Paola Volonghi

 

 

 

appunti tratti dalle lezioni di filosofia del
 prof. Maurilio Lovatti 
(anno scolastico 2005-06)

 

Renato Cartesio

 

 

Cartesio può essere considerato il fondatore della filosofia moderna. La filosofia moderna va da Cartesio (inizio 1600) a Kant (le sue opere più importanti sono databili dal 1781 al 1790).
Nella riflessione filosofica dell'800-900 si pensa che vi è una gran differenza tra la filosofia moderna e quella antica.
Caratteri principali della filosofia moderna:
· Influsso della scienza: uno potrebbe dire che la scienza ha come compito quello di studiare gli eventi naturali, potremmo quindi distinguerla dalla filosofia. Però si è riscontrato un influsso della scienze sulla filosofia, perché spesso scienziati e filosofi erano la stessa persona. L'influsso è dovuto al fatto che il metodo scientifico sembrava dare più garanzie e perciò il filosofo tende a cercare un metodo il più possibile simile a quello scientifico e quindi più attendibile ed esatto. Perciò la filosofia moderna si distingue nettamente da quella antica perché subisce l'influenza della scienza.
· Centralità del problema gnoseologico: si può dire che la filosofia antica - medioevale indaga l'essere, la sua natura, si chiede com'è il mondo e perché esiste…. La filosofia moderna ha come interesse principale, dominante, il problema della conoscenza: come l'uomo conosce e quali sono i limiti della conoscenza umana. Uno potrebbe dire che anche Aristotele e Agostino si preoccupavano della conoscenza; però per loro questo non era la cosa più importante, non era il centro della filosofia. Tendevano, invece, a indagare la realtà.
Nella filosofia moderna troviamo due correnti:
· Razionalismo: gli esponenti di questa corrente, tra cui Cartesio e Spinoza, credevano che fosse possibile con la sola ragione avere delle conoscenze, indipendentemente dall'esperienza.
· Empirismo: dottrina della conoscenza secondo la quale tutta la conoscenza deriva dall'esperienza. Gli esponenti principali sono Locke (inglese), Berkeley (irlandese) e Hume (scozzese).

CARTESIO (RENÉ DESCARTES) nasce nel 1596 a La Haye, in Turenna. Vive gran parte della sua vita fuori dalla Francia. Ha infatti partecipato alla guerra dei Tren'anni in Germania e si era poi trasferito in Olanda, perché era, al tempo, il paese con meno censura. Frequenta la scuola dei Gesuiti a La Flèche, una scuola tipica della mentalità della controriforma, in cui c'era un uso massiccio del latino e un insegnamento basato sulla filosofia aristotelica - scolastica molto nozionistica. Proponevano le nozioni di Aristotele e altri come vere solo perché erano state dette da maestri autorevoli ("Ipse dixit"), atteggiamento che Cartesio non sopportava. Questo principio di autorità non era sostenuto neanche dallo stesso Aristotele, il quale ammetteva le critiche dei suoi allievi.

Scrive due opere fra loro simili, ma indirizzate a due pubblici diversi:
· Discorso sul metodo: lo scrive in francese nel 1637, prima opera scientifica in francese (sull'ottica, geometria…). Fino ad allora si scriveva in latino; scrivendolo in francese, Cartesio ne facilita la diffusione. (La prima opera nell'ambito dei saggi e dei trattati in italiano si ebbe nel 1513 con il Principe di Machiavelli. La prima opera filosofica importante in francese è appunto il Discorso sul metodo di Cartesio del 1637. La prima opera in inglese è di Locke, il Saggio sull'intelletto umano nel 1690. La prima opera in tedesco si ha nel 1781 con la Critica della ragione pura di Kant.
· Meditazioni metafisiche: scritto nel 1641 in latino per un pubblico colto. Lo riscrive poi in francese nel 1647. Ne fa diverse edizioni, in una delle ultime ha anche raccolto le obiezioni di vari intellettuali del tempo contro di lui con le rispettive risposte. Il libro tratta della ricostruzione del sapere su basi sicure.
La morte di Cartesio è abbastanza singolare: con la morte di Gustavo Adolfo sale al trono di Svezia Cristina, la quale si interessava molto di filosofia e decise di prendere lezioni da Cartesio. Lo chiama quindi a corte e Cartesio si trasferisce subito in Svezia, perché per lui era un grande riconoscimento. Le lezioni iniziavano però alle 6 del mattino, perché poi la regina era molto affaccendata, e a forza di uscire così presto con il freddo Cartesio si prende una polmonite e muore. Era il 1650.
Dubbio metodico: Cartesio diceva che i suoi professori gli avevano sempre riempito la testa di nozioni e che quindi lui, con questo tipo di insegnamento, si stufava. Per poter cambiare le cose, diceva, bisogna fondare la conoscenza su basi certe, cioè mettere in dubbio ciò di cui si può dubitare. Molte volte le esperienze sensibili ci ingannano, quindi dobbiamo dubitare di tutta la conoscenza sensibile. Si chiama dubbio metodico perché non dubito di tutto per partito preso o con atteggiamento scettico, ma solo di qualcosa che posso in qualche modo scegliere, con lo scopo di fondare la conoscenza su basi incontrovertibili. Se escludo tutta la conoscenza sensibile posso tener conto solo della conoscenza matematica. Però ci potrebbe essere un genio maligno che mi inganna: si parla dunque di dubbio iperbolico che ci fa credere vero qualcosa che non lo è.
Se uno dubita di tutto è chiamato scettico. Costui però può non dubitare di dubitare, se è certo di dubitare, è certo di pensare, perché il dubbio è una forma di pensiero, ma se pensa allora deve esistere. Simile è il ragionamento che fa Agostino che però lo considera uno dei vari aspetti della ricerca del rapporto uomo-Dio, Cartesio, invece, lo considera un fondamento. Prima c'è il dubbio, poi la famosa affermazione: Cogito, ergo sum.
Quest'affermazione può essere pensata come un sillogismo:
Tutti gli enti che pensano esistono (premessa maggiore)
Io sono un ente che pensa (premessa minore)
Io esisto
Dal punto di vista della logica aristotelica il discorso è esatto. Però Cartesio dice che non possiamo ridurre il cogito a un sillogismo, perché qualcuno potrebbe dubitare sulla premessa maggiore: uno scettico potrebbe pensare che siccome gli enti sono infiniti, la verifica della verità della premessa maggiore non è possibile.
Quando formulo un giudizio universale (mediante il "tutti") non è riscontrabile empiricamente: se dico che tutti i corvi sono neri intendo anche fra 2000 anni, ma io allora non ci sarò e magari le cose sono cambiate.
Il cogito cartesiano non è una risultante di una dimostrazione logica, ma di un'esperienza personale.
Il soggetto della frase "cogito, ergo sum" è IO. L'io può essere inteso in due modi:
io, il mio corpo (nella frase: io ho male al piede); io, la mia mente (io sto pensando che il teorema è esatto).
Per Cartesio il soggetto in questa seconda frase è io, inteso come la mia mente. Io potrei dubitare che il mio corpo esista (perché come abbiamo già detto si è messa da parte la conoscenza sensibile) però non posso dubitare che la mia mente esista.
Esistono due tipi di realtà: Res cogitans (pensiero) e Res extensa (materia)
Cartesio giunge a questo dualismo grazie al cogito, che mi rende sicuro che esita il pensiero, mentre mi lascia in dubbio riguardo all'esistenza della materia.
Il percorso sviluppato sia nel Discorso sul metodo, sia nelle Meditazioni, può essere così schematizzato: DUBBIO, COGITO ERGO SUM, CERTEZZA CHE ESISTA LA RES COGITANS, ESISTENZA DI DIO, dottrina dell'ERRORE, ESISTENZA DI RES EXTENSA.

Dimostrazione dell'esistenza di Dio
I PREMESSA: l'idea per Cartesio non ha più significato platonico (qualcosa di universale, solo i concetti universali erano idee). In Cartesio (e anche negli empiristi) con il termine idea non si intendeva più il concetto universale, ma un qualunque contenuto mentale, una qualunque rappresentazione nella mia mente. Il termine idea quindi racchiude tutto ciò che la nostra mente può contenere.
Le idee si dividono in:
· Innate: indipendenti dall'esperienza, idee che sono nella mente indipendentemente dalla conoscenza dei sensi. Per esempio l'idea di Dio, del pensiero, di estensione.
· Avventizie: idee che provengono dall'esperienza sensibile che potrà anche essere ingannevole e portarci a idee non vere.
· Fattizie: prodotte dall'intelletto umano. Come per esempio l'idea di ippogrifo, cavallo alato: abbiamo tratto dall'esperienza l'idea di cavallo e l'idea di ali e le abbiamo fuse insieme.
Per Cartesio non esistono altre possibilità, tutte le idee appartengono a una di queste categorie.
Per provare l'esistenza di Dio Cartesio elabora 3 prove, le prime due a posteriori e di trovano nella "III meditazione metafisica", la terza a priori che si trova nella "V meditazione metafisica".

I PROVA A POSTERIORI :
L'idea di Dio nella nostra mente è quella di ente perfetto con tutte le qualità positive al massimo grado. A quale tipo di idea appartiene l'idea di perfezione? Avventizia sicuramente no, perché con i 5 sensi non percepiamo niente di perfetto. Cartesio credeva allora che fosse innata. Qualcuno potrebbe però obiettare che è fittizia, perché l'ente perfetto lo possiamo suddividere in tante caratteristiche, che messe insieme mi danno la perfezione: onnipotente+onnisciente+infinitamente buono. Queste tre caratteristiche sono tutte e tre fattizie (perché non possono essere avventizie). Per farci l'idea di onnisciente possiamo trovare la persona più sapiente di tutti, quindi vedendo che c'è un diverso grado di ignoranza possiamo pensare che ce ne sia uno onnisciente. Lo stesso ragionamento può essere fatto anche con le altre caratteristiche.
Cartesio sostiene che l'idea di perfezione è innata, perché quando mi costruisco l'idea di onnisciente, devo riconoscere come imperfetto colui che ignora qualcosa. Per giudicare imperfetta la realtà che conosco al fine di costruire l'idea di perfezione, devo in qualche modo avere già una qualche nozione di perfezione. Per esempio per giudicare se un compito è giusto o sbagliato, devo prima sapere com'è quello giusto.
L'idea di perfezione, quindi, è innata, non fattizia. Questa premessa è determinante per credere alla prima prova: Cartesio dice che un'idea innata è nella nostra mente, ma poiché tutto ciò che accade ha una causa, allora dobbiamo dire che anche l'idea di Dio ha una causa.
Cosa possiamo sapere sulla causa? Fa riferimento a un assioma della filosofia scolastica:"La causa di un'idea deve possedere tanta realtà formale quanta è la realtà oggettiva dell'idea". Si fa la distinzione tra realtà oggettiva con la quale intendevano il contenuto dell'idea (l'idea di albero contiene l'idea di foglia, indipendentemente dal fatto che l'albero esista o no) e realtà formale ossia ciò che esiste, che è formalmente tale, realtà che esiste effettivamente.
Come in generale la causa deve possedere tanta realtà quanta ce n'è nell'effetto, la causa di un'idea deve possedere tanta realtà formale quanta è la realtà oggettiva dell'idea.
La realtà oggettiva di Dio è la perfezione. La causa dell'idea di perfezione deve avere tanta perfezione quanta quella che c'è nell'idea stessa di perfezione. La perfezione non può essere altro che Dio, perché solo Dio è l'ente perfetto, ed essendo l'ente perfetto è anche la causa dell'idea di perfezione.
Solo dell'idea di Dio, ossia dell'idea di sostanza infinita e perfetta, non posso essere la causa io, che sono una sostanza finita e imperfetta. La causa che ha causato in noi l'idea di perfezione è perfetta. Quindi Dio esiste come ente perfetto, perché dico che esiste l'idea perfetta. Le idee innate hanno come causa Dio, le idee fittizie hanno come causa l'uomo.
L'ente perfetto è quindi la causa di se stesso. Ciò può risultare comprensibile perché, se io non suppongo che nella causa ci sia più realtà di quella che c'è nell'effetto, allora quello che trovo nell'effetto è causato da cosa? Se per esempio prendo dell'acqua scaldata, se l'acqua è più calda della fiamma che l'ha scaldata, da dove è venuto il calore in più? Dal nulla?

II PROVA A POSTERIORI:
Si fa riferimento alla seconda via di Tommaso. Tommaso partiva dall'esistenza di oggetti reali (tavolo, albero, sasso), ma Cartesio non può accettare ciò, perché ha messo in dubbio l'esistenza della materia. Quindi Cartesio si basa su se stesso, in quanto soggetto pensante: A deve essere causato da B, B da C… e all'inizio ci deve essere la causa incausata che è Dio. L'unica differenza è perciò che Cartesio non parte dalla materia (da un ente esistente percepito coi sensi, come faceva Tommaso, ma dal soggetto pensante.

III PROVA A PRIORI (ONTOLOGICA):
Si tratta dello stesso argomento di S. Anselmo. Quasi tutti i filosofi del '600, poiché erano stufi della scolastica, non andavano a leggere le fonti e quindi non si può sapere se Cartesio avesse mai letto la Summa Theologiae di San Tommaso, che conteneva l'obiezione alla prova ontologica. Fatto sta che non ritiene determinante l'obiezione di Tommaso. Cartesio perfeziona comunque la prova con esempi matematici.

Le riflessioni sull'ERRORE:
Gli errori possono essere divisi in:
· Errore di distrazione, per esempio sbaglio il segno nel calcolare il valore di un incognita
· Errore di percezione che include l'errore di induzione e di stima nell'approssimazione.
· Questi errori, dice Cartesio, sono causati tutti dalla volontà.
La volontà può intervenire sottoforma di precipitazione (vedo in una piazza un tipo che sembra un mio amico e lo scambio per lui, però avvicinandomi mi accorgo che sto sbagliando). Spesso infatti le persone tendono ad anticipare il giudizio: la volontà ci mette fretta, impone all'intelletto di giungere alla conclusione, quando non ci sono ancora elementi sufficienti per decidere. L'altro tipo di influenza, che si manifesta soprattutto negli errori di distrazione, è il fatto che, mentre faccio una cosa, sto pensando ad altro, magari a cosa fare dopo…. Come conclusione ottengo la distrazione che mi fa compiere l'errore: è sempre la volontà che mi deconcentra, mi fa pensare ad altro. Quindi riassumendo la volontà può ingannare o mettendo fretta o facendo pensare ad altro.
A Cartesio interessa questo perché vuole dimostrare che l'intelletto non sbaglia.
Controprova: se penso alla dimostrazione di un teorema, ogni passaggio che compio diventa evidente (applicazione del principio di non contraddizione).
Per quanto riguarda la prova ontologica, Kant sostiene che è stato compiuto un errore logico, perché non bisogna includere nelle qualità che determinano l''essenza anche l'esistenza. Per Kant se Anselmo fosse stato più attento, avrebbe valutato ogni cosa e non avrebbe commesso l'errore.
L'errore di induzione è causato dalla fretta: osservo i cigni e ovviamente non potendo osservarli tutti, faccio una affermazione che conclude le mie osservazioni "Tutti i cigni sono bianchi", affermazione però che non bisognerebbe assumere come certa, perché queste conclusioni induttive sono, in realtà, tutte ipotesi provvisorie, ipotetiche, congetturali.
Nel caso dell'errore di approssimazione, bisogna capire bene in cosa sta l'errore: se prendo una misura con il centimetro e stimo ad occhio e mi accontento, allora l'errore non c'è; se però scambio questa misura approssimata per quella giusta, compio un l'errore di voler misurare una cosa senza gli strumenti adatti. La causa è sempre la volontà o dell'individuo o di altri.

Dimostrazione dell'esistenza della "Res extensa"
Sono quattro i passaggi a cui si può giungere alla certezza che la materia esiste (argomento trattato nella Sesta meditazione metafisica):
· Possibilità: perché qualcosa possa esistere, bisogna prima dimostrare che non è contraddittorio che esista. L'idea che la materia esista, secondo Cartesio, non è contraddittoria. Infatti quando il nostro intelletto ha delle intuizioni geometriche (per esempio cos'è un triangolo…), abbiamo delle idee chiare e distinte sullo spazio e quindi abbiamo una concezione non confusa dell'estensione. Siccome la materia è caratterizzata dal fatto che è estesa e abbiamo una concezione non contraddittoria dell'estensione, allora possiamo dire che è possibile che la materia esista.
· Probabilità: noi vediamo e tocchiamo cose estese (albero, muro…) e se le tocco sento una solidità e tendo a pensare che esista. È vero che i sensi ci possono ingannare, ma non è detto che ingannino sempre. Questo non ci da una prova, ma ci dice solo che è probabile che le cose esistano.
· Verosimiglianza (alta probabilità): secondo Cartesio il fondamento della verosimiglianza dell'esistenza delle cose è data dal fatto che possiamo distinguere fra:
· Rappresentazioni necessarie: vedo una biro, perché ho in mano proprio una biro (sono obbligato)
· Rappresentazioni libere, le posso scegliere: immagino quello che voglio.
Noi però non possiamo vedere ciò che vogliamo, ma ciò che necessariamente vediamo. La causa della rappresentazione necessaria è l'esistenza delle cose stesse: se vedo un automobile e non un elefante, è perché lì c'è un automobile e non un elefante.
Questo potrebbe essere quindi un argomento che rende verosimile l'esistenza delle cose materiali. Però la conoscenza sensibile può essere ingannevole e quindi non dobbiamo basarci solo sulla verosimiglianza.
· Certezza assoluta: per Cartesio l'esistenza assoluta della materia si può appoggiare all'esistenza di Dio: Dio non ci ha creato in modo tale che ci inganniamo sistematicamente. Se la materia non esistesse, non avremmo gli oggetti e quindi ci inganneremmo sistematicamente. Uno però potrebbe obiettare: l'uomo per natura erra, allora non è vero che Dio ci ha creati in maniera tale da non ingannarci sistematicamente e quindi la materia non esiste. Cartesio risponde dicendo che noi facciamo degli errori, però se osserviamo la fenomenologia dei nostri errori, ci accorgiamo che se non ci facciamo influenzare dalla volontà, riusciamo ad utilizzare l'intelletto senza sbagliare. Dio quindi infinitamente buono, fa in modo che noi non ci inganniamo sistematicamente e perciò l'esistenza delle cose materiali ci è data dal fatto che Dio è buono.

Le regole del metodo

Nella seconda parte del Discorso sul metodo, Cartesio enuncia quattro regole per procedere alla risoluzione dei problemi filosofici.

1)        «Non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con evidenza; cioè evitare diligentemente la preoccupazione e la prevenzione; e non comprendere nei miei giudizi niente di più di ciò che si presentasse così chiaramente così distintamente al mio spirito che io non avessi alcuna occasione di metterlo in dubbio». Questa è per Cartesio la regola più importante: l’evidenza, l’intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero e la esclusione di ogni elemento sul quale il dubbio fosse possibile.

2)        «Dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti possibili e necessarie per meglio risolverla». È la regola dell’analisi, per la quale un problema viene risolto nelle parti più semplici da considerarsi separatamente.

3)        «Condurre i miei pensieri ordinatamente, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi per risalire a poco a poco, quasi per gradi, fino alle conoscenze più complesse; supponendo che vi sia un ordine anche tra gli oggetti che non precedono naturalmente gli uni agli altri». È la regola della sintesi, per la quale si passa dalle conoscenze più semplici alle più complesse gradatamente, presupponendo che ciò sia possibile in ogni campo. Qui sintesi non è usata nel significato oggi comune di "riassunto" (nemmeno nel significato che gli insegnanti usano nei giudizi scolastici quando parlano di capacità di sintesi) ma nel significato di ricomposizione o ricapitolazione ordinata.

4)        «Fare in ogni caso enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla». Ad esempio nella prima prova dell'esistenza di Dio, per asserire che l'idea di Dio è innata, non basta escludere che sia fattizia o avventizia, ma occorre mostrare che tutte le idee rientrano necessariamente in uno dei tre sottoinsiemi (idee innate, avventizie e fattizie).

Problema
Con il dualismo cartesiano è come se la realtà fosse divisa in due mondi: il pensiero e la materia.
All'interno dei due mondi i rapporti di casualità come sono? All'interno della realtà materiale un fenomeno A è causato da B e così via e ci sono quindi catene causali. Queste catene causali possono esserci anche nella realtà del pensiero, per esempio penso alla vacanza di quest'estate, mi ricordo di una persona che ho conosciuto, che mi ha dato un regalo, che ho in camera mia…, perciò un'idea ne può provocare un'altra.
Ci sono poi delle catene causali che vanno dalla materia al pensiero e viceversa. Se per esempio vedo una montagna, mi ricordo che sono andata a funghi e o conosciuto un tipo interessante e simpatico…. Oppure decido di alzare un braccio (giudizio della mia mente) e lo alzo (fatto fisico).
Come si spiegano queste interazioni? Se per Cartesio esistono questi due livelli di realtà allora dovrebbero essere indipendenti. Tutto l'universo può essere concepito come un orologio, come un grande meccanismo. Se immaginiamo il mondo senza l'uomo, allora ci sarebbe solo la materia (perché secondo Cartesio gli animali, nè tanto meno i sassi, possono pensare) e quindi con l'uomo abbiamo il rapporto fra i due mondi: il suo cervello è materiale e l'uomo pensa. Questo contatto avviene, dice Cartesio, attraverso la ghiandola pineale (che corrisponde all'epifisi, ghiandola che si trovo nel mezzo del cervello), nella quale avviene un contatto tra gli spiriti animali (movimenti del cervello che causano i pensieri, gli atti che il nostro corpo può compiere comandati dal cervello) e il pensiero. Alla scelta di questa specifica ghiandola Cartesio fu portato dall'osservazione che doveva esserci un luogo in cui i dati doppi, provenienti dagli occhi, dalle orecchie e dagli altri organi di senso, venissero coordinati, in modo da consentire all'anima una percezione unitaria degli oggetti.
Però questo modo di porre le cose non è soddisfacente. Uno infatti potrebbe dire: la ghiandola è materiale e quindi fa parte del mondo della materia, ma allora come fa ad influenzare il pensiero? Come può una cosa materiale interagire con il pensiero?
Dell'interazione che c'è tra mondo materiale e pensiero sappiamo per certo che c'è, però Cartesio non riesce a dimostrare in modo esauriente la sua tesi, anche se era convinto che quello che aveva detto sulla ghiandola pineale era coerente anche se non esaustivo.
Conclusione: Cartesio non è in grado di spiegare bene come pensiero e spiriti animali interagiscono tra di loro. Sul rapporto mente, inteso come pensiero, e cervello non ci sono teorie del tutto soddisfacenti neppure oggi.
Sappiamo per certo che esiste un'interazione tra mondo materiale e pensiero ma Cartesio non riesce a dimostrare in modo esauriente la sua tesi anche se convinto che ciò che aveva detto sulla ghiandola pineale fosse coerente.

E' ancora attuale il dualismo cartesiano? Cartesio pensava che la nostra mente fosse ciò che caratterizzava l'uomo e lo rendeva diverso dagli altri esseri viventi, che erano puri meccanismi. Per lui la mente era libera di sottrarsi ai condizionamenti del corpo, pur riconoscendo i vincoli posti all'attività mentale dall'organizzazione materiale del corpo umano e in particolare del cervello. Una distinzione di tipo dualistico tra mente e cervello è sostenuta dal filosofo della scienza Karl Popper, nel XX secolo, come vedremo il prossimo anno. Un dualismo simile a quello di Cartesio è sostenuto dal biologi contemporanei detti "ultradarwinisti" come Richard Dawkins. In questo caso la libertà della mente umana è ipotizzata non come libertà dalla materialità, dalla res extensa, ma dall'egoismo dei geni, cioè dalle sequenze di basi azotate che formano il DNA, che hanno come unico fine quello di replicarsi senza fine. L'uomo, come tutti i viventi, è concepito da questi biologi come una macchina genica, funzionale a consentire la replicazione. Ma per Dawkins l'uomo è l'unico vivente che può ribellarsi in qualche modo alla "tirannia dei replicatori egoisti". E il sociobiologo Edward Wilson afferma che i geni tengono la cultura (intesa come espressione della mente umana) al guinzaglio. Come un cane tenuto al guinzaglio ha qualche margine di scelta, pur essendo condizionato profondamente dalla volontà del padrone, così la mente umana è rispetto ai geni. Per questi biologi la mente dell'uomo non è un semplice epifenomeno della "machina genica", mentre tutte le altre manifestazioni e comportamenti degli altri esseri viventi sono causate dall'egoismo dei geni. Le analogia con Cartesio, come si vede, sono evidenti.

FISICA CARTESIANA
Non c'è uno scritto di Cartesio che tratti sistematicamente tutta la fisica. Per oltre un secolo la fisica cartesiana è stata seguita e la studiamo perché ci serve a capire meglio, per differenza, il metodo che si è affermato oggi, quello di Newton e Galileo.
I 5 presupposti della fisica cartesiana:
a/b) Identificazione tra materia e spazio e negazione del vuoto.
Prendiamo una materia (sasso). Ha tante caratteristiche che Galileo distingueva tra qualità primarie e secondarie. Cartesio aveva fatto nelle meditazione metafisiche un esempio: ho in mano un pezzo di cera, questa ha delle caratteristiche: bianca, leggera, profumata, dura. Se la scaldo le sue caratteristiche cambiano: da dura diventa liquida…. Quello che non cambia mai è che occupa uno spazio, che ha volume. Un corpo materiale mantiene sempre la caratteristica dell'estensione. Questa caratteristica della materia di occupare uno spazio c'è sempre. Per Cartesio è l'unica qualità primaria (anche se Cartesio non usa mai questo termine). La materia la chiama res extensa. Cartesio dice che dire materia e dire spazio è dire la stessa cosa. Se accettiamo quest'idea, ossia che l'estensione sia una caratteristica essenziale di materia e spazio, allora dovremmo dire che il vuoto non esiste. Cartesio infatti diceva questo. Impossibilità del vuoto:
· Logica: il vuoto sarebbe uno spazio senza materia. Questo è però contraddittorio perché lo spazio è estensione, il corpo è estensione, ma un'estensione senza la materia è come dire un'estensione senza estensione. Questo è contraddittorio.
· Fisica: tutto l'universo è pieno e quando un luogo, un'estensione si svuota di materia entra subito un'altra materia (come nel caso della bottiglia: esce l'acqua, ma entra l'aria).
Credeva che tutta la materia fosse formata da 3 tipi di particelle: le più grosse erano atomi e molecole. L'etere, particelle circolari, è negli spazi interstellari e fra il sole e il pianeta. Però essendo circolare avanza dello spazio, tra le particelle di etere, che è perciò occupato dalla raschiatura, tipo una segatura che riempie tutto (come per esempio la luce).

(breve digressione sul vuoto e sulla materia) Cartesio e Aristotele pensavano che tutto lo spazio fosse pieno di materia, mentre Democrito, prima di loro, aveva postulato il vuoto, come condizione necessaria per rendere possibile il movimento degli  atomi. 
Le conclusioni della fisica contemporanea lascerebbero molti stupiti sia Aristotele che Cartesio. Noi, oltre a sapere che esistono porzioni di spazio prive di atomi, sappiamo che gran parte dello spazio è vuoto. Prendiamo ad esempio l'atomo più semplice, quello di idrogeno. Le figure dei libri di fisica e di chimica sono molto ingannevoli, perché non in scala, e ci sembra che l'elettrone ruoti abbastanza vicino al protone. Se paragoniamo le dimensioni del nucleo dell'atomo alla monetina da un centesimo di euro che c'è sulla cattedra, l'elettrone sarebbe un punto che ruota a circa duecento metri dalla monetina, e in questa sfera di quattrocento metri di diametro, non ci sono altre particelle di materia oltre la monetina e il punto in movimento. Ma anche il protone, la monetina, non è tutta piena: infatti il protone è composto da tre quark... Se per magia potessimo togliere tutto questo vuoto e "compattare" tutte le particelle materiali, tutto il volume del pianeta terra starebbe nel più piccolo dei vostri zaini. Ma le sorprese della fisica contemporanea (rispetto alla nozione di materia propria del senso comune, ma anche rispetto alle idee di Aristotele e di Cartesio) non finiscono qui. Noi tendiamo a pensare, come Cartesio, che la massa materiale occupi necessariamente uno spazio (la massa e ciò che oppone resistenza alla forza, vedremo poi parlando di Newton, e quindi esprime una caratteristica essenziale della materia). Noi sappiamo che un decimetro cubo di piombo ha una massa maggiore di un decimetro cubo di acqua (e a parità di forza di gravità il piombo pesa in proporzione più dell'acqua). Ma sappiamo che la massa del piombo e dell'acqua esistono perché c'è una parte di spazio "occupata" da piombo e da acqua. Questa è la nozione più immediata di materia, ciò che occupa uno spazio, che ha volume, che quindi è potenzialmente divisibile in parti. Ci sembra quindi che non possa esserci massa senza volume. Prendiamo l'elettrone: ha una massa ben definita (circa un milleottocentotrentaseiesimo della massa del protone, come ci dicono i libri di fisica; nessuna particella materiale ha massa inferiore) ma i fisici dicono che sembra che l'elettrone abbia raggio zero, cioè non occupi nessun volume! Finora sono riusciti a dimostrare che il suo raggio è minore di dieci alla meno 17 millimetri. Ma alcuni, anche premi Nobel, ipotizzano che il suo raggio sia proprio zero. Se questo fosse confermato sperimentalmente, sarebbe una prova che può esserci massa, cioè materia, senza volume. Povero Cartesio! Per lui spazio e materia erano la stessa cosa!
Riassumendo: per Aristotele e Cartesio l'universo era tutto pieno; per noi è quasi tutto vuoto (di materia; ma poi ci sono i campi...e la relatività di Einstein, ne riparleremo in quinta).

c) Infinita divisibilità della materia.
La materia è divisibile all'infinito per lo stesso motivo per cui un segmento può essere diviso infinitamente. Non possono dunque esistere atomi indivisibili.
d) Infinita estensione del mondo.
Il cosmo è nello spazio, lo spazio è infinito, perciò il cosmo è infinito.
e) Rigoroso meccanicismo.
Terra e cieli sono fatti di una stessa materia e la varietà della materia e le differenze che in essa percepiamo sono tutte causate dal movimento delle sue parti. Il rigoroso meccanicismo è una concezione secondo la quale tutto il cosmo è un meccanismo, come un orologio, e il movimento si trasmette solo per contatto. Uno scienziato olandese (Christiaan Huyghens, discepolo di Cartesio) dice: prendiamo un secchio pieno d'olio con in mezzo un bastone perpendicolare al fondo del secchio e facciamolo girare attorno a questo asse. Se prendo una pallina di piombo e la metto vicino al bordo del secchio, se il secchio gira molto veloce la pallina andrà verso il centro con una traiettoria rettilinea, se gira più lentamente la sua traiettoria si incurva.
Applichiamolo alla Terra: siccome ha il movimento di rotazione, avrà una forza centrifuga, ossia le particelle d'aria tendono ad allontanarsi (a partire per la tangente). Siccome per Cartesio la terra è inserita nell'etere (fuori dall'atmosfera) allora le particelle d'aria non possono allontanarsi indefinitamente dalla terra, perché vengono fermate dall'etere. Si crea nell'atmosfera una differenza di pressione: man mano che ci si avvicina alla terra la pressione diminuisce. Ecco perché se prendo un sasso e lo lascio cadere si avvicina alla terra per la pressione (la stessa cosa che accade alla pallina di piombo nel secchio d'olio). Più alto è il punto da cui si lancia il sasso più alta sarà la pressione e quindi la spinta. Interpretare così la gravità ci fa ammettere che i gravi cadono con una spinta (dell'aria) e che fuori dall'atmosfera questa spinta non esista.
Newton, quando formula la legge di gravitazione universale, crede che qualcosa non vada bene. Ci si chiedeva infatti come due corpi si potessero attrarre nel vuoto. Un newtoniano, Cotes, aveva teorizzato che la gravità era una caratteristica dei corpi, che non richiedeva ulteriore spiegazione (come Democrito diceva che il movimento era una caratteristica intrinseca degli atomi). L'insoddisfazione comunque rimane.
Il modello di Cartesio adesso sappiamo che è sbagliato, ma lasciava comunque meno dubbi, e sembrava spigare in modo più brillante i fenomeni fisici, con pochi principi generali. Ecco perché la fisica di Cartesio non sembrava implausibile.

Leggi del movimento, conoscibili a priori e da cui si ricavano tutte le altre leggi fisiche secondo Cartesio:
1) 1^legge: ogni cosa resta nello stato in cui è fino a che nulla la cambia. Anche Dio non è soggetto a cambiamenti. Ogni cosa continua a essere nel suo stato per quanto può e mai lo cambia se non per l'incontro delle altre.
2) 2^legge: ogni corpo che si muove tende a continuare il suo movimento in linea retta.
3) 3^legge: Dio è la causa prima del movimento e ne conserva sempre una uguale quantità nell'universo. Dalla sua onnipotenza Dio ha creato la materia con il movimento e il riposo che conserva adesso nell'universo tanto movimento o riposo quanto ce ne ha messo creandolo. Quindi Dio, poiché ha mosso in molte maniere differenti le parti della materia, quando le ha create e le mantiene tutte nella stessa maniera e con le stesse leggi che egli ha fatto osservar loro nella creazione, conserva incessantemente in questa materia una uguale quantità di movimento.  La quantità di moto è il prodotto della massa per la velocità. Quindi la quantità di moto nell'universo è costante. Qm=k All'inizio si è data la carica all'orologio che ha continuato da solo fino ad adesso e così continuerà.

Teoria dei vortici
Cartesio pensa che l'etere crei dei vortici. Attorno alla terra ci sono dei flussi di etere e paragona il pianeta alla festuca (metto una pagliuzza sull'acqua di un fiume; se la guardo da riva vedo che si muove, se invece sono una formica su un guscio sull'acqua la vedo ferma). Quindi il movimento dipende dal punto di vista: la terra è ferma rispetto all'etere, ma si muove rispetto al Sole.
La teoria è: tutte le particelle sono in movimento e questo movimento non è caotico. Per esempio le particelle d'aria di questa stanza si muovono caoticamente e io non le vedo. Il vento invece lo sento perché le particelle vanno tutte nella stessa direzione. Le particelle d'etere negli spazi interstellari si muovono secondo dei vortici, come il vento. In questi vortici si muovono i pianeti.
Si osservi la cura con la quale vengono istituiti i rapporti di corrispondenza tra modello esplicativo e realtà. Il vortice sta al sistema solare, come le festuche che esso trascina stanno ai pianeti che ruotano intorno al sole; come il movimento delle festuche attorno al proprio centro sta alla rotazione di ogni pianeta attorno al proprio asse; come la maggior velocità delle festuche che vorticano in prossimità del centro, sta al minor tempo nel quale i pianeti più interni concludono, rispetto a quelli esterni, la propria rivoluzione intorno al sole; come la forma non perfettamente circolare del vortice d'acqua sta alla forma ellittica assegnata da Keplero alle orbite planetarie.

MORALE E PASSIONI
Nell'uomo tra la stimolazione nervosa dell'organo periferico e la risposta del cervello si inserisce, tramite la ghiandola pineale, l'azione dell'anima. Quando essa subisce i moti che le terminazioni nervose portano al cervello, si hanno le percezioni; quando essa fa pervenire le sue risposte al sistema nervoso, mettendo in moto gli spiriti animali, si hanno le volizioni.
Gli stati mentali sono i contenuti della nostra mente.
Le volizioni sono i desideri.
Le percezioni sono ciò di cui sono consapevole, ciò che percepisco. Possono essere puramente mentali se riguardano solo la mente: non capisco un passaggio di una dimostrazione e percepisco di avere un dubbio (riguardano quindi la res cogitans). Oppure corporee se riguardano la mente che percepisce qualcosa tramite il corpo. Delle percezioni corporee abbiamo tre casi:
· Sensazioni esterne tramite i 5 sensi
· Sensazioni interne: per esempio mi brucia lo stomaco e sento con la mente il bruciore. La mente ha la percezione del dolore corporeo.
· Passioni le colloca tra le percezioni perché, a differenza degli atti volontari, sono subite: noi le volizioni possiamo averle volontariamente (la mente è attiva), mentre le percezioni presuppongono una mente passiva. A differenza delle idee non rappresentano oggetti esterni. A differenza di altri modi di sentire (la sete, la fame) non sono riferite al corpo, ma all'anima. Sono percezioni che si riferiscono all'anima, ma che sono mantenute, causate, rafforzate dal movimento degli spiriti animali, dal corpo. L'anima non è quindi padrona delle proprie passioni. Prendiamo per esempio la paura o la gioia: il soggetto è l'anima (mente) e sono causate e mantenute dal modificarsi del corpo. Per esempio mi batte il cuore per la gioia. Queste non le posso eliminare o produrre ad hoc, ma ne posso limitare le conseguenze. Posso cioè opporre alla forza delle passioni una strategia indiretta, suggeritami dalla ragione. Posso respirare a fondo se ho paura, ecc. Non c'è anima, per quanto debole, che non possa, se ben guidata, acquistare un dominio assoluto sulle proprie passioni. Se persino gli animali privi di ragione possono essere addestrati e ammaestrati ad assumere comportamenti contrari al loro istinto, la natura razionale dell'uomo troverà in sé sufficienti motivi per educarsi moralmente.
Cartesio individua sei passioni originarie: ammirazione, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza. Cartesio ritiene che le passioni siano sì controllate dalla ragione, ma che siano una risorsa della natura umana e per questo ineliminabili. Nella cultura francese del '600 erano tornate le idee stoiche: gli stoici sostenevano che l'uomo che seguiva le passioni, sia buone sia cattive, sbagliava. Il loro ideale di uomo era un uomo apatico, al tempo con il significato (oggi negativo) di colui che non si faceva turbare dalle passioni, ma seguiva solo la ragione. Le passioni andavano quindi estirpate secondo la mentalità stoica. E Cartesio sarà contro gli stoici. Per Cartesio dunque le passioni appartengono all'anima e non al corpo, anche se sono in essa suscitate per effetto del suo legame con il corpo. Azioni (volontà) e passioni appartengono entrambe all'anima come res cogitans, rientrando quindi nell'esercizio della libertà e della razionalità.
Nonostante il fatto che Cartesio sia un dualista, su questo piano antropologico, sullo studio della natura umana, tiene conto delle interazioni tra corpo e anima con cui spiega le passioni ed è perciò realista: nello studiare le passioni mette da parte il dualismo. Ontologicamente e gnoseologicamente rimane un dualista.

MORALE
Cartesio distingue tra morale PROVVISORIA e DEFINITIVA.
Sulla morale provvisoria troviamo un piccolo accenno nel "Discorso sul metodo". Quella definitiva non è presentata in un'opera sistematica, probabilmente perché è morto prematuramente, ma la troviamo in alcune lettere: a Chanut, filosofo francese suo contemporaneo; a Cristina, regina di Svezia; a Elisabetta, principessa di Baviera.
C'è bisogno di una morale provvisoria perché, quando siamo nel dubbio teoretico (ho dei dubbi sull'esistenza della materia), l'uomo non può rinviare le decisioni etiche, ma deve scegliere al momento. Noi ogni giorno dobbiamo prendere tante decisioni.
Morale provvisoria: consiste in criteri dell'agire che uso nelle fasi della vita in cui sono condizionato da dubbi teorici e quindi non posso prendere decisioni definitive. Prendo quindi decisioni provvisorie che devono rispettare alcuni principi:
1) Regola del conformismo: rispetto della tradizione. Ognuno deve obbedire alle norme della civiltà in cui è nato.
2) Regola della coerenza (perseveranza nelle decisioni assunte): se uno è ancora nel dubbio deve mantenere la sua scelta.
3) Regola dell'autodominio: è più facile cambiare noi stessi che il mondo.
Scrivendo la lettera allo Chanut, Cartesio sottolinea come la conoscenza della fisica gli sia molto servita "per stabilire i fondamenti sicuri della morale". Con fisica intende in generale la scienza. Abbiamo visto che le passioni hanno come causa i movimenti corporei. Per capire le passioni dobbiamo capire i movimenti corporei.
Cartesio condivide l'impostazione di Platone (metafora della biga alata nel Fedro): la ragione (l'auriga) che guida le passioni (cavallo nero e bianco). Nella lettera a Elisabetta enuncia i quattro postulati metafisici (sono postulati perché nell'etica sono presi per veri, ma vengono dimostrati nella metafisica):
1) "L'esistenza di un Dio da cui dipendono tutte le cose, le cui perfezioni sono infinite, il cui potere è immenso, i cui decreti sono infallibili": il fatto di aver dimostrato l'esistenza di Dio ha influenza sulla morale, perché se uno è ateo e gli capita una disgrazia la vede come qualcosa di grave, se invece ha la fede la disgrazia è più facile da superare. Quindi la fede ci porta ad accettare di buon animo tutto quello che ci capita, come se fosse espressamente inviato da Dio.
2) Se uno crede nell'immortalità dell'anima valuterà di poca importanza i beni e le ricchezze terrene. Chi invece non crede nella vita eterna da più importanza alle cose terrene. Questo discorso è chiamato dai teologi-filosofi escatologia (prospettiva ultraterrena). Perciò la teoria escatologica ridimensiona l'importanza dei beni terreni.
3) "Una degna opinione delle opere di Dio e quella vasta idea dell'estensione dell'universo che io ho tentato di determinare nel terzo libro dei miei Principi"; liberandoci da un ingenuo antropomorfismo; tale consapevolezza ci impedisce di pensare che questa terra sia la nostra principale dimora e questa vita la nostra vita migliore.
4) Le norme morali non sono finalizzate solo al perseguimento del nostro fine, ma sono viste in una prospettiva sociale. I criteri etici che l'uomo adotta (comandamenti) hanno alla base il principio di trattare bene gli altri, considerare gli altri come se stessi (tutti gli uomini sono fratelli e quindi sono tutti uguali). In generale la morale cristiana ha il principio di universalizzazione: tutti sono uguali; quando io dico "devo essere sincero" è come se dicessi che tutti devono essere sinceri, che questa norma vale per tutti. Cartesio allora si chiede: come si fonda questo principio? Se con la ragione capiamo di far parte di una collettività (Aristotele aveva detto che l'uomo è un bios politico) è meno sentito come un dovere opprimente, ci viene più spontaneo trattare tutti allo stesso modo.
In questa linea di pensiero metafisica si situa la definizione cartesiana del sommo bene, che viene a coincidere con l'esercizio, da parte dell'uomo con il libero arbitrio. Interrogato sull'argomento da Cristina di Svezia in una lettera il filosofo distingue
· La bontà di ciascuna cosa per se stessa: si capisce che il bene supremo è Dio, in quanto è la più perfetta delle creature.
· La bontà considerata in rapporto a noi: è bene ciò che ci appartiene e tale che per noi è una perfezione il possederlo.
Per gli uomini considerati nel loro complesso, il sommo bene pare consistere in "una raccolta o insieme di tutti i beni, tanto dell'anima come del corpo. Per l'individuo consiste "in una ferma volontà di far bene e nella soddisfazione che ne deriva". I beni del corpo e della fortuna non dipendono infatti assolutamente da noi e quelli dell'anima si riducono a due: al conoscere e al volere ciò che è bene. Ma la conoscenza è spesso al di là delle nostre capacità; non resta perciò che la nostra volontà di cui possiamo assolutamente disporre. In ciò consiste dunque la virtù: nel fare ciò che si giudica migliore e sforzarsi di conoscerlo bene.
L'esercizio del libero arbitrio (che consiste nella facoltà, propria dell'attenzione, di sospendere il giudizio anche su ciò che in passato ci è parso evidente, per riaffermare l'evidenza razionale con uno sforzo della volontà) è l'atto di un soggetto intimamente unito e mescolato con il corpo. Nell'uomo (unica creatura vivente in cui si incontrino le leggi del meccanismo corporeo e gli atti intenzionali di un'anima razionale) la spiritualità si attua in concreto nella dialettica di ragione e passioni.
Abbiamo già detto che Cartesio non ha sentito l'urgenza di scrivere un trattato sulla morale. Secondo gli studiosi è perché Cartesio in campo etico non si distacca dai tradizionali valori cristiani e quindi non credeva di dover porre su basi razionali l'etica. In pratica dal punto di vista etico non era un rivoluzionario.

BILANCIO CRITICO:
In campo scientifico non è stato proprio così grande, era meglio come filosofo e matematico.Tuttavia la sua fisica è sembrata a molti scienziati più credibile e con più potere esplicativo rispetto a quella galileiano-newtoniana, e ciò per quasi un secolo, ma alla fine ci si è resi conto che era sbagliata.
L'idea di Cartesio di spiegare tutto l'universo come un grande meccanismo aveva un suo fascino, però noi sappiamo che non è vera.
 In matematica è famoso (per gli assi cartesiani, la geometria analitica, la definizione del concetto di derivata come limite tendente a zero del rapporto incrementale). Ciò che non riesce a spiegare bene sono i rapporti di interazione tra res cogitans e res extensa.

 

 

N. B. Gli appunti sono stati presi durante le lezioni e non sono stati rivisti, ne integrati con le spiegazioni del manuale di filosofia in adozione

 

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