assisi, il quale non trovava necessario, per contemplare il Signore, ritirarsi dal mondo, perchè tutte le creature, come i fiori, le erbe del campo, gli uccelli, i pesci, il sole, l'acqua, gli servivano per innalzarsi a Dio; ed anzi egli le chiamava in aiuto, perchè insieme colla sua anima semplice ed ardente lodassero il Signore.
E che cosa fa la nostra anima quando così s'innalza a Dio? Lo contempla, rappresentandoselo, per quanto le è possibile, nella sua mente. E non pensiamo che questa sia una cosa difficile, riservata alle intelligenze dotte, o consumate nello studio o nella meditazione. No: anzi Gesù ci ha insegnato che Dio si rivela alle anime semplici, dei piccoli che lo cercano e lo amano, spesso a preferenza di coloro che non lo cercano e non seguono che se stessi e i propri gusti: " Abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis " (Matt., 11,25, Luc., 10, 21).
Dio ci si presenta come l'essere perfettissimo, che s'innalza al di là di ogni limite sopra le imperfezioni, le miserie, le cattiverie che vediamo nel mondo.
Egli è il creatore di tutte le cose, che da lui hanno avuto l'essere e da lui ne hanno la conservazione.
Egli è il legislatore, che a tutti gli esseri ha segnato la via da seguire, ed in modo speciale alla creatura ragionevole, a cui ha fatto conoscere la sua legge, sapientissima, santa, misura di ogni bontà nelle creature che liberamente la osservano, e fonte di prosperità nei popoli che ne seguono le direttive.
Egli è anche il giudice, a cui tutti renderanno conto della propria vita e delle proprie azioni, esclusa ogni possibilità di inganno e di evasione, e ne avranno infallibilmente la ricompensa od il castigo.
E soprattutto, Gesù nel suo messaggio evangelico ci ha insegnato che Dio è Padre di tutti, Padre buono, che circonda noi suoi figli di una provvidenza sollecita ed amorosa, colla quale ci viene incontro nei nostri bisogni e nelle nostre aspirazioni. Gesù ce lo descrive nel Vangelo in modo commovente: " Osservate gli uccelli dell'aria, che non seminano, non mietono e non raccolgono nei granai: eppure il Padre vostro celeste li nutre. Ora, non siete voi molto di più di essi? " (Matt., 6,26). E ce lo mostra padre buono anche verso il peccatore, pronto a riceverlo ed abbracciano anche dopo la colpa, se ritorna pentito; anzi, pronto ad andargli incontro e cercarlo come una pecorella smarrita per riportarla all'ovile.
E questa provvidenza paterna ed amorosa si manifesta, al di sopra di ogni idea che noi potessimo farcene, nell'opera della elevazione all'ordine soprannaturale e della redenzione dopo la caduta, redenzione che ci ha ridonato la possibilità della salvezza e della vita eterna.


ADORAZIONE, RINGRAZIAMENTO, PENTIMENTO

Questo è Dio, come ci si presenta quando noi innalziamo la nostra mente a lui, alla luce della fede.
Ora, davanti a lui la nostra anima non può rimanere indifferente. Dapprima, di fronte a tanta grandezza, le viene naturale l'adorazione, che è appunto il riconoscimento della grandezza infinita di Dio e della nostra infinita piccolezza in confronto altri. E coll'adorazione la lode, che potrà prendere gli accenti ispirati dei Salmi o degli inni della liturgia, o potrà contenersi in un muto atteggiamento di ammirazione.
Poi l'anima sente tutta la grandezza dei benefici che ha ricevuto e riceve continuamente, ed esprime quel sentimento cosi naturale ed umano, quantunque troppo spesso trascurato, che è la riconoscenza.
A cui si aggiunge, di fronte alla coscienza dei peccati commessi, che sono offesa della Maestà infinita di Dio, il pentimento e la riparazione. Ed un analogo sentimento di riparazione si estende anche al ricordo delle ingiuriose dimenticanze e delle offese di cui Dio è oggetto da parte di tante altre creature, non meno colpevoli di noi.
Ecco che cosa è, cosa deve essere innanzi tutto la preghiera, questa elevazione della nostra anima a Dio. Le anime generose, che vivono intensamente la loro fede, vi si abbandonano facilmente, vorrei dire spontaneamente, facendo eco alle adorazioni ed alle lodi che rendono a Dio, contemplato in tutta la sua chiarezza ed il suo splendore, gli Angeli ed i Santi del cielo.
Ma tutti dobbiamo sentirla come un dovere, almeno come ce lo consente la nostra imperfezione e miseria. Dio gradirà il nostro omaggio filiale, e possiamo pensare che così egli sarà più disposto ad accogliere ed esaudire la nostra preghiera, anche quando passerà ad esporgli i nostri bisogni, chiedendogli di venirci in aiuto.


VISIONE SUPERIORE DELLE COSE

Ma c'è un altro vantaggio, tutto nostro, della preghiera fatta cosi. Quando ci saremo abituati a intrattenerci con Dio al lume della fede, sapremo considerare a quel medesimo lume anche le cose del mondo, gli avvenimenti della vita, colle tribolazioni e i dolori che ci affliggono, e che alle anime mondane, prive di questa luce, strappano tante volte il lamento e la bestemmia. E pensando a Dio creatore e signore dell'Universo, alla sua Provvidenza che ci ha circondato da tante cure, alla bontà con cui tante volte ci ha perdonato e ci prepara un Paradiso, vedremo tutto il torto che il mondo gli fa dimenticandolo ed offendendolo, e vedremo più facilmente i disegni della Provvidenza, che anche attraverso le tribolazioni ed i mali causati dagli uomini vuol chiamarci a vivere un po' la vita dello spirito, pensando alla vita eterna, e meritandocela colla rassegnazione e coll'esercizio della carità verso i fratelli che soffrono con noi.
Allora la nostra mente vedrà più chiaro nelle vicende umane, e non ci scandalizzeremo delle sofferenze e delle tribolazioni. Il nostro animo ritroverà la pace, e noi ci rialzeremo dalla preghiera fatta così, confortati e rinfrancati, per riprendere e continuare animosamente le nostra vita e il nostro dovere.


II

PREGHIERA DI DOMANDA

Se la preghiera è principalmente elevazione della nostra anima a Dio, in atto di omaggio riverente, essa è anche una domanda filiale e fiduciosa che noi facciamo a Dio, di quello che può essere utile o necessario per noi e per le persone od opere che ci sono care. "Domandate, ci dice il Maestro Divino, e vi sarà dato "(Matt., 7,7).
La preghiera così intesa ha un posto speciale nei disegni della Provvidenza divina, e mentre è utile a noi, torna anch'essa di onore a Dio.
Egli è la causa prima di tutte le cose, e tutte le conserva. Egli si prende cura in modo speciale della creatura ragionevole, l'uomo; in lui ha stampato un'impronta più bella della sua perfezione, da lui si aspetta la sua gloria estrinseca. In quest'opera della sua Provvidenza, Dio non ha certo bisogno della nostra preghiera per conoscere quello che ci può essere utile, nè delle nostre suppliche per decidersi a venirci in aiuto. Ma egli gradisce il nostro ricorso filiale, ed ha stabilito di tenerne conto nella distribuzione dei suoi favori. Cosicchè si può dire che, di via ordinaria, la preghiera è il gran mezzo per ottenere gli aiuti di Dio, sia materiali che spirituali.


LE PROMESSE EVANGELICHE

Ce ne assicura Gesù nel Vangelo: " Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Perchè chiunque chiede riceve; chi cerca, trova, e a chi picchia sarà aperto " (Matt., 7, 7-8). E per mettere la cosa in evidenza, prende la similitudine di un padre di fronte alla domanda di un suo figliuolo. " E chi è mai tra voi che, quando il figlio suo gli chiede del pane, gli dia un sasso? o richiesto di un pesce, gli dia una serpe? Ora se voi, pur essendo cattivi, sapete dare buone cose ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano? " (Ivi, 9-11).
Non poteva il Salvatore esporre in modo più evidente e sicuro l'importanza e l'efficacia della preghiera per ottenere i favori di Dio. E dopo d'averci insegnato questo, egli stesso ha voluto darcene la prova, assecondando le insistenze di coloro che venivano a pregarlo, fino a compiere per questo dei miracoli. Così avvenne per la guarigione del figlio del centurione per le suppliche del padre suo, della figlia della Cananea, del cieco di Gerico, dei dieci lebbrosi, del paralitico e di tanti altri casi che il Vangelo ci racconta anche nei particolari.
Per avvalorare poi le sue raccomandazioni e renderci più facile l'esercizio della preghiera ha voluto egli stesso insegnarci a pregare, dandoci quella preziosa preghiera, che appunto perchè insegnata da lui, diciamo domenicale.
Che soave conforto nei nostri bisogni in mezzo alle molteplici tribolazioni della vita, è il sapere che disponiamo di un mezzo così potente per attirare su di noi la benevolenza e la misericordia del Signore! E che deplorevole noncuranza del nostro bene sarebbe la nostra, se, in possesso di un mezzo così potente ed insieme così facile, noi non ne usassimo al tempo opportuno, e il nostro labbro restasse muto davanti al Padre celeste, al benefattore divino!


LE OBBIEZIONI

Ma qui viene spontanea una obbiezione. Come si può affermare l'efficacia della preghiera, se molte volte avviene che le nostre preghiere, che forse ci avevano fatto concepire tante speranze, rimangono non esaudite? Quante volte in questi anni di guerra ci siamo rivolti al Signore colle nostre preghiere, e lo stesso hanno fatto tanti altri, e lo ha fatto il Papa, Vicario di Cristo, invitando tutti i fedeli del mondo ad unirsi a lui in quest'opera santa. Eppure la guerra ha continuato, e non se ne vede la fine. Ed ha seminato tanti lutti nelle famiglie e tante distruzioni.
Il fatto è vero, e pur troppo esso è motivo di scandalo per molti, che ne riportano mancanza di fiducia, e sono scossi nella fede.
Ma la stessa fede ci dà la spiegazione della apparente dolorosa contraddizione fra le promesse contenute nel Vangelo e la realtà della vita.
Sta l'efficacia della preghiera, come l'ha affermata il Vangelo. Se molte volte avviene che invece la nostra preghiera rimanga non esaudita, è perchè non preghiamo bene, cioè la nostra preghiera manca di qualche condizione necessaria.
In primo luogo può accadere che quello che noi domandiamo, e forma l'oggetto dei nostri desideri, agli occhi di Dio, che vede meglio di noi, risulti non essere un vero bene, specialmente in ordine alla salvezza dell'anima, che è il vero e massimo nostro bene. In tal caso, quando in Paradiso potremo tutto vedere nei disegni della Provvidenza, saremo grati alla paterna bontà di Dio, che, per il nostro vero bene, non ha soddisfatto il nostro desiderio; come un padre, che non dà in mano al suo bambino, anche a costo di lasciarlo piangere, un arma pericolosa, di cui potrebbe usare a suo danno. Quante volte, riflettendo, vediamo noi stessi che la prosperità, le ricchezze, la fortuna, sono state per alcuno la vera occasione della perdita dell'anima!
Più spesso accade che Dio non concede quello che noi gli domandiamo, perchè la nostra condotta non lo merita. Forse, mentre noi recitiamo una preghiera, o ci inchiniamo davanti a un altare per chiedere a Dio che benedica e prosperi qualche nostra intrapresa, la nostra anima - è in disgrazia di Dio, perchè ha peccato gravemente contro la sua legge, e non se ne dà pensiero, anzi intende continuare nel suo triste stato, aggiungendo peccati a peccati. E potremo pretendere che, in questo stato di cose, Dio accolga la nostra domanda? Non è già una grande sua misericordia che egli non ci castighi subito come meritiamo, colla eterna dannazione, e ci conceda ancora un po' di tempo per pensare ai casi nostri? E non è anzi, in quelle circostanze, la stessa sventura da cui vorremmo essere liberati, una grazia del Signore, che ci chiama a pensieri di fede e a penitenza?
Miei cari, ecco perchè gli inviti che ripetutamente ci vengono fatti dai Pastori della Chiesa, - quelli che anch'io vi ho molte volte ripetuto -, alla preghiera, perchè il Signore ponga fine alle presenti calamità e faccia tornare la pace, sono sempre congiunti con un invito pressante ad una vita più buona, più onesta, più cristiana. E' così che potremo sperare che il Signore accolga le nostre preghiere.
Pur troppo però, se non mancano anime buone e generose, che accompagnano il fervore della pietà con una vita buona, non si. può dire che in generale il pubblico costume abbia migliorato da quel tenore di vita materialistico, pagano, che fu tante volte denunciato. Il piacere a tutti i costi, anche contro i dettami dell'onestà e della purezza, che sono la salvaguardia della sanità morale della giovinezza e della famiglia; il guadagno senza limiti, speculando spesso sulle strettezze e sul bisogno, acuito dalle condizioni della guerra; la violenza, spinta fino alla vendetta ed al sangue; la bestemmia del nome santo di Dio; la profanazione del giorno festivo, sembrano continuare, come e più di prima, anche sotto il flagello della tribolazione. Avremo, con questo, diritto di lamentarci, se Dio non interviene a sospendere i mali che ci affliggono? Non dovremmo temere invece che Dio permetta alle cause seconde, che in questo caso sono le male volontà degli uomini, di continuare nella loro opera devastatrice?
Oh! se tutti ricorressimo assiduamente e bene alla preghiera come il Salvatore ce l'ha raccomandata nel Vangelo, con fiducia nella bontà del Signore, ed insieme con un generoso sforzo di vita buona, degna della nostra qualità di cristiani e di figli di Dio la preghiera stessa ci renderebbe migliori ed insieme ci otterrebbe la misericordia di Dio a sollievo dei mali che ci affliggono, a salvezza della Patria diletta che si trova in un momento così grave, e del mondo intero che ha bisogno di pace.
Raccogliamo l'invito, in questa santa Quaresima, tempo di maggior preghiera e penitenza. Voglia il cielo che essa ci prepari ad una Pasqua veramente di risurrezione e di pace.
Vi benedico nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Brescia, 20 febbraio 1944.

 

 

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