Nella piccola Atene di quartiere, a scuola di democrazia

Maurilio Lovatti

 

Tratto dal volume:
L. Cesco, D. Serino, Trenta anni di partecipazione: l'esperienza delle circoscrizioni a Brescia. La circoscrizione Nord, Comune di Brescia, Brescia 2009, pag. 75-79.

 

 

Come nell'Atene di Pericle. Cittadini di pari diritto con la possibilità di intervenire nelle assemblee di democrazia diretta, partecipando personalmente alle decisioni. E lasciando il proprio segno nella vita della polis.
Cosi si sentivano i ragazzi che nei primi anni Settanta, con la barba lunga e il fermento della contestazione ancora nel sangue, si sarebbero buttati nell'avventura dei Consigli di quartiere con una buona dose di idealismo, senso di responsabilità quanto basta e una manciata di "lieta furia dei vent'anni".
Maurilio Lovatti inizia la sua avventura nel quartiere di Sant'Eustacchio da giovane studente universitario di Filosofia e partecipante della gioventù aclista. Dal '74 sarà consigliere di quartiere, poi con la nascita delle Circoscrizioni, nel '78, diventerà consigliere della Prima fino ai mandati del 1980 e '85, ricoprendo anche i ruoli di vice presidente e coordinatore della commissione urbanistica.
Quella che ricorda con più slancio è la fase che definisce spontanea, quella dei primi anni e dei timidi riconoscimenti che arrivavano dall'amministrazione comunale. "Eravamo consapevoli di essere di fronte a qualcosa di nuovo", dice Lovatti, ricordando la composizione del tutto eterogenea dei primi Consigli, formati da casalinghe cinquantenni e ragazzi universitari, artigiani e operai, ingegneri e professionisti che fino ad allora non avevano coltivato nessun interesse specifico per la politica. Tutti convinti a far sentire la loro voce, persuasi di poter cambiare il modo di amministrare, agendo con un controllo immediato su ciò che si taceva, e contribuendo alle decisioni dal basso.
A voler tentare un inquadramento storico, sono almeno tre i contesti che possono aver influito sulla partecipazione di quartiere: l'onda lunga del movimento studentesco, l'autunno caldo, la situazione politica in evoluzione. Eppure c'era dell'altro nella testa di quella gente che a centinaia affollava il teatro della Pavoniana fino a occuparne tutti i posti disponibili, corridoi e anfratti possibili per ascoltare e dire la propria.
"Il fermento partecipativo può essere stato stimolato dalla situazione storica, ma c'era anche, non secondario, l'elemento del "credere" in un progetto ritenuto vicino e possibile, che dipendeva dall'impegno di tutti". Tanto è vero che i partiti, seppure non indifferenti al movimento nei quartieri ("il Pci lo vide come un'occasione per entrare tra la gente dei quartieri, nella Dc e nel Psi la minoranza più aperta sfruttò quel momento per riequilibrare le posizioni di forza all'interno del partito"), non ne furono i protagonisti, ritagliandosi una posizione ai margini. "Il numero degli "indipendenti" era più della metà, a riprova che l'organismo di quartiere non era un Consiglio comunale in miniatura che riproduceva le stesse dinamiche fra maggioranza e opposizione, perché non era emanazione dei partiti. Non, quindi, un duplicato di quei rapporti di forza, ma un luogo di confronto dove spesso si affermavano posizioni trasversali. Questo spiega la fiducia riposta dai cittadini".
I traguardi raggiunti con il Comitato di coordinamento del 1971 e con il regolamento approvato dal Comune nel 1975, che conferiva ai Consigli di quartiere un'importante voce in capitolo sui temi di urbanistica, bilancio e politiche sociali sono, secondo Lovatti, una "conquista sul campo" dei quartieri. "Allora si dava molta importanza al consenso, i quartieri erano diventati una massa di pressione talmente forte e radicata che le istituzioni non potevano ormai trascurare".
La grande alchimia che dava forza alla partecipazione era la capacità di far convivere stili di vita, età, mentalità e status sociali dei più diversi, miscelati da un deciso coinvolgimento emotivo. "C'erano professionisti in giacca e cravatta, come l'indimenticabile ingegner Giovanni Buizza, che da presidente del Consiglio di quartiere ci ha accompagnato in tante battaglie, e c'eravamo noi giovani, c'erano alternativi e c'erano conformisti, persone di destra e di sinistra, e nonostante ciò ci si riusciva a confrontare, con un accostamento che aveva talvolta il sapore di un dialogo fra generazioni diverse".
Significativa anche la presenza femminile: a Sant'Eustacchio le donne erano circa la metà dei componenti del Consiglio, e su tre coordinatori di commissione, due (per Cultura e Servizi alla persona) erano donne.
"L'atmosfera era contagiosa, anche per quelli inizialmente più scettici. L'impegno richiesto era molto, come le sere passate a casa dell'uno o dell'altro per studiare le carte o le nuove normative, o la distribuzione dei volantini informativi, per cui ciascuno si sceglieva una zona e li depositava a tappeto nelle buche delle lettere. In questo senso dico che a noi giovani di allora, convinti ed entusiasti dell'esperienza, sembrava davvero di vivere in una "Atene di Pericle", così avvertita era la possibilità di partecipare alla vita della res pubblica".
Lovatti iniziò a interessarsi ditemi urbanistici quasi per caso, "erano temi ostici e noi eravamo un po' tutti digiuni, non c'era nessuno che li seguisse, così mi offrii io. Creammo un gruppo di studi per affrontare un settore completamente nuovo, ci si trovava la sera per studiare le normative urbanistiche. Alla fine maturammo una certa competenza ".
E in Consiglio le discussioni erano accese, si dava battaglia sui temi urbanistici, dai sensi unici ai percorsi delle linee autobus, fino a questioni più importanti affrontate in quella metà degli anni Settanta, come il prolungamento di via Veneto in quella che sarebbe diventata via Salvo d'Acquisto, e che allora non esisteva ancora, la realizzazione del giardino di via Reverberi, la pratica per rendere di fruibilità pubblica Campo Marte, "che venne avviata proprio allora nel Consiglio di quartiere".
Anche in campo culturale fu una stagione feconda, con la nascita dei primi corsi di ginnastica per adulti e anziani, oltre alle lezioni di pittura, ceramica e altro. "Oggi è diventata una prassi, ma allora era qualcosa di assolutamente inedito: quando chiedevamo di poter utilizzare la palestra degli istituti ci guardavano straniti, al tempo erano solo le scuole e le società sportive ad essere "legittimate" per questo tipo di attività".
La vita dei consigli fu costellata anche di battaglie perse, vissute spesso come uno smacco, come fu il caso della vicenda di Canton d'Albera, secondo Lovatti la più emblematica per Sant'Eustacchio.
In quel caso i consiglieri di quartiere si spesero perché l'area di Canton d'Albera, nei pressi di via Pastrengo e via Leonardo Da Vinci (estesa su 9 mila metri quadrati, dove attualmente sorge il complesso della banca Bipop Unicredit e gli altri esercizi limitrofi), venisse vincolata a servizi pubblici, dopo che la normativa regionale del 1975 aveva aumentato i metri quadrati da destinare a servizi per abitante. "I quartieri volevano che la nuova normativa venisse applicata alla svelta, traducendosi in una variante del Piano regolatore, mentre gli interessi economici premevano per andare a rilento, e ottenere nel frattempo la possibilità di edificazione privata dell'area". Il braccio di ferro con la Giunta comunale fu lungo ed estenuante, e si concluse con la sconfitta dei quartieri, che non riuscirono a salvaguardare l'area dall'edificazione privata.
Lovatti ha vissuto anche la stagione del lento esaurirsi della spinta partecipativa. "Se nei primissimi anni dopo il passaggio alle circoscrizioni c'era ancora un certo clima, tanto che molti consiglieri provenivano ancora dai quartieri, perché liste con soli candidati imposti dai partiti avrebbero rischiato di perdere, col tempo furono i quartieri a irrigidirsi, a smarrire l'impulso propositivo, la capacità di massa critica e quindi la forza contrattuale. Il clima culturale e politico era cambiato, e i partiti invasero il campo, a incominciare dalla distribuzione dei presidenti".
A fare da spartiacque fu la legge del 1976 che istituiva le circoscrizioni, una normativa che secondo Lovatti offre due chiavi di lettura: "dal punto di vista della partecipazione fu un passo indietro, perché con circoscrizioni molto estese diventava più difficile la rappresentatività rionale, ma sotto il profilo del decentramento fu un passo avanti, perché accorpando i quartieri rese possibile realizzare strutture e centri sociali di riferimento per le diverse aree della città". Evolversi, alla fine degli anni Settanta, era diventato un salto necessario, tanto più che il movimento dei quartieri, pur referenziato localmente, aveva sempre cercato di "pensare globale", evitando la tentazione campanilistica per contribuire, soprattutto tramite il Comitato di coordinamento di tutti i Consigli, a temi disinteresse generale come bilancio e Piano regolatore.
E' in questa prospettiva che va decifrata l'eredità lasciata dalla lunga stagione della partecipazione. "Il ruolo delle Commissioni in Circoscrizione, ad esempio, quella Urbanistica, quella alla Cultura e attività promozionali e quella dei Servizi alla persona è un retaggio di allora, così come la possibilità per i cittadini di partecipare alle sedute delle Commissioni, che sono 'aperte', e la prassi per cui gli assessori prima di decidere su tematiche di quartiere sentono chi è sul territorio". Certo, "sarebbe potuto rimanere qualcosa di più, soprattutto in tema di istanze partecipative. Ma qualcosa è restato. Senza dimenticare che arrivare all'accorpamento era nella logica delle cose: solo così i quartieri hanno potuto disporre di strutture, palestre e centri di aggregazione che una dimensione rionale non avrebbe potuto offrire".


(a cura di Lisa Cesco)

 

 

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