Padre Marcolini e l’avvenimento cristiano

(di don Angelo Pizzetti)

Tutte le citazioni e i riferimenti sono presi dal testo:

Tonino Zana, Dario Damiani, Marco Manfredi,Sulle tracce di Padre Marcolini, La Compagnia della Stampa, Massetti Rodella Editori, Brescia 2005.

 

Se Marx avesse incontrato padre Marcolini, forse avrebbe evitato di dire quella fesseria che la religione è l’oppio dei popoli. Comunque in questo senso il sacerdote filippino si è inserito in quella schiera di uomini che hanno prolungato nel tempo e nella storia l’umanità di Cristo. Martinazzoli racconta un aneddoto: “Mi viene in mente il mio amico Guido Vitale. Padre Marcolini era suo zio, la mamma di Guido era sorella di padre Marcolini. Lui mi raccontava che una sera tardi padre Marcolini era andato a trovare la sorella. Il cancello era chiuso. Allora s’era messo a saltare l’inferriata, rimanendo impigliato con la tonaca. La concentrazione per i poveri lo portava alla distrazione per i cancelli da aprire normalmente”. Sì, perché il Cristianesimo è proprio questo Dio che per amore dell’uomo scavalca i cancelli della sua divinità e si fa uomo, rimanendo impigliato nella croce. In questo prete bresciano vibrava lo stesso fascino del cristianesimo fin dai suoi esordi sulla scena del mondo, quel cristianesimo che – come ricorda Rodney Stark, famoso sociologo americano che ha studiato il diffondersi del cristianesimo nei primi secoli – senza averlo preventivato, cambiò il volto sociale delle città semplicemente ridestando l’umano nelle persone, rispondendo in modo più intelligente, compiuto e comunitario al bisogno umano.

E se è vero che non stava molto a fare speculazioni teologiche, essendo un uomo pragmatico, come gli capitava di affermare: “Io non capisco che senso abbia frugare nelle budella di Dio quando la gente è nel bisogno. Loro (i teologi) non capiscono quanto sia difficile parlare di Dio a chi ha la pancia vuota”. È anche vero che non cadde mai nell’errore di identificare il bisogno umano col riempire la pancia: aveva presente tutto l’uomo, e dare meno di Dio all’uomo che è fatto per l’Infinito si dà troppo poco! Amava ripetere: “Abbiamo bisogno di Dio più del pane che mangiamo, più dell’acqua che beviamo più dell’aria che respiriamo!”. E ancora: “Il bisogno di Dio è il motore della vita”.  Ma lo sguardo all’uomo dalla concretezza del suo bisogno fino al suo ultimo significato che è il Signore, lo si può vedere anche nelle sue opere. Quando conclusa la prima parte del Prealpino è stata edificata la Chiesa per garantire la cura religiosa dei suoi abitanti, vedendo che il Vescovo temporeggia troppo nel mandare un sacerdote, si reca da lui e dice: “Va bene, vuol dire che inviterò la comunità valdese ad occuparsi della parrocchia”. E al Vescovo allibito aggiunge: “Eccellenza, è meglio che la nostra gente cresca protestante o atea?”. Dopo pochi giorni il nuovo parroco prende possesso della parrocchia.

Nel pensare una risposta al problema della casa, pensa a tutti i fattori dell’umano, pensa la casa non come un semplice alloggio, ma come la casa per la famiglia cristiana: “Le case devono essere dimensionate per una famiglia cattolica. Oltre alla cucina ci deve essere un grande soggiorno perché mentre la mamma si occupa delle faccende di casa i figli possono fare i compiti, e perché, la sera, tutta la famiglia possa ritrovarsi. Poi tre stanze da letto, la camera dei genitori, quella per le figlie e quella per i figli. Io – aggiunge Marcolini – non sono un seguace delle teorie maltusiane. Sui nostri villaggi non sarà mai posto un cartello con scritto: Vietato fare figli”. Marcolini, proprio vedendo nella famiglia il nucleo fondamentale della società, dimostra tutta la sua intelligenza profetica anche per questi tempi funesti in cui siamo, dove la famiglia da un lato è caricata di ogni responsabilità, così che ogni problema sociale è colpa della famiglia, e poi è attaccata su tutti i fronti, indebolita per legge, disgregata. E in tal senso l’opera di padre Marcolini era una vera e propria opera di carità verso la famiglia nuda e vulnerabile sotto i colpi delle intemperie sociali: “Ma cosa ci sta a fare un prete in una iniziativa che potrebbe essere confusa con qualunque altra iniziativa economica? Una risposta me la sono data – dice lo stesso padre Marcolini – ed è la più semplice:tra le opere di carità è espressamente richiamata quella di vestire gli ignudi. E la casa non è forse l’abito della famiglia? Ecco la risposta”. “È l’amore cristiano il fondamento della sua testimonianza – ricorda don Giuseppe Treccani – Lui ha creato i villaggi con completezza. Non è cemento ammucchiato quello di Marcolini, ma è cemento culturale e morale a disposizione di un uomo che deve trovare la famiglia e la famiglia cristiana, nella sua casa”. Così i villaggi crescono in tante parti d’Italia. Più di ventimila case fra Brescia, Milano, Verona, Roma. E la storia non finisce nel 1978 con la sua morte, ma continua anche oggi.

Si può dire che in padre Marcolini si possano vedere incarnati i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa: la persona, la solidarietà, la sussidiarietà. Innanzitutto la centralità della persona. “La sua idea, che fu a lungo criticata dall’opinione locale marxista, puntava alla forza dell’individuo, contro ogni collettivismo. Era fondata sulla responsabilità personale” (66). D’altra parte tutta la sua opera manifesta una solidarietà intelligente, un mettersi insieme in cooperative per far fronte a bisogni comuni, un far convergere tutti i soggetti politici, economici e sociali perché sia possibile l’opera. Ma questa solidarietà è ben lungi dall’assistenzialismo: “Regolatevi, perché voi pagherete la vostra casa dal primo all’ultimo centesimo. Ma ricordatevi che nessuno vi prenderà nulla, come nessuno vi regalerà nulla”. Allo stesso modo, quando il presidente del consiglio dell’epoca, nel 1957, fu a Brescia per inaugurare il primo blocco del villaggio Badìa, al politico che chiedeva a Marcolini con quale piano finanziario statale avesse finanziato le costruzioni, il prete bresciano rispose: “Signor presidente, l’abbiamo fatto col piano del baffo”. “Come, come?”. “Sì, metteremo due grandi baffi di bronzo, ma grandi così – risponde padre Marcolini allargando le braccia – all’ingresso di ogni nostro villaggio, e, sotto, ci metteremo la scritta: Ce li siamo fatti di Roma”. Il principio di sussidiarietà dice appunto che qualora un ente più piccolo ce la faccia da solo a rispondere ad un proprio bisogno, l’ente maggiore (in tal caso lo Stato) è chiamato a ritirarsi e lasciarlo fare, anzi, a favorire l’iniziativa sociale. Più società e meno Stato, potrebbe essere espresso così.

Padre Marcolini rifiuta ogni collocazione politica. “Alcuni mi dicono di destra, altri di sinistra. Io davvero non so da che parte posso essere. Se essere di sinistra significa livellare le differenze di tenore di vita, Cardinali e Vescovi compresi, allora sono di sinistra. Ma se essere di sinistra significa che cento zucche vuote valgon più di un cervello, allora non sono di sinistra”. Certo in quei tempi è spesso attaccato da militanti di sinistra. All’accusa di fare modelli di case ripetitive, risponde: “L’automobile fuori serie se la possono permettere in pochi, i ricchi. Tutti gli altri comperano automobili fatte in serie. Ora, se uno non si vergogna di avere l’automobile identica a migliaia di altre, perché mai dovrebbe vergognarsi se possiede una casa uguale a mille altre?”. Ancora, mira ad una società interclassista: “Nei miei villaggi – dice padre Marcolini – l’operaio vive vicino al padrone. Così l’operaio può vedere che il padrone non è quell’affamatore dei poveri che gli raccontano al sindacato, e il padrone può vedere che l’operaio non è quel sovversivo e quel mangia pane a tradimento che gli raccontano all’associazione industriali”. Al tempo stesso, però, se per politica si intende operare per il bene comune, quello che per Paolo VI era la più grande forma di carità, allora padre Marcolini ha fatto politica, e la più alta.

Tutta la sua vita, fino alla sua partecipazione alla guerra, il voler restare fra i soldati, da prigioniero, pur essendo un ufficiale, testimoniano la dinamica dell’incarnazione. In lui l’avvenimento cristiano si è reso presente secondo la sua forma tipica: il divino attraverso l’umano. Attraverso quell’umanità “così scalcagnata e burattinesca nell’incedere” come la definisce Rigoni Stern, ancora una volta Dio si è reso fratello dell’uomo, del bisogno dell’uomo.

 

 

 

Angelo Pizzetti, sacerdote della diocesi di Brescia, ha conseguito nel 2003 la  licenza  in teologia presso i Domenicani di Bologna affiliati all’Angelicum; nel 2020 il dottorato in teologia presso la Facoltà Teologica di Lugano.  Dal 1999 insegna Religione nelle scuole superiori. Collabora con altri sacerdoti  al Santuario diocesano Rosa Mistica – Madre della Chiesa in località Le Fontanelle di Montichiari.  Nel 2015 ha pubblicato il saggio Il destino ultimo. È in pubblicazione la tesi di dottorato La visione di Dio. Scopo del desiderio umano e compimento del desiderio. La proposta di Agostino.

 

Per contatti od osservazioni: angelopizzetti@hotmail.it

 

 

Maurilio Lovatti - indice generale degli scritti