Maurilio Lovatti

Materiali di storia per gli studenti

   

Brani dai testi risorgimentali

(a cura di Franco Manni)




Mazzini: I fratelli Bandiera, Londra, ottobre 1844.

A JACOPO RUFFINI,
MORTO MARTIRE DELLA FEDE ITALIANA


Nel 1833

A te, fratello mio d'amore, io dedico, venerando, queste poche pagine scritte col nome tuo sulle labbra, colla santa tua immagine davanti agli occhi dell'anima. Io non trovo qui sulla terra, fra quei ch'hanno concetto di fede e costanza di sacrificio, creatura che ti somigli.
M'ami tu sempre come, vivendo della vita terrestre, m'amavi? Io non mi sento ora, poi che tu se' fatto angiolo, degno di te; ma due o tre volte nella mia vita da che il martirio ti trasformava, quando tra le sciagure della mia patria e le delusioni dell'individuo, io sentiva il dubbio infernale sfiorare, senza vincerla, l'anima mia, ho pensato che la tua preghiera intercedeva per me, e che la potenza di fede indomita, eterna, d'onde io traeva subitamente forze a combattere, era un bacio delle tue sante labbra sulla fronte del tuo povero amico.
Dammi, oh dammi ch'io non disperi!



Credo in un Dio, in una vita futura, e nell'umano progresso: accostumo ne' miei pensieri di progressivamente riguardare all'umanità, alla patria, alla famiglia ed all'individuo; fermamente ritengo che la giustizia è la base d'ogni diritto; e quindi conchiusi, è già gran tempo, che la causa italiana non è che una dipendenza della umanitaria, e prestando omaggio a questa inconcussa verità, mi conforto intanto delle tristizie e difficoltà dei tempi colla riflessione che giovare all'Italia è giovare all'Umanità intera. (Attilio Bandiera a Mazzini)

Attilio era marito e padre; ma la missione da Dio commessagli d'educare un'anima al bene gli era di sprone, anzichè di ritegno, all'impresa; e la donna del suo core, oggi morta, come dirò, di dolore, era degna di lui e partecipe, quanto conveniva, de' suoi segreti.

Oggi, generalmente parlando, non s'ama. L'amore, la più santa cosa che Dio abbia dato all'uomo come promessa di sviluppo di vita, s'è fatto, sotto l'ugne d'arpia del secolo profanatore, una lordura di sensi, un bisogno febbrile, un istinto di bruti: la famiglia, simbolo del modo con che si compie nell'universo l'incessante operazione di Dio e germe della società s'è convertita in una negazione d'ogni vocazione, d'ogni dovere sociale: il maschio e la femmina hanno cancellato l'UOMO e la DONNA. Le povere madri in Italia, schiave anch'esse d'una tristissima educazione e nulle nell'ordinamento sociale, predicano trepidanti ai figli la sommessione al potente qualunque ei sia; i padri che sanno come al limitare d'ogni famiglia veglia una spia, li ammaestrano alla diffidenza e all'isolamento, e le fanciulle innamorate balzano di gioia quando alle loro istanze s'odono rispondere dall'amato: io vivrò per te sola; poi d'amanti beate di frenesie senza nome riescono per più infelicissime mogli, perch'io ho sempre veduto mariti pessimi e tiepidi amici i pessimi tra' cittadini. Ma se ogni amica rispondesse al frenetico o forse ipocrita amante: "Tu non devi vivere, ma gioire in me e per me sola, e in me sola confortarti ne' tuoi patimenti: noi dobbiamo fare delle nostre due vite una sola vita più potente d'intelletto e d'amore, un solo continuo sacrificio al grande, al bello, al divino, una sola continua aspirazione, un solo moto verso l'eterno Vero;" - se i padri definissero la vita ai figli, non come la ricerca del piacere quaggiù, bensì come preparazione, per mezzo di doveri adempiti, a uno stadio di sviluppo superiore; - se le madri, che pur si dicon cristiane, meditassero più sovente e ripetessero ai nati da loro alcune delle parole di Cristo e tutto quel libro de' Maccabei che par dettato per gl'Italiani - adempirebbero tutti, meglio ch'oggi non fanno, ai debiti dell'amore, e l'Italia non avrebbe da piangere ad ogni tanto i migliori, tra' suoi cittadini spenti ad uno ad uno isolatamente di morte violenta sul palco o di lenta consunzione d'anima nell'esiglio. Parmi che tutti i grandi profeti d'affetto da Platone a Schiller, e sovra tutti i nostri sommi Italiani e fra gl'Italiani Dante, che avea tanto amore nell'anima da infiammarne due o tre delle nostre generazioni pigmee, intendessero quei due santi vocaboli di famiglia e d'amore in un modo diverso assai da quel d'oggi, e parmi che i credenti in un'anima immortale - dacchè dei materialisti, nei quali l'amore è necessariamente cosa schifosa o contradizione, non parlo - non possano amare se non immedesimando l'amore coll'adorazione del Vero e presentando all'ente ch'essi amano, simboleggiato nell'anima loro, il più alto spettacolo di virtù ch'essi possano. Tolga Iddio ch'io mova il più lieve rimprovero alla madre d'Attilio e d'Emilio: dico solo - e vorrei ch'essa potesse leggere queste linee - che qui o altrove essa intenderà un giorno come i figli l'amavano più che mai quando ricusavano, benchè trasmesso da lei, il perdono dell'arciduca Ranieri.

"Intanto cominciano i supplizii in Bologna! Non sarebbero dunque davanti all'Eterna Giustizia i delitti dei nostri padri ancora scontati? Checchè ne sia, aspiriamo almeno a legare alla generazione ventura l'esempio d'una inconcussa perseveranza. - Fidando sempre sulla nota lealtà delle poste inglesi, potete indirizzar qui al mio nome le vostre lettere. Addio.
"Attilio.

Nicola Fabrizi a Emilio Bandiera:


"Considero - diceva, in data del 15 maggio, il primo ai due fratelli - considero il mio sangue e quello de' miei amici una moneta da spendere per l'onore e per lo scopo. Ed è perciò che non esito a dirvi, che il vostro, nel modo in cui volete esibirlo, frutto di generosa impazienza, non ha per risultato possibile nè l'uno nè l'altro; bensì apparirà in un senso di frenetica esigenza di soddisfazione vostra tutta personale la noncuranza dello scopo che unicamente comprometterete, e degli uomini che s'abbandonano alla vostra fede e che voi inesorabilmente sacrificherete. "

[Nicola Ricciotti ]e scrisse annunziando la sua determinazione ai figli - perch'ei s'era ammogliato giovanissimo ed era padre - le linee seguenti, fra le pochissime che a me rimangon di lui: "Eccomi giunto ad uno dei momenti più tristi della mia vita e forse al più decisivo per me. Un cumulo di ragioni mi costringono ad abbandonare la Francia, ad allontanarmi più ancora da voi. Mille privazioni m'attendono, infiniti pericoli circondano il sentiero che devo scorrere, la morte stessa è forse là per colpirmi. L'amore ch'io m'ebbi per voi, e che per lontananza non s'è giammai diminuito, il dovere di padre e di buon cittadino non mi permettono di dare esecuzione al mio divisamento senza ricordarmi di voi e senza darvi alcuni precetti ch'io spero vorrete adempiere. Se mi è riserbata una sorte crudele, se dovessi mai esser rapito al vostro affetto, conservate memoria di me, la mia sventura non vi sgomenti, e sia questo mio scritto un documento della mia tenerezza per voi. Onorate, voi lo sapete, furono le cagioni che togliendomi alla patria, mi condannarono a languire sulla terra straniera. La condizione d'Italia è così crudele, così basso è ora caduta questa terra un dì sì gloriosa, che qualunque tra i suoi figli ha sensi d'onore, qualunque sente nel suo cuore l'offesa che i despoti fanno alla dignità nazionale italiana, qualunque ama la libertà e la virtù, è condannato a trascinare nell'esiglio i suoi giorni se ha ventura di sottrarsi alla prigione o alla morte. Noi siamo martiri della causa d'Italia, ma il nostro patire prepara alla patria giorni di libertà e di trionfo. Chi ingiustamente ora ci opprime sarà alla sua volta oppresso, e gli Italiani vincitori sapranno usare con magnanimità della riportata vittoria. Intanto, io parto per la Spagna; combatterò anche una volta per la causa della libertà, e se il destino mi è propizio, metterò a profitto d'Italia le cognizioni che avrò acquistate. Voi, miei figli, dirizzate sulle mie tracce i vostri passi; fate ch'io abbia almeno il conforto di sapere che lascio in voi degli imitatori, e che l'Italia potrà calcolare su voi come su di me"

"La mattina del giorno fatale furono trovati dormendo. S'abbigliarono con somma cura, e per quanto potevano con eleganza, come se s'apparecchiassero a un atto solenne religioso. Un prete venne per confessarli; ma essi lo respinsero dolcemente( ) dicendogli: ch'essi, avendo praticato la legge del Vangelo e cercato di propagarla anche a prezzo del loro sangue fra i redenti da Cristo, speravano d'esser raccomandati a Dio meglio dalle proprie opere che dalle sue Parole, e lo esortavano a serbarle per predicare ai loro oppressi fratelli in Gesù la religione della Libertà e dell'Eguaglianza. S'avviarono col volto sereno e ragionando tra loro al luogo dell'esecuzione. Giunti, e apprestate l'armi dei soldati, pregarono che si risparmiasse la testa, fatta ad immagine di Dio. Guardarono ai pochi muti, ma commossi circostanti, gridarono: VIVA L'ITALIA! e caddero morti".
VIVA L'ITALIA! - Sarà quel grido, o giovani, un'amara ironia, o lo raccoglierete voi, santo com'è dell'ultimo sagrificio dei migliori tra noi, per incarnarlo nelle vostre vite? In nome dei martiri che morirono per redimervi non foss'altro dalla taccia di codardia che tutta Europa vi dà; in nome della vostra Patria, io vi chiedo: proferirete quel grido a fronte delle persecuzioni, tra le delusioni dell'anima, in faccia al patibolo, o perduti nelle stolide o viziose abitudini del servaggio, direte, iloti avvinazzati d'Europa: muoia l'Italia! muoia l'onore! perisca la memoria dei martiri! viva il cappello gesuitico! viva il bastone tedesco!
Molti fra voi vi diranno, lamentando ipocritamente il fato dei Bandiera e dei loro compagni alla bella morte, che il martirio è sterile, anzi dannoso, che la morte dei buoni senza frutto di vittoria immediata incuora i tristi e sconforta più sempre le moltitudini, e che giova, oggi, anzichè operare prematuramente, rimanersi inerti, addormentare il nemico, poi giovarsi d'una circostanza propizia europea per trucidarlo nel sonno. Non date orecchio, o giovani, a quelle parole. Meschini politici e peggiori credenti, gli uomini che così insidiano alla santità dell'anima vostra, immiseriscono la nostra FEDE nei falsi calcoli d'una gretta questione politica: avrebbero rinegato, nel dì del supplizio, la virtù della croce di Cristo per poi benedirla con pompose parole, se la vita fosse loro bastata sino a quel tempo, quando al segno del martirio Costantino sovrappose il segno della vittoria. Il martirio non è sterile mai. Il martirio per una Idea è la più alta formola che l'Io umano possa raggiungere ad esprimere la propria missione; e quando un Giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed esclama: ecco: questo è il Vero, ed io, morendo, l'adoro

 

DEI DOVERI DEGLI UOMINI
DISCORSO DI SILVIO PELLICO


Il primo de' nostri doveri si è l'amore della verità, e la fede in essa. Invigorisciti, o amico, a volere la verità, a non lasciarti abbagliare dalla falsa eloquènza di que' melanconici e rabbiosi sofisti che s'industriano a gettar dubbi sconfortanti sopra ogni cosa.
La ragione a nulla sèrve, e anzi nuoce, quando si volge a combattere il vero, a screditarlo, a sostenere ignobili supposizioni; quando traèndo disperate conseguènze dai mali ond'è sparsa la vita, nega la vita èssere un bène; quando, annoverati alcuni apparènti disordini nell'univèrso, non vuole riconoscervi un ordine; quando, colpita dalla palpabilità e dalla morte de' corpi, abborre dal credere un io tutto spirito e non mortale; quando chiama sogni le distinzioni tra vizio e virtù
Miriamo nell'umanità coloro che, attestando in sè medesimi la morale grandezza di essa, c'indicano ciò che dobbiamo aspirare di divenire. Non potremmo agguagliarci in fama a loro, ma non è questo che importa. Sèmpre possiamo a loro agguagliarci in intèrno prègio, cioè nella coltura dei nobili sentimenti, ogni volta che non siamo aborti od imbecilli, ogni volta che la nostra vita, dotata d'intelligenza, estèndasi alquanto al di là dell'infanzia.
Quando siamo tentati di disprezzare l'umanità, vedèndo co' nostri occhi, o leggèndo nella storia molte sue turpitudini, poniamo mente a quei venerandi mortali che pur nella storia splendono.

Tutti gli affètti che stringono gli uomini fra di loro e li portano alla virtù sono nòbili. Il cinico, che ha tanti sofismi contro ogni generoso sentimento, suole ostentare filantropia per deprimere l'amor patrio.
Ei dice: - "La mia patria è il mondo; il cantuccio nel quale nacqui non ha diritto alla mia preferènza, dacchè non può sopravanzare in prègi tante altre tèrre ove si stà od egualmente bène o mèglio; l'amor patrio non è altro che una spècie d'egoismo accomunato fra un gruppo d'uomini per autorizzarsi ad odiare il rèsto dell'umanità....Chiamare accomunato egoismo questa simpatia e l'accordo degli interèssi fra i mèmbri d'un popolo sarèbbe quanto se la mania della satira volesse vilipèndere l'amor patèrno e l'amor filiale, dipingèndoli come una congiura tra ogni padre ed i figli su0i.... Ma badisi che l'amor patrio, tanto ne' più ampli suoi circoli, quanto ne' più ristretti, non facciasi consistere nel vano insuperbire d'essere nato in quella terra, e nel covare indi odio contro altre città, contro altre province, contro altre nazioni. Un patriottismo illiberale, invido, feroce, invece d'èssere virtù, è vizio.

t'avverrà di sentir particolare simpatia per altri, le cui virtù ti saranno meno note, massimamente per giovani d'età eguale o poco divèrsa dalla tua.
Quando cederai tu a questa simpatia, o quando avrai tu a reprimerla? La risposta non è dubbia.Siamo debitori di benevolènza a tutti i mortali, ma non dobbiamo portare la benevolènza al grado d'amicizia, se non per siffatti che abbiano donde èssere amati da noi...Non disonorare il sacro nome d'amico, dandolo ad uomo di niuna o poca virtù.... foss'egli il più maraviglioso dei vivènti per la soavità dell'aspètto e delle manière, per l'eloquènte parola, per la moltiplicità delle sue cognizioni e sino per qualche brillante impeto ad azioni generose, non t'induca ad amicarti con esso. Ti mostrass'egli il più vivo affetto, non concèdergli la tua famigliarità; l'uomo virtuoso solo ha tali qualità da èssere amico.... Si rallegra che le sue buone qualità non siano sfuggite all'amico; glie n'è grato; ambisce d'acquistarne altre: ed ècco, grazie all'amicizia, talvolta avanzare vigorosamente vèrso la perfezione un uomo che n'èra lontano, che lontano ne sarèbbe rimasto.
Non volerti sforzare ad avere amici. È mèglio non averne alcuno che doversi pentire d'averli scelti con precipitazione.

Dacchè il puoi, t'è sacro debito coltivare l'ingegno. Ti renderai più atto ad onorare Dio, la patria, i parènti, gli amici.
Il delirio di Rousseau, che il selvaggio sia il più felice de' mortali - che l'ignoranza sia preferibile al sapere - è smentito dall'esperiènza. Tutti i viaggiatori hanno trovato infelicissimo il selvaggio; tutti noi vediamo che l'ignorante può èssere buono, ma che può èsserlo egualmente e debb'esserlo anzi con più eccellènza colui che sa.
Il sapere è soltanto dannoso quando vi s'unisce orgoglio. Vi s'unisca umiltà, e porta l'animo ad amare più altamente Dio ed amare più altamente il gènere umano.
Tutto ciò che impari t'applica ad impararlo con quanta più profondità è possibile. Gli studi superficiali producono troppo spesso uomini mediocri e presuntuosi, uomini in secreto conscii della loro nullità e tanto più smaniosi a collegarsi con noiosacci a loro simili per gridare al mondo che sono grandi e che i veri grandi sono piccoli. Quindi le perpètue guèrre de' pedanti contro i sommi intellètti, e de' vani declamatori contro i buoni filosofi. Quindi lo sbaglio che prèndono talora le moltitudini, di venerare chi più grida forte e meno sa.

Mirabil cosa! tutti gli stati, dai più sublimi sino a quello dell'umile artigiano, hanno la loro dolcezza ed una vera dignità. Basta voler nutrire quelle virtù che in ciascuno stato son dovute.
Solo perchè pochi le nutrono, s'odono tanti maledire la condizione che hanno abbracciata.
Tu quando avrai prudentemente scelto una carrièra, non imitare quegli etèrni lamentatori. Non lasciarti agitare da vano pentimento, da velleità di mutare. Ogni via della vita ha le sue spine. Dacchè ponesti piede in una, prosegui; retrocèdere è fiacchezza. Il persistere è sèmpre bène, fuorchè nella colpa. E solo chi sa persistere nella sua impresa può sperare di divenire alcun che di segnalato.

Sicuramente, nella società umana i mèriti non vèngono sèmpre premiati con èque proporzioni. Chi lavora egregiamente, ha spesso tal modèstia da non sapersi far conoscere, e spesso vièn tenuto nascosto o denigrato da mediocri audaci che in fortuna agognano superarlo. Il mondo è così, ed in ciò non è sperabile che muti.
Ti rèsta dunque di sorridere a questa necessità e rassegnarti. Imprimiti bène in mente questa forte verità: l'importante è d'aver mèrito, non d'avere un mèrito ricompensato dagli uomini. Se lo ricompènsano va ottimamente; se nò, il mèrito s'accresce conservandolo, benchè senza prèmio.
La società sarebbe meno viziosa, se ognuno attendesse a frenare le sue inquietudini, le sue ambizioni, non già divenendo incurante d'aumentare la propria prosperità, non già divenendo pigro od apata, che sarèbbero altri eccèssi; bensì portando ambizioni belle e e non frenetiche, non invide; bensì limitandole a que' punti oltre ai quali si vede non poter varcare; bensì dicèndo: "Se non giunsi a quell'alto grado di cui parevami èsser degno, anche in questo più basso sono lo stesso uomo ed ho quindi lo stesso intrinseco valore.".... Fa tutto ciò che stà in te per èssere utile cittadino e per indurre altri ad èssere tali, e poi lascia che le cose vadano come vanno. Metti qualche sospiro sulle ingiustizie e sulle sciagure che vedi, ma non cangiarti in orso perciò; non cadere in misantropia, non cadere in quella falsa filantropia, ch'è pèggio ancòra, la quale per preteso bène degli uomini, si strugge di sete di sangue, e vagheggia, qual mirabile edifizio, la distruzione, come Satan vagheggia la morte.
Colui che odia la correzione possibile degli abusi sociali è uno scellerato o uno stolto; ma colui che amandola divènta crudèle, è parimente scellerato o stolto, ed anzi ad un grado maggiore.
Senza quiète d'animo, la più parte dei giudizii umani sono bugiardi e maligni. Quiète d'animo sola ti farà forte nel patire, forte nel costante operare, giusto indulgènte, amabile con tutti.

Quando conosci d'aver commesso un torto, non esitare a ripararlo. Soltanto riparandolo avrai la cosciènza contenta. L'indugio della riparazione incatena l'anima al male con vincolo ogni dì più forte e l'avvezza a disistimarsi. E guai allorchè l'uomo internamente si disistima! Guai allorchè finge stimarsi, sentèndosi nella cosciènza un putridume che non dovrebb'èssere! Guai allorchè crede che, avendo tal putridume, non siavi più altro a fare che dissimularlo! Ei non ha più un grado fra i nobili ènti; egli è un astro caduto, una sventura della creazione.
Se qualche impudènte giovine ti chiama debole perchè non t'ostini, com'egli, ne' mancamenti, rispondigli, èsser più forte chi resiste al vizio che chi lasciasi da esso strascinare; rispondigli l'arroganza del peccato èssere falsa forza, dacch'è certo che al letto della morte, salvo un delirio, ei la pèrde; rispondigli, la forza di cui sèi vago èssere appunto quella di non curare lo scherno, quando abbandoni il sentièro malvagio per quello della virtù.
Quand'hai commesso un torto, non mentir mai per negarlo od attenuarlo. Debolezza turpe è la menzogna. Concèdi d'aver errato; qui vi è magnanimità: e la vergogna che ti costerà il concedere ti frutterà la lode dei buoni.

Ma avanti d'uscire dal celibato, riflètti bène se nol dovresti preferire.
In caso che tu non avessi saputo domare le tue inclinazioni all'ira, alla gelosia, al sospètto, all'impaziènza, al duro predominio, da poter presumere di riuscire amabile con una compagna, abbi la forza di rinunciare alle dolcezze del matrimonio. Prendèndo moglie, la renderesti infelice, e renderesti infelice te medesimo.
In caso che tu incontrassi tal persona che riunisse tutte quelle qualità che ti sembrassero necessarie per contentarti e perchè ella ponesse in te l'amor suo, non lasciarti recare ad accettare una sposa. Il tuo dovere è di rimanere cèlibe piuttosto che giurare un amore che non avresti.

Chi ama egrègia donna non pèrde il tèmpo a corteggiarla servilmente, a pascerla d'adulazioni e di vani sospiri. Ella ciò non soffrirebbe. Ella vergognerebbesi d'avere per amante un ozioso, uno sdolcinato; ella non sa apprezzare se non l'amicizia dell'uomo schiètto, dignitoso, meno sollecito di parlare d'amore che di piacerle con lodevoli principii e lodevoli fatti.
La donna che tollera l'uomo puerilmente schiavo a' suoi pièdi, piegato a soffrire con bassezza mille capricci di lèi, non occupato d'altro che d'affettate eleganze e d'amorose smorfie, ben dà a divedere d'aver poco elevata idèa di lui e di sè medesima. E colui che in tal vita si compiace, colui che ama senza nobile scopo, senza lo scopo di diventar migliore rendèndo omaggio ad una gran virtù, colui sciupa miseramente ingegno e cuore, e sarà difficile che gli rèsti alquanto d'energia da fare mai più alcun che di buono nel mondo.

Se un giovine di bèlle speranze pone in te la sua fiducia, siigli generoso amico, soccorrigli con rètti e forti consigli, non adularlo mai, applaudi sì alle sue lodevoli azioni, ma ritiralo con vigoroso biasimo dalle indegne.
Se vedi un giovine volgere al vizio, quando pure tu non avessi intrinsichezza con lui, non isdegnare, ove tu n'abbia l'opportunità, di porgergli la mano per salvarlo. Talvolta quel giovine che prènde la malvagia strada non abbisognerebbe che d'un grido, d'un cenno per vergognarsene e retrocèdere alla strada buona.

Ma principalmente se tu vedi il mèrito opprèsso, ti adopera con tutte le forze a rialzarlo: o se ciò non puoi, t'adopra almeno a consolarlo ed a rèndergli onore.
Arrossire di mostrare stima al disgraziato onèsto è la più indegna delle viltà. La troverai pur troppo comune; sii tanto più vigilante a non lasciarti infettare da essa mai.
Quand'uno è infelice, i più propèndono a dargli torto, a supporre che i suoi nemici abbiano donde vilipenderlo e tormentarlo. Se quegli scagliano una calunnia per giustificar sè ed infamar lui, quella calunnia, avesse pur tutte le inverisimiglianze, suol venire accolta e ripetuta crudelmente. I pochi che s'affaticano a dissiparla son di rado ascoltati. Sembra che la maggiorità degli uomini sia felice quando può credere al male.
Abbi orrore di quella sciagurata tendènza. Laddove suonano accuse, non isdegnare d'ascoltare le difese. E s'anco difese non s'odano, sii tu medesimo tanto generoso da congetturarne alcuna. Non prestar fede alla colpa, se non quando è manifèsta; ma bada che tutti coloro che odiano, pretendono èssere manifesta più di una colpa che tale non è. Se vuoi essere giusto, non odiare: la giustizia degli odianti è rabbia di farisèi.

Con tutti coloro coi quali t'occorre trattare usa gentilezza. Essa, dettandoti manière amorevoli, dispone veramente ad amare. Chi s'atteggia burbero, sospettoso, sprezzante, dispone sè a malevoli sentimenti. La scortesia produce quindi due gravi mali: quello di guastar l'animo a colui che l'esprime, e quello d'irritare od affliggere il prossimo.

La supèrbia e l'ira non s'accordano colla gentilezza, e quindi non è gentile chi non ha l'abitudine d'èssere umile e mansuèto. "Se vi è sentimento che distrugga il disprèzzo insultante per gli altri, è l'umiltà certamente. Il disprèzzo nasce dal confronto con gli altri e dalla preferènza data a sè stesso: ora come questo sentimento potrà mai prendere radice nel cuore educato a considerare e a deplorare le proprie miserie, a riconoscere da Dio ogni suo mèrito, a riconoscere che, se Dio non lo rattiène egli potrà trascorrere ad ogni male?" (Vedi Manzoni nel suo eccellente libro Sulla Morale Cattolica)....Reprimi continuamente i tuoi sdegni, o diverrai aspro ed orgoglioso. Se una giust'ira può èssere opportuna, ciò avviène in rarissimi casi. Chi la crede giusta ad ogni tratto, copre con maschera di zèlo la propria malignità.....Questo difètto è spaventevolmente comune. Parla con venti uomini a tu per tu; ne troverai diciannove, ciascuno de' quali si sfogherà teco a dirti i pretesi generosi suoi frèmiti vèrso questo e quello. Tutti sembrano ardere di furore contro l'iniquità come se soli al mondo fossero retti.

Coraggio sempre! senza questa condizione, non vi è virtù. Coraggio per vincere il tuo egoismo e diventar benefico; coraggio per vincere la tua pigrizia e proseguire in tutti gli studi onorevoli; coraggio per difèndere la patria e protèggere in ogni incontro il tuo simile; coraggio per resistere al mal esèmpio ed alla ingiusta derisione; coraggio per patire e malattie e stènti ed angosce d'ogni spècie senza codardi lamenti; coraggio per anelare ad una perfezione cui non è possibile giungere sulla tèrra, ma alla quale se non aneliamo, secondo il sublime cenno del Vangèlo perderemo ogni nobiltà.

Ama la vita! ma amala non per volgari piaceri e per misere ambizioni. Amala perciò che ha d'importante, di grande, di divino! Amala perchè è palèstra del mèrito, cara all'Onnipotènte, gloriosa a lui, gloriosa, e necessaria a noi! Amala ad onta de' suoi dolori, ed anzi pe' suoi dolori, giacchè son essi che la nobilitano, essi che fanno germogliare, crescere e fecondare nello spirito dell'uomo i generosi pensièri e le generose volontà!
Questa vita, cui tanta stima tu dèvi, sii memore èsserti data per brève tèmpo. Non dissiparla in sovèrchi divertimenti. Concèdi soltanto all'allegria ciò che vuòlsi per la tua salute e pel conforto altrui. O piuttosto l'allegria sia da te posta in principal guisa nell'operare degnamente cioè nel servire con magnanima fratellanza a' tuoi simili, nel servire con filiale amore ed obbediènza a Dio.

 

Ippolito Nievo, Confessioni di un Italiano (1861)


Vi giunsi alla fine, ma tanto trafelato che mi pareva esser un cane di ritorno dall'aver inseguito una lepre. E volsi intorno gli occhi e mi ricorderò sempre l'abbagliante piacere e quasi lo sbigottimento di maraviglia che ne ricevetti. Aveva dinanzi un vastissimo spazio di pianure verdi e fiorite, intersecate da grandissimi canali simili a quello che aveva passato io, ma assai piú larghi e profondi. I quali s'andavano perdendo in una stesa d'acqua assai piú grande ancora; e in fondo a questa sorgevano qua e là disseminati alcuni monticelli, coronati taluno da qualche campanile. Ma piú in là ancora l'occhio mio non poteva indovinar cosa fosse quello spazio infinito d'azzurro, che mi pareva un pezzo di cielo caduto e schiacciatosi in terra: un azzurro trasparente, e svariato da striscie d'argento che si congiungeva lontano lontano coll'azzurro meno colorito dell'aria. Era l'ultima ora del giorno; da ciò m'accorsi che io doveva aver camminato assai assai. Il sole in quel momento, come dicono i contadini, si voltava indietro, cioè dopo aver declinato dietro un fitto tendone di nuvole, trovava vicino al tramonto un varco da mandare alla terra un ultimo sguardo, lo sguardo d'un moribondo sotto una palpebra abbassata. D'improvviso i canali, e il gran lago dove sboccavano, diventarono tutti di fuoco: e quel lontanissimo azzurro misterioso si mutò in un'iride immensa e guizzolante dei colori piú diversi e vivaci. Il cielo fiammeggiante ci si specchiava dentro, e di momento in momento lo spettacolo si dilatava s'abbelliva agli occhi miei e prendeva tutte le apparenze ideali e quasi impossibili d'un sogno. Volete crederlo? Io cascai in ginocchio, come Voltaire sul Grütli quando pronunziò dinanzi a Dio l'unico articolo del suo credo. Dio mi venne in mente anche a me: quel buono e grande Iddio che è nella natura, padre di tutti e per tutti. Adorai, piansi, pregai; e debbo anche confessare che l'animo mio sbattuto poscia dalle maggiori tempeste si rifugiò sovente nella memoria fanciullesca di quel momento per riavere un barlume di speranze. No, quella non fu allora la ripetizione dell'atto di fede insegnatomi dal Piovano a tirate di orecchi; fu uno slancio nuovo spontaneo vigoroso d'una nuova fede che dormiva quieta nel mio cuore e si risvegliò di sbalzo all'invito materno della natura! Dalla bellezza universale pregustai il sentimento dell'universale bontà; credetti fino d'allora che come le tempeste del verno non potevano guastare la stupenda armonia del creato, cosí le passioni umane non varrebbero mai ad offuscare il bel sereno dell'eterna giustizia. La giustizia è fra noi, sopra di noi, dentro di noi. Essa ci punisce e ci ricompensa. Essa, essa sola è la grande unitrice delle cose che assicura la felicità delle anime nella grand'anima dell'umanità. Sentimenti mal definiti che diverranno idee quando che sia; ma che dai cuori ove nacquero tralucono già alla mente d'alcuni uomini, ed alla mia; sentimenti poetici, ma di quella poesia che vive, e s'incarna verso per verso negli annali della storia; sentimenti d'un animo provato dal lungo cimento della vita, ma che già covavano in quel senso di felicità e di religione che a me fanciullo fece piegar le ginocchia dinanzi alla maestà dell'universo!

Si direbbe che la Pisana m'avesse stregato, se la ragione dello stregamento io non la leggessi chiara nell'orgoglio in me continuamente stuzzicato a volerla spuntare sugli altri pretendenti. Mi vedeva il preferito piú di sovente e sopra tutti; voleva esserlo sempre. Quanto al sentimento che mi portava a voler ciò, era amore del piú schietto; amore che crebbe poi, che mutò anche tempra e colore, ma che fin d'allora mi occupava l'anima con ogni sua pazzia. E l'amore a dieci anni è tanto eccessivo come ogni altra voglia in quella età fiduciosa che non conobbe ancora dove stia di casa l'impossibile. Sempre d'accordo che qui la carestia delle parole mi fa dir amore in vece di quell'altro qualunque vocabolo che si dovrebbe adoperare; perché una passione tanto varia, che abbraccia le sommità piú pure dell'anima e i piú bassi movimenti corporali, e che sa inchinar quelle a questi, o sollevar questi a quelle, e confonder tutto talvolta in un'estasi quasi divina e tal altra in una convulsione affatto bestiale, meriterebbe venti nomi proprii invece d'un solo generico, sospetto in bene o in male a seconda dei casi, e scelto si può dire apposta per sbigottire i pudorati e scusare gli indegni. Dissi dunque amore e non potea dir altro; ma ogniqualvolta mi avverrà di usare un tal vocabolo nel decorso della mia storia, mi terrò obbligato ad aggiungere una riga di commento per supplire al vocabolario

Da ciò rappresaglie private continue, e servilità nei Comuni ai feudatari vicini, piú dannosa e codarda perché non necessaria; ma necessaria in questo, che una legge naturale fa i deboli servi dei potenti. Non sempre a torto fummo tacciati noi Italiani di dissimulazione, d'adulazione, e d'eccessivo rispetto alle opinioni e alle forze individuali.

Il signor Antonio Provedoni era ossequioso alla nobiltà per sentimento, non servile per dappocaggine. La sua famiglia avea camminato sempre per quella via, ed egli non pretendeva di cambiare l'usanza. Però quel suo ossequio, prestato ma non profuso, lo facea guardar dalla gente con occhio di rispetto; e cosí l'andava allora, che il non far pompa di vigliaccheria era riputato grande valore di animo. Pure con ciò non voglio dire ch'egli resistesse alla smoderatezza dei castellani vicini; solamente non le andava incontro colle offerte, ed era molto

- Io non ho paura altro che dei mali che mi son toccati davvero; - rispose Leopardo - ed anco di quelli non mi prendo gran soggezione. Agli altri poi non penso nemmeno; e siccome fino ad ora non son morto mai, cosí non avrei la menoma paura di morire, anco se mi vedessi spianata in viso una fila di moschetti! Bella questa di farsi paura d'un male che non si conosce! Non ci vorrebbe altro!

Moltissimi credono, e a buon diritto, che l'amore eterno e fedele sia il migliore; e perciò solo s'appigliano a quello. Ma per radicarsi stabilmente nel petto un gran sentimento, non basta saperlo e crederlo ottimo, bisogna sentirsene capaci. I piú, se ponessero mente in ciò, non porgerebbero nei fatti loro tante buone ragioni di calunniare la saldezza e veracità degli umani propositi. Gli è come se io scrittorello di ciance pensassi: "Ecco che il sommo vertice dell'umana sapienza è la filosofia metafisica; io dunque sono filosofo come Platone, e metafisico al pari di Kant". In vero bel ragionamento e proprio da schiaffi! Ma l'arroganza che non si permetterebbe ad alcuno negli ordini intellettuali, la permettiamo poi molto facilmente a noi medesimi nella stima dei sentimenti nostri; benché la paia ancor meno ragionevole perché il sentimento piú che l'intelletto sfugge al predominio della volontà. Nessuno oserebbe uguagliarsi a Dante nell'altezza della mente; tutti nell'altezza dell'amore. Ma l'amore di Dante fu anche piú raro che il suo genio; e pazzi sono gli uomini a stimarlo facile a tutti. La grandezza vera dell'anima non è piú comune della grandezza vera dell'ingegno

Ma pensiamo che dentro di noi la giustizia ha un altare senza misteri. La coscienza ci assicura che meglio è la generosità colla miseria che la dappocaggine colla contentezza. Soffriamo adunque, ma amiamo.

- Tornerò appena abbia odorato qualche cosa - risposi io con piglio autorevole, ché già fin d'allora mi sentivo uomo in quell'accolta di conigli

Al 18 febbraio 1788 moriva il doge Paolo Renier; ma la sua morte non si pubblicò fino al dí secondo di marzo, perché il pubblico lutto non interrompesse i tripudii della settimana grassa. Vergognosa frivolezza dinotante che nessun amore nessuna fede congiungevano i sudditi al principe, i figliuoli al padre. Viva e muoia a suo grado purché non turbi l'allegria delle mascherate, e i divertimenti del Ridotto; cotali erano i sentimenti del popolo, e della nobiltà che si rifaceva popolo solo per godere con minori spese, e con piú sicurezza

Dico che si farebbe atto di patria carità e prova d'indipendenza correndo incontro alle ottime intenzioni degli altri (riferito alla volontà del Direttorio francese e fine della Serenissima, da Nievo descritta marcia)

Ero cresciuto buono buono buono; il mio temperamento rammollito dalla soggezione non cercava che pretesti per piegarsi e padroni per obbedire. Allora conobbi tutti i pericoli di quel lasciarsi correre a seconda delle opinioni, e degli affetti altrui; mi proposi per la prima volta di esser io, null'altro che io. Ci son riuscito in un cotale proponimento? A volte sí, ma piú spesso anche no. La ragione non è lí sempre apparecchiata a tirare in senso contrario all'istinto; talvolta complice ignara, talaltra anche maliziosamente ella usa mettersi dal lato del piú forte: allora ci crediamo forti e commettiamo delle viltà, tanto piú spregevoli quanto piú ignorate e sicure dalla disistima del mondo. Non c'è scampo, o speranza. Nell'indole del fanciulletto sta racchiuso il compendio il tema della vita intera: onde io non mi stancherò mai di ripetere: "O anime rettrici dei popoli, o menti fiduciose nel futuro, o cuori accesi d'amore di fede di speranza, volgetevi all'innocenza, abbiate cura dei fanciulli!" - Lí stanno la fede, l'umanità, la patria.

- No, non morrai... Pisana, Pisana! ti giuro che non morrai!...
- Ed è vero; non morrò affatto se tu vivi; se tu onori la mia memoria col render utili quei pochi sacrifizi che sebben malamente pure ho fatto per te!... Se penserai all'Aquilina che io ti ho confidato, ai figliuoli che tu generasti e ai quali ti stringono sacri e inviolabili doveri, alla tua patria, alla mia patria, Carlo, per la quale ha sempre battuto questo mio piccolo cuore, per la quale dovunque mi porti la volontà di Dio io non cesserò di pregare, e di sperare!... Carlo, Carlo, te lo raccomando! Vivi perché la tua vita sarà degna di esser imitata da quelli che verranno. Possa almeno dire morendo che le mie parole che i miei consigli ebbero questa fortuna di lasciare un'eredità di grandi e nobili azioni!..

non si guardava tanto lontano e la carità patria cercava bisogni presenti da soddisfare, piaghe da sanare, desiderii da adempiere, non glorie remote da ravvivare, o vecchie eredità passive da raccogliere.

Oh, se come dissi un'altra volta, noi non pretendessimo misurare col nostro tempo il tempo delle nazioni, se ci accontentassimo di raccogliere il bene che si è potuto per noi, come il mietitore che posa contento la sera sui covoni falciati nella giornata, se fossimo umili e discreti di cedere la continuazione del lavoro ai figliuoli ed ai nipoti, a queste anime nostre ringiovanite, che giorno per giorno si arricchiscono di quello che si fiacca si perde si scolora nelle vecchie, se ci educassero a confidare nella nostra bontà e nell'eterna giustizia, no, non sarebbero piú tanti dispareri intorno alla vita!

 

Luigi Settembrini, Ricordanze della mia vita

In questo mondo, dove mia zia mi ripeteva che rimanessi e ci troverei il buono, io non potevo più stare perch'io ero noiato e indispettito. "Oh questo che tu ci mostri non era poi tutto il mondo: ma uno spicchio di esso, e forse non il più bello; in una città sì grande dovevano essere altre brigate, dove c'era da apprendere." Forse c'erano, ma io non le so: questa ed altre poche simili a questa io vidi allora, e ve l'ho dipinta come la vidi. Uomini non tristi ma inetti, donne non brutte ma insipide, giovani frollati e
ignoranti che non parlavano d'altro che di femmine di vestiti d'impieghi, nobili goffi come servitori, qualche magistrato che sapeva più di gastronomia che di leggi; non parlar mai di cose pubbliche, né di arti, o di scienze, o di lettere; pettegolezzi, maldicenze, divozioni: questa era la commedia nella quale io dovevo entrare a farvi la mia parte. Mi venne meno la pazienza, mi vennero meno anche i vestiti, non v'andai più, e presi la via dell'università.

Il soldato, il prete, ed il maestro di scuola sono i soli uomini che fanno le rivoluzioni: il soldato ed il prete hanno sinora comandato il mondo, il maestro di scuola attende la sua volta, la quale verrà quando il mondo sarà guidato non dalla forza né dal sentimento, ma dalla intelligenza: e pare che si avvicini perché oggi, risorgendo il popolo, prevale il maestro che deve sollevarlo con la scuola. Gli uomini che fanno il mestiere di soldato, di prete, e di maestro di scuola sono pochi e male retribuiti dell'opera loro:
chi può degnamente retribuire il soldato, il buon prete, il maestro che educa ed istruisce? E il mondo stima poco quello che paga poco, e però tiene questi uomini in poco pregio. E veramente chi vuol fare uno di questi mestieri per solo fine di guadagno lo fa male, ed è meritamente spregevole: perché senza una grande abnegazione, senza un grande animo, e senza poesia non si è bravo soldato, non si è buon prete, o si è maestro ed educatore degli uomini. Io l'abnegazione, l'animo e la poesia la sentiva in me, e
però credevo e credo di esercitare professione nobilissima, necessaria a la mia patria, e dirò ancora principale nella presente condizione dei tempi; io aveva chiara coscienza di quello che facevo, e sapevo di mettere anche la mia mano ad una grande opera. La rivoluzione del '48, si disse, fu fatta dai maestri di scuola, i quali, come non avvezzi, sbagliarono, ma si corressero nel '60: io dico che la grande rivoluzione europea è stata fatta dal popolo, e chi ha educato ed ammaestrato il popolo l'ha prodotta.

Goffredo Mameli, La battaglia è cominciata, 19 marzo 1849

L'Europa direbbe: gli italiani del Tebro e dell'Arno non sono che grandi e impotenti fanciulli a cui si addice la sferza del pedagogo. Tornino un'altra volta sotto la tutela dell'Austria, sotto il bastone dei Proconsoli suoi; altra sorte dessi non meritano. Questo pur troppo direbbero i popoli tutti che ora vi stanno osservando con grande aspettativa. E i fratelli conculcati, indarno sperando nell'aiuto dei fratelli, maledirebbero ad un vano simulacro di libertà reso impotente per difetto di patria carità, d'energia, di opere. Potreste voi sopportare l'idea d'esser fatti ludibrio del mondo?

Programma del nuovo "Diario del Popolo", 1848

E voi vedrete l'umana famiglia che cammina nel suo cammino continuamente, logicamente, progressivamente attratta dalla legge di Dio che a mano a mano le si rivela in una parola, in un fatto sensibile e poi in un altro e poi in un altro; se non che ad ogni passo la parola diventa piú sublime, e l'idea traluce piú splendida dal fatto che la ravvolge come fiamma chiusa in un vetro che via via si fa piú trasparente.
E ad ogni passo, ad ogni epoca, corrisponde un maggior grado di unità a cui corrisponde, religione di quello stadio di quell'epoca, un'idea, una parola, tribú, patria, chiesa, nazione, Umanità.

IL CRISTIANESIMO E LO SVILUPPO DEMOCRATICO DEL POPOLO, 1849

E noi crediamo che la Religione si farà piú sublime e pura fra noi, liberandosi dai pensieri mondani che si sono infusi in lei come un germe di corruzione

Fratelli d'Italia, 1849

Sorgiamo tutti come un solo uomo e corriamo alle pianure di Lombardia: i Sacerdoti col Cristo nelle mani sieno i primi a dare il religioso esempio di morire per salvare la Patria. I vecchi difendano le mura, le donne prendano cura pietosa dei feriti, e come le Spartane comandino ai figli di accudire al campo; dichiarando chi fugga indegno parto delle loro viscere. Oro e gemme si portino al tesoro della patria: non è tempo di sontuosi ornamenti e di splendore vano quando la patria versa in estremo pericolo. Se sarete avari, colla vita anche queste suppellettili voi perderete, e impingueranno il bottino dell'abborrito Croato. La insurrezione sia universale, o popoli delle belle pianure!
Ogni sacrificio spontaneo è grande. In tal guisa operando noi trionferemo, e gli stessi ostinati nell'iniquo proponimento di consumare lo eccidio di questa terra infelice, si uniformeranno alle leggi del fato che segnano per loro l'ultima ora.
Fratelli d'Italia quanti siete dalle Alpi sino a Spartivento! La patria con voce solenne ci chiama tutti alla difesa. È richiamo di madre che avvisa i figli a darle aita. Maledetto lo spietato che non si commuove, e ricusa, ingrato, di concorrere a spendere l'esistenza per Lei. Eh, se i lettori ci ponessero la mano sul cuore! Colle vibrazioni meglio che colle parole noi trasfonderemmo nell'anima loro la santa ira che scrivendo ci agita, e sonno ci toglie pensando alla sventura d'Italia e alla grandezza futura. La retorica risorsa degli Italiani

Sí, la vittoria per noi è certa se ci risolveremo a morire, ma da "Romani" veri; gloria che fa la morte piú soave della vita.

Alla poesia , 1845

Oh, quei che ha un cor che palpita,
Alla tua voce, in seno,
Liba talvolta il giubilo,
Non è infelice appieno
Dagli occhi suoi rimuovesi
Dei figli d'Eva il velo;
Vaga coll'alma in cielo.
Egli sprezzar può gli uomini;
Non è fratello a lor.
Solo nel sen di Dio
Appunta il suo, desio,
Solo in lui sbrama il cor.

LA NOTTE adolescenza senza data
SE è dai venti agitato un ampio lago,
Lo guardo invan con tutto l'occhio intento,
E s'abbia il fondo limaccioso, o vago
Di bianche arene, di veder m'attento.
Tal, mentre al giorno in cento cure io vago,
Il dolor di mia piaga aspra non sento;
E solo il core, del suo duol presago,
Teme, e alla gioia s'abbandona a stento.
Ma il dí fuggissi; e le cure non mie
Sí del giorno fuggir dalla mia mente
E dileguâr, quale dileguossi il die.
Sol propria cura mi rimase amore;
E l'alma mia tutto or comprende e sente
Dell'acerba ferita il reo dolore.

Suonò l'ora

Ma chi unifica è solo l'amore:
Questo fior, che nel campo de' schiavi,
Ove luce non scende, si muore,
Né germoglia fra i serti e le Chiavi,
Questo fiore è la manna che Dio
Nel viaggio profonde sui forti.
Empio ai vili n'è pure il desio!

Appunti e Versi

Gli appunti di GM: vari libri della Bibbia, Byron, Parini, Ariosto, Dumas, Gibbon, Voltaire, Foscolo, George Sand, Hugo, Sue, Seneca, M.me de Stael, Rousseau, Guizot, Tito Livio, Lammenais, Platone, etc... STUDIAVA!

Il savio vede il suo cammin, lo stolto
Non lo vede141; ma ciò che importa, s'ambo
Strascina il fato per cammin non scelto?
Il sol guadagno del primiero è solo
L'essere più infelice
malattia

Ed il dolore anch'esso
Ha una secreta voluttà, che forse
Non pareggia la gioia.
Melanconia

Per, direi cosí, coltivarne la vita, non è necessario che l'amore per la nostra Società; e in ciò, perdonate ch'io il creda (non è, tutto al più, che un errore prodotto da un buon desiderio), io non mi credo a niuno secondo.
Perché questa nostra Società non parmi solo un molto acconcio mezzo per avvantaggiarci nelle umane discipline, ma anche il forse unico modo, nel quale per ora possiamo servire ai più sacri principii.
Perocché, limitandomi a riguardare il principio sotto un aspetto parziale, l'arma più tremenda di cui possano usare contro Italia nostra i suoi nemici, è l'impedire in essa ogni maniera di affratellamento. Oppressa la stampa, proibite le società, le anime anche più vigorose isteriliscono nei sepolcrali confini dell'individualismo, come l'albero a cui manca l'aria. Se questo è il secreto della loro forza, tutto che a ciò è contrario, è nostro debito /.../ noi crederemo che l'obolo offerto ci sia stato largamente retribuito, se penseremo oltre ciò alla dolcezza dell'esserci conosciuti, e dell'amarci. Per poco che ciò sia, quando ciò è tutto che potevamo, non abbiamo nulla a rimproverarci; abbiamo adempiuti i nostri doveri. Solo nell'unità è l'amore, e nell'amore la vita

[Questi appunti, senza dubbio, furono presi per un discorso alla Associazione degli Studenti fondata da Goffredo: e pare da essi che ad ogni tratto si mutasse il presidente]

Come parmi che gli storici antichi, e tanto meno i moderni, siano lontanissimi dal trascurare la legislazione e i legislatori, penso che il signor Castagnola piú che degli encomii negati a questi, si lagni di quelli accordati agli uomini d'azione. /.../ Qui mi giova ripetere che non è animo mio confutare le lodi che il signor Castagnola tributa al progresso delle leggi, né per niun modo posporne il merito ai fatti militari e violenti; ma solamente, mentre egli li osserva come due rami distinti, e quasi opposti nella storia, a me paiono collegarsi vicendevolmente, o meglio non essere che due facce di una cosa medesima.
Per non dilungarmi troppo, di fatti non citerò che quelli recati dal signor Castagnola stesso.
Certo, molto deve l'umanità a Beccaria, a Filangieri e agli altri filosofi del Settecento: ma le loro opinioni sarebbero state attuate, senza la rivoluzione di Francia e le altre che la seguitarono, occupando la piú sublime pagina nella storia del genere umano? E il Codice di Bonaparte si sarebbe senza quella rivoluzione medesima promulgato in Francia

[idem, 1847]

In un giorno ancor piú triste del 1833, Jacopo Ruffini fu rinvenuto svenato in carcere, forse da sé stesso, per risparmiare agli occhi materni la passione del patibolo; forse dai suoi carnefici, diceva mia madre, per timore dell'infamia. Ci parlava di Giuseppe Mazzini, di Santorre Santarosa, dei Carbonari, della Giovine Italia, e della patria nostra, che gli stranieri chiamavano la terra dei morti! Io vi affermo sul mio onore che dalle labbra di lei ho appreso ad amare il nome d'Italia, come appresi dal carattere austero ed incorruttibile di mio padre la religione del dovere. Poveri miei parenti! essi non prevedevano allora che questi due grandi affetti sarebbero stati il drappo funebre del loro Goffredo! /../Discorrendo di mia madre, il mio pensiero ricorre naturalmente a Giuseppe Mazzini. Essi si conobbero da giovinetti: ma, piú ancora che da questa breve dimestichezza di due fanciulli, io sono richiamato a lui da una comunanza di sentimenti e di aspirazioni, che nella mente e nel cuore di Giuseppe Mazzini divennero quella gran luce onde s'illuminò l'Italia tutta, e a mia madre insegnarono a formar l'anima di Goffredo. Io di Mazzini non voglio qui considerare l'opera politica, e le opinioni particolari, intorno a cui molti e diversi possono essere i pareri. La coscienza umana è un oceano sterminato, che nessuno giungerà mai a percorrere tutto intiero. Come
pensatore Giuseppe Mazzini ebbe degli uguali, fors'anche dei superiori: ma il segreto di agitare i cuori e d'infiammare le menti lo ebbe egli solo: nessuno come lui seppe sposare la fede viva dell'Evangelio al pensiero della civiltà moderna. Imperocché l'Italia fu redenta con una sola parola; fu redenta coll'amore. Antico e inestinguibile era il culto della patria fra noi; ma era culto di pochi cuori solitarii, di qualche raro ingegno. Mazzini ne fece il culto di tutti, dei giovani, dei poveri, dei reietti. Gli altri crearono l'Italia dei letterati, l'Italia dei poeti, l'Italia degli uomini di Stato; egli solo creò l'Italia del popolo, insegnando agli Italiani ad amarsi, nel vincolo di un affetto comune, la patria. Ed oggi, anche quella gran luce è spenta. Il patto di fratellanza è ancora sulle nostre labbra; ma il cuor nostro è diventato una coppa d'odio. Noi innalziamo dei monumenti alla memoria di Giuseppe Mazzini; ma a poco a poco, senza avvedercene, ci discostiamo da lui, imprecando a ciò ch'egli amava, deridendo ciò ch' egli adorava. Ci dicono che le sue dottrine sono ormai vecchie; che l'unità del paese, il primo, il piú incrollabile fra i suoi concetti politici, ha fatto il suo tempo: che la concordia è un inganno, e il dovere un pregiudizio

[il fratello Nicola Mameli alla morte della madre nel 1884]

"È una fatalità gravitante sulle nazioni, cotanta diversità d'indole negli individui, mentre
all'apparenza dell'involto di creta si direbbero della stessa natura. Sotto l'aspetto d'uomini, brulicano
certi esseri che dell'uomo sono la vergogna, nati come gli insetti roditori, o come le velenose
erbe .... ciurmaglia che affligge il genere umano, e ne ritarda, o ne fa vano il progresso. Da un'altra
parte Voi vedete un'eletta schiera, di giovani principalmente, votarsi ad ogni disagio della
vita, ad ogni sacrificio, alla morte, per il bene della loro patria e dell'umanità. Essi rattengono il
grido di maledizione, che, procedendo nella vita, uno darebbe alla sua propria specie.
"E tra quei giovani che riconciliano coll'umana famiglia, che sono il tipo del cavalleresco
in questo secolo di brutture, che vi fanno non disperare dell'avvenire, io, commosso, intenerito,
riconoscente mi specchio nella bella, gentile, simpatica figura del giovine guerriero poeta, di
quella perla dell'Italia e della gioventú Italiana, Goffredo Mameli.

[Giuseppe Garibaldi alla madre di GM]

Mameli Goffredo era mio aiutante di campo; piú, amico mio. Il mio cuore è ben indurito
dalle vicende della procellosa mia vita: ma la memoria di Mameli, la sua perdita, mi hanno straziato,
e mi straziano, pensando alle glorie perdute dell'infelice mio paese.
"Italia mia! Non la Italia delle turpitudini e del lucro quella del tanto per cento/.../ Non quella della pancia e della prostituzione!
Ma l'Italia ideale, sublime, quella concepita da Dante, quella per cui morivano i Bandiera
a Cosenza e migliaia di giovani sotto le mura della sua Metropoli/.../ I nati sotto il cielo d'Italia non abbisognano dell'estraneo per redimersi, ma d'unione, e
d'un inno che li colleghi, che parli all'anima dell'Italiano, coll'eloquenza del fulmine, la potente
parola del riscatto!..."
G. GARIBALDI

Giuseppe Mazzini idolatrò: appena egli apprese a conoscere questo nome onorato, che la piú turpe ed ingegnosa calunnia non riescí ancora in alcun modo a macchiare, subitamente di lui s'innamorò. Infatti, simili dell'anima, si strinsero tosto entrambi nella potenza dei concetti e nella dolcezza delle affezioni; e Goffredo fu amico non solo,
ma singolare ammiratore di Mazzini, che della stessa generosa amicizia lo ricambiò

BIOGRAFIA DI GOFFREDO MAMELI
dettata da Michel Giuseppe Canale (amico del cuore del Mameli)

…....

Giuseppe Mazzini
D'ALCUNE CAUSE CHE IMPEDIRONO FINORA LO SVILUPPO
DELLA LIBERTÀ IN ITALIA

Trattando delle cagioni, che tornavano in nulla i tentativi di libertà nell'Italia - de' vizi che
contrastarono al concetto rigeneratore di farsi via tra gli ostacoli, noi siamo ad un bivio tremendo.
O noi parliamo parole alte, libere, franche - parliamo coll'occhio all'Italia, la mano sul core,
e la mente al futuro - parliamo, come detta la carità della patria, senza por mente ad uomini, o
pregiudizi, snudando l'anima agli oppressori, ai vili, agli inetti, flagellando le colpe e gli orrori
ovunque si manifestino - e un grido si leva dagli uomini del passato contro a' giovani che
s'innoltrano nella carriera, ignoti alle genti, senza prestigio di fama, senza potenza di clientela, soli
con Dio e la coscienza d'una missione: voi violate l'eredità de' padri, perdete la sapienza degli avi:
voi usurpate un mandato, che il popolo non v'affida esclusivamente: voi cacciate l'ambizione di
novatore frammezzo a' vostri fratelli!
O noi rineghiamo ispirazioni, studi ed affetti per una illusione di universale /.../ Ma a noi la carità della patria non acciechi il lume della mente. Le vanità puerili, le adulazioni accademiche, le cantilene
de' letterati di corte, e il pazzo entusiasmo di que' tanti amatori della patria che s'inginocchiano
davanti ai simulacri de' nostri grandi, senza oprare a farsi grandi com'essi, hanno partorito lunghi
sonni, e codardi all'Italia - e non altro.

Giuseppe Cesare Abba
Cronache a memoria

[finita l'epoca napoleonica]
Godevano d'essere stati ciò che erano stati, grandi soldati, ecco
tutto: ma in cuor loro dovevano dire che se fossero tornati i tempi e la gioventù, non essi sarebbero
tornati a quella gloria. Vera gloria era sempre stata e doveva divenire di nuovo il vivere umilmente
contenti nel posto che la Provvidenza aveva assegnato a ciascuno, solo migliorandoselo con le proprie
forze senza danno del prossimo: interesse e timor di Dio, amare il Principe, venerare il Papa e
la gerarchia, ubbidire i genitori, farsi ubbidire dai figli, pensare all'anima e rispettare le autorità sotto
le quali si era immediatamente posti. Che cosa si voleva di più bello che una vita tutta d'ordine, in
cui il Re si curava del bene terreno dei sudditi e la Chiesa delle cose spirituali dei fedeli? In quanto
al rispetto, questo aveva ripreso le sue forme antiche, cominciando dalla famiglia

Gioco che fra le migliaia di teste vedute qui in quel giorno, nemmeno cento pensavano più
in là d'una buona guerra contro l'Austria che allora si chiamava l'eterna nemica. Oh! se si avesse potuto
pigliare la rivincita di quel tetro quarantanove! E non si rifletteva che, cacciata via l'Austria, il
resto sarebbe venuto quasi da sé; che il sentimento dell'unità si sarebbe svegliato pronto, generale,
indomabile. Ci siamo veduti quando fu il tempo
italiani che solo nel calcio pensano oggi a rivincite... mortificati nel coraggio... ma la risorsa della unità indomabile?..

Dego e valli della Bormida: Abba ha un bellissimo raccontare dei fatti del 1796 e posteriori come residenti qui … fatti militari e di eroismo glorioso e di morte.. sembra Tolkien e i campi dei morti elfi... ah, non c'è stato più per gli italiani un raccontare tale di Francesi ed Austriaci grandi gesta per avvenimenti della WWII con Angloamericani e tedeschi e qui la perversione della carità di patria... meschina retorica di regime fascista ora antifascista ma l'è lo stèss!... disinteressata dalle grandi gesta e tutta sulla cosiddetta Resistenza narcisistica bambinoide....

Di quest'animo dovè essere il cavalier Del Carretto, quando circondato da soldati suoi paesani,
quasi nel bel mezzo delle Langhe, veduto, sto per dire, da tutte le torri feudali piantate su per
quelle vette lontane e vicine, possessioni antiche dalla sua gente, nel castello rovinato di Cosseria,
aspettò l'assalto dei Francesi e la morte. Vi era venuto dalla valle del Tanaro, pieno di mesti presentimenti.
Un giorno, mentre marciavano sotto la pioggia, un sergente molto amato da lui e campato
poi vecchio sino al 1859, molle sino alla pelle, inzaccherato, stanco morto aveva osato dirgli:
"Che vita le tocca, signor cavaliere, lei che poteva starsene tranquillo nel suo palazzo di Torino,
coi piedi al fuoco!".
Il cavaliere si era mosso come a una puntura e al sergente aveva intimato di tacere: ma poi
battendogli sulla spalla aveva soggiunto dolcemente:
"Dimmi, tu ed io chi ci ha più roba al sole?
Oh! lei senza dubbio; io sono un poveretto.
Ebbene, avrei potuto starmene al fuoco, nel mio palazzo? Eppure là v'è mia moglie, v'è il
mio figliuolo... Senti, lasciamo andare questi discorsi; e quando una palla m'avrà ammazzato, allora
dirai: ecco, il cavaliere è tranquillo".
Diceva quel vecchio sergente, che il cavaliere Del Carretto era un giovane bellissimo, non
molto gagliardo ma fiero, sempre taciturno e scontento forse per cose domestiche. A Cosseria fra le
rovine del castello che fu dei suoi vecchi, colto da una palla nel petto, cadde nelle braccia dei suoi
granatieri, molti dei quali lo avevano visto fanciullo. Ora v'è una lapide lassù posta nel 1860, l'anno in cui tutto sentì come un grande risvegliamento.In essa è scritto di lui, di Bannel, di Quesnel generali francesi, morti nemici e mescolati ora
nella pace soave di quell'altura, dove io da giovinetto andava da lungi a leggere la Capanna dello
Zio Tom, piangendo a quel grido d'angoscia che ci veniva dalla grande America, e ignorando il gran
cuore che si era spento lassù mezzo secolo prima. Non sapeva che qualcuno dei teschi nascosti fra i
rovi che tutte avvolgono quelle mura cadute, poteva essere stato la testa bella, malinconica e ardita
di quel cavaliere.


Giulio Cesare Abba, Storia dei mille

Sola l'Inghilterra si mostrava amica al nuovo Stato, che si veniva formando; sola suggeriva agli Italiani dell'Emilia e della Toscana di stare saldi nella loro risoluzione. Al Piemonte consigliava di fare, di osare senza domandare e di non darsi briga né dell'Austria né della Francia, né di nessuno.

[ a Quarto] Garibaldi attraversò la strada seguìto da Turr e da Sirtori, allora già colonnelli, e per un vano del muricciolo rimpetto al cancello della Villa, discese franco giù per gli scogli. E cominciarono i commiati. Tra gli altri bello e forte è narrare quello di uno Stefano Dapino cui suo padre, vecchio amico di Mazzini e dei fratelli Ruffini, aveva accompagnato fino a quel passo. Quel padre aveva con sé anche un altro figliuolo più giovane. Conversavano tranquilli come se il figlio partisse per una caccia; poi senza parole, senza sospiri il padre abbracciò il figlio, stettero un poco stretti prima essi due, poi tutti e tre, finché Stefano che aveva alla spalla la carabina, baciò il fratello, gli fece segno come a raccomandargli il padre, si staccò da loro e discese per dove scendevano alle barche i suoi compagni. E quel padre e quell'altro figlio si persero fra la folla, portando alla casa lieta di altre gioie, ricchezza, bellezza, onore, quell'amara gioia d'esser stati a quella fortissima prova.

Ma quando i due vapori sbuffarono e i mossero, a vederselo dinanzi, là a prua, il promontorio di Portofino pareva dire: "Venite pure, oltre me lontana, molto lontana, sta la terra misteriosa, che andate a cercare." Dalle navi, rispondevano all'invito quelle mille anime; vecchi amici, compagni d'armi che, cercandosi un posto a bordo, s'incontravano, si abbracciavano e: - Anche tu? E tu? E tu? - gioia d'amarsi meglio per aver sentito e voluto fare una stessa gran cosa.

Allora la gioventù aveva imparato a ubbidire fortemente

Garibaldi ai mille durante il viaggio per mare "La missione di questo corpo sarà, come fu, basata sull'abnegazione la più completa davanti alla rigenerazione della patria. I prodi Cacciatori delle Alpi servirono e serviranno il loro paese con la devozione e la disciplina dei migliori militanti, senz'altra speranza, senz'altra pretesa che la soddisfazione della loro intemerata coscienza. Non gradi, non onori, non ricompense allettarono questi bravi; essi si rannicchiarono nella modestia della vita privata, allorché scomparve il pericolo; suonando l'ora della pugna, l'Italia li rivede ancora in prima fila, ilari, volenterosi, e pronti a versare il sangue loro per essa."

Ma quei Mille chi erano? Che cosa erano? Non certo una specie di compagnia di ventura all'antica; non una parte di vecchio esercito costituito, staccata a scelta o per caso; nessuna legge li obbligava, non erano soldati di professione, non avevano tutti quella media di età che di solito hanno i soldati; non una cultura comune ed uguale, e nemmeno una divisa uniforme. Vestivano quasi tutti alla borghese e alle diverse fogge, dalle quali, a quei tempi, si riconoscevano ancora a qual regione d'Italia e a qual classe sociale uno appartenesse. E parlavano quasi tutti i dialetti della penisola. Erano, per dir così, parte dell'esercito popolare militante di cuore nel partito rivoluzionario: vecchi, figliuoli di giacobini, di napoleonidi, di Murattisiti; uomini di mezza età, educati dalla Giovane Italia, tra le congiure e le insurrezioni; giovani nei quali la letteratura classica e la romantica s'erano fuse in una bella temperanza a fecondare l'amor di patria. Con essi, degli artigiani che dalle diverse scuole politiche e dai fatti belli dell'ultimo decennio, erano stati destati al concetto della nazione.

A colpo d'occhio, si poteva dire che per un quarto quei Mille erano uomini fra i trenta e i quarant'anni e per un altro bel numero tra i quaranta e i cinquanta; forse dugento stavano tra i venticinque e i trenta. Gli altri, i più, erano tra i diciotto e i venticinque. Di adolescenti ce n'erano una ventina, quasi tutti bergamaschi. Alcuni qua e là tra quei gruppi parevano trovarvisi per curiosità, perché, vecchi oltre i sessanta; e invece vi stavano a spendere le ultime forze di una vita tutta vissuta nell'amore della patria. Il vecchissimo passava i sessantanove, aveva guerreggiato sotto Napoleone e si chiamava Tommaso Parodi da Genova; il giovanissimo aveva undici anni, si chiamava Giuseppe Marchetti da Chioggia, fortunato fanciullo cui toccava nella vita un mattino così bello! Seguiva il medico Marchetti padre suo, che se l'era tirato dietro in quell'avventura.

In generale, certo più della metà erano gente colta; anzi si può dire che soldati più colti non mossero mai a nessun'altra impresa.

I giovani dai venti ai venticinque anni quasi tutti sentivano in sé, vivi e presenti i fratelli Bandiera con la loro storia, intesa nella prima adolescenza, tra le pareti domestiche, dai padri e dalle madri angosciate. Quell'Emilio di 25 anni, quell'Attilio di 23, disertati a Corfù di sulle navi austriache; la loro madre corsa invano colà, per supplicarli di smettere il loro disegno d'andar a morire; le loro risposte a Mazzini che li consigliava di serbarsi a tempi migliori; e poi l'imbarco, il tragitto nell'Ionio e lo sbarco sulla spiaggia di Crotone, presso la foce del Neto, - che nomi! - e il primo scontro a San Benedetto coi gendarmi borbonici, e le plebi sollevate a suon di campane a stormo contro di loro gridati Turchi; e il secondo scontro a San Giovani in Fiore, - poesia, poesia di nomi! - e l'inutile eroismo contro il numero, e la cattura e la Corte marziale e le risposte ai giudici vili e la condanna e la fucilazione nel Vallo di Rovito; tutto sapevano, tutto come canti di epopea studiati per puro amore. E suonava nei loro cuori la strofa amara ed eroica del canto di Mameli:
L'inno dei forti ai forti,
Quando sarem risorti
Sol li potrem nomar.

Ve n'era fin uno, e lo narrava, che aveva avuto la spinta a quel passo da un fatto da nulla, ma che sul suo cuore aveva potuto più che la scuola e i libri. Un giorno di luglio dell'anno avanti, stando egli in Brescia alla porta di uno degli ospedali zeppi ancora dei feriti di Solferino e di San Martino, aveva veduto fermarsi un carro di casse d'aranci e di filacciche e di bende. Venivano dalle donne di Palermo! O santa carità della patria! Dunque in quella terra lontana si pensava a chi pativa per tutti?

Luogotenente del Carino era Alessandro Ciaccio, palermitano, uomo di quarant'anni, esule da dieci. In mezzo alla compagnia pareva il sacerdote di una religione non ancora predicata ma già viva nei cuori. Non era tempra da uomo di guerra, ma da dar la vita per qualche grande amore, sì: sarebbe stato capace di ber la cicuta e morire conversando di cose alte e pure in mezzo a quei suoi militi che, lui presente, si sentivano sempre come avvolti da un'aura casta e purificatrice.

Sfilava la settima compagnia, la più numerosa e la più signorile, quasi tutta di studenti dell'Università pavese, lombardi di ogni provincia, milanesi eleganti, veneti che la grazia natìa temperavano alla baldanza dei compagni nati tra l'Adda e il Ticino.
La comandava Benedetto Cairoli, che allora aveva già trentacinque anni. E pareva così contento, in quella sua bella faccia di giusto, aveva un'aria così paterna, che uno avrebbe detto: "Certo a costui è stato affidato ogni soldato dalla madre in persona, perché, se non è necessario sacrificarlo, glielo riconduca puro e migliore." Ah, il contatto con quell'anima! Molti vanno ancora pel mondo che vissero giovinetti sotto quell'occhio, in quei giorni di altissima scuola; e ne portarono la luce tra la gente, che, pur divenuta scettica, pensa che un mondo migliore debba essere stato, e spera che torni.

Era luogotenente del Cairoli il Vigo Pellizzari, da Vimercate, bello e giocondo giovane, di ventiquattro anni, nato coi più bei doni di natura, ma sprezzatore superbo fin di sé stesso. Amava la vita, avrebbe potuto averla felice, non volle. Scherzava con la morte, pareva che l'andasse cercando per schiaffeggiarla, e che la morte lo scansasse, tanto era ardimentoso. Sette anni di poi, le si diede irato a Mentana gridando insulti ai francesi.

Non sarà inutile aggiungere che trecentocinquanta di quegli uomini erano lombardi, centosessanta genovesi, il resto veneti, trentini, istriani e delle altre provincie dell'Italia superiore e centrale, con forse un centinaio di siciliani e napolitani tornanti dall'esilio. Non ve n'erano affatto delle provincie di Aquila, Benevento, Caltanissetta, Campobasso, Chieti, Caserta, Forlì, Pesaro, Ravenna e Siracusa. Stranieri accorsi per amor d'Italia ve n'erano diciotto, uno dei quali africano, l'altro d'America, e questi era Menotti, il figlio del Generale.

Triste cosa la guerra! Ma allora pareva ancora bella perché vi si poteva patire, morire, per far trionfare un'idea, più che perché vi si potesse provar la gioia e la gloria di vincere.

"Riposate, figliuoli, poi un ultimo sforzo e abbiamo vinto." Fu in quel momento che lo colpì nella spalla destra uno dei sassi che i borbonici facevano rotolar giù; ma egli non degnò mostrare d'essersene accorto, e continuò a mantenere quell'aria sicura che creava la sicurezza altrui

La guerra non la faceva per gusto, e non era per lui né scienza né arte. Si trovava al mondo in queste nostre età, in cui essa è ancora uno dei mezzi per far trionfar la giustizia, e la faceva senza cercarvi né gloria né altro. Anzi ne dimenticava i fatti appena li aveva compiuti. Non è forse vero che quando, per esempio, scrisse di Calatafimi, che pur egli stimava uno de' suoi più bei fatti d'armi, ne scrisse quasi come uno che non vi fosse stato presente, e non avesse mai visto neppure quel campo? Nei tempi che verranno, tale noncuranza sarà forse il titolo più alto per la sua gloria di generale, cui nessuno preparava i mezzi di guerra, che tutto doveva improvvisare ed eseguire, solo con l'aiuto d'uomini devoti a lui come a un'idea; e col sentimento del bene, e con la fede in qualche cosa di superiore da cui si credeva assistito, andava avanti vincitore sempre, almeno moralmente anche quando era vinto.

Egli fu dimenticato come uno che non avesse avuto né parenti, né amici, né nulla. E forse felice lui, se morendo, avesse potuto indovinare quell'oblio; perché, diciamo noi, portar seco nella morte tutto sé stesso, la gloria e il nome, deve esser una gioia più che da uomo.

Ma nel breve tragitto dalla marina al Palazzo pretorio, ebbe uno di quei momenti nei quali gli eroi pagano, per dir così, il fio della loro grandezza. Lo pagano con la tempesta che si scatena loro nell'animo, come avvenne al Mazzini nel 1833, nell'ora terribile in cui si trovò a lottar tra l'idea sua, che egli chiamava dovere, e il sacrificio di tanti, che per quell'idea suscitata da lui, si offrivano alla rivoluzione, alla galera, alle forche. E così come narrò di sé il Mazzini, di sé e di quel suo momento narrò Garibaldi. "Confesso che non ero scoraggiato; ma considerando la potenza e il numero del nemico e la pochezza dei nostri mezzi, mi nacque un po' d'indecisione sulla risoluzione da prendersi, cioè se convenisse continuar la difesa della città, oppure rannodare tutte le nostre forze e ripigliar la campagna. Quest'ultima idea mi passò per la mente come un incubo, ma la allontanai da me con dispetto: trattavasi di abbandonar la città di Palermo alle devastazioni di una soldatesca sfrenata! Mi presentai quindi quasi indispettito con me stesso al bravo popolo dei Vespri."
Apparve di fatto dal balcone sinistro del Palazzo, nel lampo delle invetriate che, mentre si aprirono, scintillarono percosse dal sole già basso verso Monte Pellegrino, e a capo scoperto, come Ferruccio ai suoi, prima di Gavinana, parlò. Breve, pacato, con voce che suonò come un canto, disse che il nemico gli aveva fatto delle proposte ingiuriose per Palermo e che egli, sapendo il popolo pronto a farsi seppellire sotto le rovine della sua città, le aveva rifiutate.
V'è ancora qualcuno, vivo, al mondo, che, sebbene sia passato quasi mezzo secolo, si sente sempre nell'anima quella voce. E ancora vede ciò che vide in quell'ora. Vede quella moltitudine che non balenò neppur un istante, e che alle ultime parole di Garibaldi ruppe in un grido solo: "Sì! Sì! Grazie! Grazie!" con una levata di mani, di fronti, di cuori, tale da fare impallidire lui, pel sovrumano peso che gli imponeva, accettando l'onore di lasciarsi sacrificare. Egli guardò un poco, poi si tirò dentro '"ritemprato (lo narrò nelle sue 'memorie') e da quel momento ogni sintomo di timore, di titubanza, d'indecisione" gli sparve [perchè lo stesso Spirito corre in loro... la "tempesta del dubbio" dell'eroe dubita che lo stesso Spirito in tutti eroi o non eroi scorra!!... e che "vittime" pur siamo tutti perchè tutti mortali … mortali,sì, ma con una vita da spendere.. .]

Francesco De Sanctis, La giovinezza

La scuola era venuta a quel punto che Proudhon chiamerebbe anarchia. Era una piccola società abbandonata a se stessa,
senza regolamenti, senza disciplina, senza autorità di comando, mossa dal sentimento del dovere, da stima e da rispetto
reciproco, da quello ch'io chiamavo sentimento di dignità personale. Ci eravamo educati insieme. Io avevo per quei giovani
un culto, sentivo con desiderio le loro osservazioni e i loro pareri, studiavo le loro impressioni. Godevo tanto a vedermeli
intorno con quei gesti vivaci, con quelle facce soddisfatte! Essi guardavano in me il loro amico e il loro coetaneo, e mi
amavano perché sentivano di essere amati. Io avevo il loro entusiasmo giovanile, i loro ideali, e, se in loro c'era una parte
del mio cervello, da loro veniva a me una fresc'aura di vita e d'ispirazione. Senza di loro mi sentivo nel buio, essi erano lo
sprone che mi teneva vivo l'intelletto e lo riempiva di luce. Scrissi nell'album di una signora: "Desiderando di piacere a
qualcuno, tu piaci a te stesso e ti senti felice". Patria, libertà, umanità, tutti i piú alti ideali che mi brillavano innanzi, si
compendiavano in quest'uno: piacere alla scuola; e lí erano la mia espansione, la mia felicità. Quante volte anche oggi
rimemoro quei giorni, e dico: "Com'ero felice allora!" C'è nei giovani un sicuro istinto che li avvisa di tutto ciò ch'è nobile
e sincero; ed è vero che i migliori giudici del maestro sono i discepoli, sono come il popolo, voce di Dio, giudice
inappellabile di quelli che lo governano. Il loro affetto era cosí delicato che, quando avveniva qualche sconcio, dicevano:
"Non lo facciamo sapere al professore". Pure c'era un'ombra. Non mi credevano capace di favori, di protezioni indebite; ma
cosa volete? quegli Eletti lí, per grazia mia, turbavano alcuni; un po' di gelosia, un po' di vanità e debolezza umana: quella
distinzione per ordine, quel carattere ufficiale, come dicevano, non andava a garbo. La gerarchia dell'ingegno c'era, non la
potevano disconoscere; ma tant'è, volevano riconoscerla loro, non ammettevano una gerarchia a priori, quasi per diritto
divino, come diceva Luigi La Vista. Il quale un giorno saltò a dirmi: "Professore, sbarazzateci; questo nome di Eletti non ci
va; vogliamo tutti lo stesso nome!" Cosí, dopo appena un anno, venne a noia una istituzione tanto nel suo principio
magnificata. Io con buona grazia feci cader l'uso, e non si parlò piú di Eletti. "Ed eccoci in piena democrazia, tutti uguali",
diceva Lavista, ch'era l'idolo della scuola.

Alessandro Manzoni,
POEMETTI

XIX
DEL TRIONFO DELLA LIBERTÀ
[1801]

canto secondo

[Bruto a Roma] Ché tal la carità del natio loco
Lo strinse, e sì l'oppresse, che morio
210 La voce in un sospir languido e fioco.
Quindi tra le commosse ombre s'udio
Sorgere un roco ed indistinto gemito,
Poscia un cupo e profondo mormorio;
Sì come allor che con interno tremito
215 Quassano i venti il suol che ne rimbomba,
S'ode sonar da lunge un sordo fremito,
Che tra le foglie via mormora e romba.

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri

Chi vuol persuadersi dell'immensa moltiplicità di stili e quasi lingue diverse, rinchiuse nella lingua italiana, consideri le opere di Daniello Bartoli, meglio del quale niuno conobbe i più riposti segreti della nostra lingua. (Monti, Proposta, vol.1 par.1. p. XIII.) [1314]Un uomo consumato negli studi della nostra favella, il quale per la prima volta prenda a leggere questo scrittore, resta attonito e spaventato, e laddove stimava d'essere alla fine del cammino negli studi sopraddetti, comincia a credere di non essere a mala pena al mezzo. Ed io posso dire per esperienza che la lettura del Bartoli, fatta da me dopo bastevole notizia degli scrittori italiani d'ogni sorta e d'ogni stile, fa disperare di conoscer mai pienamente la forza, e la infinita varietà delle forme e sembianze che la lingua italiana può assumere. Vi trovate in una lingua nuova: locuzioni e parole e forme delle quali non avevate mai sospettato, benchè le riconosciate ora per bellissime e italianissime: efficacia ed evidenza tale di espressione che alle volte disgrada lo stesso Dante, e vince non solo la facoltà di qualunque altro scrittore antico o moderno, di qualsivoglia lingua, ma la stessa opinione delle possibili forze della favella. E tutta questa novità non è già novità che non s'intenda, che questo non sarebbe pregio ma vizio sommo, e non farebbe vergogna al lettore ma allo scrittore. Tutto s'intende benissimo, e tutto è nuovo, e diverso dal consueto: [1315]ella è lingua e stile italianissimo, e pure è tutt'altra lingua e stile: e il lettore si maraviglia d'intender bene, e perfettamente gustare una lingua che non ha mai sentita, ovvero di parlare una lingua, che si esprime in quel modo a lui sconosciuto, e però ben inteso. Tale è l'immensità e la varietà della lingua italiana, facoltà che pochi osservano e pochi sentono fra gli stessi italiani più dotti nella loro lingua; facoltà che gli stranieri difficilmente potranno mai conoscere pienamente, e quindi confessare.
(13 Luglio 1821.)

LA SCIENZA E LA VITA
di Francesco De Sanctis

Se avessi avuto gli elementi di fatto, quest'oggi vi avrei letta una relazione sul valore degl'insegnamenti, sulla frequenza dei giovani, sul risultato degli esami, sui miglioramenti fatti, sulle lacune rimaste, sul programma insegnativo del nuovo anno, e son certo che voi avreste gradito più queste interessanti notizie, che un discorso accademico. Ma poichè l'accademia non se ne vuole ire ancora, io che non voglio fare il ribelle, mi sottometto di buon grado al calendario, ed eccovi qua il mio discorso, confidando ch'esso sia l'ultimo discorso inaugurale, e che nell'avvenire penseranno gl'Italiani meno a bene inaugurare e più a ben terminare

Maurizio Viroli, La libertà dei servi, Laterza, Bari, 2010

"l'amore di patria è una forma di caritas, di amore compassionevole verso persone e cose di cui percepiamo la bellezza, il valore e la fragilità. È proprio questa costellazione di passioni, sentimenti e ragioni che spinge alla cura e al servizio; due aspetti essenziali della vita del cittadino" 137

Denis Mack Smith, Mazzini, BUR, Milano 2000

10.000 lettere nelle ed nazionali e diceva di averne scritte centinaia di migliaia... 9

non è facile valutare i suoi successi perchè agiva nelle menti degli uomini e non in diplomazia o militare 10
soprattutto fu un grande educatore 10

già all'università un capo 11

nel 1919 andando a Versailles Wilson si fermò a Genova e posò una corona ai piedi di statua di m. .. stava mettendo in pratica gli ideali dei quell'uomo che "per un qualche dono divino era stato innalzato al di sopra del livello comune" e disse che neanche Gladstone e Lincoln avevano penetrato a tal punto l'essenza del liberalismo 311-2

Lloyd George disse che aveva imparato sia il patriottismo sia il moderare l'orgoglio nazionale "dubito che nella sua generazione ci sia stato nessuno che abbia esercitato sui destini d'Europa una influenza altrettanto profonda... l'edifico di Bismarck è crollato mentre l'Europa di oggi è quella di g. m.... m. è il padre della lega delle nazioni. 312

alla sua morte i necrologi super dal Times in giù dei giornalisti del mondo... 321-7

la sua idea religiosa: un Dio benevolo che agisce nella storia... avrebbe voluto scrivere un libro contro il Materialismo per confutare Marx e Comte 271

nel 1871 a Roma non andò al congresso delle società operaie..."detesto i congressi, gli applausi, l'obbligo di fare discorsi, gli evviva senza senso e tutto il resto" 307

Denis Mack Smith , Cavour (1984) , Bompiani, Milano 2010

si irritava di fronte ai compagni del collegio che o seducevano o si sottomettevano alle autorità 11

c. diceva di non annoiarsi mai..lavorava 14 ore al g. e rispondeva subito alle lettere 213
Hudson disse nel 1860: c. non ha un piano , "è un uomo che si affida alla provvidenza" 213

è interessante che questo uomo di cui dicevano fosse semplice nei modi, alla mano, affabile e giocoso dava anche l'impressione di non andare mai a un'autentica intimità...220

Silvio Pellico, Le mie prigioni, Salani, Firenze, 1934

nei tormenti che vissi non trovai l'umanità così iniqua e indegna di indulgenza come viene di solito rappresenta... non bisogna odiare nessuno ma solo le "finzioni, la pusillanimità, la perfidia" 27

un bambino sordomuto visto in carcere eppure era felice come il figlio di un principe.. riflettei come l'umore sia indipendente dal luogo... 42... parlando con vari segni con lui sarò il genio della ragione e della bontà mio confiderà i suoi dolori e piaceri le sue brame io a consolarlo dirigerlo 43

ebbi molta inclinazione per i fanciulli e l'uffizio di educatore mi parve sublime 44

mi nuoceva l'ira contro i persecutori... l'uomo si reputa migliore aborrendo gli altri! E gli amici si dicono l'uno all'altro: noi siamo i buoni e gli altri i cattivi... 61

il p. battista gli parla edificante e s.p. osserva che quando sente amorevoli rimproveri e nobili consigli ardeva di amore per

la virtù, non odiava più nessuno, avrebbe dato la vita per il più piccolo degli uomini e benediceva Dio per la vita 198 [come a me col dottor de masi... c'è bisogno di queste esperienze che il marxismo ci ha ostacolato]

il rapporto come tra padre e figlio tra i carcerati e il carceriere Schiller... 199

se sono solo o se vedo poche persone disamo gli altri, se ne vedo abb tante allora amo tutto il genere umano... 205

amicizia e religione sono due beni inestimabili... Dio è con gli sventurati che amano! 215

mai esser sillogistici nel dedurre la cattiveria delle altre persone da idee etc che esse hanno...una diffidenza moderata verso le persone può esser savia, una oltrespinta non mai... 231


le ultime parole tedesche del commissario che lo accompagnava al ritorno dallo Spielberg fanno pensare s. p. a come amare la propria patria non implica affatto odiare le altre.. ciascuna ha un gloria sua... 238

credevo di poter eguagliare l'Alfieri nelle tragedie ma poi capii che non ero all'altezza nonostante gli applausi che ebbi... 255

faccio versi per pregare e ciò mi rasserena.. vorrei che nascessero poeto migliori di me...255
così rinunciai ance a un romanzo storico e ne scrissi una metà ma poi capii che non avrei mai potuto essere all'altezza di Manzoni.. meglio non scrivere alcun libro che scriverne di mediocri! 256

io scrivo ma non termino... più che altro per soddisfare me stesso.. prendo la penna e non sapendo fare altro scrivo al mia povera vita... 258

Alberto Maria Banti, Sublime patria nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Bari, 2011

[tesi semplicistica che bio-politica, bellicismo virile, comunità sacrificale vengono al fascismo dal risorgimento]

Lucio Russo, Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola?, Feltrinelli, Milano 1998

mentre nel resto d'Europa la Storia si insegna solo quella nazionale la nostra scuola è l'unica che dedicando due anni alla storia antica e uno al medioevo (prima di berlinguer) forniva un quadro dell'occidente... il liceo classico italiano è l'unica scuola del mondo che preveda il greco antico a tutti i suoi allievi... uno studio non proprio per una scuola dei consumatori]

Adriano Viarengo, Cavour, Salerno Editrice, Roma, 2010

a 15 anni in c. viene un romantico sentimento patriottico estraneo alla famiglia dedita alla "roba"... poteva venire solo dai compagni ed amici 37

non so cosa diventerò, vivo in mezzo ad elementi disparati e sono in contrasto con ciò che mi circonda...s e mi lasciassi andare all'apatia il minimo passo falso mi rovinerebbe la vita... l'energia dell'anima mi è indispensabile...d evo lottare con tutte le forze contro ciò che potrebeb piegare la forza del mio carattere della quale ho ogni giorno bisogno [lettera la fratello nel 1828 quando aveva 17 anni] 41

fu influenzato da Guizot e Constant... più che dai romanzi... non può creder alla infallibilità del papa più che uno più uno faccia tre..44

camillo stava bene con persone più anziane di lui e alcune di loro lo consideravano pari... per lui era naturale stare con persone di altre generazioni... 59

nel 1840 perse molto denaro alla borsa di parigi e scrisse al padre o trovo il denaro o devo farmi saltare le cervella... era dunque un giocatore... l'avvenire di amministratore giornalista e filantropo non gli bastava... 97

il padre michele gli risponde subito con una importante lettera piena di amore paterno fermezza e senso pratico... 99

Alberto M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità, onore alle origini dell'Italia unita Einaudi, Torino, 2000

nella Vita civile di mattia doria del 1729: l' amore per la patria è causato dal rispetto per i magistrati e per il principe che devono conquistarsi l'ammirazione dei sudditi 4

a partire dal XVII sec nazione significa comunità accomunata da lingua e letteratura.. introdotto da l a muratori in un articolo del 1765 di gian rinaldo carli Della patria degli Italiani sul "Caffè" diventò esplicito 5

l'importanza di tragedia, romanzo, melodramma, poesia per toccare le corse patriottiche di una più vasta comunità di persone29

rispettare gli intellettuali del risorg. Perché crearono una mitologia con enorme forza comunicativa...crearono l'esistenza di quel soggetto - la nazione italiana - difficile da identificare e per esso convinsero molti a rischiare esilio carcere evita 30

a 25 anni Giuseppe Ricciardi napoletano nel 1832 scrive: ero nobile e ricco e il volgo mi invidiava ricco di amici...non avevo subito direttamente soprusi che giorni tranquilli se mi fossi contentato del materiale e non avessi guardato la misera patria straziata e mi dicci: saresti vile se con queste fortune ti addormentassi senza badare ai tuoi sventurati fratelli... sorgi dunque o giuseppe! e fa il sacrificio, se sacrificio si può chiamare spendere tutto per redimere il proprio paese... 33

è quando si è giovani che si scopre la nazione e si ha l'idea di battersi per essa... il risorg è un fenomeno generazionale... 33

per massimo d'azeglio l'esempio del padre che non aveva l'idea del destino dell'Italia ma aveva un rigorosissimo senso del dovere, non era vile...35

giuseppe montanelli scrisse 1853 che la letteratura fu la vestale che custodiva il fuoco sacro che non si estinguesse nella gioventù italiana e cita gli scritti di guerrazzi, niccolini, giusti... 39

dalle ricordanze di settembrinisi vede che non furono la famiglia o la scuola i vettori dell'idea d'Italia ma la letteratura 40

marco minghetti descrive così : il grande effetto su di lui di Lammenais, Pellico, Guerrazzi, i fogliolini della giovane Italia...affrontare esili e morte ci sembrava un martirio invidiabile... 41
giovanni visconti venosta scrive che il preferito era Berchet... giovanetti e giovani si infiammavano per quei versi... pregustavano la voluttà di farsi uccidere per la patria..e tale sentimento rimase nei loro animi e arrivarono a farsi uccidere davvero... 42

cesare correnti parla del grande effetto di mazzini sugli studenti pavesi... 43

a pag. 45 un dettagliato elenco di questa letteratura patriottica 45

ma perchè tali testi risultarono così convincenti? 53

l'idea (kantiana etc) del COSTRUIRE un canone un mito operativo... [ e io devo veder la attualizzazione!]

c'è un canone risorgimentale che accomuna neoguelfi e mazziniani federalisti e sabaudi 53

l'importanza della vocazione nazionale di mazzini e del primato italiano di gioberti.. 65[quale attualizzazione?]

Foscolo e la prolusione a Pavia: Italiani vi esorto alle istorie... glie esempi belli dei grandi nostri antenati sono qualcosa che ci attira che sentiamo un dovere ricordare agli altri … in mezzo alla decadenza...

il Carmagnola di Manzoni e il Risorgimento di Poerio: l'orrore nel veder la gioia dei fratelli italiani nel veder sconfitti i fratelli italiani...

 

Camillo Cavour,
Diari, 1833-1856, Ministero per i Beni Culturali, Roma

(1833)
la solitudine morale completa, ma la solitudine ritempra l'anima, mi sento capace delle più grandi cose... ma l'effetto della solitudine viene distrutto dalle continue lotte con quelle persone che dovrebbero esser le più care 45

mia madre pretende che a me Augusto piaccia in tutto anche nei difetti, e questo finirà per rendermi insopportabile casa mia 49

mi sono convinto che l'abilità risiede solo in una certa audacia che vado oltre i limiti del fattibile 53

scena in cui Gustavo il fratello offende Camillo perchè aveva osato punire la prepotenza di Augusto... e poi anche sua madre... una vera umiliazione grave!...la maniera con cui queste persone educano Augusto e i bambini, cercano di divertirli, di levarr loro le lacrime.... [cosa per oggi e la famiglia di oggi?] 96-97

forte tendenza a mangiare ingrassare e diventare ridicolo.. 97

mi trovo con un passato vuoto di ricordi interessanti e n futuro senza scopo, senza speranza, senza desiderio 106

mi resta ancora la illusione dell'amicizia, o meglio l'idea che la superiorità del mio spirito può fare per guidare i miei amici .. ma ora ho solo un amico del cuore e la sua amicizia ora è diminuita... ma non lo rimprovero, rimprovero il mio cuore cauterizzato, ghiacciato, inanimato che non può soddisfare la sua anima ardente.. ora lui non ama più me ma le mie capacità intellettuali... 106

1834

ho varie persone che mi vogliono bene... mia madre, mio padre... vari amici...ma io non sono necessario alla felicità di nessuno di loro..... l'avvenire mi prospetta un aggravamento dei fastidi della vita... come sarò a 30 anni... spero di non esserci più! Ah !se non avessi ancora dubbi sulla moralità del suicidio, mi ucciderei...... prego però dio di mandarmi un colpo al cuore...così non darò cattivo esempio agli altri... mi si ricorderà però poi solo per dire ai nipotini dei pericoli di una intelligenza precoce e del troppo amore per la indipendenza... o se avessi un qualcosa che mi desse un flusso al petto e mi uccidesse! 108

immagina di avere come scopo fare soldi... la roba imago dei suoi parenti... e non stima degli amici, bene del paese, gloria... psicologia assai diversa dai mazziniani certo... perchè la CdP in lui agisce inconsapevolmente , in loro al contrario 129

Gustavo rivela al padre cose segrete e camillo allora scrive che tra loro l'amicizia è morta...135..

rivela che si è scordato del tutto degli avvenimenti politci...146

alla mia età ( ha 23 anni!) non ci si fanno più nuovi amici … 163

sua madre vede c. che rimprovera il tono che permettono a augusto verso i nonni e dice che c. è geloso! 164

"noi che non abbiamo un fede religiosa, bisogna che la tenerezza dellanostar anima si esaurisca per il bene dell'umanità" (9 gennaio)

1835-38

povera italia: i suoi figli migliori vanno all'estero e portano i lor tesori là! 209

lascio gli studi e mi mi ingaglioffo nel gioco...[penso che invece questa passione rispondeva al suo spirito.. quello della crimea etc.] 250

cosa è il più felice degli uomini senza fede? Un bel fiore in un bicchiere d'acqua senza radici, senza durata...275

Indro Montanelli, L'Italia nel Risorgimento 1831-1861, Rizzoli, Milano ( 1972) 1998

mazzini aveva il genio della pubbliche relazioni... come? Spiegando, polemizzando, incoraggiando 47

Lammenais scrisse a mazzini: non scoraggiatevi, le madri italiane fanno figli per voi!86

mazzini scrisse: sono povero e solo, amo i fratelli italiani moltissimo, ma non li stimo 86

della solitudine che condivideva con un'umile domestica italiana, un cane e una chitarra, godeva più di quanto soffrisse... 88

scriveva linguaggio semplice per tutti rompendo il dannato snobismo di astruseria dei letterati italiani 88

narrava la storia dei re di roma al popolo e facendo così capiva di esser il più rivoluzionario degli intellettuali italiani 88

i soldi datigli dalle ricche amiche inglesi li spendeva per la scuola... a lui rimaneva un tozzo di pane, po' di formaggio e un boccale di birra...94

nessuno gli dava del tu ma del voi a Garibaldi lui invece trattava tutti con famigliarità... attirava perchè aveva fiducia nella propria stella 213


a lui i "moderati" sembravano coperture per la diserzione 214

da quando la patria si accorse di lui non pensò che ad essa 214

[qui si ispirò Churchill]
"io esco da roma, chi vuol continuare la guerra contro lo straniero venga con me. Io non offro è paga né quartiere., né provvigioni: offro fame, sete, marce forzate, battaglie e morte" 260

carlo alberto va ad Oporto e proibisce a moglie e madre di raggiungerlo e muore solo 305

Cavour disse: Garibaldi ha reso il più grande servigio alla patria, ha mostrato all'estero che i suoi figli sanno combattere e morire per difenderla 463

sono qui per fare l'italia e non una carriera 476

in questo trentennio poca roba sul piano culturale niente da paragonare a manzoni leopardi foscolo... si spiega facilmente: i cuori furono occupati dalla politica 489

William de la Rive, Il conte di Cavour, Santena,2003

aveva le qualità migliori er un politico: "lo spirito libero da ogni pregiudizio, e il cuore sicuro da ogni odio" 28

a 12 anni rifiuta la livrea di paggio e a 22 la spada: sacrificare la vanità per un fanciullo mostra un sentimento vivo e la carriera per un giovane mostra la profondità della sua convinzione 78

dopo le delusioni successiva al luglio 1830 c. scrisse che il dolore non cambiò le sue idee e le professerà fino alla fine della vita 84 28

il giusto mezzo e l'idea che l'estremismo ritarderanno renderanno problematica l'emancipazione dell'Italia 86

scriveva al padre di william: il cattolicesimo ultras è un male peggiore del comunismo.. sarà fermato perchè è impotente ma intanto cera molti mali e ritarda lo sviluppo dello spirito 116

non mi annoia mai perchè mi persuado che nessuno è noiso 128

gli mancava l'indignazione se certe ide potevano ittitarlo verso gli uomini avevaquella tolleranza che la vita via via sviulppa in color che non sono misantropi 131

ammiro molto gli inglesi perchè questo popolo è l'avanguardia dell'incivilimento … invece tra gli italiani non c'è simpatia e i partiti estremi concordano in questo: nell'odio violento per gli inglesi 157-8

io sono un onesto giusto mezzo... continuava a ripeter 175

Maurizio Viroli, Come se Dio ci fosse. Religione e Libertà nella storia d'Italia, Einaudi, Torino, 2009

Gino Capponi : il difetto degli italiani non è nella cultura ma nella debolezza del carattere 158

a risorgimento concluso varie voci lamentarono al mancanza di una riforma religiosa... ma il R. fu ciò che ci andò più vicino 168

fra' Cristoforo da vero cristiano ritiene indegno di un uomo sottomettersi alla volontà di un altro, il contrario fu l'educazione cristiana ricevuta da Gertrude 170

il cardinal Borromeo a don Abbondio: tanti martiri non avevano per natura il coraggio ma lo hanno avuto perchè era necessario e perchè confidavano 171

leopardi (Zibaldone, 1822): non c'è virtù in un popolo senza amor patrio 173

il protagonista del romanzo di Nievo a veder Venezia dice: non sip può amare la patria se essa è un cadavere, ma la libertà dei diritti, la maestà delle leggi,la religione della gloria non abitano da gran tempo sotto le ali del leone 175

la Pisana morendo dice a Carlo che se lui continuerà ad amare la patria come lei ha fatto allora lei non morrà se Carlo vive 179

deve esistere un'altra vita per l'uomio che ha patito in un mondo così ingiusto diceva Silvio Pellico 185

diceva a sé stesso non ti scandalizzare più degli abusi, ma : ama Dio e il prossimo 185

s.p. Amo appassionatamente la mia patria ma non odio alcun'altra nazione 186

Tito Speri: essere spregiatore dei buoni costumi ed amare la patria è impossibile 190

Mazzini: senza uomini virtuosi l'Italia del primo padrone che vorrà tiranneggiarla, senza stimolo di onore e di gloria, senza religione di verità, senza coraggio... 197

De Sanctis: il vero male italiano è l'indifferenza e l'oscurarsi del senso morale... la cultura invece di riformare la mentalità popolare si dedicò all'erudizione e ai piaceri dell'arte... l'indifferenza religiosa (lascia fare al Papa9 e politica(non è affar mio) andarono a braccetto 207
28
l'Italia della controriforma era serva due volte: politicamente perchè dominata da stranieri, moralmente perchè adottava una religiosità che insegnava a sottomettersi ai potenti 211

Francesco De Sanctis, La letteratura italiana nel secolo XIX volume secondo -La scuola liberale e la scuola democratica, Einaudi, Torino, 1953


Ma dunque, domanderete, non sono virtú? Certo, sono. Chi può negare che siano virtú l'umiltá, la modestia, la temperanza, la continenza, la rinunzia a' piaceri, l'abnegazione, il sacrifizio di sé? Chi può negare la dolce influenza che ha la preghiera? Ma, notate, se vogliamo venire a distinguere nel contenuto manzoniano la parte vera: innanzi tutto il difetto di queste virtú è di essere eroiche, freno continuo di tutto ciò che è bisogno, passione, impeto naturale. Tutte sono virtú; ma in grado eminente. Una volta formavamo i giovani con l'esempio di Regolo e di Catone, con virtú politiche spinte fino all'eroismo che a poco a poco finivano col diventare semplice ideale di scuola senza applicazione nella vita.
Se presentate ora come modelli San Luigi Gonzaga, San Carlo Borromeo, Sant'Alessio, e quelle virtú son rimedio a tutto, e insegnate a non sentir le offese, i bisogni, la fame stessa, formate tale ideale che quando i giovani entreranno nella vita reale, - meno quelli predestinati alla santitá ed all'eroismo, che sono piccolissimo numero, - si avvezzeranno al peggiore de' mali che possa soffrire un popolo, a distinguere la scuola dalla vita, quello che hanno imparato in astratto da quel che si fa realmente, si faranno ipocriti. Questo metodo ha perduta la borghesia italiana e, prevalendo, perderá il popolo italiano. Perduta la borghesia, perché si è presentato un ideale indefettibile invece della vita reale: ed ora altro pensiamo, altro facciamo e lo diciamo; ipocrisia congiunta col cinismo.
Sostituendo all'ideale di prima quest'altro, che avverrá?
Meno il popolo è istruito, piú è disadatto a quell'ideale.
Avremo o bigotti o arruffoni, quelli che fanno del bigottismo un mestiere e quelli che, trovando la vita diversa da quella che han conosciuta ne' libri, diventano torbidi elementi ed anarchici.
Al mio paese i contadini erano tutti brava gente, rispettosi. Tornato dopo ventisette anni ho sentito dire: oggi siamo liberi, nessuno ha l'obbligo di togliersi il cappello ad un galantuomo.
Cosí vi spiegate perché in generale è difficile trovar via di mezzo fra gl' ipocriti e i turbolenti, anche in Ispagna ed in Francia. E poi, dov'è la veritá? Umiltá, pazienza, disciplina, perdono sono virtú, perché non le consigliate? Ebbene, non sono virtú se le presentate in modo assoluto ed astratto, come non sono virtú prese in senso assoluto, l'indignazione, la collera, la resistenza all'arbitrio, la morte per la patria. Non sono virtú quando le prendete in senso assoluto sí che escludano il contrario, e sono virtú quando trovate il limite dove i contrarii si uniscono, ed una include l'altra e non la combatte.
Santa cosa è ispirare nel popolo il sentimento del dovere, ma a che patto? Da solo, il sentimento del dovere diventa sentimento di schiavitú. È virtú quando gli unite un altro sentimento, quello del proprio diritto. Allora l'uomo sentendo di avere il diritto, adempie al dovere.
L'umiltá! Ma sapete quando l'umiltá è virtú? Quando è accompagnata dal sentimento di orgoglio: vi sono casi in cui l'umiltá è bassezza, e virtú avere orgoglio. - L'ubbidienza è virtú quando in chi ubbidisce è sentimento che può talvolta comandare.
Virtú il rispetto all'autoritá se con esso c'è sentimento della propria dignitá. Eccellente il sentimento di un'altra vita; a patto sia congiunto col sentimento della serietá della missione della vita terrestre. - E cosí di seguito.

 

Giuseppe Mazzini, Opere scelte, Cremonese editrice, Roma,1958

Dei doveri dell'uomo

mi madre mi educò ad amare l'uomo e non il ricco e il potente mio padre ad ammirare non la mezzsapienza ma lo spirito di sacrifici

affratellatevi a me nell'effetto per la patria.... ma questo nostro avvenire non ,o fonderemo se non liberandoci da due piaghe: il machiavellismo e il materialismo (dalla dedica del 23 aprile 1860) 17
28
io so che voi non corrotti da una falsa scienza o dalla ricchezza capirete che ogni vostro diritto può solo esser frutto di un dover compiuto 17

allora il popolo, sprezzato dai letterati, tradito e spolpato dai preti, esiliato da ogni influenza nelle cose pubbliche, cominciò a vendicarsi ridendo dei letterati, diffidando dei preti, ribellandosi a tutte le credenze, poi che vedeva corrotta l'antica e non poteva presentire più in là. Da quel tempo in poi, noi ci trasciniamo tra le superstizioni comandate dall'abitudine o dai governi e la incredulità, abietti e impotenti. 39

Oh miei fratelli! amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e che noi amiamo, colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non con altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura omogenea degli elementi che essa possiede, è chiamata a un genere speciale d'azione 59

oggi l'egoismo penetra nella famiglia... la madre dice al figlio di diffidare di chi potrebbe denunziarlo, il padre gli dcie che la sua tutela è la ricchezza e non la verità 65

dell'amor patrio di dante

varia l'amor patrio secondo le situazioni: Cincinnato nella repubblica, Bruto all'inizio dell'impero, Nerva sotto la tirannide... 125

fede e avvenire

i partiti politici si sciolgono, ma non quelli religiosi se non dopo che hanno ottenuto la vittoria 245

Dio si è svelato solo poco in tanti secoli...la nostra missione non è conclusa, ne sappiamo appena l'origine ma non ne sappiamo il fine 259

filosofia della musica

l'arte come le altre forme dello spirito è progressiva come lo è il mondo, non muove a cerchio non percorre vie già calpestate... ecco perchè oggi è ferma... i giovani compositori si ostineranno a lavorare sul vecchio fino che da un altro cileo verrà l'ispirazione 289

ai giovani d'italia
pensai ai lunghi anni vissuti senza gioia e senza carezza nella solitudine d'una idea, agli amici morti per la terra o morti per me, alle illusioni sparite per sempre 463
i grandi uomini parlano e dicono : a ce vivemmo se la nostra testimonianza non è raccolta? 465

e quando nel freddo della solitudine, che è il peggiore dei mali, saranno presso a spegnersi in noi le sorgenti della tua vita, suscita o Padre, a ravvivarle il pensiero dei morti che amammo e che ci amano 467
28

 

 

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