dalla lettera del card. Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, a Fernando Maria Castiella y Mais, ministro degli esteri spagnolo (20 luglio 1958)

a cura di Maurilio Lovatti

"Ai comunisti dispiace molto la mia simpatia per la Spagna e non lasciano passare occasione per farmene accusa. Siamo in tempi di spudorata sfacciataggine da parte di alcuni e di supina debolezza da parte di altri. I nemici di Dio e i negatori della dignità della persona umana si ergono a paladini della libertà mentre ne distruggono la radice; coloro che poi si dicono anticomunisti sono in maggioranza dei timidi che pagherebbero l'avversario perché non li molesti.
Io non ho nessun interesse nel manifestare il mio favore agli sforzi che la nuova Spagna sta compiendo per realizzare il programma sociale cristiano. Ero in procinto - come ho detto sopra - di esprimerLe questi sentimenti quando mi giunse la sua premurosa comunicazione che il Capo dello Stato [Francisco Franco] nella ricorrenza della Festa Nazionale ha avuto la grande bontà di conferirmi la Gran Croce di Isabella la Cattolica. So di non meritare questa onorificenza ma se essa può servire a stringermi maggiormente a codesta nobile e cattolica Nazione me ne fregio con piacere. La prego, Eccellenza, di rendersi interprete della mia profonda riconoscenza presso l'Eccellentissimo e valoroso Caudillo, per la cui salute e prosperità prego fervidamente il Signore."

Fonte: dalla lettera del card. Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, a Fernando Maria Castiella y Mais, ministro degli esteri spagnolo (20 luglio 1958), in Archivio Storico dell'Archidiocesi di Palermo, Fondo Ruffini, b. Copialettere 1958, cit. in A. Romano, Ernesto Ruffini Cardinale arcivescovo di Palermo (1946-1967), Sciascia, Caltanisetta Roma 2002, pp. 370-71.

 

 

Molto interessante risulta il commento di don Lorenzo Milani sulle valutazioni del card. Ruffini in merito al regime franchista:

"Quando si sente il cardinal Ruffini lodare il regime spagnolo, verrebbe voglia di dirgli che un dittatore sanguinario o un governatore incapace fa più male alla Chiesa quando la protegge di quanto la combatte. Ma invece non ci deve essere bisogno di dire queste cose al cardinale. [...] Un cardinale (fino a prova contraria) lo presumi in buona fede, onesto, buono e innoridito dal sangue. Se la sua mente non cerca quali siano gli errori di fondo del regime spagnolo è segno che i suoi occhi non erano presenti a qualcuno di quei fatti disumani che visti da vicino bastano a schierare un cuore per sempre. Nell'austero silenzio della biblioteca di un convento domenicano dove non entra né il pianto di spose né allegria di bambini, si può ben disquisire della leicità della pena di morte, sui diritti del principe e sulla preminenza del bene comune. Ma nel cortile di un carcere spagnolo quando il forte, il vincitore uccide il debole, il vinto, quando solo a guardarla in viso la vittima si rivela non un comune delinquente ma creatura alta che ha preposto il bene del suo prossimo al proprio tornaconto. Oppure fuori dai cancelli dove l'urlo di madri, spose, figlioli trasforma anche il comune delinquente in figlio, marito, babbo, in qualche cosa cioè che vorremmo far vivere e non morire, allora le conclusioni di biblioteca si vorrebbe tornassero in altro modo, allora si ritorna sui testi con un altro desiderio in cuore e nel giro di un'ora il meccanismo dei sillogismi ha bell'e e sfornato la soluzione giusta. 

Questo saprebbe fare anzi correrebbe a fare anche il cardinal Ruffini, ne son sicuro. Ma il cardinale, nel cortile del carcere di Barcellona nel giorno del Congresso Eucaristico non c'era. E non c'era neanche l'inviato speciale del muro di carta che lo circonda. L'inviato era pochi passi più in là in quella stessa Barcellona in quello stesso giorno. Era a fotografare il generale Franco genuflesso su un faldistorio di velluto rosso dinanzi a centomila fedeli sudditi, mentre leggeva la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore. La fotografia del pio re-sacerdote genuflesso era lì grande immensa sul muro di carta che circonda il cardinal Ruffini. E non c'era nessuno di noi a a aprigli uno sbrano nel muro di carta  dove fosse scritto almeno grande quanto l'altra notizia: «Il Generale Franco non ha ascoltato neanche il telegramma del Papa per gli undici sindacalisti di Barcellona  e li ha uccisi a sfida nel giorno stesso del Congresso».

Dalla lettera di don Lorenzo Milani a Nicola Pistelli del 8 agosto 1959, in Lettere di don Lorenzo Milani, Priore di Barbiana, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007, pp. 150-152.

 

 

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