Le ACLI: da dove veniamo

di Maurilio Lovatti

 

 

Fin dalle origini l'azione sociale delle ACLI si è ispirata al messaggio evangelico e al magistero sociale della Chiesa, interpretandoli nell'ambito della visione dell'uomo e della società del personalismo cristiano.
Il personalismo cristiano e in particolare il cattolicesimo democratico italiano fondano la loro visione della società e dello Stato, e delle relazioni tra persona e società, sul presupposto tomistico secondo cui la Grazia non annulla ma suppone e perfeziona la natura umana. Questa visione postula che ragione e fede non entrino tra loro in conflitto, pur riconoscendo, d’altra parte, che esse si avvalgono di procedimenti conoscitivi differenti. La ragione accoglie una verità in forza della sua evidenza intrinseca, mediata o immediata; la fede, invece, accetta una verità in base all’autorità della Parola di Dio che si rivela.
Secondo tale concezione la socialità è un carattere intrinseco della persona, nel senso che la natura della persona contiene in sé la sua destinazione sociale e non potrebbe realizzarsi compiutamente come tale senza sviluppare la sua essenziale propensione relazionale. La famiglia, lo Stato e le varie organizzazioni della società civile sono entità naturali, che trovano la loro origine e giustificano le loro funzioni semplicemente sui caratteri naturali, costitutivi della persona umana. Di conseguenza la famiglia, le varie forme associative della società civile e soprattutto lo Stato, che ha la funzione di regolare e normare la società civile, devono tendere a creare le condizioni affinché la persona possa realizzarsi integralmente.
Questo punto di vista racchiude in sé una evidente semplificazione, poiché la riflessione filosofica e teologica oggi più approfondita nega che nel pensiero di San Tommaso d'Aquino sia presente e operante il concetto di pura natura, in quanto sia la natura umana, sia più in generale la natura del creato, sono intrinsecamente e costitutivamente, proprio perché create, aperte e tendenti al sovrannaturale (come ci ricordano, ad esempio, Henri de Lubac o Luis Ladaria Ferrer, attuale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede). Tuttavia dal punto di vista storico, nel Novecento la concezione tomista della Grazia che perfeziona la natura ha caratterizzato in modo rilevante sia il personalismo cristiano che l'orientamento politico del cattolicesimo democratico italiano.
Pur senza negare del tutto il valore del paradigma politico paolino-agostiniano, che sottolinea comunque un aspetto importante, ricordando come il peccato originale abbia in qualche modo compromesso e alterato la perfezione umana così come era stata voluta da Dio nell'atto creativo, la visione tomista pone maggiormente l'attenzione sul fondamento naturale dello Stato e sull'importanza della ragione nel valutare le dinamiche sociali, la loro rispondenza o meno i valori della giustizia sociale, della dignità e libertà dell'uomo, dell'efficacia delle strutture sociali e della realizzazione integrale dell'uomo, valori che derivano necessariamente dalla natura della società e dello Stato che è trasparente al pensiero, cioè che è comprensibile dalla ragione umana, se ben utilizzata.
La concezione tomista della società e dello Stato si è concretizzata storicamente in forme tra loro anche molto diverse. Nel Medio Evo, l'unità religiosa dell'Europa e la diffusa percezione che la civiltà temporale fosse in qualche modo una funzione e una modalità della dimensione della sacralità hanno prodotto un modello che Maritain chiama concezione cristiana sacrale del temporale. Almeno in linea di principio il potere spirituale (la Chiesa) definisce i valori e insegna le verità morali, mentre il potere temporale (l'Impero, la monarchia nazionale) produce ed emana le norme che regolano la società civile in conformità ai valori stabiliti dal potere spirituale. Sempre in linea di principio è postulata una piena armonia tra i due poteri, poiché la distinzione dei reciproci ambiti dovrebbe eliminare in radice ogni potenziale conflitto. Tra l'altro la distinzione tra i due poteri, spirituale e temporale, pone fine irreversibilmente al monismo antico e al cesaropapismo (cioè alla concentrazione del potere spirituale e temporale in un unica autorità) e costituisce l'embrionale premessa del principio della distinzione e dell'equilibrio dei poteri, che è a fondamento del moderno liberalismo europeo.
A partire dal XVII secolo, con la nascita del pensiero scientifico e la diffusione del pensiero filosofico moderno (Cartesio e Locke) l'armonia tra i due poteri non è più garantita nemmeno in linea di principio. In seguito alla diffusione dell'Illuminismo, alla rivoluzione francese e alle filosofie ottocentesche, la Chiesa percepisce la società e la cultura moderna come radicalmente ostili, basate su presupposti erronei, e di conseguenza, riprendendo, radicalizzando e sviluppando in modo originale alcune tendenze controriformistiche già affermatesi a partire dal XVI secolo (dopo il Concilio di Trento), con le encicliche Mirari vos di Gregorio XVI (1832), Quanta cura, con l'allegato Sillabo di Pio IX (1864), fino alla Pascendi dominici gregis di Pio X (1907) elabora una linea difensiva che porta alla condanna totale della modernità in tutti i suoi aspetti, compresi il liberalismo e la democrazia. Ciò comporta anche l'accantonamento dell'originaria missione di operare per umanizzare la società civile, ritenuta ormai irrealizzabile. Tale concezione antimoderna della Chiesa e della cultura cattolica si radicava anche nelle elaborazioni culturali ispirate all'ideologia della restaurazione, sia in ambito filosofico (Luis de Bonald, Joseph de Maistre), sia in campo giuridico (Ludwig von Haller). Per quanto la concezione antimoderna della Chiesa delineata da queste encicliche appaia lontana e incompatibile con la mentalità contemporanea pluralista e tollerante, essa non può essere considerata un mero errore, poiché vi si ritrova un importante aspetto di verità, e cioè che anche valori fondamentali come la libertà di coscienza e di pensiero, l'uguaglianza tra gli uomini, la separazione tra Stato e Chiesa e così via, se assolutizzati, come nel pensiero politico di Rousseau (Rousseau è per Maritain uno dei tre maestri dell'errore, con Lutero e Descartes, alla base della mentalità moderna) conducono ad una sorta di statolatria, ad un utopia nella quale i valori cristiani, come la libertà, l'uguaglianza e la fraternità sono snaturati, perché privati della loro costitutiva dimensione sopranaturale.
Anche nella Rerum novarum di Leone XIII (1891), con la quale inizia la dottrina sociale della Chiesa, prevale un orientamento difensivo entro il quale gli auspicati provvedimenti legislativi o contrattuali a favore dei lavoratori sono finalizzati a ridurre i danni del disordinato sviluppo della società industriale, garantendo almeno gli essenziali diritti della persona come il rispetto della dignità del lavoratore come persona, che non può essere ridotta in schiavitù, la giusta mercede che gli consenta di vivere e mantenere la famiglia, la possibilità di adempiere ai doveri religiosi, ecc. , mentre non è prevista né auspicata un'azione sociale volta a modificare le strutture ingiuste della società per renderla più conforme alle esigenze connesse all'integrale realizzazione della persona umana, anzi per Leone XIII “se ai mali del mondo v'è un rimedio, questi non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi cristiani.”
Tuttavia la Rerum novarum, al di là degli orientamenti culturali ed ecclesiali di Leone XIII che sono comunque influenzati da tendenze antimoderne, ha prodotto nella prassi della sezione di economia sociale dell'Opera dei Congressi, ispirandosi alle organizzazioni sociali dei lavoratori francesi e belgi e grazie soprattutto all'insegnamento di Giuseppe Toniolo, un orientamento cattolico-sociale che si proponeva un impegno concreto a favore della classe operaia, finalizzato ad eliminare, o quantomeno ridurre significativamente, la condizione di subalternità che la opprimeva. Tale orientamento cattolico-sociale costituisce per le ACLI un'eredità permanente e feconda.
Con il Concilio Vaticano II, in particolare con la costituzione pastorale Gaudium et spes e con la dichiarazione Dignitatis humanae, e con il magistero di Giovanni XXIII e Paolo VI la concezione totalmente negativa della modernità è superata e di conseguenza si apre la prospettiva di un impegno più efficace dei laici cristiani per trasformare la società. I padri conciliari hanno posto l'attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo. Esso infatti, pur sovente lontano dalla mentalità e dalla morale cristiana, è comunque opera di Dio e quindi fondamentalmente buono. La Gaudium et spes espone in modo organico e lucido una nuova prospettiva per la Chiesa, che deve cercare di cogliere frammenti di verità nella mentalità e nella cultura laica, anche quando essa appare lontana dal cristianesimo. Di conseguenza, è compito della Chiesa, e dei laici in primo luogo, riallacciare profondi legami con "gli uomini e le donne di buona volontà", soprattutto nell'impegno comune per la pace, la giustizia sociale, lo sviluppo della scienza e della tecnica, in sé buone, anche se possono essere usate male. Gli orientamenti conciliari sono stati assunti interamente e con convinzione dalle ACLI che, almeno per quanto riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa, li avevano già sperimentati e realizzati fin dalla loro origine.
Il processo che ha portato l'intera Chiesa a rivedere profondamente il suo rapporto col mondo, operando nel contempo un profondo mutamento della stessa concezione ecclesiologica, ha avuto inizio tra le due guerre in Francia con l'orientamento filosofico del personalismo cristiano, in particolare con Jacques Maritain e Emmanuel Mounier.
Come ha più volte sottolineato Maritain, la mentalità e la cultura moderna, ormai così diffuse e radicate, impongono al cristiano di rinunciare definitivamente e consapevolmente all'utopia di chiedere al mondo l'effettiva realizzazione del regno di Dio: “Lo scopo che il cristiano si pone nella sua attività temporale non è di fare di questo mondo stesso il regno di Dio, bensì di fare di questo mondo, secondo l'ideale storico richiesto dalle diverse età, il luogo di una vita terrena veramente e pienamente umana, cioè piena certamente di debolezze, ma anche piena d'amore, le cui strutture sociali abbiano come misura la giustizia, la dignità della persona umana, l'amore fraterno...” (Umanesimo integrale, 1936).
Le idee del personalismo cristiano penetrarono nella cultura cattolica italiana e nella stessa Chiesa nell'immediato secondo dopoguerra, grazie ad Angelo Roncalli, nunzio apostolico a Parigi fino al 1953, a Giovanni Battista Montini in Segreteria di Stato fino al 1954, ad esponenti cattolici presenti nell'Assemblea Costituente (come De Gasperi, Dossetti, La Pira, Moro e Lazzati, tutti vicini a Montini) e alla traduzione in italiano dei filosofi francesi, ma anche di pastori d'Oltralpe come il card. Emmanuel Suhard.
In questo contesto storico culturale, la concezione delle ACLI dei rapporti tra Chiesa e mondo si è sviluppata, precisata e ulteriormente arricchita. E' quindi possibile individuare alcune costanti dell'azione sociale delle ACLI che, al di là delle diverse contingenze storiche in cui esse hanno operato, configurano una sorta di DNA permanente.
Quando le ACLI furono fondate nel 1944 da Achille Grandi, con l'attivo sostegno di Montini, come “espressione della corrente cristiana in campo sindacale”, l'urgenza del loro scopo principale, cioè quello di coordinare e formare la componente cristiana del sindacato unitario, prevaleva su ogni altro aspetto. Secondo l'insegnamento di Pio XII, la formazione dei lavoratori cristiani che operavano nel sindacato, affidata alle ACLI, doveva tendere all'ideale di “lavoratori veramente cristiani che, egualmente eccellenti per capacità nell'esercizio della loro arte e per coscienziosità religiosa, sappiano mettere in armonia la ferma tutela dei loro interessi economici col più stretto senso di giustizia e col sincero proposito di collaborare con le altre classi della società al rinnovamento cristiano di tutta la vita sociale.” (11 marzo 1945). In sostanza alle ACLI, “cellule dell'apostolato cristiano moderno” era affidato il compito di formare i lavoratori cristiani sulla base della dottrina sociale della Chiesa.
Dopo la scissione sindacale in seguito all'attentato a Palmiro Togliatti (luglio 1948), il compito di coordinamento nei confronti della componente cristiana del sindacato si è estinto di fatto, e a partire dal III Congresso nazionale (novembre 1950) le ACLI si definiscono movimento sociale dei lavoratori cristiani, sul modello del Mouvement ouvriér Chrétien del Belgio, il cui assistente ecclesiastico, il canonico Antoine Florent Brys, sosteneva che per il movimento dei lavoratori il sindacato, la formazione, i servizi sociali e l'iniziativa politica, per quanto indispensabili, rimangono inadeguati se non connessi tra loro in una organizzazione di lavoratori capace di rispondere a tutti le esigenze degli stessi. In quegli anni vanno gradatamente potenziandosi e sviluppandosi le attività connesse alle finalità statutarie delle ACLI (educative, formative, religiose e soprattutto di gestione di servizi relativi ad attività previdenziali, cooperativistiche e ricreative) in un quadro di auspicata convergenza dei diversi livelli operativi alla visione d'insieme del movimento aclista.
Fin dagli inizi degli anni Cinquanta, con il primo incontro nazionale di studi a Perugia, nell'estate del 1952, le ACLI cominciano a delineare in maniera più approfondita la loro identità e la loro ragion d'essere, anche a seguito dei mutamenti nel frattempo intervenuti in ambito sindacale e politico. In primo luogo le ACLI si definiscono come componente cristiana del movimento operaio e, più in generale del movimento dei lavoratori. Poiché il ruolo del movimento dei lavoratori consiste principalmente nel rendere possibile l'elevazione dei lavoratori stessi, riducendo o rimuovendo le cause, di ordine economico, culturale e sociale, che ne limitano la realizzazione come persone, ne deriva che è compito specifico anche della componente cristiana del movimento di mettere in atto un'azione sociale idonea a trasformare la società e non limitata alla pur necessaria difesa sindacale degli interessi economici dei lavoratori dipendenti o all'erogazione di servizi di carattere assistenziale. Il concetto stesso di azione sociale, di iniziativa sociale del movimento dei lavoratori cristiani, che sarà precisata e sviluppata durante la presidenza di Dino Penazzato (1954-1960), presuppone una prospettiva di animazione cristiana della realtà temporale molto vicina alla visione del personalismo cristiano. Anche se molti dirigenti aclisti non conoscevano direttamente il pensiero francese di Maritain e Mounier, le idee guida del personalismo cristiano si diffusero significativamente nelle ACLI grazie alla mediazione del gruppo nazionale degli Assistenti spirituali, in particolare di padre Aurelio Boschini, profondo conoscitore della teologia francese e capace divulgatore delle riflessioni del mondo cattolico francese sui problemi del lavoro e della liberazione e realizzazione dell'uomo ispirate dal personalismo. L'azione sociale presuppone innanzitutto una conoscenza approfondita delle strutture economiche e sociali, e dunque richiama i laici cristiani alla centralità della formazione. Inoltre l'azione sociale ha come fine una società più giusta, nella quale l'uomo possa realizzarsi sempre più come persona. Infine, poiché una società più giusta idonea alla piena realizzazione della persona umana è pensabile e perseguibile tramite l'esercizio della conoscenza e della ragione, tutti gli uomini di buona volontà possono collaborare proficuamente per cercare di realizzarla, indipendentemente dalla fede religiosa. La riflessione aclista sull'azione sociale, le sue modalità e i suoi fini, in quanto “modificatrice, promotrice e modellatrice di strutture e rapporti sociali fu ulteriormente sviluppata e consolidata nell'incontro nazionale di studi a La Mendola nel 1956.
Negli anni Cinquanta le ACLI, pur dovendo operare all'interno di una visione ecclesiale e di una cultura cattolica tradizionalista, dominante negli ultimi anni del pontificato di Pio XII, mantengono comunque caratteri fortemente progressisti, sia per la loro organizzazione democratica interna, sia per la tensione anticapitalista, nel senso di non poter accettare passivamente una struttura economica ritenuta generatrice d'ingiustizia, emersa esplicitamente già nel citato incontro nazionale di studi di Perugia nel 1952, sia anche per la rielaborazione in alcuni tratti originale della dottrina sociale della Chiesa. Ad esempio non va dimenticata l'insistenza del movimento nel sostenere e diffondere, su impulso del primo assistente spirituale, mons. Luigi Civardi, la figura di Cristo divino lavoratore, nonostante la contrarietà del Pontefice.
Il 1 maggio 1955, Dino Penazzato ha sintetizzato il lungo e faticoso processo delle ACLI verso la consapevolezza piena del proprio ruolo e della propria funzione con l'efficace slogan della triplice fedeltà alla democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa.
La triplice fedeltà delle ACLI alla democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa è rimasta una costante immutabile della vita associativa del movimento, anche se è mutato il contesto storico in cui declinarla. All'epoca della loro formulazione esse si inserivano in una visione caratterizzata dall'unità politica dei cattolici italiani e quindi in una concezione culturale che presupponeva l'armonica collaborazione tra le diverse articolazioni del mondo cattolico, pur nella distinzione dei ruoli, delle competenze e delle funzioni. Con il congresso nazionale di Torino (1969) le ACLI definiscono irrevocabilmente il principio della libertà di voto per gli aclisti, chiamati a compiere scelte personali in coerenza coi valori cristiani, con il conseguente superamento di ogni collateralismo e nello stesso tempo accentuano il loro impegno politico per contribuire “alla costruzione di una nuova società, traducendo i valori del cristianesimo in una adeguata risposta alle esigenze del mondo del lavoro”.
Tuttavia la schematica sintesi proposta da Penazzato nel 1955 può aiutare a delineare un primo insieme di caratteri essenziali del metodo d'azione proprio delle ACLI, che permangono nel tempo, anche se verranno declinati storicamente in modi e forme distinte in funzione delle vicende storico-politiche contingenti, in particolare prima e dopo il congresso di Torino, ponendo maggiormente l'attenzione su alcuni aspetti anziché su altri, ad esempio nei periodi delle presidenze di Labor, Gabaglio o Rosati.

1) fedeltà alla democrazia:
a) In primo luogo la democrazia è riconosciuta come requisito preliminare e fondamentale della società politica. Non vi è società giusta se non vi è democrazia ed eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E' da notare che nel magistero della Chiesa la democrazia e il diritto dei cittadini di partecipare attivamente alle scelte della comunità politica sono fatti derivare direttamente dal valore e dalla dignità della persona a partire dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963). Si tenga presente che negli anni Cinquanta alcuni regimi del tempo, né democratici, né liberali, come la Spagna franchista, erano considerati Stati cattolici da importanti ed autorevoli settori del mondo cattolico e dell'episcopato. Si comprende dunque il valore di questa tesi aclista, direttamente ispirata al personalismo cristiano, che anticipa di oltre una decina d'anni gli orientamenti conciliari.
b) La democrazia è affermata come metodo per le decisioni interne alle strutture del movimento aclista, dalle strutture di base, come il circolo e il nucleo aziendale, fino agli organismi provinciali e nazionali. Le ACLI costituivano allora l'unica organizzazione cattolica riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa che eleggeva i suoi dirigenti e decideva i propri programmi d'attività con un metodo esclusivamente democratico, in quanto i dirigenti dell'Azione Cattolica e di altre associazioni di laici riconosciute dalla Chiesa erano invece nominati dalla gerarchia.
c) La democrazia è riconosciuta come metodo irrinunciabile e valore condiviso per tutte le associazioni (partitiche, sindacali, culturali, ricreative, sportive, ecc.) che contribuiscono ad animare la società civile e a renderla più umana, consentendo alla persona di vivere sempre più pienamente e conformemente alla propria natura.
d) La partecipazione attiva dei laici alle scelte che attengono alla società civile, alla politica, al mondo del lavoro e delle professioni e alla cultura, che discende dall'affermazione del valore dell'ideale democratico in quanto diretta conseguenza ed esplicazione dal valore della dignità di ogni persona, esclude ogni visione ecclesiale secondo la quale il ruolo dei laici debba essere puramente esecutivo di direttive e decisioni assunte dalla gerarchia. Si tenga presente che almeno fino alla conclusione della presidenza del card. Giuseppe Siri (1959-1965) l'orientamento ufficiale della CEI prevedeva appunto un ruolo meramente esecutivo per i laici cristiani in ogni azione di apostolato o di presenza e azione sociale.
e) In conseguenza dell'affermazione e condivisione della concezione democratica dello Stato e della società civile, le ACLI riconoscono il valore della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali ad ogni livello, dal quartiere e dal paese alle grandi comunità regionali o nazionali, e incoraggiano e sostengono, direttamente o indirettamente attraverso i servizi, ogni ampliamento e rafforzamento degli spazi di partecipazione e concorrono a creare le condizioni perché ogni cittadino possa partecipare consapevolmente e costruttivamente alle scelte che lo riguardano.
f) Poiché la partecipazione alla costruzione delle comunità e alle scelte fondamentali delle stesse è tanto più efficace e consapevole se si basa su conoscenze precise, approfondite e sistematiche, la formazione assume sempre più un ruolo centrale e indispensabile nelle attività delle ACLI, che si configurano come un movimento caratterizzato da una precipua vocazione educativa.

2) fedeltà ai lavoratori:
a) Essendo le ACLI un'associazione di lavoratori, esse intendono in primo luogo operare per difendere gli interessi economici e sociali dei lavoratori, valorizzando e animando costruttivamente tutte le organizzazioni e le associazioni che tendono a tale fine, in particolare in ambito sindacale, sociale e assistenziale.
b) Poiché i lavoratori possono realizzarsi come tali e contribuire col proprio lavoro al progresso materiale, culturale e morale della società se sono in grado di svolgere con competenza e professionalità le mansioni a loro attribuite, le ACLI valorizzano e curano, direttamente o indirettamente, la formazione professionale dei lavoratori.
c) Le ACLI sono impegnate ad agire per la creazione di nuovi posti di lavoro, sia istituendo o contribuendo a istituire cooperative di lavoratori, sia adoperandosi per lo sviluppo del terzo settore, cioè per creare o rafforzare quei soggetti economici che, operando senza scopo di lucro, forniscano beni o servizi di interesse pubblico o collettivo.
d) La tutela degli interessi e delle esigenze dei lavoratori non si limita all'ambito sindacale e assistenziale, ma implica un impegno nell'azione sociale finalizzata a modificare l'organizzazione sociale e le strutture socio economiche per rimuovere tutti quegli ostacoli che impediscono o rendono difficile la piena realizzazione del lavoratore come persona e come cittadino.
e) La valutazione e la comprensione delle riforme e dei miglioramenti sociali necessari per consentire la miglior tutele delle esigenze dei lavoratori è frutto di un processo democratico e partecipato, sempre rivedibile e correggibile, nel quale i lavoratori cristiani si confrontano e collaborano con tutti gli uomini di buona volontà, indipendentemente dalla loro collocazione politica e dalle loro appartenenze culturali e religiose.

3) Fedeltà alla Chiesa:
a) Le ACLI, come organizzazione di lavoratori cristiani, ispirano la loro azione e ogni loro attività al messaggio evangelico e al magistero della Chiesa, conformando ad essi la propria proposta educativa e il proprio impegno sociale.
b) Più in particolare, dopo il Concilio Vaticano II, le ACLI aderiscono pienamente e consapevolmente alle concezioni ecclesiali e pastorali definite dal Concilio stesso e si impegno a contribuire per quanto di loro competenza alla piena attuazione e realizzazione delle scelte conciliari.
c) In conformità all'insegnamento di Paolo VI, le ACLI ritengono l'impegno politico e sociale come una delle forme più alte di carità e di conseguenza considerano il perseguimento della giustizia sociale come finalità prioritaria della loro azione in ambito politico e sociale.
d) In conformità all'insegnamento di Paolo VI, le ACLI fanno proprio e riaffermano continuamente nella loro attività il nesso inscindibile tra evangelizzazione e promozione umana.
e) Nella loro azione sociale le ACLI si ispirano alla dottrina sociale della Chiesa ma, in linea con gli orientamenti conciliari e con la lettera apostolica Octogesima adveniens di Paolo VI (1971), ritengono che le scelte per operare le necessarie trasformazioni sociali, politiche ed economiche non possano discendere meccanicamente od essere dedotte logicamente e direttamente dalla dottrina sociale della Chiesa, ma che esse debbano essere individuate e compiute dalle comunità cristiane, “con l'assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà”.
f) Nell'attuare l'insegnamento sociale della Chiesa i laici cristiani contribuiscono consapevolmente e costruttivamente, tenendo conto del contesto storico e dell'analisi razionale delle dinamiche economiche, culturali e sociali, all'individuazione delle scelte concrete temporalmente situate, non limitandosi ad eseguire passivamente le indicazioni della gerarchia.
g) La fedeltà ai principi irrinunciabili del magistero della Chiesa impegna le ACLI a diffondere, sostenere e cercare di attuare concretamente quei valori delineati come prioritari negli ultimi decenni, come la pace (a partire dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII) e la salvaguardia del creato (a partire dalla Octogesima adveniens di Paolo VI), valori che oggi assumono una nuova e più rilevante centralità.
h) Le ACLI, come movimento cristiano di lavoratori, partecipano ad ogni livello alla vita, alle riflessioni e alle scelte delle comunità cristiane, portando costruttivamente il proprio contributo, in spirito di servizio e di rispetto per il legittimo pluralismo delle opzioni politiche che in esse si manifesta.

A questo insieme di caratteri fondamentali, connessi alla triplice fedeltà delle ACLI alla democrazia, ai lavoratori e alla Chiesa, nel corso degli anni Ottanta, in concomitanza con il ridursi della capacità dei partiti tradizionali di interpretare le sensibilità e i bisogni della società civile e di favorirne gradualmente la crescita e la consapevolezza attraverso idonei processi di mediazione, le ACLI hanno integrato nel loro sistema tradizionale di valori costitutivi una particolare attenzione all'autonomia e all'organizzazione della società civile, che consente di delineare altri aspetti fondamentali del metodo aclista, già presenti fin dalle origini nei caratteri essenziali dell'azione sociale aclista, ma che nel tempo si sono precisati e articolati con maggior chiarezza e consapevolezza.

4) Valorizzazione della società civile:
a) La società civile, intesa come insieme di associazioni culturali, ricreative, sportive, assistenziali, di volontariato e promozione sociale, di vicinato e così via, rappresenta un ambito privilegiato in cui si estrinsecano le potenzialità relazionali e collaborative delle persone. Pertanto le ACLI sono impegnate a difenderne l'autonomia rispetto alle istituzioni e al sistema dei partiti politici.
b) Poiché l'associazionismo della società civile potenzia la libertà di adesione delle persone e favorisce la crescita della loro corresponsabilità, le ACLI ritengono che sia dovere dello Stato incentivare e sostenere l'associazionismo, sia favorendo l'accesso gratuito o agevolato delle associazioni alle strutture dell'organizzazione civile ai vari livelli per il raggiungimento dei fini associativi, sia consentendo e facilitando la possibilità di finanziamento volontario da parte dei cittadini, con meccanismi regolati normativamente, come ad esempio il 5 per mille.
c) Le ACLI sono impegnate a favorire ad ogni livello il libero estrinsecarsi di associazioni senza scopo di lucro e partecipano e collaborano con quelle associazioni i cui fini sono vicini o compatibili con quelli statutari del movimento, pur mantenendo prioritaria la centralità delle esigenze e dei bisogni dei lavoratori, di cui le ACLI sono espressione. In particolare privilegiano gli interventi a favore dei ceti più bisognosi e tendenti alla animazione e valorizzazione delle periferie.
d) Pur non accettando e non condividendo ogni concezione qualunquista o populista o tendente a delegittimare il ruolo dei partiti e il metodo della democrazia rappresentativa, le ACLI favoriscono e sostengono le iniziative emergenti dalla società civile per riformare la politica, valorizzando e appoggiando ogni iniziativa che possa ampliare le possibilità di partecipazione dei cittadini e delle loro libere associazioni alla gestione della cosa pubblica. In questa prospettiva le possibili ed auspicabili riforme delle istituzioni devono basarsi sul principio secondo il quale lo Stato riconosce e valorizza una pluralità di aggregazioni sociali aventi tutte pari dignità, anche se con differenti ruoli e funzioni.

Maurilio Lovatti

 

Giovanni XXIII, Paolo VI e le ACLI

 

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