“Perché
Cristo dopo l’Olocausto?” – è la domanda che una studentessa di
una mia classe si pone nel tema di religione.
Nella conversazione anche in un’altra classe usciva un problema simile: “come
si può credere in Dio dopo Auschwitz?”.
Questo mi dice tutta l’utilità dell’iniziativa “Un treno per
Auschwitz”, infatti trovo nei ragazzi un’apertura di domanda che
altrimenti sarebbe assopita o distratta. Ma sarebbe un peccato se l’esito
di questa grande provocazione fosse uno scetticismo, un cinismo dinanzi
alla vita, una ricapitolazione dinanzi al male che arriva alla
conclusione: comunque il male vince ed ha l’ultima parola sull’uomo e
sulla vita!
Spinto dunque dalle parole di san Pietro: “Siate sempre pronti a dare
ragione della speranza che è in voi”, cerco di dare risposta alle
domande che i ragazzi, e dunque il Mistero attraverso di loro, fa anche a
me. Ogni circostanza, infatti, è data dal Mistero perché noi possiamo
fare un passo verso di Lui, come coscienza e come libertà, come amore.
Come si può credere in Dio dopo Auschwitz? Questa domanda per me si può
paradossalmente ribaltare: come si può non credere in Dio dopo Auschwitz?
Infatti Auschwitz è l’evidenza che qui i conti non tornano: ci deve
essere qualcosa d’altro! O il nostro stesso cuore, questa esigenza di
giustizia, di felicità e di pienezza, è un assurdo, una scheggia
impazzita in un universo senza senso, un universo che è “una favola
raccontata da un pazzo in un eccesso di follia”, come dice Shakespeare,
oppure non è tutto qui, c’è un oltre, se la realtà è razionale ci
deve essere un oltre.
Mi ha colpito di recente un noto giurista positivista, sempre fermo nelle
sua posizione atea, proprio lui afferma che c’è una cosa alla fine che
non gli permette di chiudere il cerchio: che vittime e carnefici facciano
la stessa fine. È una constatazione evidente che senza un Oltre la
giustizia è impossibile!
Ma più ancora. Se non ci fosse un Oltre, se non ci fosse Dio, Auschwitz
sarebbe l’ultima parola su tutte quelle persone che lì hanno sofferto.
Se non ci fosse un Dio quelle persone sarebbero ultimamente definite dall’ingiustizia
atroce che hanno subito. Il cuore, che è esigenza di giustizia, si
ribella al solo pensiero. Ma se c’è Dio, ora tutte quelle persone sono
abbracciate da un Amore che è più grande della morte, se c’è Dio è
possibile anche per loro una pienezza e una gioia che qui non hanno
sperimentato ma che è la grande promessa del loro cuore, come del cuore
di tutti. Solo se c’è Dio la loro vita ha un senso, un destino buono,
un compimento possibile.
E ora veniamo alla prima domanda: perché Cristo dopo l’Olocausto? Anche
qui si può paradossalmente capovolgere la domanda: chi altri fuori di
Cristo illumina persino l’Olocausto? Chi è Gesù Cristo se non l’innocente
che viene ingiustamente condannato a morte con un supplizio atroce?
Qualcuno dinanzi all’Olocausto si chiede: dove è Dio? Dio ha già
risposto: facendosi uomo in Gesù Cristo Dio si è identificato con l’innocente
ingiustamente maltrattato e ucciso. Dio si identifica col bisognoso che
soffre. Ma al tempo stesso Gesù Cristo mostra l’onnipotenza di Dio che
è l’Amore, e apre alla speranza perché con la resurrezione la morte è
vinta. Cristo è dunque la cifra che illumina l’Olocausto: anche nell’Olocausto
si può vedere il volto di Dio nell’innocente che soffre ingiustamente,
e solo grazie al fatto della resurrezione di Cristo si può sperare nella
vittoria dell’amore di Dio oltre la capacità di calcolo e di misura
umane. Solo la verità dell’annuncio di Cristo può dare un senso
persino all’Olocausto. Figure come padre Kolbe ed Edith Stein, sono
dentro l’atrocità di questo evento un punto luminoso di coscienza che
trascina con sé, abbracciandoli, tutti i milioni che non sono arrivati,
nel corso della vita, a trovare un significato al loro dolore, ma che ora
contemplano – ne sono certo – la verità delle cose, e partecipano
finalmente a quel mondo buono, nuovo e vero a cui è destinato il nostro
stesso cuore.
don Angelo Pizzetti
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