Lettere pastorali di mons. Giacinto Tredici, vescovo di Brescia dal 1934 al 1964

 

 

Dopo la visita pastorale (1940)

 

 

Rivolgendovi anche quest'anno, come di consueto, la nostra parola per la santa Quaresima, ci pare che l'argomento ci si presenti, vorremmo dire, obbligato. Coll'aiuto di Dio, abbiamo ormai condotto a termine la Sacra Visita Pastorale a tutte le parrocchie della nostra Diocesi. Dopo un tale fatto, che rappresenta per il Vescovo il compimento di uno dei suoi principali doveri, e che l'ha messo a contatto con tutti i figli che il Signore gli ha affidato, il Vescovo sente di avere qualche cosa da dire. E i fedeli, che già hanno sentito la sua parola, i suoi ammonimenti, le sue esortazioni nel giorno solenne della Visita, sentiranno volentieri ancora una sua parola, detta a modo di conclusione, a tutti insieme.
Non potremo dimenticare mai questo pellegrinaggio attraverso le parrocchie, che ha formato tanta parte delle nostra vita fra voi per cinque anni. Vedere di presenza tutti i fedeli sparsi nella vasta diocesi, nella città, sui monti, nelle valli, lungo le sponde dei nostri laghi, nella pianura ubertosa; assistere alle manifestazioni della loro vita religiosa, vedere la chiesa ove abitualmente si radunano; informarsi direttamente del modo con cui la vita parrocchiale si svolge, delle loro condizioni familiari, delle loro buone qualità ed eventualmente dei difetti; passare con essi una intera giornata, in stretta intimità di idee e sentimenti, di pratiche di pietà, di funzioni sacre, di sacra predicazione: ecco che cosa è la visita pastorale. E in questo modo il Vescovo si forma direttamente una idea più completa della vita religiosa dei suoi fedeli, delle condizioni in cui si svolge, dei suoi bisogni.
E che dire di voi, venerabili confratelli, sacerdoti e parroci? Abbiamo goduto per una giornata la vostra ospitalità, deferente e cordiale, e vissuto la vostra vita. Abbiamo constatato, spesso, le strettezze delle vostre condizioni, vicine a quelle, pur esse disagiate, delle vostre popolazioni. Abbiamo visto i vostri sforzi per approfittare di tutte le possibilità per venire incontro ai loro bisogni e guidarle sulla via del dovere cristiano, colla predicazione della parola di Dio, coll'organizzazione e l'insegnamento del catechismo, coll'amministrazione dei sacramenti. Abbiamo conosciuto nelle vostre relazioni e nei lunghi colloqui le condizioni delle vostre parrocchie, coi loro bisogni, coi risultati ottenuti. Abbiamo visto le vostre necessità, condivise le vostre gioie, le vostre preoccupazioni.
Il Vescovo ricorda. E mentre vi ripete anche qui il suo affettuoso ringraziamento per la vostra ospitalità cordiale, che qualche volta vi costava sacrifici non lievi, vi assicura che vi ha tutti presenti, a uno a uno, là sul vostro posto di lavoro, e che ha innalzato e innalza per tutti la sua preghiera al Signore, perchè vi aiuti, vi conforti, assecondi le iniziative del vostro zelo, alle quali è lieto di aver partecipato e d'aver dato, quando era il caso, le direttive che in Domino ha creduto più opportune, in base anche alla esperienza, a lui nota, di altre situazioni analoghe alle vostre.
E con voi, noi ringraziamo anche le vostre popolazioni, per l'accoglienza buona, rispettosa, affettuosa, che hanno fatto al Vescovo durante la Visita Pastorale, tutte, lo possiamo dire, le oltre 400 parrocchie, pur colle caratteristiche delle diverse regioni e dei diversi paesi. Ricordiamo l'omaggio riverente delle autorità locali. Ricordiamo le processioni divote per accogliere il Vescovo secondo il rito della Santa Chiesa, la partecipazione numerosa ai Santi Sacramenti, l'attenzione alla parola di Dio predicata ripetutamente, nella funzione d'ingresso, alla Messa della Comunione generale, alla Messa solenne, e soprattutto nella funzione di chiusa, nella quale tutti ascoltavano con visibile comunione di spirito i ricordi e le raccomandazioni fatte per il loro bene. Ricordiamo il commiato, fatto sempre con tanta sincerità e dimostrazione di affettuosa riverenza.
Di tutto questo rendiamo lode a Dio, da cui viene ogni cosa buona, ed a cui, nella persona del suo inviato, erano così visibilmente indirizzate, come le funzioni del rituale liturgico, così anche i sentimenti di devozione delle nostre buone popolazioni.
Ma, se abbiamo voluto ricordare i momenti passati con voi nei giorni della santa Visita, non l'abbiamo fatto soltanto coll'animo di chi ricorda cose gradite e ne rende i dovuti ringraziamenti. Noi vogliamo approfittarne, per fare alcune constatazioni, ed aggiungere alcune riflessioni, che voi riceverete col medesimo spirito di docilità che vi ha accompagnato nelle accoglienze che avete fatto al Vescovo in quei giorni. Così, lo speriamo, col ricordo della Visita Pastorale, ne saranno in certo modo rinnovati gli effetti.

LA FEDE DELLE NOSTRE POPOLAZIONI

E dapprima, ci è sembrato di poter constatare che nelle nostre popolazioni è ancora ben radicata la fede: in diverso grado nelle diverse zone della Diocesi e nei singoli paesi, ma possiamo dire, dappertutto. Anche là dove la propaganda sovversiva, negli anni critici che tutti ricordiamo, aveva portato la sua devastazione spirituale, col passare della crisi violenta, tornata la calma ed un clima migliore, generalmente le nostre popolazioni hanno ripresa la pratica della vita cristiana. Segno che la fede bene radicata aveva resistito all'insidia presentatasi sotto l'apparenza di un effimero miglioramento economico.
Ed avviene qualche volta che la fede delle nostre popolazioni si manifesti anche lontano, nelle terre ove esse si vedono costrette a recarsi in cerca di lavoro e di pane. Abbiamo avuto la soddisfazione di constatarlo nello scorso dicembre, quando, invitati da quel reverendo Parroco, ci recammo, per la festa di
8. Barbara, ad Arsia nell'Istria, dove il grandioso sviluppo delle miniere di carbone ha chiamato molti operai minatori. Vi è colà, fra migliaia di altri, anche un buon numero di lavoratori bresciani, parecchi con le proprie famiglie. E lo zelante parroco, che si adopera, in mezzo a tante difficoltà, alla cura spirituale di quel mondo operaio là convenuto da tante parti, ci diceva che le famiglie bresciane erano fra eh elementi migliori della sua nuova e singolare parrocchia: più istruiti ed assidui al catechismo i fanciulli, più fedeli tutti alle pratiche cristiane. Cose che noi ascoltammo, come potete pensare, con tanto piacere, e potemmo confermare personalmente, visitando nelle loro casette alcune di quelle famiglie, ricevuti con tanta festosa accoglienza.
Dobbiamo aggiungere però che purtroppo non è sempre così, specialmente quando l'ambiente dove i nostri figli lontani vengono a trovarsi è viziato, e l'assistenza religiosa è insufficiente. Ricordiamo che uno dei cappellani missionari, bresciano anch'esso, addetto alla emigrazione italiana in una regione della Francia, ci riferiva qualche anno fa, che delle parecchie famiglie bresciane della sua giurisdizione, solo alcune facevano discretamente onore alla loro patria ed alla loro fede, mentre altre purtroppo avevano abbandonato ogni pratica di vita cristiana, e qualche volta anche ogni onestà di vita.
Come, del resto, abbiamo dovuto constatare che anche nelle nostre buone parrocchie, non escluse quelle di campagna e di montagna, non manca mai, si può dire, un certo numero di persone, che fanno una triste eccezione alle buone tradizioni di fede: non più, se volete, come una volta, animate dallo spirito ostile ed anticlericale, ma assenti da ogni pratica cristiana. Frutto, questo, della seminagione di indifferenza religiosa fatta a suo tempo dal liberalismo prima, dal socialismo poi.
Dolorose constatazioni, queste, che però non distruggono il fatto che abbiamo sopra accennato, che cioè la maggioranza delle nostre masse popolari si dimostra attaccata abbastanza tenacemente alla fede ed alla pratica di essa.
A che cosa attribuiremo questo fatto consolante? Senza dubbio, a un dono di Dio, che ha vegliato su di noi e sulle nostre famiglie: dono di cui gli saremo grati, tanto più se lo confrontiamo colle devastazioni avvenute altrove. Ma aggiungiamo pure, anche alle buone tradizioni familiari della nostra gente, che si sono tramandate, di generazione in generazione, l'attaccamento alla religione come un prezioso patrimonio, alimentato dalla assiduità alla parola di Dio, e specialmente al catechismo domenicale: parola di Dio e catechismo, curato con diligenza attraverso i secoli dai Pastori della nostra Chiesa Bresciana e, sotto la loro guida, dal clero delle nostre parrocchie. Non sarà mai ricordata per questo con soverchia riconoscenza l'opera di S. Carlo e del suo amico sulla sede bresciana, Mons. Domenico Bollani, e di tanti oscuri operai della Dottrina cristiana, i cui nomi qualche volta affiorano sui registri parrocchiali della dottrina, conservatisi attraverso i secoli negli archivi parrocchiali, e che abbiamo qualche volta esaminato con intima, profonda riverenza.

UN PROBLEMA E UN DOVERE URGENTE

Detto questo, permettete però, venerandi confratelli sacerdoti, che poniamo al vostro zelo, come già l'abbiamo posto a noi stessi, questo problema: questa aderenza, per grazia di Dio così diffusa, delle nostre popolazioni alle pratiche religiose, non potrebbe essere, qualche volta, appunto una semplice tradizione di famiglia, di paese, più che l'intima cosciente convinzione di un dovere veduto e sentito? Cristiani, cioè, perchè si è bresciani e lo sono tutti gli altri bresciani, perchè della tale famiglia che è sempre stata praticante, del tal paese che è sempre stato noto per lo splendore delle sue feste religiose e, se volete, anche per la frequenza alla dottrina e ai Sacramenti: facili quindi a raffreddarsi nella fede e ad abbandonarne la pratica, quando cessassero i vincoli di famiglia, o si fosse lontani dalle abitudini tradizionali del proprio paese, della propria montagna, della propria valle?
Qualche volta il sospetto viene, come un dubbio preoccupante, a turbare la nostra mente, quando si è costretti a constatare, che basta per taluni l'inurbarsi, o frequentare uno stabilimento dove si devono avvicinare elementi eterogenei, per perdere l'integrità della fede imparata in famiglia, e poi disertare a poco a poco la chiesa e i doveri cristiani.
Lungi da noi il pensiero che così si debba pensare di tutte le nostre buone popolazioni. Ma pure il problema si pone, insistente, come di un pericolo che ci potrebbe sovrastare. E tanto più, se si osservano certi aspetti della vita moderna, che possono essere, da questo punto di vista, pericolosi. Dapprima, la facilità moltiplicatasi di trovarsi, per motivi di lavoro e di studio, in altri ambienti, affatto diversi da quello tradizionale della propria famiglia e del proprio paese. S'aggiunga la tendenza, da parte di molti, ad una religiosità ridotta a forme esteriori, convenzionali, di parata, congiunta facilmente con la trascuranza dei doveri religiosi più fondamentali. Ed ancora, la mancata santificazione, da parte di molti, della festa, sovraccarica di manifestazioni sportive d'ogni genere, e vuotata del senso cristiano del giorno del Signore, dedicato al compimento dei più gravi doveri verso Dio ed alla cultura religiosa del proprio spirito mediante la frequenza alla parola di Dio e specialmente alla spiegazione catechistica.
La conseguenza di questa riflessione, o venerandi sacerdoti e buoni fedeli, è evidente. Ringraziamo Dio che ha conservato nella grande maggioranza delle nostre popolazioni il dono della fede. Ma badiamo di fare in modo che questa sia, non solo un abito esteriore trasmessoci dalla tradizione e dalla consuetudine, ma una fede vera, cosciente ed illuminata, pronta a resistere a tutte le crisi e a far sentire le sue applicazioni a tutte le manifestazioni della vita, una vita profondamente cristiana. Per questo non sarà mai abbastanza raccomandata una abbondante e profonda cultura religiosa, per mezzo di tutte le forme che le consuetudini tradizionali mettono a nostra disposizione, integrate da quelle altre forme, che vengono suggerite dai tempi nuovi.
La forma tradizionale di insegnamento religioso consiste principalmente nel catechismo dei fanciulli, e nella spiegazione domenicale della dottrina cristiana agli adulti. Tutti ricordate come questa sia stata una delle raccomandazioni principali che abbiamo fatte in tutte le parrocchie. E la ripetiamo qui, coll'augurio che le due magnifiche istituzioni abbiano sempre a formare i principali oggetti delle vostre sollecitudini di sacerdoti e di parroci, e impegno serio profondamente sentito dei fedeli; i quali devono sentire in coscienza di non potersi chiamare buoni cristiani se non vi partecipano personalmente, e non prestano la loro collaborazione perchè le nostre parrocchie conservino questa pratica preziosa, a cui è dovuta in gran parte la conservazione della fede che ha distinto fin qui le nostre popolazioni.
Le altre forme di cultura religiosa suggerite dai tempi nuovi, sono: l'istruzione religiosa impartita nelle scuole, ai reparti della Gioventù Italiana del Littorio, nelle Associazioni di Azione Cattolica, nelle settimane o giornate di cultura religiosa, che tante volte vediamo attirare un pubblico numeroso e distinto.
Dio benedica tutto quello che potrà servire a nutrire di una vera e profonda cultura religiosa la fede delle nostre popolazioni.

FESTE RELIGIOSE

Una delle manifestazioni esteriori della fede delle nostre popolazioni sono le celebrazioni, spesso solenni, di feste religiose, e la frequenza ai Sacramenti.
Non vi è parrocchia che non abbia ogni anno alcune feste, alle quali dà una grande importanza, come a un avvenimento a cui tutti i parrocchiani partecipano. Sono la festa del Santo Titolare, la festa della Madonna sotto l'uno o l'altro titolo, le Quarantore, il Triduo in suffragio dei morti ed insieme ad onore del SS. Sacramento, la festa di 5. Luigi, ecc. E sta bene. Nello spirito della Chiesa le feste, celebrate anche con solennità esteriori, servono insieme come manifestazione e come stimolo del culto che è nella nostra anima.
Badiamo però che qualche volta in queste feste non prevalga l'esteriorità dell'apparato e il chiasso, sul vero spirito di pietà, che rende a Dio l'omaggio dell'anima. E peggio, badiamo che esse non siano profanate da pubblici divertimenti fatti per distrarre dalla pietà, per essere anzi occasione di male. Vogliamo dire specialmente del ballo in occasione di feste e sagre; ed a proposito ricordiamo le severe ma giuste disposizioni dei Vescovi Lombardi, che vietano le solennità religiose di quelle feste, quando vi si vuol tenere un ballo pubblico. Lo zelo dei Parroci, di solito fedele interprete anche della maggioranza della popolazione, cercherà di impedire il grave inconveniente con preventivi avvertimenti.
E badiamo anche a un altro possibile difetto; che si lascino poi nell'ombra le grandi feste dell'anno liturgico, a cui la Chiesa dà la massima importanza, e che non solo rappresentano il soave annuo ricordo dei grandi misteri della nostra fede, ma sono, nei suoi intendimenti, un invito al popolo cristiano a riviverli intimamente. Vogliamo dire le feste di Natale, Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione di Maria, ecc.
La Chiesa attribuisce a queste celebrazioni una grande solennità, ispirando ad esse tutta la sua liturgia, che è la preghiera pubblica del popolo cristiano. Il nostro popolo le segua con diligenza e con amore, ne comprenda tutto il magnifico significato. Ricominci con Cristo a Natale una vita nuova, così diversa dalla vita di fasto, di godimento, di rancori, come è quella che si vive dal mondo. Senta, nel sacro tempo di Quaresima e più nella Settimana Santa, quanto sia costata al Redentore divino la riparazione delle nostre colpe, e ne concepisca, con lui, un dolore vivo, che importi il distacco da una vita forse di peccato. Viva, a Pasqua, la gioia e il trionfo di Cristo risorto, primogenito dei morti, modello di una risurrezione intima, che ci riporti ad una vita soprannaturale, forse perduta, per non perderla più. La festa della Ascensione ci conduca fino alle porte del Paradiso, dove, primo, sale il Salvatore, per riportarne un desiderio vivissimo, che diventi un fermo proposito. Pentecoste, riportandoci nel Cenacolo alla discesa dello Spirito Santo, ce lo faccia sentire inabitante in noi colla grazia, come fonte magnifica e perenne di tutte le migliori energie spirituali. La festa del " Corpus Domini " sia davvero l'omaggio affettuoso di fede, di riconoscenza, di trionfo di tutto un popolo verso il Divino Ospite dei tabernacoli, che si degna di rimanere sempre fra noi, troppo dimenticato e trattato con troppa indifferenza. Così dite delle feste della Madonna, la sua Immacolata Concezione e la gloriosa Assunzione; dei Santi Apostoli, canali che ci hanno trasmesso la dottrina e la grazia del Salvatore.
Vedete come la Chiesa ha sapientemente distribuito nell'anno liturgico queste magnifiche feste, che contengono la sostanza della dottrina e della vita cristiana. Non valorizzarle, vorrebbe dire trascurare un magnifico mezzo per tener viva la fede nel nostro popolo. Vi si premetta quindi la dovuta preparazione: non manchi l'omelia, ben fatta, che ne faccia comprendere tutta la portata, e l'invito ai Sacramenti.
Celebrate così queste grandi feste, non sarà necessario aggiungere ad esse qualche cosa d'altro, perchè il popolo le apprezzi e venga alle funzioni ed ai Sacramènti. Le regole della liturgia sono severe a questo proposito. E la liturgia, che è la preghiera pubblica della Chiesa, deve essere anche la regola della pietà del popolo cristiano.

UNA DIVOZIONE PROVVIDENZIALE

Una cosa abbiamo rilevato con piacere nelle manifestazioni della pietà delle nostre popolazioni: la divozione alla Madonna, specialmente nella pratica del mese Mariano. Per rendere più facile questa divozione, in molti luoghi la consuetudine ha trasportato il mese mariano dal maggio, troppo occupato in campagna dai lavori agricoli, in altro tempo più opportuno, più frequentemente in novembre e dicembre, in preparazione alla festa dell'Immacolata. E' stato un buon pensiero, e si faccia pure cosi. Ci ha fatto piacere sentire che il popolo ama questa divozione, ed accorre in massa alla Chiesa per la relativa funzione; qualche volta abbiamo fatto noi stessi la constatazione, ed abbiamo avuto la gioia di parlare nella chiesa stipata di fedeli.
Abbiamo detto che la constatazione ci ha fatto molto piacere, perchè confidiamo che la divozione alla Madonna, praticata come un omaggio filiale verso la Madre di Dio, sarà un mezzo efficace per conservare nel nostro popolo la fede dei suoi padri. Lungi dal distogliere dalla divozione a Dio e al Divin Figliuolo Gesù, come vorrebbero i Protestanti, la divozione a Maria conduce a Cristo, perchè non per altro motivo la si onora, se non perchè è madre di Lui e modello di ogni virtù. Spetterà al Parroco di fare in modo che non manchi in quell'occasione al popolo la parola di Dio, che, continuata per un mese, può riuscire un prezioso catechismo, fonte di istruzione e di eccitamento alla vita cristiana.

FREQUENZA AI SACRAMENTI

Altra buona constatazione che abbiamo potuto fare nella Visita Pastorale, è la frequenza dei fedeli ai Sacramenti, in generale abbastanza buona, anzi, in molti luoghi da un po' di tempo in aumento. I Sacramenti sono i canali della grazia, e quindi il fondamento ed il sostegno della vita cristiana; e a poco varrebbero tutte le altre pratiche della nostra santa fede, se non conducessero qui.
Venerandi parroci e sacerdoti, non dubito che sarà vostra cura conservare e coltivare nei vostri fedeli la divozione alla Santa Eucarestia, secondo i desideri del Salvatore, che, restando in mezzo a noi sotto le apparenze del pane, ha voluto mostrare il suo desiderio di essere il nutrimento quotidiano della nostra anima, come il pane materiale lo è del nostro corpo.
Però voi ricordate che, nelle informazioni che voi mi avete date su questo punto, se mi potevate presentare un numero notevole di comunioni, anche frequenti e quotidiane, non mancava pressochè mai da parte vostra la dolorosa constatazione di un certo numero, più o meno grande, di persone che si mostrano restie agli inviti del Salvatore, e disertano anche la Comunione Pasquale. Perchè? E' il mistero delle loro coscienze, che spesso noi non riusciamo ad esplorare. E' una spina del nostro ministero, una spina che deve stimolare continuamente la nostra sollecitudine, perchè nulla manchi da parte nostra di tutto quello che potrà facilitare il ritorno di questi figli prodighi fra le braccia del Padre.
E perchè non cercheremo di aumentare anche il numero di coloro, che non si accontentano delle grandi occasioni, ma vengono a nutrirsi frequentemente del pane di vita, per prenderne aiuto a mantenersi abitualmente in grazia di Dio, con una vita veramente cristiana, che è il vero principale scopo della Eucarestia? Sarebbe desiderio nostro, come lo è del Sacro Cuore amoroso del Salvatore, che si moltiplicassero questi nuclei specialmente fra gli uomini, con tanto vantaggio per sè e buon esempio per gli altri. A questo tende la pratica dei ritiri mensili minimi, o di perseveranza, che si va felicemente diffondendo, colla collaborazione volonterosa di Sacerdoti, pronti a prestarsi il loro aiuto vicendevole. Faccia il Signore, e vogliatelo voi, che questa diventi una istituzione di ogni parrocchia.
Badiamo però che la Comunione frequente, tanto preziosa e desiderata da Nostro Signore, sia come Egli veramente la desidera. Non una semplice formalità, o la divozione di un momento, congiunta con una vita mondana, ma il mezzo offerto dal Signore alla nostra attiva cooperazione, per conservarci in grazia di Dio e vivere una vita ispirata agli insegnamenti del Vangelo.

CONDIZIONI MORALI

E' veramente in tutto ispirata al Vangelo la vita delle nostre popolazioni?
I dettami del Vangelo non si limitano alle pratiche di religione. Esso investe tutta la nostra vita, additandole un ideale di purezza e di bontà. Riconosciamo, per grazia di Dio, che le nostre popolazioni, specialmente rurali, sono in molta parte moralmente sane, e fanno onore alla propria fede. Famiglie numerose, laboriose, nelle quali i genitori, consci delle responsabilità che hanno davanti a Dio, cercano di educare i figli nel suo santo timore. Dio le benedica e le conservi.
Ma purtroppo non è per tutte così. Già più di una volta abbiamo dovuto elevare la nostra voce per lamentare il decadimento dei costumi, che viene a intaccare specialmente la gioventù. Indice di questo decadimento è il fatto della natalità illegittima che si diffonde e cresce anche nelle nostre campagne. E questo non è il solo dei mali; è una delle conseguenze estreme, dove sbocca una gioventù immemore della sua dignità, e solo desiderosa di una libertà sfrenata, che non è la libertà dei figli di Dio.
Tutte le persone desiderose di bene si preoccupano di questa condizione di cose. Quali ne sono le cause?
Le abbiamo già indicate altre volte. Esse sono, dapprima un rilassamento nella educazione familiare, per mancata vigilanza ed energia da parte dei genitori, a cui corrisponde uno spirito di insubordinazione da parte dei figli e una mania di godimento ad ogni costo, che porta a varcare i limiti del lecito ed onesto. Ad esse si aggiungono circostanze estrinseche di ambiente, che favoriscono quelle tendenze malsane: l'urbanesimo, che spinge tanta gioventù alla città, dove i pericoli sono maggiori e minore la possibilità di sorveglianza; il soverchio agglomeramento della popolazione in alloggi insufficienti; la promiscuità non vigilata dei sessi dove si lavora, resa più pericolosa dal lavoro notturno, e l'isolamento di fanciulle abbandonate sui monti nei lunghi mesi del pascolo; e, non possiamo stancarci di ripeterlo, il moltiplicarsi dei balli pubblici, dove l'incauta gioventù, portata dalla smania di godere, comincia a perdere l'amore al riserbo, e trova i primi contatti e le prime funeste esperienze verso la via del soddisfacimento delle cattive inclinazioni.
Queste le cause. Gli effetti sono quelli che tutti lamentiamo.
Tali erano le non liete constatazioni che spesso dovevamo fare insieme, o carissimi parroci, nei nostri colloqui in Visita Pastorale, quando noi vi invitavamo a metterci al corrente sulle condizioni morali delle nostre popolazioni. Ed insieme si pensava ai rimedi per arginare il male che corrode la vita morale di tante anime che ci sono care.
Ora, anche senza aspettarci che si possano eliminare tutti i pericoli che insidiano la virtù, e che purtroppo in qualche misura ci saranno sempre fin quando vi sarà questa umanità viziata in origine, da quando la caduta originale scatenò le passioni umane sottraendole ad un completo dominio della ragione e della grazia, tutti devono porsi il grave problema di coscienza, se almeno non si possa arginare il male, togliendo o diminuendone le cause.
Alcune di queste non sono tali che si possano facilmente eliminare dalla sola volontà di ciascuno. V'è il problema della scarsità degli alloggi, opportunamente considerato dai pubblici poteri, che insistono sulla necessità di apprestare alloggi sufficienti per le classi popolari. Poichè il problema, oltre che igienico, è anche un problema squisitamente morale, uniamo anche noi la nostra voce di lode per le iniziative già svoltesi a questo riguardo, auspicando che si progredisca su questa via, là dove se n'è constatato il bisogno, in città, negli altri centri popolari dove si addensa la popolazione operaia, ed anche, dove è necessario, per la popolazione agricola delle nostre campagne.
Le condizioni di lavoro nelle industrie sono pur troppo rese difficili da necessità anormali dei tempi agitati ed incerti. Ma noi facciamo appello alla coscienza di tutti quelli che sono in grado di esercitare una influenza in proposito, perchè organizzino almeno quelle separazioni e quella vigilanza, che rendano meno grave il pericolo. Come, d'altra parte invitiamo la coscienza dei genitori a pensare bene alle proprie responsabilità, ad aprire tanto d'occhi e prendere le opportune informazioni, prima di mandare i loro figli, e più le loro figliuole, a comperarsi un pane a prezzo della propria virtù. E poichè come l'agglomeramento negli opifici, così torna di pericolo anche l'isolamento di adolescenti sui monti, poniamo il grave problema della vigilanza anche ai genitori dei nostri paesi di montagna.
Ma alcune delle cause di male che abbiamo sopra ricordato, non sono portate da nessuna necessità collettiva, ma solo da una smodata mania di divertimento; e per questo invochiamo ancora una volta che vi si ponga un freno, orientando la gioventù, anzi tutte le masse, ad una vita più austera, ed a forme di onesto sollievo più sano, in conformità, del resto, alle condizioni gravi in cui si trova ormai tutta la umanità.
E non vogliamo soltanto fare appello a freni e vigilanza. Una parola, che vuoi essere piena di affetto e di paterna sollecitudine, vogliamo dire alla nostra stessa gioventù, perchè senza la bellezza degli ideali di onestà, di fede e di laboriosità a cui viene chiamata, e vi corrisponda generosamente, col desiderio vivo, di cristiani e di cittadini, di prepararsi ad assumere le responsabilità dell'età matura, quando dovranno formarsi una famiglia propria, con energie non sciupate ma fresche e generose, quali sole si possono conservare con una giovinezza pura.
A questo scopo devono mirare, o sacerdoti, tutte le vostre sollecitudini per la gioventù, fidenti nei mezzi soprannaturali che Dio mette nelle vostre mani.

VITA PARROCCHIALE

Queste sono alcune delle constatazioni, or liete ora preoccupanti, che abbiamo fatto nel corso della Visita Pastorale. Ma abbiamo visto un'altra cosa, o meglio tutte queste cose e questi problemi concentrati in quel centro di vita spirituale che è la parrocchia, tutte le nostre parrocchie, che ci sono così care, e che portiamo nel cuore come nel ricordo della memoria.
Magnifica cosa la parrocchia! E' la cellula di quel grande organismo che è la Chiesa. Ognuno appartiene ad una parrocchia, come alla sua famiglia; e come attraverso alla sua famiglia ognuno fa parte di una maggiore società, che è il Comune, la Provincia, la Nazione, così attraverso alla sua parrocchia appartiene ad una Diocesi, la nostra santa Chiesa Bresciana, ed alla Chiesa universale.
Pensatela bene questa parrocchia, dove ordinariamente Dio si compiace di darci la sua preziosa assistenza spirituale.
Un gruppo, grande, piccolo, di famiglie, distribuite intorno ad una chiesa, che ordinariamente è l'edificio più bello del paese, costruito dai maggiori con sacrifici, con gusto. E quante belle chiese, grandi, ornate, artistiche, nelle nostre parrocchie anche rurali! Ogni parrocchiano la conosce bene, la ama, la ricorda anche quando è lontano, perchè è la sua chiesa, dove ordinariamente è stato battezzato, ha imparato a vivere da cristiano, da buon cristiano, ha partecipato alle feste religiose quando la famiglia parrocchiale vi si riuniva.
Accanto a questa chiesa, una casa, la casa del Parroco, cioè del padre di tutti, perchè il Signore, attraverso la designazione del Vescovo, l'ha mandato a provvedere ai bisogni spirituali di tutti, grandi e piccoli, ricchi e poveri, senza distinzione, o se mai, con una predilezione speciale per coloro che sono più deboli, che hanno bisogno di guida e di aiuto. Egli sa che deve rispondere a Dio di tutte quelle anime, vive per loro, e cerca tutto quello che è possibile per fare loro del bene. Egli celebra per tutti il Santo Sacrificio, presentando a Dio, attraverso l'offerta del Salvatore, i bisogni di tutti. Egli predica: l'omelia, che espone ai fedeli gli insegnamenti del Vangelo; la dottrina, scuola delle verità della fede, che devono formare la guida della vita cristiana; ha una parola da dire in tutte le circostanze, in tutte le feste, per invitare alla pietà, per dare anche ammonimenti e rimproveri quando sia necessario; ed i buoni parrocchiani lo sanno, l'aspettano, quasi si meravigliano se qualche volta l'ammonimento non viene, severo anche, se è il caso, ma sempre paterno: non è forse lui il padre di famiglia?
Egli amministra i Sacramenti, ed è per questo sempre a disposizione dei fedeli. Quando alcuno dei suoi figli non può venire a sentirlo, è malato, forse in procinto di presentarsi al Divino Giudice, egli lo va a trovare in casa, lo conforta, lo assolve, gli porta Gesù in Sacramento, che egli non può venire a ricevere battendo al suo tabernacolo.
La sua casa è sempre aperta per tutti: è la casa di tutti, egli non vi sta che per essere a disposizione di tutti i parrocchiani. Ognuno vi entra: il fanciullo come il padre o la madre di famiglia, quando ha bisogno di chiamarlo per una necessità, o di avere da lui un consiglio: non è egli il consigliere, il maestro, ammaestrato per questo per lunghi anni nelle scienze sacre, privo di una famiglia propria e di propri interessi per occuparsi di tutti?
Una volta la parrocchia era fatta così: tempi di maggiore semplicità; i rapporti fra parroco e parrocchiani erano più spontanei, non c'era bisogno di tanti richiami; bastava suonare una o l'altra campana, perchè tutti, o le diverse categorie di fedeli accorressero a sentire la parola del padre, a partecipare alle sacre funzioni. Ma ora no; tutta la vita è diventata più complessa, e le distrazioni sono cresciute. Ed allora si è sviluppata anche l'organizzazione della parrocchia moderna.
Accanto alla chiesa ed alla casa parrocchiale sorge un altro edificio, modesto o grandioso secondo il caso: sono le scuole di catechismo parrocchiale, perchè vi possono venire i fanciulli e le fanciulle ad imparare, ogni giorno festivo, cd anche più in Quaresima ed in Avvento: divisi in molte classi, corrispondenti alla età ed alla cultura. E molte volte, nei grossi paesi, queste classi sono molte e bene arredate, e i fanciulli sono centinaia, ordinati, assistiti da catechisti e catechiste, sotto la direzione del sacerdote; e i genitori vedono tanto volentieri queste schiere di figliuoli, i loro figliuoli.
E intorno alle scuole di catechismo si è allestito un bel cortile spazioso, con altri locali per la direzione ed adunate: l'Oratorio. I fanciulli ci vanno volentieri: prima e dopo le lezioni di catechismo vi si fermano a giocare: potrebbero non farlo? alla loto età? con in corpo il moto perpetuo? E sono assistiti dal giovane curato, che vi passa le lunghe ore, e vi consuma le sue forze. L'Oratorio diventa la famiglia del catechismo: tutti quei fanciulli vi si trovano bene, sentono la buona parola, lì nascono le iniziative. Così si educa alla pietà, alla virtù, all'amore per la famiglia, per il proprio dovere.
Come v'è l'Oratorio per i fanciulli, numerosi, allegri, vivaci, ve n'è un'altro, - potrebbe mancare? - per le fanciulle, anche esse numerose, allegre, vivaci, affidato di solito a buone Suore, che vi esercitano la pazienza e insieme la loro saggezza educativa.
E poi non basta ancora. L'Oratorio è per tutti. Ma se vi sono, tra i fanciulli, tra i giovani, dei più volonterosi, dove l'occhio del Sacerdote vede un po' di buona volontà, perchè non coltivarli a una formazione cristiana più completa, più franca, al desiderio di fare il bene, anche un po' di apostolato? Ed ecco l'Azione Cattolica, che non è altro. Fanciulli e giovani, dell'uno e dell'altro sesso, e poi anche gli studenti, gli uomini, le donne, ciascun gruppo a sé. Non si è mai cristiani abbastanza, c'è sempre da imparare, tanto da attuare in sè e negli altri, perchè venga davvero il regno di Cristo nelle anime. E anche queste associazioni bisognerà pure che abbiano la loro sede, magari fra le mura ospitali dell'Oratorio, o della casa parrocchiale.
Ecco la parrocchia come noi la concepiamo. Quanta vita spirituale! E con quanto sopra abbiamo detto, ci stanno altre cose ancora: istruzioni periodiche per le madri (c'è tanto bisogno che imparino ad esserlo in tutta la portata della loro alta missione!), e la Confraternita che cura il culto del SS. Sacramento, e altre pie unioni.
Nè questo complesso di attività eminentemente religiose esclude che ci possano essere, nel medesimo paese, tra le medesime persone, altre iniziative, ed organizzazioni d'altro genere, economico, sociale, politico. Anzi avverrà come la cosa più naturale del mondo che anche là dove i fanciulli e i giovani sono organizzati per la loro formazione patriottica e militare, il sacerdote vi porti la sua, parola cristiana, perchè la educazione integrale non ne può prescindere, non può non essere cristiana.
Sacerdoti e fedeli, noi le abbiamo viste le vostre parrocchie. Molte corrispondono in pieno, - fatta proporzione del numero degli abitanti - al modello che vi abbiamo tracciato, e fioriscono, con tanta vita, e tanto vantaggio dei fedeli. Che il Signore le benedica e fecondi tante preziose attività. Altre vi si avviano. E non si sgomentino le piccole parrocchie sperdute fra i monti. Nessuno si aspetta colà il grande edificio delle scuole di catechismo e il grande oratorio. Ma è pur bello vedere, sotto la iniziativa di un parroco pieno di zelo, l'opera di assistenza religiosa svolgersi, sia pure con minimi mezzi, e attraverso a vive difficoltà, su una linea che in fondo corrisponde a quella indicata. I risultati preziosi non si contano coi grandi numeri, si apprezzano, - Dio li apprezza cosi, - dal lavoro di profondità nelle anime.
Fratelli e figli carissimi, mentre pensavamo e scrivevamo queste pagine, ci ripassava alla memoria e nel cuore, viva come se fosse ora, tutta la Visita Pastorale alle più che quattrocento parrocchie, e ci sembrava di ripetervi le raccomandazioni, che, secondo le diverse circostanze, vi facemmo già. Accogliete questi rilievi, questi ammonimenti paterni, che preghiamo il Signore, che è il Pastore dei pastori, di benedire, di fecondare colla sua grazia. A Dio piacendo, dopo celebrato con tutto il nostro venerando Clero il Sinodo Diocesano, incominceremo, come è nostro dovere, la seconda visita. Possiamo in essa, rivedendovi, trovare le condizioni delle parrocchie in piena efficienza, senza nulla avere perduto, avendo anzi progredito nel fervore della vita cristiana.
Vi benediciamo nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. E Dio ci conceda la sua santa pace.

Brescia, 27 gennaio 1940

 

 

 

 

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