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      L'esperienza storica dei
      consigli di quartiere a Brescia
        Maurilio
      Lovatti 
       
       
      Delineo brevemente alcuni cenni storici sullo sviluppo
      del movimento dei consigli di quartiere a Brescia, cercando di individuare
      alcune caratteristiche di questa esperienza di partecipazione e
      decentramento. Il periodo considerato va dal 1967 al 1978, anno in cui il
      Consiglio comunale di Brescia nominò i consigli di Circoscrizione sulla
      base della legge 278 sul decentramento amministrativo dell'aprile del
      1976; nel 1980 le Circoscrizioni furono elette a suffragio universale per
      la prima volta nella nostra città.L'arco temporale 1967-1978 può essere diviso in due periodi: dal 1967 al
      1972 abbiamo la fase "spontanea" dei consigli di quartiere, dal
      1972 al 1978 la fase istituzionalizzata. Le principali informazioni sulla
      storia dei consigli di quartiere sono tratte dal libro Governare la città
      del 1978 (1).
 Prima del 1967, l'organizzazione di gruppi di cittadini per sollecitare la
      soluzione di specifici problemi del quartiere particolarmente sentiti,
      invece, avvenne frequentemente già negli anni 1965-66 (Borgo Trento, S.
      Bartolomeo, S. Polo, Mompiano, Villaggio Prealpino). Ma furono tutte
      esperienze brevissime, legate alla singola rivendicazione, che non ebbero
      continuità e non affrontarono globalmente i problemi del quartiere.
 Le prime esperienze di movimento a livello di quartiere iniziarono intorno
      al 1967, in zone di periferia come Lamarmora, Folzano, Chiesanuova, S.
      Polo, Mompiano, zone con problemi di disgregazione e isolamento dal
      tessuto culturale e civile della città. Furono esperienze del tutto
      spontanee e spesso si spensero perché, isolate dal contesto più generale
      della città, non riuscirono a costituire momenti di reale confronto con
      l'amministrazione comunale, la quale non procedette, nonostante le
      sollecitazioni provenienti da quei quartieri e da alcune forze politiche e
      sociali, al pur minimo atto di sostegno se non di riconoscimento.
 Il primo gruppo di cittadini che si costituì pubblicamente come
      "comitato di quartiere", fu quello di S. Polo, con un volantino
      del 26 gennaio 1967. La prima iniziativa fu una tavola rotonda, tenuta il
      primo febbraio sui problemi della frazione, con la partecipazione degli
      assessori ai lavori pubblici e all'urbanistica. Nello Stesso periodo si
      costituì il comitato di quartiere a Mompiano. Alla prima assemblea, il
      27-3-'67, parteciparono circa 200 persone. Problemi trattati: scuola
      media, aree verdi e viabilità.
 La "spontaneità", per quanto riguarda la composizione, i temi
      di discussione e le modalità di riunione di questi comitati promotori,
      non ha significato l'esclusione dei militanti di forze politiche
      organizzate. Una delle caratteristiche dell'esperienza bresciana è stata,
      anzi, il singolare intreccio tra spontaneità e coscienza politica che in
      essa si è venuto a determinare.
 Militanti dei partiti della sinistra e cattolici, soprattutto aclisti, vi
      diedero un grande apporto e contribuirono in maniera decisiva alla
      trasformazione dei "gruppi di discussione" in "comitati
      promotori dei consigli di quartiere". PCI, PSIUP, ACLI, le forze che
      si manifestarono più sensibili a quanto di nuovo avveniva nella società,
      compresero come da uno sviluppo spontaneo e non codificato fin dalle fasi
      iniziali, potesse derivare un vero salto di qualità nel governo della
      città e nuova linfa, nuovo vigore per le loro stesse organizzazioni, per
      il loro modo di far politica.
 Il punto cruciale della discussione, sia nei comitati promotori sia nelle
      assemblee, fu quello del metodo di elezione dei consigli, che dovevano
      subentrare a queste prime forme di partecipazione. Due furono le soluzioni
      adottate: in alcuni quartieri l'elezione diretta da parte dell'assemblea,
      in altri l'elezione a suffragio universale.
 Alla fine del 1970 erano già operanti cinque quartieri, in altri quattro
      erano imminenti le elezioni, in otto vi erano forti movimenti di
      partecipazione (2). Un dato politicamente significativo fu la volontà
      unitaria, che si manifestò ovunque attraverso la presentazione di liste
      unitarie.
 Elezioni autogestite in assemblea si fecero in quartieri come Borgo Trento
      il 17.11.1970, Mompiano il 20.11.1970, S. Eufemia il 20.11.1970, Urago il
      4.12.1970; elezioni a suffragio universale, con la partecipazione di 1700
      cittadini, si tennero a Chiusure, in quattro turni nei diversi rioni, da
      febbraio a maggio del 1971.
 Negli anni fra il '70 e il '72, l'iniziativa sul piano organizzativo (il
      ruolo dell'assemblea di quartiere e la ricerca di forme di coordinamento
      fra quartieri) e sui piano istituzionale, cioè la battaglia per un
      riconoscimento da parte del Comune che non ledesse l'autonomia, fu
      nettamente prioritaria, rispetto a problemi di contenuto della politica
      cittadina, e portò al risultato, nel luglio del '72, del riconoscimento
      formale dei quartieri da parte dell'amministrazione comunale.
 Ben presto in realtà nel movimento si precisarono due linee a proposito
      del rapporto con l'ente locale; i sostenitori della prima, che concepivano
      i quartieri quali strumenti di pressione nei confronti
      dell'amministrazione, non ritenevano che il rapporto dovesse essere
      formalizzato, pena la perdita della caratteristica fondamentale dei nuovi
      organismi, cioè l'autonomia. Tale impostazione, rimasta fortemente
      minoritaria, e nel corso della vicenda sconfitta, era decisamente in
      contraddizione con l'esigenza da tutti avanzata di un reale potere nella
      formazione e nella gestione delle scelte del Comune. Questa esigenza
      trovava sbocco, in sostanza, in una "seconda linea" che, senza
      voler rinunciare minimamente a tutto il patrimonio di autonomia
      conquistato nei quartieri, chiedeva che a questi fosse riconosciuto un
      peso effettivo all'interno del Comune, impostando un lavoro articolato e
      preciso affinché il riconoscimento non si traducesse nello svuotamento
      dei caratteri positivi dell'esperienza partecipativa.
 La creazione di un comitato di coordinamento fra i quartieri - avvenuta
      nel giugno del 1971 di fronte all'esigenza di scambio di esperienze fra i
      vari consigli, sia tramite lo scambio di documenti, sia attraverso
      riunioni congiunte di commissioni specifiche per problemi - fu un passo
      ulteriore sul terreno della costruzione di una presenza nuova nel tessuto
      sociale e politico della città. L'assemblea generale dei consigli di
      quartiere, in data 5 giugno '71, chiese un "immediato riconoscimento
      ufficiale" sulla base di un documento in cui, dopo l'affermazione che
      riconoscimento non doveva significare regolamentazione del comportamento e
      delle decisioni del consiglio - si chiedeva:
 " 1) il Comune prenda atto dei principi che ispirano gli attuali
      regolamenti e statuti che i consigli - per mezzo delle assemblee - si sono
      dati;
 2) di concordare con i consigli di quartiere le delimitazioni delle aree
      in cui operano i consigli stessi;
 3) di fornire ai consigli i mezzi e gli strumenti per poter espletare il
      loro ruolo. In particolare le sedi per le riunioni del consiglio di
      quartiere e per le assemblee di quartiere. A questo proposito l'assemblea
      chiede l'immediata messa a disposizione di aule delle scuole elementari e
      medie - ivi compresa l'aula magna -".
 Il consiglio comunale approvò la delibera di riconoscimento dei consigli
      di quartiere il 28.7.72, con voto favorevole da parte di tutti i partiti
      del centro-sinistra (tranne il PSDI che si astenne) e con l'astensione del
      PCI. Anche i liberali votarono a favore, mentre il MSI contro.
 Le attribuzioni conferite ai consigli (titolo IV della delibera), erano
      così stabilite:
 "a) esame e proposte in ordine ai problemi comunali riguardanti
      direttamente il quartiere, in relazione alla situazione generale del
      Comune, al bilancio comunale e agli indirizzi programmatici
      dell'amministrazione;
 b) esame e proposte sull'espletamento dei servizi comunali e delle
      attività relative che abbiano diretto riferimento alle esigenze della
      popolazione residente nei singoli confini territoriali;
 c) proposte per studi e ricerche interessanti il quartiere;
 d) esame e parere, dietro richiesta dell'amministrazione, su problemi
      riguardanti il quartiere. I provvedimenti dell'amministrazione che
      disattendono in tutto o in parte le proposte ed i pareri espressi dai
      consigli di quartiere, per quanto indicato al presente punto IV) devono
      indicarne i motivi".
 Le elezioni a suffragio universale, con l'estensione del diritto di voto
      ai diciottenni, previste dalla delibera di riconoscimento dei quartieri
      del 1972 (nonostante la maggiore età fosse per legge stabilita a 21 anni
      fino al 1974) si svolsero in sei tornate elettorali fra il giugno 1973 e
      novembre 1974. In tutto furono eletti 30 consigli di quartiere, di cui 11
      con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, 11 con popolazione compresa
      fra 5.000 e 10.000 abitanti e 8 con popolazione superiore ai 10.000
      abitanti.
 I piccoli quartieri, quelli cioè con popolazione inferiore ai 5.000
      abitanti sono 11 e precisamente: Folzano, Fornaci, Bettole Buffalora,
      Caionvico, S. Bartolomeo, S. Eufemia, S. Polo, Casazza, Villaggio Badia,
      Violino, 1° Maggio.
 I quartieri medi, quelli con popolazione da 5.001 a 10.000 abitanti, sono
      pure 11, e precisamente: Porta Milano, Don Bosco, Fiumicello, Lamarmora,
      Mompiano, Villaggio Prealpino, Chiesanuova, Villaggio Sereno, Centro
      Storico Sud, S. Rocchino Costalunga, Crocifissa di Rosa.
 I grandi quartieri, con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, sono i
      seguenti 8:
 Brescia Antica, Borgo Trento, Centro Nord, Chiusure, Porta Cremona, Porta
      Venezia, Urago Mella, S. Eustacchio.
 Vi sono quindi rilevanti differenze nella popolazione dei quartieri, che
      però riflettono la storia delle singole comunità locali: si va dai
      17.308 abitanti del quartiere di Porta Cremona - Volta, ai soli 1.277 di
      Folzano, frazione periferica che ha una sua ben precisa identità.
 La lista unica era obbligatoria, in realtà, solo se preventivamente
      approvata dalla assemblea preelettorale del quartiere, con la presenza di
      almeno il 6% degli elettori e con la maggioranza qualificata di quattro
      quinti dei presenti. Diversamente erano possibili liste diverse. In caso
      di lista unica si potevano esprimere preferenze fino ad un quarto del
      numero dei consiglieri da eleggere. In caso di più liste, vigeva il
      sistema proporzionale, con al massimo quattro preferenze individuali.
      Benché il quorum del 6% sia stato raggiunto solo in pochi quartieri, in
      tutti si è votato con lista unica.
 A seconda della percentuale più o meno elevata dei votanti, si possono
      suddividere i quartieri in tre classi:
 I classe: quartieri che hanno avuto una percentuale di votanti superiore
      al 50%. Si tratta di 8 quartieri, e precisamente: Villaggio Badia,
      Violino, Caionvico, Fornaci, Chiesanuova, 1° Maggio, Folzano, Bettole
      Buffalora.
 II classe: quartieri che hanno avuto una percentuale di votanti compresa
      tra il 25% e il 50%. Si tratta di 15 quartieri, e precisamente: Casazza,
      Don Bosco, Porta Milano, S. Rocchino Costalunga, Villaggio Sereno,
      Villaggio Prealpino, Fiumicello, Crocifissa di Rosa, S. Polo, Porta
      Cremona, Urago Mella, Centro Storico Sud, S. Eustacchio, Porta Venezia,
      Centro Nord.
 III classe: quartieri che hanno avuto una percentuale di votanti inferiore
      al 25%. Si tratta di 7 quartieri, e precisamente: Chiusure, Lamarmora, S.
      Bartolomeo, S. Eufemia, Borgo Trento, Mompiano, Brescia Antica.
 Il periodo di validità della delibera del '72 scadeva alla fine di
      novembre del '74, contemporaneamente all'elezione a suffragio universale
      degli ultimi consigli di quartiere. Tuttavia la consultazione della
      commissione consiliare al decentramento con i quartieri in vista del nuovo
      regolamento iniziò solo nel 1975.
 La prima riunione della commissione consiliare al decentramento con i
      quartieri, sull'assetto definitivo da dare agli stessi, si tenne il 5
      febbraio '75. In questa occasione i rappresentanti dei quartieri
      concordarono con un documento, presentato dal consiglio di Crocifissa di
      Rosa, in cui si proponeva, invece di una nuova delibera, una modifica
      all'ultima parte di quella del '72, quella parte cioè relativa alle
      attribuzioni dei consigli. In tale documento si chiedeva che i quartieri
      fossero obbligatoriamente consultati sui bilanci e sui piani comunali e su
      tutte le questioni attinenti il quartiere, in termini non vincolanti per
      l'amministrazione comunale la quale, comunque, avrebbe dovuto indicare le
      motivazioni di eventuali provvedimenti contrari ai pareri espressi.
      Sebbene la commissione al decentramento accettasse in sostanza le proposte
      dei quartieri e su tale base formulasse in seguito una ipotesi di nuova
      delibera, la Giunta nominò un proprio gruppo di lavoro, per mediare, si
      disse, fra le indicazioni della commissione e quelle risultanti da un
      documento, di fatto contrapposto, che fu allora presentato dal PSI. Ma il
      gruppo di lavoro languiva e i tempi divennero estremamente ristretti,
      prossimi come si era alle elezioni amministrative. Solamente la presa di
      posizione di 38 consiglieri di quartiere, in gran parte aclisti (14 marzo
      1975) e l'opera di pressione tenace svolta dall'assessore al decentramento
      Battista Fenaroli, insieme all'impegno dei comunisti all'interno della
      commissione al decentramento, permisero finalmente e in grave ritardo di
      giungere ad una ipotesi di delibera da far esaminare ai quartieri. La
      proposta della Giunta manteneva inalterate alcune caratteristiche di fondo
      dell'esperienza dei quartieri, quali il numero dei quartieri (30), la
      durata in carica (due anni), il ruolo dell'assemblea. Questa posizione fu
      assunta anche grazie alla rigorosa difesa delle richieste dei quartieri e
      in particolare dei "38" svolta in Giunta dall'assessore al
      decentramento Fenaroli. Ma i quartieri riscontravano anche molti aspetti
      negativi nella proposta di regolamento. Nel giro di pochi giorni si
      riunirono tutti i consigli e proposero numerosi emendamenti. Il 4 aprile
      il coordinamento cittadino dei consigli di quartiere raccolse tutti gli
      emendamenti emersi, compresi quelli del gruppo "dei 38", in un
      documento. Si chiedeva la consultazione preventiva per le licenze
      edilizie, la deliberatività delle assemblee di quartiere, l'eliminazione
      di molte norme burocratiche relative alla vita interna dei consigli di
      quartiere, l'introduzione dello statuto di quartiere, la modifica di
      alcune procedure di consultazione, specie sui bilanci annuali del Comune.
      Queste proposte trovarono l'unanime consenso di tutti i consiglieri di
      quartiere. Dopo un ulteriore incontro con la commissione consiliare al
      decentramento in cui i rappresentanti dei quartieri, il 15 aprile 1975,
      riaffermarono queste richieste, che furono in gran parte accolte, il
      consiglio comunale approvò, il 30 aprile, la nuova delibera. Votarono a
      favore gli esponenti di tutti i partiti, salvo quelli della destra
      liberale e missina.
 
 Una caratteristica rilevante del movimento dei quartieri a Brescia può
      essere rintracciata nel rifiuto, sempre consapevole, dei consigli di
      quartiere di limitarsi ad una visione localistica o
      "campanilistica" dei problemi della città, com'è dimostrato
      dall'efficacia e vitalità dei momenti di coordinamento cittadino dei
      consigli di quartiere, che non si limitarono ai temi relativi alle
      modifiche del regolamento. In particolare molto significative furono le
      esperienze di coordinamento sui temi del bilancio preventivo del Comune e
      sul Piano regolatore. Il comitato di coordinamento dei consigli di
      quartiere si strutturò in modo permanente dal 1973 e dal 26 settembre
      1974 si articolò in commissioni (urbanistica, scuola e cultura, servizi
      sociali, trasporti).
 Per quanto riguarda la consultazione sul bilancio preventivo,
      particolarmente significativa fu quella relativa al bilancio del '75
      durata, dal settembre '74 al febbraio '75. Ciò per vari motivi; innanzi
      tutto perché per la prima volta ci si è avvicinati, anche se
      parzialmente, al metodo proposto dai consigli di quartiere. Inoltre, in
      questo periodo il coordinamento cittadino dei consigli di quartiere
      acquisì un'efficienza ed articolazione notevoli, in seguito mai più
      raggiunte; infine, nella fase finale, si verificò un duro scontro fra
      Giunta e quartieri. La proposta dei quartieri di discutere preventivamente
      il bilancio, fu accolta dall'assessore al bilancio, il socialista Albino
      De Tavonatti, nella riunione del 9 settembre del 1974.
 Successivamente, il coordinamento cittadino dei consigli di quartiere si
      riunì il 24 settembre, presso l'assessorato al decentramento, e approvò
      all'unanimità la proposta di presentare all'assessore le seguenti
      modalità di consultazione:
 1) conferenza di tutti i consigli di quartiere sull'impostazione generale
      del bilancio, sulla base di una relazione scritta dall'assessore fatta
      conoscere preventivamente;
 2) incontri fra assessori e gruppi di quartieri per raccogliere le
      esigenze e le proposte dei vari quartieri;
 3) elaborazione della bozza da parte della Giunta e relativo invio ai
      quartieri per sentire i loro pareri;
 4) discussione finale, possibilmente in consiglio comunale, aperto alla
      partecipazione di rappresentanti di quartiere a titolo consultivo.
 Questa scelta è molto simile a quella che sarà accolta dalla delibera
      del 1975. Le commissioni cercarono di individuare una serie precisa di
      priorità, sia il tipo di interventi da privilegiare nell'ambito di un
      settore prioritario. Si riteneva non significativo stabilire ad esempio
      l'assistenza quale priorità, se non si definiva contemporaneamente quale
      tipo di intervento assistenziale si voleva. Le commissioni lavorarono dal
      3 al 22 ottobre e presentarono le loro relazioni il giorno 24 al
      coordinamento che le approvò. Nel frattempo, l'assessore al bilancio
      aveva inviato, in data 10 ottobre, la relazione introduttiva per
      l'assemblea richiesta dai quartieri. In questa relazione, dopo aver
      sottolineato la positività della "partecipazione diretta e
      preliminare dei consigli di quartiere" alla formazione del bilancio,
      nell'indicare "gli indirizzi di sviluppo", si elencava una lista
      di proposte di investimento e, indicando fra i 4 e i 5 miliardi la cifra
      prevista per gli investimenti, si dava per scontata, senza porla in
      discussione, la scelta del bilancio in pareggio.
 Infine il 22 gennaio 1975, l'assessore trasmise ai quartieri la bozza di
      bilancio, convocandoli in tre gruppi nelle sere del 3, 4 e 5 febbraio alla
      Cavallerizza. I quartieri rimasero in gran parte insoddisfatti,
      riscontrando che solo una piccola parte delle richieste avanzate era stata
      accolta (3), ma se non altro venne sostanzialmente recepita
      dall'Amministrazione la procedura di consultazione proposta dai quartieri,
      che fu inserita nel regolamento del '75.
 
 Per quanto riguarda il Piano Regolatore, la vicenda fu lunga e tormentata.
 La richiesta di revisione del piano regolatore generale della città da
      parte dei quartieri avvenne durante un'assemblea tenuta alla Cavallerizza
      il 27 dicembre 1972. Occasione e spunto fu la vicenda, di rilievo
      cittadino, delle servitù militari sulla Maddalena. Da mesi il problema
      della concessione di una rilevante servitù alla NATO, sulla cima del
      colle, era oggetto di polemiche sulla stampa dei partiti e sui giornali
      locali.
 L'assemblea cittadina venne indetta dai consigli di quartiere di Porta
      Venezia e di Sant'Eufemia che invitarono l'amministrazione comunale ad
      intervenire. Dal problema specifico il dibattito si allargò ai temi del
      rapporto fra il Comune e lo Stato, sollevati dall'intervento
      dell'assessore Bazoli che rappresentava la Giunta.
 Da parte dei consiglieri di quartiere presenti si sottolineò il
      contributo che dagli organismi della partecipazione poteva venire al
      rafforzamento della battaglia contro le servitù militari e si chiese di
      porre mano alla revisione del piano regolatore, facendovi attivamente
      partecipare la cittadinanza.
 Vigeva allora un piano regolatore approvato nel 1961, ma adottato dal
      consiglio comunale fin dal lontano 1959, comunemente noto come
      Piano-Morini. Si trattava di un pessimo piano regolatore. Infatti la
      capacità insediativa corrispondente alle previsioni del piano risultava
      incredibilmente enorme e sproporzionata (circa 800.000 abitanti). Di
      conseguenza era lasciato ampio spazio all'uso indiscriminato del
      territorio, mentre mancava qualsiasi inversione di tendenza rispetto alla
      precedente normativa urbanistica, che aveva consentito la più selvaggia e
      indiscriminata edificazione al di fuori di ogni programmazione.
 Inoltre era previsto un rapporto bassissimo tra uso pubblico e uso privato
      del territorio. La dotazione di aree vincolate era pari infatti solo a 3,4
      mq/ab. e praticamente le aree disponibili all'uso residenziale coprivano
      oltre l'80% del territorio comunale. Inoltre anche per le cosiddette
      "aree agricole" erano consentiti indici di fabbricabilità che
      oggi definiamo "urbani".
 All'inizio di gennaio del 1973 si venne a conoscenza che l'assessorato
      all'urbanistica stava studiando la variante al piano regolatore. La sera
      del 25 gennaio, i rappresentanti dei consigli di quartiere, riuniti nel
      coordinamento presso la saletta del vicolo Due Torri, chiesero
      ufficialmente in visione la variante del PRG prima che questa fosse
      adottata dal consiglio comunale.
 Nella variante le previsioni di incremento demografico si fermavano a
      540.000 abitanti, contro gli 800.000 del piano Morini vigente. I 3 metri
      quadrati per abitante di aree per verde, scuole e servizi previsti in quel
      piano, erano ora elevati ad almeno 18 metri quadrati. Per la
      valorizzazione e conservazione del centro storico si faceva riferimento a
      piani particolareggiati "da stabilire dopo gli studi e le discussioni
      future".
 La richiesta dei quartieri di conoscere il piano prima della sua adozione
      fu accolta e il 29 marzo, in Loggia, l'ipotesi di variante al PRG,
      preventivamente inviata ai quartieri, venne illustrata dall'assessore
      all'urbanistica. Alcuni consigli di quartiere indicarono già in quella
      sede alcune scelte e obiettivi che ritenevano irrinunciabili.
 La maggior parte degli intervenuti (Chiusure, Violino, P. Venezia, S.
      Eufemia, Prealpino e Mompiano) insistettero sulla necessità di
      salvaguardare il verde e in modo particolare le colline; venne chiesto il
      vincolo totale per S. Anna e la Maddalena e inoltre alcuni quartieri
      chiesero vincoli per aree specifiche. Il quartiere Centro Nord chiese che
      venisse tutelato il centro storico, bloccando speculazioni private e
      impedendo l'espulsione degli abitanti meno abbienti e sottolineò la
      necessità di piani particolareggiati di intervento. Rappresentanti di
      vari quartieri affrontarono il tema di Brescia 2, chiedendo che, per la
      parte di convenzione non ancora realizzata (circa i 2/3), venissero
      ridotti gli indici di edificabilità e uniformate le clausole alle
      prescrizioni della variante.
 Durante il mese di aprile fu tutto un susseguirsi di riunioni dei vari
      consigli di quartiere, anche se ovviamente non tutti i consigli furono in
      grado di individuare rapidamente proposte alternative precise, soprattutto
      in merito alle aree da vincolare. Inoltre non tutti i CdQ erano già
      costituiti, per cui per alcune "zone" del piano non ci fu il
      contributo dei quartieri. Anche il coordinamento dedicò due intere
      riunioni alla variante del PRG: lunedì 9 e mercoledì 18 aprile 1973.
 Benché ogni quartiere avesse sue richieste specifiche, si verificò
      subito una convergenza generalizzata su alcune questioni di fondo.
      Positiva fu la valutazione sul reperimento dei 18 mq/ab., anche se venne
      criticato il fatto che tale indice era calcolato non per ogni quartiere,
      ma sulla base di comprensori urbani più ampi, e quindi alcune zone molto
      edificate avevano il "loro verde" relativamente lontano. Vasta
      convergenza si verificò anche sulla necessità di salvaguardare le
      colline e di tutelare il centro storico dalle ristrutturazioni
      speculative. Un certo dibattito si sviluppò sul piano per l'edilizia
      economica e popolare, che veniva discusso parallelamente alla variante del
      PRG. Questo piano concentrava in un insediamento di 13.500 vani a S. Polo
      i vari piani di zona che prevedevano edificazioni distribuite nella città
      senza alcun criterio di intervento riformatore sui territorio. Si trattava
      di un'ipotesi suggestiva perché consentiva al Comune di intervenire su
      un'area vastissima, urbanizzarla, introdurvi vincoli, stabilire la
      tipologia delle case da costruire, operare quindi un'azione pianificatrice
      completamente nuova rispetto al passato. Evidentemente concentrare a S.
      Polo la gran parte dello sforzo dell'amministrazione comunale per
      l'edilizia economica significava per molti quartieri rinunciare ad
      eventuali interventi per case popolari nelle rispettive zone. Ma la
      capacità di superare tentazioni campanilistiche era ormai consolidata e
      tutti i quartieri, dopo un attento esame, diedero la loro approvazione
      all'ipotesi di S. Polo. Queste prese di posizione sull'edilizia economica
      e popolare erano tanto più importanti se si considera che, proprio in
      quei giorni, il sindaco Bruno Boni aveva pubblicamente espresso le sue
      "perplessità" sull'ipotesi di S. Polo (dichiarazione del 10
      aprile).
 Il coordinamento del 18 decise di convocare un'assemblea generale di tutti
      i consigli di quartiere per tirare le somme del dibattito sulla variante.
      L'assemblea si svolse il 30 aprile. Dopo un ampio ed approfondito
      dibattito venne discussa ed approvata all'unanimità questa mozione, che
      tra l'altro proponeva il vincolo totale a verde pubblico attrezzato della
      Collina di S. Anna (compreso il versante ovest); vincolo totale della
      Maddalena e piano particolareggiato paesistico per la sommità, ponendo
      anche un limite ristretto per l'altezza delle costruzioni; vincolo
      paesistico per tutte le colline in attesa di piani particolareggiati da
      concordare con i vari consigli di quartiere; il blocco delle aree non
      ancora edificate per "Brescia 2" in attesa che venga definito un
      nuovo piano particolareggiato che riveda gli indici di edificabilità; il
      blocco delle licenze edilizie per il "centro storico" in attesa
      della stesura del nuovo piano particolareggiato. Si chiedeva inoltre di
      subordinare la costruzione di nuove strade di grande viabilità alle
      esigenze degli insediamenti urbani esistenti in accordo con i consigli di
      quartiere interessati e di esaminare ed eliminare le cause di inquinamento
      in relazione agli insediamenti industriali vecchi e di nuova progettazione
      in collaborazione anche con i Comuni limitrofi.
 Il consiglio comunale discusse ed approvò la variante al PRG il 5.6.1973.
 Nel documento approvato si esprimeva un giudizio positivo sul metodo della
      consultazione preventiva con i consigli di quartiere e le organizzazioni
      sindacali. Era un autorevole riconoscimento del ruolo positivo svolto dai
      quartieri. Per quanto concerne le colline, l'obiettivo dei consigli di
      quartiere era pienamente raggiunto per S. Anna e la Maddalena, mentre per
      quanto riguarda il colle di S. Giuseppe veniva fatta salva la convenzione
      di lottizzazione già stipulata e il vincolo riguardava solo la parte
      residua. Per Brescia 2 si affermava l'impegno ad approvare rapidamente una
      variante che riducesse la volumetria prevista. Il documento si pronunciava
      inoltre per un'immediata acquisizione delle aree verdi vincolate.
      Purtroppo questo importante impegno non si è tradotto poi in
      corrispondenti stanziamenti nei bilanci preventivi degli anni successivi
      ('74, '75 e '76) e la realizzazione di parchi e giardini è stata molto
      lenta, ma i risultati ottenuti sono ancora sotto gli occhi di tutti. Si
      prendeva anche atto, nel documento approvato dal consiglio comunale, della
      necessità di un rilancio delle attrezzature collettive e sociali che
      capovolgesse le tradizionali carenze delle passate amministrazioni in
      questo settore. Veniva ribadito l'impegno ad utilizzare le leggi per
      l'edilizia economica e popolare (la 167 e la 865). Per quanto riguarda il
      centro storico veniva accolto il principio di introdurre nella normativa
      del piano severe norme di tutela al fine di impedire ristrutturazioni
      private indiscriminate. Il documento approvato si concludeva con l'impegno
      di far partecipare i consigli di quartiere alla gestione della variante
      del PRG.
 Pur considerato il mancato vincolo totale di S. Giuseppe (che fu una
      rilevante sconfitta della volontà dei quartieri di salvaguardare il verde
      e le colline) e di alcune aree di minore importanza, in contrasto con le
      richieste di singoli quartieri, tuttavia le proposte avanzate dal
      movimento dei consigli di quartiere erano state complessivamente accolte.
 Una nuova revisione del piano regolatore generale della città si impose
      quando una nuova legge urbanistica regionale (la n. 51 dell'aprile 1975)
      prescrisse che gli standard delle aree vincolate per servizi e verde
      pubblico passassero da 18 a 26,5 mq./ab. e fissò in un anno il periodo
      massimo per adeguare i piani a tutte le norme della legge. Nell'assemblea
      generale dei quartieri del 22 luglio indetta dal coordinamento cittadino
      molti interventi richiamarono la necessità di un rapido adeguamento del
      PRG.
 A novembre (1975) si venne a sapere che nonostante le vacanze fossero
      finite da quasi tre mesi e i tempi stringessero, l'assessorato non aveva
      ancora iniziato a preparare la variante. Quasi tutti i consigli di
      quartiere sottoscrissero un appello al Sindaco e all'assessore
      all'urbanistica, proposto dal consiglio di S. Eustacchio, che diceva:
      "I sottoscritti consigli di quartiere chiedono che la presentazione
      ai consigli della proposta di variante al PRG per l'adeguamento alla legge
      urbanistica regionale avvenga entro la prima metà del gennaio 1976, ciò
      per poter iniziare sollecitamente la consultazione fra consigli e Giunta e
      lasciare quindi un congruo lasso di tempo prima di giungere alla
      definitiva approvazione della variante entro l'aprile 1976, termine
      tassativamente previsto dalla legge regionale e ribadito dall'accordo fra
      i partiti dell'arco costituzionale. Nonostante ciò la consultazione con i
      quartieri iniziò solamente in marzo e fu caratterizzata da una lentezza
      esasperante. Secondo le intenzioni espresse dall'assessore, ai quartieri
      sarebbero dovuto essere presentati, in fasi successive, vari aspetti della
      variante. Il 2 marzo vennero presentate le "proposte di ubicazione di
      complessi di attrezzature amministrative e socio-culturali-sanitarie
      nell'ambito del piano del sistema dei servizi sociali in Brescia". I
      quartieri discussero tali proposte durante il mese di marzo. Il giorno 30
      l'assessore convocò un'assemblea di tutti i rappresentanti dei consigli
      di quartiere per raccogliere i pareri emersi dai quartieri. I quartieri
      pur condividendo la proposta del Comune di dividere la città in dieci
      comprensori (raggruppanti in media tre quartieri) alfine di prospettare un
      grosso complesso di servizi in ogni zona, insistettero sulla necessità di
      privilegiare la realizzazione di nuclei di servizi sociali con bacini di
      utenza molto più ristretti. Quasi tutti i consigli si espressero a favore
      di una rapida utilizzazione per i servizi socio-culturali delle strutture
      esistenti già di proprietà del Comune e di altri enti pubblici.
 A queste proposte relative alle strutture socio-culturali e sanitarie
      avrebbe dovuto seguire il piano relativo al verde e alle attrezzature
      ricreative e sportive. In realtà per molti mesi i consigli di quartiere
      non seppero più nulla. In agosto la variante al piano regolatore fu
      presentata al consiglio comunale. Con un inspiegabile, e mai ufficialmente
      giustificato ritardo, l'ipotesi di Piano venne trasmessa ai quartieri solo
      a fine ottobre. La più rilevante novità introdotta dalla proposta di
      variante - inevitabile perché derivante da disposizioni di legge -
      riguardava, come detto, l'aumento della dotazione di aree per verde e
      servizi fino a raggiungere lo standard di 26,5 mq./ab. e "una più
      attendibile valutazione e specificazione dello sviluppo nel prossimo
      decennio" determinato in base alle nuove norme della legge regionale.
      A questi due aspetti va aggiunto il piano quadro dei servizi che per la
      prima volta impostava una programmazione e una distribuzione razionale dei
      servizi collettivi nei quartieri.
 Per quanto riguardava il dimensionamento, la variante prevedeva un
      incremento abitativo nel decennio pari a 12.500 persone (di cui 10.000
      dovute ad incremento demografico naturale e le restanti come saldo fra il
      flusso immigratorio e quello migratorio).
 Dai dati statistici risultava che circa 69.000 persone vivevano in alloggi
      con numero di vani inferiore allo standard medio considerato civile che fa
      corrispondere un vano ad ogni abitante. Pertanto il fabbisogno arretrato
      veniva valutato in circa 20.000 vani. Sommando questa cifra al numero di
      vani corrispondente all'incremento abitativo si otteneva un fabbisogno
      complessivo pari a 32.500 vani. Tale cifra non considerava però i 15.000
      vani sfitti esistenti. A fronte di questo fabbisogno, la variante
      prospettava interventi per circa 40.000 vani. Di questi la metà circa era
      riservato ad edilizia pubblica o convenzionata, il resto era lasciato
      all'iniziativa privata. Questo rapporto di parità fra edilizia pubblica e
      privata era una novità assoluta per Brescia. Per quanto riguarda gli
      standards minimi di aree vincolate, questi erano garantiti in ogni
      comprensorio urbano. I comprensori scendevano dai 10 proposti in marzo a
      9, perché l'assessorato aveva fatto proprio il suggerimento dei consigli
      di quartiere della zona nord della città di procedere ad un diverso
      azzonamento (radiale anziché trasversale).. Sulla base della divisione in
      zone veniva definito il
 piano quadro dei servizi che definiva l'ubicazione di tutte le
      attrezzature collettive (asili e scuole dell'obbligo, centri sociali,
      culturali e sanitari, chiese ed oratori, attrezzature sportive e
      ricreative, giardini e parchi pubblici).
 Durante tutto il mese di novembre si sviluppò il dibattito nei quartieri,
      che si concluse, ai primi di dicembre, in una serie di incontri fra gruppi
      di quartieri, assessore all'urbanistica e ufficio di presidenza della
      commissione consiliare urbanistica (Luigi Buffoli e Lucio Moro). In questi
      incontri e nei documenti che quasi tutti i consigli trasmisero alla
      commissione urbanistica, si delineò l'orientamento dei quartieri. Esso
      era pienamente favorevole alle linee di fondo del PRG, in particolare
      l'equilibrio fra edilizia pubblica e privata previsto dall'ipotesi e il
      progetto di S. Polo, sul quale già nella consultazione del 1973 si era
      espressa la totale adesione degli organismi della partecipazione. Dai
      quartieri, oltre ad alcune critiche su questioni generali quali la mancata
      previsione di parcheggi nei pressi del perimetro del centro storico (che
      risponderebbero alla esigenza di limitare il traffico privato in centro),
      l'indice di edificazione in alcune zone, la mancata considerazione dei
      vani sfitti nel calcolo del fabbisogno di alloggi, emersero soprattutto
      richieste particolari (vincolo a servizi pubblici di aree nei quartieri).
 Una parte delle richieste di vincolo avanzate dai consigli di quartiere
      vennero accolte, ma molte furono anche respinte. A sei mesi di distanza
      dalla presentazione alla città, il 7 febbraio 1977, la nuova variante al
      piano regolatore venne approvata dal consiglio comunale. Votarono a favore
      democristiani, socialdemocratici, socialisti e comunisti; si astennero
      liberali e repubblicani, mentre i missini votarono contro.
 Un ultimo aspetto vorrei ricordare in ambito urbanistico: il pare
      consultivo dei consigli di quartiere sulle licenze edilizie.
 L'articolo 11 del regolamento del 1975, nell'elencare le competenze dei
      consigli di quartiere prevedeva: "informazione obbligatoria, con i
      dati specifici per un rapido reperimento, su tutte le richieste di licenze
      edilizie riguardanti il territorio del quartiere. Possibilità del
      consiglio di quartiere di ottenere, tramite richiesta scritta del
      presidente, una copia della richiesta di licenza di suo interesse, con
      obbligo di ritorno della stessa entro 20 giorni, accompagnata dal relativo
      parere. Nel caso questo sia disatteso, l'amministrazione comunale dovrà
      comunicare per iscritto le ragioni delle sue scelte."
 In molti casi, la possibilità dei consigli di ottenere i progetti
      relativi alle licenze edilizie ha consentito ai quartieri di esercitare un
      controllo effettivo sulla gestione del territorio e di ottenere modifiche
      ai progetti presentati, alla luce delle concrete esigenze delle comunità
      locali. Inoltre la semplice possibilità da parte dei quartieri di
      ottenere e rendere pubblici i progetti, e di discuterli in assemblee o
      commissioni aperte, ha sollecitato l'Amministrazione e l'Ufficio tecnico
      alla massima regolarità e trasparenza nel procedimento di rilascio delle
      licenze.
 
 
 Valutazioni
      sull'esperienza dei quartieri Spero di essere riuscito a fornire i cenni storici
      fondamentali della vicenda dei consigli di quartiere, nonostante qualche
      drastica semplificazione, così da consentire a chi non ha vissuto questa
      esperienza di farsene una pur sommaria idea. Tuttavia le vicende sulla
      costituzione dei consigli, sulle elezioni, sui regolamenti, e anche
      l'intervento dei consigli su bilanci del Comune e sugli strumenti
      urbanistici, rischiano di rimanere un mero elenco di fatti, se non
      facciamo uno sforzo per ricostruire e comprendere lo spirito e
      l'atteggiamento di centinaia di consiglieri e cittadini che hanno
      affrontato con impegno e talvolta con entusiasmo questa esperienza di
      partecipazione.Tenendo anche conto dei ricordi personali di questa esperienza provo a
      formulare alcune osservazioni complessive.
 1) Innanzitutto l'esperienza dei quartieri non fu una proiezione sul
      territorio dei partiti politici. Non è possibile fornire dei risultati
      elettorali ben definiti in quanto le elezioni del 1973-74 si tennero su
      lista unica e non si conosce l'orientamento politico di tutti gli eletti.
      Tuttavia le stime più attendibili, alla luce anche dei questionari e
      delle campionature realizzate dal Coordinamento ACLI della città,
      attribuiscono circa il 30% dei seggi alla DC, il 25% al PCI, il 6% al PSI
      e l'8% alle ACLI. Tutti gli altri partiti inclusi gli extraparlamentari di
      sinistra hanno percentuali irrisorie variabili dal 2% allo 0,5%. Gli
      indipendenti, includendovi gli aclisti, erano dunque pari a circa il 35%,
      la maggior parte orientati a sinistra. Una così rilevante presenza di
      indipendenti è una prova indiscutibile che i consigli di quartiere non
      furono cinghia di trasmissione dei partiti, ma movimento popolare spesso
      spontaneo, al quale i militanti dei partiti maggiori (DC, PCI e PSI)
      parteciparono con entusiasmo e con molta libertà di iniziativa rispetto
      alle indicazioni dei rispettivi partiti.
 Per quando riguarda i giovani, si può osservare che essi furono molto
      presenti nella fase dei comitati promotore, mentre nei consigli di
      quartiere eletti la loro presenza fu certamente minore: ciò era dovuto al
      meccanismo elettorale della lista unica, che favoriva inevitabilmente le
      persone più conosciute nel quartiere e inevitabilmente in molti casi
      penalizzò i giovani. Tuttavia la presenza dei giovani nei consigli di
      quartiere fu significativa per intensità di impegno ed entusiasmo.
 2) Le complesse vicende dei quartieri costrinsero le persone più
      impegnate ad acquisire nuove competenze. Posso esemplificare con una
      testimonianza personale. Nel comitato promotore del quartiere dove vivevo
      (S. Eustacchio) non era facile trovare qualcuno disponibile all'incarico
      di coordinatore della commissione urbanistica. Quando io, ventenne
      studente universitario di filosofia, fui designato dal comitato promotore
      a svolgere questo ruolo, ero completamente ignorante di urbanistica, non
      conoscevo le leggi e le procedure amministrative. Ci trovavamo alla sera
      per studiare, talvolta fino a notte. Ma non fu uno sforzo inutile. Anzi,
      direi che la cosa ci appassionava. Tanto è vero, che negli anni seguenti
      scrissi per i quotidiani locali alcuni articoli su questioni urbanistiche
      e continuai ad interessarmi della materia per anni.
 Per continuare con gli esempi avevamo la catechista che si trovava ad
      affrontare le tematiche dei consultori e del decentramento delle strutture
      sanitarie e la casalinga che coordinava la commissione cultura e scuola, e
      così via.
 3) Vi era allora un'alta partecipazione e un forte coinvolgimento emotivo.
      Ricordo lunghe e talvolta polemiche riunioni serali su questioni che forse
      oggi possono apparire marginali, come la collocazione delle panchine in un
      viale, la copertura di una roggia, lo spostamento di una fermata del bus
      urbano. Vi era un forte impatto emotivo in scelte che sentivamo
      importanti, perché legate all'ambiente di vita quotidiana. Certamente vi
      era entusiasmo anche per la novità che i quartieri rappresentavano, per
      la sensazione che sui provava pensando di partecipare a processi
      fortemente innovativi e di rafforzamento della vita democratica, in un
      clima di ottimismo post-sessantottesco. Si aveva l'impressione (e spesso
      era vero) di contribuire concretamente alle scelte amministrative e al
      rinnovamento della politica. E' comunque indubbio che la partecipazione
      dei cittadini era molto ampia in alcune occasioni. Ricordo un'assemblea di
      quartiere al cinema teatro della Pavoniana: nonostante gli oltre duecento
      posti a sedere, la gente era così numerosa che stentava ad entrare nel
      salone. Con l'avvento delle Circoscrizioni la partecipazione dei cittadini
      è lentamente calata, ma è difficile dire in che proporzione ciò sia
      dovuto al cambiamento delle strutture amministrative (con circoscrizioni
      molto più grandi e abitate dei quartieri) e quanto alla mutata situazione
      storico-politica.
 NOTEMaurilio Lovatti- Marco Fenaroli, Governare la città. Movimento dei
      quartieri e forze politiche a Brescia 1967-77, Nuova Ricerca
      Editrice, Brescia 1978, in particolare pag. 21-67.
 I quartieri già operanti erano: Borgo Trento, S. Eufemia Urago Mella,
      Mompiano, Folzano. I quartieri in cui si era vicino alle elezioni erano:
      Lamarmora Don Bosco, Villaggio Prealpino, Violino. Vi erano inoltre forti
      movimenti di partecipazione a Via Chiusure, P.ta Venezia, Badia, S.
      Bartolomeo, P.ta Milano, S. Polo, Casazza, Chiesanuova.
 M. Lovatti – M. Fenaroli, op. cit., pag. 53-56.
   Tratto
      da: Comune di Brescia, Assessorato alla partecipazione, Atti del Convegno
      I Quartieri a Brescia: Partecipazione e cittadinanza attiva (a cura di C.
      Bragaglio), Brescia 2008, pag. 81-101. (Il volume contiene scritti di
      Paolo Corsini, Claudio Bragaglio, Lucio Bregoli, Maurilio Lovatti,
      Francesco Maltempi, Gianpiero Ribolla, Maurizio Tira, Marco Trentini,
      Giovanni Valenti)
      
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