Franco Manni

 

 

Introduzione a Liberalismo e democrazia di Norberto Bobbio

 

 

Quasi tutti, quando – poniamo alla televisione  – sentono pronunciare da qualche politico o qualche giornalista le parole “liberale”, “democratico”, “liberaldemocratico”, non riescono a distinguerne i significati e magari neanche ci provano. E così li confondono.

Questo volumetto di Norberto Bobbio vuole essere un antidoto contro tale confusione, perchè esso differenzia con grande chiarezza i vecchi, venerabili e sempre attuali concetti di Liberalismo e Democrazia.

Essendo il liberalismo e la democrazia due risposte a due problematiche politiche di genere essenzialmente diverso, lungo la storia si comportano come variabili indipendenti : sono esistiti ed esistono Stati né liberali né democratici, liberali ma non democratici,  sia liberali sia democratici. Più inquietante - anche perchè più direttamente confligge col Luogo Comune che confonde liberalismo e democrazia – è il fatto che sono esistiti ed esistono Stati democratici ma non liberali. Questo ultimo fenomeno era stato previsto dal pensatore liberale Alexis de Tocqueville già nel 1840 e lo aveva chiamato “tirannia della maggioranza”.

In molti altri sui libri e articoli libri Bobbio ha analizzato e discusso vari aspetti del liberalismo vecchio e nuovo e della democrazia vecchia e nuova, ma è in questo volumetto  che i loro concetti sono espressi in maniera comparata, completa, breve e semplice, cioè con un approccio didattico. E l’utilità didattica di questo “basic book” – tradotto in sei lingue estere - è riscontrabile nel suo frequente uso come testo introduttivo per gli studenti qua e là per il mondo.

 

 

 

Introduzione  -  1. La libertà degli antichi e dei moderni  -  2. I diritti dell’uomo  -  3. I limiti del potere dello stato  -  4. Libertà contro potere  -  5. L’antagonismo è fecondo  -  6. Democrazia degli antichi e dei moderni  -  7. Democrazia e eguaglianza  -  8. L’incontro tra liberalismo e democrazia  -  9. Individualismo e organicismo  -  10. Liberali e democratici nel secolo XIX  -  11. La tirannia della maggioranza  -  12. Liberalismo e  utilitarismo  -  13. La democrazia rappresentativa  -  14. Liberalismo e democrazia in Italia  -  15. La democrazia di fronte al socialismo  16. Il nuovo liberalismo  - 17. Democrazia e ingovernabilità    Bibliografia aggiornata al 2005

 

Norberto Bobbio, torinese (1909-2004) fu nominato Senatore a vita della Repubblica da Sandro Pertini.  Ha avuto un lungo magistero diretto come insegnante  prima di Filosofia del Diritto e poi di Filosofia della Politica. Ed ebbe a dire : “se volgo lo sguardo al passato non ho dubbi su quale sia stata la mia principale attività : l’insegnamento”.

Ma Bobbio  ha avuto un ancor più lungo magistero indiretto come scrittore di libri, saggi per riviste, articoli e interviste per quotidiani. Le sue molte opere sono state tradotte in 19 lingue. Di esse ne ricordiamo alcune: Politica e cultura (1955), Teoria della norma giuridica (1958), Teoria dell’ordinamento giuridico (1960), Italia civile (1964), Profilo ideologico del Novecento italiano (1969), Il futuro della democrazia (1984), Maestri e compagni (1984), Italia fedele (1986), L’età dei diritti (1990), Elogio della mitezza (1994), Destra e sinistra (1994), De senectute (1996), Autobiografia (1997), Teoria generale della politica (1999).

Nel 2004, presso l’Istituto dei Diritti Umani  "Bartolomé de las Casas" dell’Università di Madrid, è stata creata la “Cattedra Norberto Bobbio per la Eguaglianza e la Non Discriminazione”.

 

 

 

 

 

Introduzione  

 Senza Libertà voi non potete compiere nessuno dei vostri doveri Ove essa manchi Giustizia, Morale, Uguaglianza non hanno più significato”

     Giuseppe Mazzini

 

É probabile che il Potere corrompa ; è certo che il Potere Assoluto corrompe

         Lord John Emerich  Acton

 

Luoghi comuni

Quasi tutti, quando – poniamo alla televisione  – sentono pronunciare da qualche politico o qualche giornalista le parole “liberale”, “democratico”, “liberaldemocratico”, non riescono a distinguerne i significati, magari neanche ci provano, come dicendo a sè stessi:  

sono termini tecnici e cabalistici, il solito abracadabra usato da  Color che Sanno! E se - proprio loro, i giornalisti e i politici  -  usano queste parole con tale disinvoltura ed arbitrarietà, cosa devo fare io, cercare di chiarirmele da solo e capirle ? Dovrei per caso improvvisarmi politologo?! 

E così quasi tutti confondono tali parole  e le danno rassegnatamente per sinonimi, sì che la confusione diventa la norma, la norma diventa inconsapevole, l’inconsapevolezza si diffonde per contagio , ed ecco che abbiamo quel che si dice un Luogo Comune.

Non è certo questa l’unica delle diffuse confusioni di significati nelle parole usate al telegiornale: pensiamo a quella tra “stato” e “nazione” e “stato nazionale”. O a quella tra “nazione”, “etnia”, “comunità religiosa” e “razza”. O a quella tra “liberismo” , “liberalismo” e “capitalismo”. Però, come si dice, una cosa alla volta. Qui e ora questo volumetto di Norberto Bobbio vuole essere un antidoto contro una particolare confusione, in quanto presenta e distingue con chiarezza i vecchi, venerabili e sempre attuali concetti di Liberalismo e Democrazia.

Come si vedrà nel testo di Bobbio, la democrazia è una delle tre risposte alla domanda “chi è che ha il potere sovrano? Cioè : chi è che comanda nello stato?”. La Monarchia risponde: uno solo! La Oligarchia risponde: solo alcuni, solo pochi! La Democrazia risponde: la maggioranza, il “popolo”!

Il liberalismo invece è una delle due risposte a un’altra e diversa domanda, che è : “come viene esercitata la sovranità? Cioè : in che maniera comanda colui o coloro che comandano nello stato?”. L’Assolutismo[i] risponde : chi comanda, comanda su tutto, ha un potere illimitato! Il Liberalismo risponde : chi comanda, comanda solo su qualcosa e non su tutto, ha un potere limitato!

Il liberalismo infatti è una teoria e una pratica della limitazione del potere sovrano, chiunque sia il Sovrano : uno, pochi o la maggioranza. Chiunque sia il sovrano, in uno stato liberale esso non può impedire all’Individuo di professare la religione che egli vuole o anche nessuna, di criticare a voce o per iscritto l’operato del Governo, di manifestare in piazza contro il Governo, di associarsi in partiti che portano avanti una politica di opposizione al Governo, di muoversi liberamente nel territorio dello stato o al di fuori di esso. Né in uno stato liberale  può il Governo comandare alla sua polizia di arrestare un cittadino : l’arresto e i processo sono competenza di un gruppo di persone  - la Magistratura – indipendente dal Governo, perchè se fosse il Governo a potere arrestare e processare i Cittadini, i liberali hanno pensato che le prime vittime dell’azione penale sarebbero gli Oppositori politici del Governo, e non certo gli assassini o i ladri o gli stupratori[ii].

Essendo quelle suddette – “chi è il sovrano?” e “come comanda il sovrano?”  -  domande diverse ed eterogenee, le loro risposte lo sono altrettanto, comportandosi lungo la Storia come variabili indipendenti : per esempio prima del XVII secolo tutti gli Stati erano né liberali né democratici, nel XIX secolo in Europa occidentale vi erano Stati liberali ma non democratici e oggi, nella stessa area vi sono Stati sia liberali sia democratici. Più inquietante - anche perchè più direttamente confligge col Luogo Comune che confonde liberalismo e democrazia - dal XIX secolo in poi un po’ dappertutto nel mondo e anche in Europa sono esistiti ed esistono Stati democratici ma non liberali[iii].

Questo ultimo fenomeno era stato previsto dal pensatore liberale Alexis de Tocqueville già nel 1840 e lo aveva chiamato “Tirannia della maggioranza”.Grandi e schiaccianti maggioranze di cittadini di uno stato possono eleggere un despota che abroga la libertà di stampa e scioglie i partiti di opposizione e compie arresti ed esecuzioni degli oppositori, e non solo eleggerlo la prima volta ma continuare a votarlo e a supportarlo in molti modi con entusiasmo crescente e anche fanatico. Non è facile vedere tali fatti se la mente è occlusa dal potente Luogo Comune che recita : “se un idea o una azione è approvata dalla maggioranza (dei miei familiari, dei compagni di scuola, dei correligionari, del mio gruppo nazionale, del ‘popolo’) essa allora è giusta”. E allora, posto che la Tirannia da millenni è giudicata da tutti una cosa ingiusta, sembra impossibile che possa esistere qualcosa di simile a una “tirannia della maggioranza”.

É vero che ogni individuo nasce e si forma all’interno di e grazie a molte comunità affettive, religiose, politiche, culturali : non è certo questo fatto indubitabile che il liberale mette in dubbio! Il problema è che per il liberale l’individuo non deve dismettere la libertà del giudizio della sua mente individuale nei confronti di qualsiasi comunità.[iv]

Anche di quella economico-sociale, la cosiddetta “classe”. A proposito dell’Unione Sovietica, Bobbio – nel lontano 1954 -  ricordava una frase di Lenin (“la democrazia proletaria è mille volte più democratica di qualsiasi democrazia borghese”) e commentava : 

il problema è se, affermando esser lo stato sovietico una democrazia e magari una democrazia mille volte più democratica delle altre, si sfugga all’obiezione che esso sia una dittatura/.../nel senso specifico in cui la dittatura come forma di governo si distingue dal regime liberale./:::/ E il contrasto tra il regime sovietico e i regimi occidentali non è un contrasto tra democrazia e non democrazia, o tra maggiore e minore democrazia, ma tra regime dittatoriale  e regime liberale. Non è insomma la maggiore democraticità (sia nel senso di governo del popolo che di governo per il popolo) che il liberale vanta di fronte al comunista, ma la maggiore libertà/.../Valga a conferma il fatto che la frase polemica di Lenin: “La democrazia proletaria è mille volte più democratica di qualsiasi democrazia borghese”, che può suonare eccessiva ma non è contraddittoria, suonerebbe falsa se la mutassimo in quest’altra : ‘la democrazia proletaria è mille volte più liberale di qualsiasi democrazia borghese”.[v] 

Il Luogo Comune secondo cui la maggioranza non può avere torto è sempre impregnato di moralismo e opera ricatti sentimentali : non è forse moralmente molto più “nobile” abbandonare il proprio “egoista” giudizio individuale e abbandonarsi alla volontà della propria Famiglia, Chiesa, Patria? Sentiamo cosa diceva Saint Just, il braccio destro di Robespierre, cioè del capo dei rivoluzionari durante la Rivoluzione Francese : 

“I figli appartengono alla madre fino a cinque anni, purché essa li abbia allevati; e poi alla repubblica fino alla morte. Colui che dichiari di non credere all’amicizia va bandito. Ogni uomo di ventuno anni deve dichiarare nel tempio quali sono i suoi amici ; questa dichiarazione va rinnovata tutti gli anni, nel mese di Ventoso. Gli amici vanno messi l’uno accanto all’altro nei combattimenti. Coloro che saranno rimasti amici tutta la vita saranno rinchiusi nella stessa tomba. Gli amici porteranno il lutto l’uno dell’altro. Se un uomo commette un delitto, i suoi amici vengono banditi. Gli amici non possono mettere per iscritto i loro impegni; non possono farsi causa tra loro. Se un uomo abbandona un amico, è tenuto a renderne conto al popolo nel tempio. Se un uomo non ha amici, viene bandito.”[vi] 

Al di là dei ricatti sentimentali e pseudomorali, i liberali classici (come John Locke, Benjamin Constant, John Stuart Mill) hanno sempre avuto diffidenza verso il Potere e dunque hanno sempre indicato come esso debba esser controllato e limitato. Invece le varie teorie comunitariste (religiose, nazionaliste, fasciste o comuniste) appoggiandosi al principio centrale della democrazia, e cioè che la maggioranza ha ragione, non hanno  avuto tale diffidenza. Come scriveva Bobbio : 

La dottrina liberale fa del problema dell’abuso del potere il centro della sua riflessione, la dottrina comunista generalmente lo ignora[vii] 

Già, il Potere. Come recita la famosa e (almeno nel mondo anglosassone) infinitamente ripetuta frase di un liberale del XIX secolo, Lord  Acton : 

É probabile che il Potere corrompa ; è certo che il Potere Assoluto corrompe[viii]

E mai come alla fine del XX e all’inizio del XXI secolo così tante persone se ne sono rese conto : mai come oggi gli intellettuali hanno studiato e criticato con un infine raggiunto disincanto tutti i tipi di autoritarismo (fascista, comunista, religioso, populista), mai come oggi esistono e operano associazioni finalizzate alla difesa dei diritti civili e alla denuncia della loro violazione, mai come oggi in difesa di tali diritti civili si sono mobilitate manifestazioni e cortei anche di massa.[ix].

Tante persone se ne  sono rese conto? Certamente esse sono sempre una netta minoranza, ma certamente sono tante di più che nelle epoche storiche precedenti. E questo, tra l’altro, perchè il secolo XX – che è stato il secolo dei suffragi universali[x] - col distribuire il potere politico alle masse , ha permesso a molti più che nel passato di rendersi conto di cosa sia il potere, essendo esso anche il proprio potere, nel bene e nel male, nel successo o nel disastro.

Qualcuno, come Michael Mann, pensa addirittura che le pulizie etniche e i genocidi del XX secolo siano diretti effetti della democrazia e ne costituiscano il “lato oscuro”[xi]. Qualcuno, come Norberto Bobbio, invece, anche se pensava di non potere accettare una democrazia che fosse priva dei diritti inviolabili posti dal Liberalismo, però pensava anche “poco probabile che uno stato non democratico possa garantire le libertà fondamentali”[xii]. É vero che l’Inghilterra del XIX secolo era certamente oligarchica (in quanto solo una piccola percentuale di cittadini aveva diritto di voto), ed è vero che difendeva tali diritti fondamentali egregiamente e meglio di quegli Stati ad essa contemporanei che già avevano il suffragio universale maschile. Però è anche vero che il processo dinamico di questa Inghilterra ottocentesca si muoveva costantemente verso l’allargamento del suffragio, quasi a dimostrare – almeno agli occhi di chi è propenso a sostenere  tale tesi - che per continuare a mantenere e ad allargare la difesa dei diritti di libertà in una società sempre più massificata (industrializzata, urbanizzata e alfabetizzata) fosse necessario un controllo degli atti delle oligarchie da parte di strati sempre più larghi di cittadini

In effetti, se tutti i liberali classici degli ultimi due secoli hanno capito il pericolo della  “tirannia della maggioranza” in una democrazia “pura”, cioè priva di liberalismo, e dunque sono sfuggiti alla idealizzazione del “popolo buono”, però alcuni di essi come J. S. Mill, Croce, Popper o Bobbio non hanno affatto, come conseguenza di ciò, tessuto un elogio dell’Oligarchia, delle  Élites  Illuminate, di una Nuova Aristocrazia, magari non più fondata sul sangue e sulla proprietà ma sulla cultura. Acutamente anzi Bobbio nota come, dopo la lezione di Karl R. Popper, l’idea  liberale non abbia più usato la metafora – derivante dall’Illuminismo settecentesco – della “luce” che rischiara le “tenebre”, ma abbia usato la metafora della “apertura” come situazione contrapposta alla “chiusura”[xiii]: apertura (verso un più vasto pluralismo di idee, persone, decisioni, situazioni) la quale, almeno come possibilità, si prospetta maggiore in una società democratica rispetto a una oligarchica. Cioè, in questi pensatori liberali hanno inciso – come esempio negativo – le esperienze novecentesche sia teorico-retoriche sia pratiche di quelle “aristocrazie razziali”, di quelle “élites economiche”, di quegli “happy few intellettuali”, di quelle “avanguardie scelte della rivoluzione”, alla prova dei fatti così  nefaste per tutti.

Per esempio: l’aristocraticismo degli “happy few intellettuali”! Quante stolte miopie mentali e quante perversioni morali sono derivate da questa idea e da questa pratica lungo il XX secolo! Martin Green e John Carey  hanno scritto su questo dei libri[xiv] assai documentati, ma quanti ancora ce ne sarebbero da scrivere e divulgare attraverso i media e la scuola affinché ci si possa finalmente sbarazzare di questo particolare Luogo Comune novecentesco! E specialmente è eloquente il caso, ricordato da Carey,  di alcuni  intellettuali comunisti: il loro forte elitismo e il loro forte disprezzo delle “persone comuni” sembrano evidenziare come qualsiasi oligarchia chiusa degeneri, quale che  sia l’ideologia professata[xv].

Non necessariamente, dunque, un liberale, per sfuggire al manifesto Luogo Comune che idealizza il Popolo, deve cadere nel – più nascosto, ma non poi così tanto nascosto - Luogo Comune che idealizza l’ Élite. Diffidare della “tirannia della maggioranza” non significa affatto difendere e consigliare una “tirannia della minoranza”.

 

 Però abbiamo anche delle esperienze, una storia da osservare

Come pratica politica il liberalismo nasce con le due Rivoluzioni inglesi del XVII secolo e da allora in poi lentamente si è diffuso nei Paesi occidentali. Questa diffusione è stata anche costellata da drammatiche battute di arresto e da reazioni. Per esempio Benedetto Croce scriveva la Storia d’Europa del secolo XIX, proponendo ai suoi lettori il commosso e potente racconto del liberalismo ottocentesco, proprio quando – negli Anni Trenta del XX secolo – la reazione sia fascista sia comunista alle istituzioni liberali sembrava, agli occhi dei più, decretarne la morte totale e prossima proprio in quell’Europa che le aveva partorite e fatte crescere. Croce manifestava una forte fede che, nonostante gli eventi di allora, la Libertà non potesse interrompere la sua Storia, perché essa era il motore stesso della Storia ; e la nobiltà di questo suo atto di fede ancora oggi commuove e lascia in stupita ammirazione coloro che al valore della Libertà politica, religiosa e culturale sono intimamente – e non solo verbalmente e opportunisticamente – legati[xvi].

La Libertà non esiste senza conflitto (incruento), come continuamente ripetevano Croce e Popper : se il Luogo Comune vorrebbe una società in cui vi fosse una idilliaca concordia ed identità di opinioni e fedi, il liberale sa che la libertà esiste solo nella pluralità, nel confronto e contrapposizione di idee diverse e anche opposte. Proprio questo libero confronto ed opposizione è la libertà. Un altro grande intellettuale europeo, l’ebreo francese Marc Bloch, scriveva appena dopo la disfatta dell’esercito della Republique di fronte a quello nazista, nel 1940 

È giusto che in un paese libero le filosofie sociali avverse possano combattersi liberamente /:::/La sventura della patria ha inizio quando non si comprenda la legittimità di questi conflitti[xvii] 

Se il libro di Croce è un inno alle glorie passate del Liberalismo, invece quello di Bloch, Una strana disfatta, scritto durante la tragedia della propria nazione e poco prima del proprio personale martirio, è il più potente “esame di coscienza” di un liberale sulle colpe di chi, a cominciare da sè stesso, pur avendo nel cuore gli ideali liberali , non aveva avuto il coraggio di difenderli lungo gli Anni Venti e Trenta, e, di fronte sia alle spaventose  minacce sia alle seduttive sirene delle forze fasciste e comuniste, si era tratto indietro dalla vita pubblica, aveva coltivato il proprio orticello, i propri studi, gli affetti privati, era stato magari un bravo lavoratore, ma certo non era stato un buon cittadino.

Nell’estate del 1940 la libertà sembrava scacciata dall’Europa : il Terzo Reich nazista aveva annesso l’Austria, aveva conquistato la Cecoslovacchia, la Polonia, la Danimarca, la Norvegia, il Belgio, l’Olanda, metà della Francia lasciando l’altra metà al fascistoide governo di Pétain. Altri governi fascisti o fascistoidi, alleati del Reich o “benevoli neutrali”, erano in Italia, Ungheria, Spagna, Portogallo, Bulgaria, Romania, Jugoslavia e Grecia. La Russia e le altre nazioni sovietiche erano sotto il tallone di Stalin.

La fiaccola della Libertà era innalzata solo dall’impavido popolo Britannico, giunto alla sua “finest hour”, al suo momento più bello, quello in cui ad esso toccava di difendere la libertà non solo per sè,  ma per tutti. Scriveva Marc Bloch 

Cosa sarà di noi se la Gran Bretagna sarà a sua volta sconfitta?[xviii] 

La Gran Bretagna non fu sconfitta e, per usare le  parole del suo condottiero Churchill, “l’oscura maledizione di Hitler fu tolta dalla nostra era” (“the dark curse of Hitler was  lifted from our age”). Eppure subito dopo, nel 1946,  lo stesso Churchill si trovò a fronteggiare la nuova minaccia alla libertà che veniva dall’Unione Sovietica staliniana, la quale riscoteva tante simpatie anche da parte di molti uomini abitanti nei paesi liberi (proprio quello stesso tipo di  persone a cui anche Bobbio si indirizzava con i suoi  scritti dei primi Anni Cinquanta[xix], comunisti occidentali che  ritenevano che i valori dl liberalismo non fossero importanti né per la classe operaia né per il mondo della cultura). E, nel suo famoso discorso detto della “Cortina di Ferro”, Churchill  diceva :

 

Non dobbiamo mai smettere di proclamare senza paura i grandi principi della libertà e dei diritti dell’uomo che sono l’eredità dei popoli di Lingua Inglese, e che attraverso la Magna Carta, il Bill of Rights, l’Habeas Corpus, il processo con giuria, e la Common Law inglese trovarono la più famosa espressione nella Dichiarazione di Indipendenza americana. Tutto ciò significa che le persone di ogni Paese hanno il diritto, e devono avere il potere costituzionale, attraverso libere e regolari elezioni a voto segreto, di scegliere o cambiare il governo sotto cui dimorano ; che la libertà di parola e di pensiero dovrebbe regnare ;  che le corti di giustizia – indipendenti dal governo e non controllate dai partiti – dovrebbero amministrare leggi che abbiano ricevuto il largo consenso di larghe maggioranze o che siano consacrate dal tempo e dagli usi.[xx]

 

E così i principi della democrazia liberale venivano proclamati – dalla persona che più di tutte al mondo aveva l’autorità morale per farlo - in tempi non così critici come nel recentissimo passato ma pur sempre assai problematici. In queste parole Churchill non contrapponeva dunque liberalismo e  democrazia, e, pur dando la priorità ai “diritti di libertà” parlava anche del “largo consenso di larghe maggioranze”. Questo era poi l’eredità dello sviluppo costituzionale inglese, nel quale prima erano stati cercati e ottenuti i diritti dei cittadini e solo dopo era stato – gradualmente - allargato il suffragio elettorale, allo scopo di difendere meglio tali diritti. In altre storie nazionali, come per esempio quella della Francia, le cose sono state assai più confuse, e le “larghe maggioranze” democratiche sono state viste spesso e volentieri esse stesse come fonte dei diritti e della giustizia, e non invece solo come metodo di controllo dell’effettivo rispetto di questi diritti, metodo magari migliore (o meno peggiore) di quello che assegnava il controllo al  monarca e alla oligarchia ereditaria (Medioevo) o a una oligarchia eletta a suffragio ristretto (XVIII e XIX secolo), ma comunque solamente  un metodo di controllo e non una fonte, non una sorgente.

Nella storia degli Stati Uniti questa confusione – che possiamo chiamare “populista” - è stata minore che in Francia, ma maggiore che in Inghilterra. E questo sin dagli inizi : un interessante e recente libro di Claes Ryn  - America the Virtuous - mostra come l’idea giacobina del “popolo virtuoso” visto  come fonte della giustizia fosse presente già in Thomas Jefferson, e questa idea abbia valicato i secoli fino agli eventi dei nostri tempi, una idea rivoluzionaria e giacobina che oggi – con interessante paradosso - viene fatta passare per conservatrice o “neoconservatrice”.[xxi] È doveroso aggiungere che il ruolo giocato dagli Stati uniti per il valore della liberta in Occidente è stato grande ed insostituibile. Gli americani Woodrof Wilson e Franklin D. Roosevelt -  pur dovendo lottare entrambi contro propri concittadini del tipo di Hearst[xxii] e della genia a lui consimile monopolista, antieuropea, fascista - hanno “semplicemente” salvato la libertà in Europa. Inoltre, se si leggono i discorsi di Roosevelt nei momenti cruciali della Guerra, chi è abituato a confondere la parola “liberalismo” con la parola “liberismo” potrà, forse, stupirsi di quanto strettamente la lotta contro la tirannia nazifascista fosse per Roosevelt collegata alla promozione sociale delle classi più svantaggiate dei suoi cittadini[xxiii].

In Italia la confusione populista è stata invece ancora più pesante che in Francia, la quale in fin dei conti non ebbe quel ventennio di regime fascista che avemmo qui da noi,  regime che, in nome della “volontà del popolo” conculcò tutti i diritti di libertà pur mantenendo il suffragio universale. Dopo la caduta del fascismo infatti Churchill scrisse un messaggio al popolo italiano per rispondere alla domanda “cosa è la libertà?” e per “fondare una nuova Italia” :

 

Esiste il diritto di libera espressione delle opinioni e di opposizione critica al governo in carica?

Il popolo ha il diritto di rifiutare un governo che esso disapprova e sono stati forniti gli strumenti costituzionali con cui possa esprimere la sua volontà?

I tribunali sono immuni dalla violenza del potere esecutivo e dalle minacce di violenza delle masse e svincolati da qualsivoglia associazione con particolari partiti politici?

Tali tribunali amministreranno leggi chiare e collaudate, associate nella mente dell’uomo ai principi generali di decoro e di giustizia?

Vi saranno condizioni uguali per i poveri e per i ricchi, per i singoli cittadini così come per i funzionari di governo?

I diritti dell’individuo, subordinatamente ai suoi doveri nei confronti dello stato, saranno mantenuti, difesi, esaltati?

Il semplice contadino e operaio, che si guadagna da vivere con il sudore quotidiano e cercando di metter su famiglia, è libero dalla paura che una sinistra organizzazione poliziesca sotto il controllo di un partito unico, come la Gestapo, fondata dai partiti fascisti e nazisti, bussi alla sua porta e lo condanni, senza un processo equo e pubblico, alla servitù o ai maltrattamenti?[xxiv] 

Parole in cui la retorica della sovranità popolare è assente e invece si affollano le preoccupazioni liberali per la libertà di critica al governo, per l’indipendenza della magistratura, per il pluralismo partitico, per l’habeas corpus del cittadino. La Volontà del Popolo era valutata da Churchill non nella sua capacità di sostenere con entusiasmo e concordia un governo, ma nella sua  capacità di poterlo cambiare. E questo non solo a parole : pur avendo portato l’Inghilterra alla vittoria contro Hitler nel maggio del 1945, come capo del governo per 5 anni, già nel luglio dello stesso anno lui e il suo partito – i Conservatori – perdevano le elezioni e lui commentava : “Hanno tutto il diritto di votare per chi gli pare. Questa è la democrazia. È per questo che abbiamo combattuto”.[xxv] La “democrazia” per Churchill non consiste dunque nello stabile e concorde consenso della maggioranza , ma nel fatto che tale maggioranza possa cambiare.

Gli intellettuali italiani del tempo erano stati - in larga maggioranza  -  sostenitori più o meno accesi dell’appena defunto  regime fascista[xxvi]. Anche nel fascismo vi erano una “destra” e una “sinistra”: per esempio il pubblicista Giovanni Preziosi e i collaboratori della sua rivista “La Vita Italiana” rappresentavano la destra perchè consideravano cattivo il liberalismo politico ma invece buono il liberismo economico[xxvii]; e per esempio il filosofo Giovanni Gentile e i suoi seguaci come Ugo Spirito rappresentavano la sinistra in quanto, nella loro opposizione al liberalismo, erano anche opposti al liberismo economico (al “capitalismo borghese”) che disuguagliava le condizioni sociali dei cittadini.

Questa ideologia “di sinistra” che era assieme antiliberale e antiliberista proseguì in qualche modo nella sinistra di ispirazione marxista  del dopoguerra, non solo nel  PCI degli Anni Cinquanta, ma anche in una significativa parte del movimento sessantottino e postsessantottino : antiliberismo e antiliberalismo si associavano come se fossero sinonimi nella mente e nelle parole di chi via via esaltò – lungo il trascorrere dei decenni della storia della nostra Repubblica -  Stalin, Mao, Lenin e Fidel Castro[xxviii] 

 

Benedetto Croce e Norberto Bobbio

 

Diametralmente opposto alla posizione della destra fascista antiliberale e liberista era Benedetto Croce che proprio negli Anni Trenta tentava di dimostrare al liberale e liberista Luigi Einaudi che uno stato liberale in certi periodi può adottare una politica economica contraria al liberismo, e anzi deve fare ciò  proprio per rimanere liberale[xxix]. Ma comunque Croce si opponeva anche alla posizione - chiamiamola di “destra sociale” -  di Gentile,  che disprezzava come idee antifasciste sia il liberalismo sia il liberismo.

Benedetto Croce è stato una fortuna per l’Italia : per lunghi decenni con forza persuasiva ha mostrato al pubblico in primis italiano (e in secundis europeo e mondiale) gli errori teorici e pratici del marxismo, del comunismo, del razzismo, del nazionalismo, del fascismo, del decadentismo, del positivismo, dell’integralismo cattolico. Verso la fine della sua vita – quando l’Italia era “spaccata in due” tra il Regno liberato dagli Alleati e la Repubblica di Salò nazifascista – ricoprì inoltre un diretto e centrale ruolo politico ;  per alcuni mesi fu il politico italiano più influente, più di De Gasperi, più di Togliatti, più di Badoglio,  più del Luogotenente del Regno, più del Re[xxx].

Ma Croce morì nel 1952, già inascoltato e presuntivamente superato da una massa via via crescente di “superatori”. Prima combattuto, poi semplicemente dimenticato[xxxi]. Paradossalmente i migliori studiosi crociani dei nostri anni sono due statunitensi non italoamericani : David D. Roberts[xxxii] e Claes G. Ryn[xxxiii].

Però Croce ha avuto un erede, almeno nel campo degli studi di politica e di etica, e cioè Norberto Bobbio[xxxiv]. Bobbio ha scritto molti libri e moltissimi  articoli spesso per specialisti, ma il suo primo libro influente e di successo, rivolto a un pubblico colto ma non specialista, è stato Politica e cultura del 1955[xxxv] : la data stessa del libro segna come una volontà di  riprendere il discorso dalle mani del filosofo napoletano oramai morto. Il contenuto, oltre a intitolare  esplicitamente a Croce due dei capitoli, riprende le tematiche crociane del liberalismo e del non asservimento della cultura alla politica dei partiti. E le riprende non dal penultimo momento, cioè da quello in cui  Croce polemizzava soprattutto contro il fascismo, ma dall’ultimo, cioè da quello in cui  Croce polemizzava soprattutto contro il comunismo. Questo libro di Bobbio è una splendida battaglia per il liberalismo contro i comunisti italiani che allora lo osteggiavano.

Di tutte le battaglie teoriche e pratiche proprie di Croce che più su ho elencato, solo una non è stata portata avanti anche da Bobbio, quella contro il positivismo[xxxvi] (fatto questo che spiega – assieme ad altri fattori – l’approccio assai più analitico che Bobbio aveva rispetto a Croce nella trattazione dei vari problemi filosofici). Entrambi i pensatori, avendo goduto di una vita lunga e operosa, hanno potuto, quasi “sentinelle di Israele”, osservare e vigilare su una molteplicità di fasi della storia culturale e politica italiane. Bobbio ha cominciato a pubblicare i suoi scritti nel 1934, e ha continuato per settanta anni ! Senatore del Regno l’uno e Senatore a vita della Repubblica l’altro, carichi entrambi di mille onori accademici e civili, tradotte le loro opere in molte lingue estere e apprezzate da molti studiosi di tutto il mondo, sia Croce sia Bobbio costruirono e poi conservarono per tutta la vita un carattere “democratico”, dando a questa parola ora il significato di carattere “alla mano”, non narcisista, socievole e accogliente verso chiunque desiderasse incontrarli : anche se il loro interpellante era un signor nessuno essi  trattavano con lui in maniera paritaria[xxxvii]. Bobbio ricordava che sin da bambino provava un forte sentimento di ingiustizia quando andava in vacanza in campagna e, lui rampollo della “buona” borghesia torinese, giocava con fanciulli contadini : questi compagni di giochi però alle loro spalle avevano un vissuto senza alcuno dei privilegi di classe a lui accordati, erano  poveri, malvestiti  e denutriti,  ogni nuova estate egli scopriva che uno di loro era morto durante l’inverno di tubercolosi. Ecco, per Bobbio “la ragione fondamentale” per cui egli si è occupato di politica :

 

il disagio di fronte allo spettacolo delle enormi diseguaglianze, tanto sproporzionate quanto ingiustificate, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale [xxxviii].

 

L’opinione dei due filosofi sulla democrazia è stata in parte diversa : Croce aveva verso di essa molta più diffidenza, Bobbio invece assai più fiducia. Ma era stata anche in parte comune: entrambi vedevano un errore teorico - gravido di negative conseguenze pratiche – nel cosiddetto  “egualitarismo”. Croce scriveva nella Storia d’Europa :

 

il liberalismo aveva compiuto il suo distacco dal democraticismo, che, nella sua forma estrema di giacobinismo, perseguendo a furia e ciecamente le sue astrazioni, non solo aveva distrutto vivi e fisiologici tessuti del corpo sociale, ma, scambiando il popolo con una parte e con una manifestazione, la meno civile, del popolo, con la inorganica folla schiamazzante e impulsiva, ed esercitando la tirannia in nome del Popolo, era trascorso nell’opposto del suo assunto, e, in luogo della eguaglianza e della libertà, aveva aperto la via all’eguale servitù e alla dittatura[xxxix]

 

E Bobbio, in una delle sue ultime interviste, diceva :

 

L’egualitarismo è una concezione filosofica che porta al mondo delle api, allo svuotamento dell’individualità, come appare nei classici utopisti egalitaristi Bacone, Campanella e altri. Questo livello e questa spersonalizzazione sono poi il terreno adatto per la nascita del totalitarismo politico./.../ Bisogna distinguere l’egualitarismo dall’eguagliamento. L’egualitarismo è una concezione filosofica organicistica ed è anche un tentativo portato avanti negli Stati dove il comunismo ha raggiunto il potere, concezione e tentativo che non approvano l’indipendenza e le peculiarità dell’individuo all’interno della società./.../ la ricerca dell’eguaglianza, almeno dal comunismo arrivato al potere, è stata realizzata in maniera perversa, come livellamento coatto verso il basso /.../ L’eguagliamento è invece una tendenza e un movimento verso la riduzione delle differenze economiche esistenti tra gli individui e  i gruppi sociali[xl]

 

L’opporsi di Croce e Bobbio alle concezioni illiberali di tutti i tipi, smascherandole in tutte le loro forme magari pseudosottili e pseudomorali, e la loro insensibilità alle mode intellettuali, ai venti politici, alle “forze del Destino” e alle “urgenze ineluttabili della Storia” li portò ad opporsi sia al marxismo comunista sia all’ideologia fascista[xli], e questo in un paese come l’Italia in cui un tipico atteggiamento di non pochi intellettuali lungo il XX secolo fu quello di oscillare tra gli opposti estremismi, rimanendo illiberali sempre. Fu così che entrambi i filosofi si trovarono per anni attaccati sia da questo tipo di sinistra sia da questo tipo di destra[xlii].

Entrambi erano venuti in contatto – in momenti diversi della storia – sia col marxismo teorico sia col multiforme movimento del socialismo politico, entrambi avevano nettamente criticato sia l’uno sia l’altro, però entrambi ne avevano colto sia gli aspetti buoni della teoria sia gli aspetti buoni della pratica politica Croce rimproverava a Einaudi di non vedere che il liberalismo poteva benissimo accordarsi con una politica economica di tipo socialista, e, quando si trovò presidente del Partito Liberale Italiano, dopo un incontro col socialista Giuseppe Saragat scrisse :

 

[Saragat e i suoi] vogliono serbare al socialismo il suo carattere e la sua storia, che è essenzialmente liberale/.../ L’alleanza o certe intese sono possibili coi socialisti, dei quali accettiamo molti concetti di riforme e siamo pronti a discutere e a lasciarci persuadere intorno ad altri[xliii]

 

Bobbio, già seguace del Partito d’Azione, ha, lungo i decenni, studiato e sostenuto l’idea liberalsocialista[xliv]. Se guardiamo ai classici del pensiero liberale, Croce e Bobbio, più che al liberalismo di Locke e Tocqueville, erano affini a quello di Mill, Keynes e Popper[xlv], cioè erano favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia, anche  per migliorare le condizioni delle classi sociali più disagiate.

In effetti poi, pur in mezzo a tutte le incertezze e le ambiguità, i vari partiti democristiani, laburisti, socialdemocratici, gollisti e liberali dell’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale hanno, almeno finora, prodotto regimi in cui le “quattro grandi libertà dei moderni” sono tutelate, ma in cui – assieme a questo - lo stato fa anche un ampio intervento legislativo nel mondo dell’economia: ora per difendere i diritti dei lavoratori, ora per fornire servizi di pubblica utilità, ora per difendere la libera concorrenza, ora per preservare l’ambiente, ora per sussidiare i disoccupati e altre categorie svantaggiate. Così che in generale si può vedere oggi, nell’Unione Europea, molto liberalismo e assai poco liberismo ; una situazione in cui lo stato liberale attivamente si prende carico del “welfare” (“benessere”) dei suoi cittadini. Liberalsocialismo? Socialdemocrazia? Di certo, comunque, è qualcosa che, con apparente paradosso,  scontenta sia una certa sinistra sia una certa destra, come osservava Bobbio nel 1981:

 

In questi anni abbiamo letto non so quante pagine sempre più polemiche e sempre più documentate sulla crisi di questo stato capitalista mascherato, che è lo stato-benessere, sulla ipocrita integrazione cui ha condotto il movimento operaio nella grande macchina dello stato delle multinazionali. Ora stiamo leggendo altre pagine non meno dotte e documentate sulla crisi di questo stato socialista pur esso mascherato che col pretesto della giustizia sociale sta distruggendo la libertà individuale e riduce l’individuo a un infante guidato dalla culla alla tomba dalla mano di un tutore tanto sollecito quanto soffocante.

Una situazione paradossale, quasi grottesca.[xlvi]

 

Grottesca certo appariva tale situazione a Bobbio, il quale prima non aveva sostenuto quella critica “di sinistra” e dopo non aveva sostenuto quella critica “di destra”. Proprio come egli vedeva, prima che a sè stesso, essere accaduto a Croce : prima lungamente  attaccato e dileggiato dai fascisti e poi – dopo la caduta del fascismo – dai marxisti “meschinamente” o “ingenerosamente” contestato come “precursore del fascismo”, “reazionario”, “filofascista”, lui, Benedetto Croce, che  fu

 

La coscienza morale dell’antifascismo italiano/.../ Si legga nel Soliloquio di un vecchio filosofo, che è del 1942, la trepidazione per la libertà del passato e la speranza del rinnovamento : né pessimismo inerte né troppo candido ottimismo. Ispirandosi a questa idea dominante prese posizione di volta in volta contro le contaminazioni che di questa idea con concetti empirici e pratici facevano i non filosofi, i professori pedanti, i pseudopolitici, i politicanti. La sua difesa del liberalismo continuata instancabilmente fino agli ultimi anni, fu la difesa dell’ideale della libertà che si identifica con la coscienza morale. E fu condotta soprattutto in tre direzioni : contro il marxismo, contro la democrazia, contro il liberismo.[xlvii]

 

Bobbio aveva molte critiche da fare, dal punto di vista teorico, al liberalismo di Croce e le ha fatte nella sua  circostanziata e magistrale analisi Benedetto Croce e il liberalismo[xlviii], però scrivendo :

 

Dico subito che, nonostante i molti dubbi che ritengo di dover sollevare sulla teoria del liberalismo di Benedetto Croce, non ho affatto l’intenzione di sminuire la funzione liberale che il suo pensiero e la sua personalità ebbero negli anni del predominio fascista. C’è qualcuno che per odio al liberalismo o per odio a Croce vorrebbe disconoscere i meriti e il valore pratico della posizione antifascista dell’autore della Storia d’Europa. Chiunque abbia partecipato alle ansie e alle speranze di quegli anni, parlo s’intende di intellettuali, non può dimenticare che la strada maestra per convertire all’antifascismo gli incerti era di far leggere e discutere i libri di Croce, che la maggior parte dei giovani intellettuali arrivavano all’antifascismo attraverso Croce, e coloro che già vi erano arrivati o vi erano sempre stati, traevano conforto dal sapere che Croce, il rappresentante più alto e più illustre della cultura italiana, non si era piegato alla dittatura. Ogni critica all’atteggiamento di Croce durante il fascismo è astiosa e malevola polemica. Come tale non merita discussione.[xlix]

 

La maggior parte dei capitoli che compongono il libro Politica a cultura sono stati scritti da Bobbio tra il 1951 e il 1954 : sono gli anni del maccartismo e assieme sono anche gli ultimi anni dello stalinismo ! Se questa era l’atmosfera per gli ideali del liberalismo all’interno delle due superpotenze vincitrici della seconda guerra mondiale – guerra fatta da esse contro Hitler nel nome della libertà – possiamo capire l’urgenza militante che allora aveva Bobbio nel polemizzare con quegli intellettuali e politici italiani che attaccavano il liberalismo.Costoro erano poi i comunisti, e in specifico i comunisti italiani così come essi erano prima della morte di Stalin e delle denuncie fatte da Nikita Kruschev al XX congresso del partito comunista dell’Unione Sovietica.

Ritornando in seguito a quei primi Anni Cinquanta e ricordando che egli, pur nella netta e sostanziale critica alle loro idee, aveva però accettato il dialogo pubblico con loro, nel 1993 Bobbio scriveva :

 

la politica del dialogo aveva le sue buone ragioni nella situazione del nostro paese, dove si era venuto affermando il più forte partito comunista dell’occidente, che non poteva essere messo fuori legge, come era accaduto in altri paese, salvo a mettere il paese in uno stato di guerra civile permanente. /.../ Nonostante tutto quello che si è detto recentemente sulla guerra civile potenziale che avrebbe minato le basi della nostra repubblica, il dialogo non fu soltanto una tattica pacificatrice degli intellettuali mediatori. Il partito di maggioranza relativa definì ufficialmente la propria politica col partito comunista con la parola “confronto”. Dialogo e confronto hanno caratterizzato la storia ella nostra repubblica. Ma né il dialogo né il confronto furono mai ispirati all’idea di operare una sintesi filosofica tra i due “ismi”, liberalismo e comunismo, che sono filosoficamente incompatibili. Furono molto più semplicemente due strategie politiche per un compromesso pratico[l]

 

D’altra parte, mentre di fascismo e di nazismo ce n’è stato solo un esemplare, il comunismo ne ha avuti due : quello tirannico e genocida è stato in URSS, Cina, Cambogia,  ma non in Italia, Francia, Olanda, Spagna, Inghilterra, USA, Germania. E Bobbio – che certo non aveva dialogato con Stalin, Beria, Mao o Pol Pot -  riconosceva invece di avere avuto buoni rapporti personali con alcuni comunisti italiani :

 

Ho avuto polemiche coi comunisti, ma polemiche con persone con le quali era possibile dialogare. Con alcuni comunisti, poi, come Napolitano, Aldo Tortorella, Gian Carlo Pajetta e Pietro Ingrao ho avuto anche rapporti di stima reciproca e di amicizia vera e propria.[li] 

 

Proprio come era successo a Benedetto Croce, il quale non aveva mai partecipato a un governo fascista - anche se ne era stato richiesto - ma  andò ripetutamente al governo coi comunisti nel dopoguerra, e a una riunione del consiglio dei ministri ricordò pubblicamente a Togliatti la stima e il rimpianto per il comunista Gramsci, l’affetto per il comunista Giorgio Amendola e l’aiuto dato – in pieno fascismo -  a un capo comunista napoletano per pubblicare un libro di Antonio Labriola[lii]. E il 30 aprile del 1945 Croce scriveva

 

Da Roma mi sono venute maraviglie e obiezioni per la nomina a direttore generale delle Belle Arti del Bianchi Bandinelli, comunista [intellettuale contro cui anni dopo polemizzò Norberto Bobbio, NdC] , da me caldeggiata presso il ministro Arangio Ruiz, che ha detto di avere il mio parere favorevole. Ma io ho riposto che se il partito comunista e altri partiti escludono dai posti di amministrazione uomini capaci e adatti perchè liberali, noi dobbiamo includerli, benché siano comunisti[liii]

 

E - inoltre e infine - per Bobbio il comunismo aveva additato dei problemi reali e importanti :

 

il comunismo era una “utopia capovolta”, perchè era una utopia di liberazione che si era capovolta nel suo contrario, e cioè nella costrizione e nell’oppressione degli esseri umani/:::/Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi che l’utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire :”L’avevamo sempre detto!”. O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo “storico”) abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? /.../ affermo, ripetendomi, di non essere mai stato comunista, ma anche di non essere mai stato anticomunista, nel senso in cui l’anticomunismo è inteso oggidì. E dico che le lotte per una maggiore eguaglianza sociale contro le ingiustizie così drammatiche presenti nel mondo – lotte fatte non solo ma anche dai comunisti – sono sacrosante.[liv]

 

 

 

Questo volumetto

Liberalismo e democrazia è un “basic book” . In molti altri sui libri e articoli libri Bobbio ha analizzato e discusso vari aspetti del liberalismo vecchio e nuovo e della democrazia vecchia e nuova, ma è nel presente volumetto che i loro concetti sono espressi in maniera comparata, completa, breve e semplice, cioè con un approccio didattico più che saggistico.

Originariamente infatti questo scritto era la voce di una enciclopedia dei concetti politici principali dell’età contemporanea[lv]. La sua utilità appunto “didattica” e il prestigio dell’autore diedero al testo una certa qual fortuna: l’edizione italiana in volumetto separato[lvi] ebbe  varie traduzioni estere : portoghese nel 1988, spagnola nel 1989, inglese nel 1990, serbo-croata nel 1992, danese nel 1993, francese nel 1996, una nuova edizione inglese è programmata per il gennaio del 2006 dalla Verso Books di Londra. L’utilità di questo “basic book” è riscontrabile nel suo frequente uso come testo introduttivo per gli studenti qua e là per il mondo[lvii]. Dato che la quarta e ultima edizione italiana è del 1991 e da tanti anni è fuori commercio e di difficile reperibilità, e dato che in Italia è soprattutto negli ultimi anni che si parla anche alla televisione di “liberalismo”, “liberaldemocrazia”, “democrazia liberale”, “liberismo” e “neoliberismo” (quando invece per decenni nei discorsi di politici e giornalisti l’unica parola-passpartout usata era quella di “democrazia”), ecco che è emerso l’interesse per una nuova edizione del volumetto.

Il lettore per cui esso è stato pensato e a cui anche oggi si rivolge non è il politologo o lo specialista accademico, è la persona di media cultura che desidera chiarirsi le idee su questi concetti importanti tanto spesso nominati dal dibattito politico e giornalistico e così poco o affatto chiariti all’interno del dibattito stesso .

Come il lettore vedrà ogni specifico argomento è trattato all’interno di un breve capitoletto di due-tre pagine, e la successione delle sezioni tematiche che riuniscono gruppi di capitoletti è assai lineare: definizione di liberalismo (1°-5°), definizione di democrazia (6°-7°), rapporti concettuali tra liberalismo e democrazia (8°-9°), rapporti storici tra liberalismo e democrazia (10°-15°) gli sviluppi più  recenti – recenti allora, cioè nel 1984 - e cioè i problematici rapporti del liberalismo e della democrazia col socialismo da una parte e col liberismo dall’altra (15°-17°). Solo questa ultima sezione oggi ci sembra un po’ datata, non per la precisione della impostazione concettuale, ma per la sottolineatura data a certi elementi. Dato che il futuro è imprevedibile a tutti e lo era  anche a Bobbio, e il volumetto è stato scritto cinque anni prima della cosiddetta Caduta del Muro di Berlino[lviii], certi accenti o nel troppo o nel troppo poco ora ci sembrano sproporzionati in quanto legati alle contingenze dei fatti politici e della pubblicistica di allora : nel capitolo 15° Bobbio non confronta la democrazia socialista con la socialdemocrazia, nel 16° non  rapporta la teoria liberalsocialista alla pratica socialdemocratica, nel 17°  esagera – col senno di poi possiamo certamente dirlo - col definire il pensiero di Von Hayek “summa della dottrina liberale contemporanea”, e dà troppa importanza a Nozick, autore che dopo il suo libro Anarchy, State and Utopia del 1974 e  tradotto in italiano nel 1981 – che fece un certo scalpore nel mondo accademico – non continuò più gli studi di teoria politica e si dedicò a tutt’altro[lix].

Detto questo per dovere di critico, ritengo veramente utile questo volumetto per la sua stringente ed efficace sobrietà, e lo ritengo oggi più attuale di allora per i motivi cui già ho accennato. Ringrazio Andrea Bobbio – rappresentante degli eredi Bobbio – e l’editore Luciano Simonelli per avere permesso questa nuova uscita editoriale. Dal canto mio ho scritto questa introduzione per contestualizzare l’argomento nel nostro dibattito attuale, ho aggiunto delle brevi note informative sugli Autori via via citati da Bobbio nel testo, ho aggiornato e articolato la bibliografia finale.

 

 

 

 

 



[i]               Varianti : Tirannia, Dispotismo, Autoritarismo, Dittatura, Totalitarismo.

[ii]              Le libertà fondamentali del Liberalismo sono state chiamate da Bobbio “le quattro grandi libertà dei moderni” : la libertà personale (cioè la garanzie durante il processo penale) con la connessa  libertà di circolazione, la libertà di espressione del pensiero, la libertà di riunione, la libertà di associazione. (cfr. Michelangelo Bovero, La libertà e i diritti di libertà, in M. Bovero (a cura di), Quale libertà? Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Bari, 2004, p. 16

[iii]              “Il che spiega, tra l’altro,  come vi possa esser un divario tra uno Stato liberale puro e uno Stato democratico puro: uno Stato in cui fossero riconosciuti i principali diritti civili, ma il suffragio fosse ristretto, come accadeva ad esempio in Italia sino al 1912, poteva dirsi liberale ma non democratico ; d’altra parte, uno Stato a suffragio universale può, servendosi degli stessi congegni della democrazia, instaurare un regime illiberale, come è accaduto in Germania nel 1933, quando il nazismo s’impadronì del potere attraverso le elezioni” : Norberto Bobbio e  Franco Pierandrei, Introduzione alla Costituzione, Laterza, Bari, 1981, p. 12.

[iv]              Cfr. Ermanno Vitale (con prefazione di Michelangelo Bovero) , Liberalismo e multiculturalismo. Una sfida per il pensiero democratico, Laterza, bari, 2000, pp. VII,VIII,5, 97.

[v]              Norberto Bobbio, Politica e cultura (1955) , (con introduzione di Franco Sbarberi), Einaudi, Torino, 2005, pp. 130-131, i corsivi sono dell’Autore.

[vi]              Louis de Saint Just, Frammenti delle istituzioni repubblicane, Einaudi, Torino, 1975, pp. 213-216, citato in Ermanno Vitale, Liberalismo etc, cit, p. 104.

[vii]             Appendice a Politica e cultura, cit, p. 262, e cfr. su questo punto l’Introduzione di Franco Sbarberi alle pp. XL-XLI.

[viii]            “Power tends to corrupt ; Absolute Power corrupts absolutely”. Scriveva Karl Popper : “l’eccessivo potere politico porta a situazioni in cui gli errori politici non si possono più ricercare. Anche se supponiamo che coloro che hanno il potere siano ispirati da puro altruismo (piuttosto che dall’intenzione di rimanere al potere), il loro potere tenderà a prevenire la ricerca e la correzione critica dell’errore finchè è ancora possibile farlo” : Miseria dello storicismo (1944), Feltrinelli Milano, 1997, p. 10

[ix]              Aggiungo un indizio di tipo più indiretto ed eccentrico : vari, sistematici, autorevoli, indipendenti e recenti sondaggi hanno riportato che Il Signore degli Anelli di Tolkien, oltre ad essere  il più letto, è anche il romanzo più amato dai lettori dei nostri tempi. Questo romanzo ha al suo centro la fuga radicale dal Potere, e Tom Shippey, il migliore commentatore di Tolkien, scrive che l’idea che il Potere non sia uno strumento neutro ma bensì  tenda  al male non è una idea antica o medievale o moderna, ma è sostenuta e apprezzata solo dai nostri contemporanei (cfr. Tom Shippey, J. R. R. Tolkien autore del secolo, Simonelli Editore, Milano, 2004, pp 43-44; e Tom Shippey, The Road to Middle Earth, Harper Collins,London,1992, p. 125)

[x]              Fatto storico, anche se non si vede perchè debba essere un non discutibile dogma dell’Etica o della Teoria Politica. Per esempio Vitale (Liberalismo etc., cit, p. 45) parla della “Sfinge la quale, a proposito della stessa democrazia procedurale, ci pone oggi il quesito serissimo circa i criteri che rendono ragionevole quella conquista in fondo recente che è l’istituto del suffragio universale”

[xi]              Michael Mann, Il lato oscuro della democrazia, Università Bocconi Editore, Milano, 2005, pp. IX, 2-4, 294. 584., 621.

[xii]             Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia (1984), Einaudi, Torino, 1995. pp. 6-7. Nella democrazia – che però è da lui sempre , come “definizione minima”, considerata veramente tale solo se è liberale – Bobbio non vede tanto la possibilità del “tiranno collettivo”, quanto la possibilità di uno stato “where power is dispersed”, il potere infatti non va distrutto ma frazionato, in quanto “relating power to the autonomy of individuals, Bobbio argues that,  without power, individuals are at the mercy of those with power and their life is not their own, it is someone else’s” : vedi Ron Terchek, Whose Realism? Whose Reality? (prepared for delivery at the Annual Meeting of the American Political Association, San Francisco, 2001, online, p. 20), saggio sul “democratic realism” e, soprattutto, su Norberto Bobbio.

[xiii]            Ibidem, p. 119.

[xiv]            Martin Green, Children of the Sun : a Narrative of ‘Decadence’ in England after 1918, Constable, London, 1977 ; John Carey, The Intellectuals and the Masses (1992), Academy Chicago Publishers, Chicago, 2002

[xv]             Carey, The Intellectuals, cit, pp 39-45.

[xvi]            Vorrei citare un passo di  Norberto Bobbio, nel quale si trovano  sia un richiamo e un tributo  alla “storia ella libertà” di Croce, sia una critica ad essa : “Il concetto di libertà come scopo della storia esige una risposta alla domanda : libertà da cosa? Ma una risposta per sempre non si può dare. La libertà in quanto liberazione da un ostacolo presuppone l’ostacolo. Tante libertà nella storia quanti gli ostacoli di volta in volta rimossi. La storia della libertà procede di pari passo con la storia delle privazioni della libertà: se non ci fosse stata la seconda non ci sarebbe neppure la prima. Non vi è stato un regno della libertà totale al principio, come avevano ipotizzato i teorici dello stato di natura (l’uomo nato libero di Rousseau), né vi sarà un regno della libertà totale alla fine, come preconizzeranno e predicheranno gli utopisti sociali. Non c’è una libertà perduta per sempre né una libertà per sempre conquistata : la storia è un intreccio drammatico di libertà e oppressione, di nuove libertà cui fanno riscontro nuove oppressioni, di vecchie oppressioni abbattute, di nuove libertà ritrovate, di nuove oppressioni imposte e di vecchie libertà perdute. Ogni epoca è contraddistinta dalle sue forme di oppressione e dalle sue lotte per la libertà./.../ Chi ci assicura che la storia abbia uno scopo, e questo scopo sia una libertà finale e universale? E se la storia umana finisse, come nella fantasia di tanti scrittori cosiddetti apocalittici, in un sistema di servitù generalizzata?  Che cosa ne sappiamo? Accanto all’esigenza della libertà gli uomini hanno mostrato in tutti i tempi anche l’indifferenza di fronte alla libertà e, perchè no?, la paura della libertà. Quale di questi atteggiamenti è destinato a prevalere? Il bisogno, l’indifferenza o la paura?” (Norberto Bobbio, Eguaglianza e libertà, Einaudi, Torino, 1995, pp. 74, 76).

[xvii]            Marc Bloch, Una strana disfatta (1940), Einaudi, Torino, 1995, p. 147. Marc Bloch aveva chiesto, all’età di 54 anni, di servire come volontario nell’Esercito Francese attaccato da Hitler, lasciando la famiglia e l’insegnamento di Storia medievale alla Sorbona. In seguito alla disfatta francese entrò nella clandestinità della Resistenza. L’8 Marzo 1944 fu arrestato e torturato  dalla Gestapo : gli spezzarono un polso, gli sfondarono le costole e lo sottoposero al supplizio del bagno ghiacciato. Il 16 Giugno 1944 fu fatto salire su un camion con altri detenuti, fra i quali un ragazzo 17enne che piangeva ; Marc Bloch lo consolò dicendo :”Ci fucileranno, non farà male...Sarà questione di un attimo”. Marc Bloch fu fucilato per primo, cadendo gridò : “Vive la France!”. Marc Bloch è stato il più grande studioso del Medio Evo nel XX secolo .

[xviii]           ibidem, p. 157.

[xix]            Raccolti nel libro Politica e cultura del 1955.

[xx]             Traduzione mia dal discorso di  Sir Winston Churchill al Westminster College di Fulton (Missouri) il 5 Marzo del 1946 : “But we must never cease to proclaim in fearless tones the great principles of freedom and the rights of man which are the joint inheritance of the English-speaking world and which through Magna Carta, the Bill of Rights, the Habeas Corpus, trial by jury, and the English common law find their most famous expression in the American Declaration of Independence. All this means that the people of any country have the right, and should have the power by constitutional action, by free unfettered elections, with secret ballot, to choose or change the character or form of government under which they dwell; that freedom of speech and thought should reign; that courts of justice, independent of the executive, unbiased by any party, should administer laws which have received the broad assent of large majorities or are consecrated by time and custom”.

[xxi]            Claes Ryn, America the Virtuous, Transaction Publishers, New Brunswick (NJ), 2004, specialmente pp. 1-5, 8, 20-23, 32-34, 50, 56, 65-67, 71-74, 77-79, 91, 106, 123-128, 137, 140, 157, 189, 201-207. Libro assai acuto e degno di essere conosciuto anche qui da noi, in primo luogo per i motivi detti sopra, ma anche, in secondo luogo, per il motivo che Claes Ryn è uno dei migliori studiosi di Benedetto Croce che vi siano al mondo.

[xxii]            William Randolph Hearst (1863 – 1951) proprietario della più grande concentrazione di media nella storia degli USA, appoggiò la guerra contro la Spagna, si oppose all’intervento statunitense nella Prima Guerra Mondiale, osteggiò sempre la Gran Bretagna, attaccò a Lega delle Nazioni, attaccò il New Deal, simpatizzò con Hitler. Orson Welles si ispirò alla vita di Hearst  nel film Citizen Kane.  

[xxiii]         Vedi per esempio questi tre discorsi di Roosevelt : Message to the Congress on the State of the Union, Jan-6-1941 , Message to the Congress on the State of the Union, Jan-11-1944 , Campaign Address at Soldiers' Field, Chicago, Illinois,  Oct-28-1944 (online sul sito del Franklin & Eleanor Roosevelt Institute)

[xxiv]           Messaggio del 27 Agosto 1944, vedi Martin Gilbert, Churchill (1991), Mondadori, Milano, 1992, p. 367

[xxv]            ibidem , p. 407.

[xxvi]           Vedi il recente libro di Mirella Serri, I redenti, Il Corbaccio, 2005

[xxvii]         Giovanni Preziosi, Ugo Spirito, in “La Vita Italiana”, 1932, n° 5; Vedi : Franco Manni, I presupposti filosofici ne “La Vita Italiana” di Preziosi, in  Aa. Vv. ( a cura di Luigi Parente e Fabio Gentile), Giovanni Preziosi e la questione della razza in Italia, Rubbettino, Cosenza, 2005

 

[xxviii]          tale ideologia poi è in parte cambiata, anche se lentamente. Nel  1981 Bobbio scriveva (Il futuro della democrazia, cit, pp. 116-119) di essere stato “sorpreso” che in una collana  di sinistra fosse stato ristampato il classico del liberalismo On Liberty di J. S. Mill, anche se tale pubblicazione aveva scatenato a sinistra  commenti “infastiditi, perplessi,  addirittura fortemente polemici”, e continuava : “c’è da meravigliarsi se oggi, dopo tanto marxismo di moda, schematico, uggiosamente ripetitivo,  dopo che le rivoluzioni fatte in nome di Marx hanno dato origine a regimi dispotici, una nuova generazione animata da spirito critico (il ’68 non è passato invano) riscopra gli autori liberali?/.../ Giustamente i marxisti hanno spesso lamentato la superficialità e anche il partito preso dei demolitori di Marx. Ma con non minor ragione i liberali hanno dovuto protestare contro le liquidazioni sommarie delle grandi conquiste del pensiero liberale, spacciate spesso sprezzantemente come un sottoprodotto degli interessi della borghesia (naturalmente ‘sordidi’). Per chi abbia continuato anche in tempi non propizi a leggere i classici del liberalismo e non li abbia mai considerati dei cani morti (e cani morti sono stati per tutta la cultura marxista-leninista italiana), la riproposta di Mill da sinistra è un avvenimento di cui non c’è che da rallegrarsi. Le idee così felicemente espresse da Mill sulla necessità dei limiti del potere, anche quando questo potere è quello della maggioranza, sulla fecondità del conflitto, l’elogio della diversità, la condanna del conformismo, l’assoluta priorità data in una società ben governata alla libertà delle opinioni, diventarono nel XIX secolo dei luoghi comuni della pubblicistica dei paesi civili” . Tale ideologia è cambiata, ma certo solo in parte e certo in maniera non lineare : 15 anni dopo Bobbio scriveva : «Mi sono ritrovato  in questa frase di Améry : “Quando il vecchio si accorge che il marxista, da lui certamente e non a torto considerato campione dell’esercito razionalista, adesso si riconosce per certi versi in Heidegger, lo spirito dell’epoca deve apparirgli fuorviato, anzi autenticamente dissociato : la matematica filosofica della sua epoca si trasforma in quadrato magico”.» (Norberto Bobbio, De senectute, cit.,  pp. 21-22

[xxix]           Benedetto Croce e Luigi Einaudi, Liberalismo e  liberismo (1952), Ricciardi, Napoli, 1988. Per un intelligente, informato, chiaro e aggiornato studio su questo argomento si veda: Daniele Besomi e Giorgio Rampa, Dal  liberalismo al liberismo. Stato e mercato nella storia delle idee e nell’analisi degli economisti, Giappichelli, Torino, 2000

[xxx]            Questa vicenda è stata sempre conosciuta da pochi e oramai da pochissimi. È vero che recentemente sono stati pubblicati  i suoi Taccuini di Guerra 1943-1945 (Adelphi, Milano, 2004) che mostrano in grande dettaglio questa cosa stupefacente : che uno studioso, malvolentieri e solo per dovere civico, si trovasse – con concreti risultati -  al centro della politica di uno Stato non piccolo, e – cosa ancora più stupefacente soprattutto nei nostro lidi – con una modestia e con un disinteresse personale assoluti. Però tali Taccuini, almeno fino ad ora, sono praticamente stati ignorati dal nostro dibattito culturale e non hanno affatto cominciato ad entrare nel “canone” condiviso della nostra memoria collettiva, né tra le persone di media cultura né tra gli intellettuali.

[xxxi]       Io sono nato nel 1959 e nella mia giovinezza – alla fine degli Anni Settanta e negli Anni Ottanta -  mi accorsi di non riuscire a trovare dei miei coetanei che avessero letto Croce ; magari ne parlavano per sentito dire e solo brevemente e solo per rivolgere verso lui e la sua opera giudizi svalutanti. Però già dai tempi del liceo ero stato “preso” da Croce e in seguito  nel mio piccolo mi sono messo a contribuire al campo degli “studi crociani” con scritti dedicati a Benedetto Croce e ad alcuni pensatori del XX secolo direttamente influenzati da lui. Lavorando a uno di questi studi mi sono accorto della “elusività” della presenza crociana: per esempio 400 tra libri e saggi su riviste culturali  sono stati  dedicati a Croce in tutto il mondo durante un decennio – gli Anni Ottanta – ma quasi sempre essi sono  di natura specialistica e da parte di autori non “mainstream”, sì che il pensiero di Croce, pur fecondando singoli settori disciplinari, non è più (o non è ancora) presente nella consapevolezza del dibattito filosofico contemporaneo di tipo “generalista” (cfr. di chi scrive Rassegna degli studi crociani negli Anni Ottanta con annesso saggio di bibliografia, in “Studi Critici”, n° 1-2, 1992, pp. 153-195)

[xxxii]          su Croce di David D. Roberts : Benedetto Croce and the Uses of Historicism, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1987 ; e anche  Nothing But History: Reconstruction and Extremity After Metaphysics, University of California Press,  Berkeley and Los Angeles, 1995.

[xxxiii]          Su Croce di Claes G. Ryn: Will, Imagination and Reason : Babbitt, Croce and the Problem of Reality, Transaction Publishers, New Brunswick, 1997 ; e anche   A Common Human Ground. Universality and Particularity in a Multicultural World, University of Missouri Press, Columbia and London, 2003

[xxxiv]          Norberto Bobbio, torinese (1909-2004), ha avuto un lungo magistero diretto verso gli studenti universitari come docente prima di filosofia del diritto e poi di filosofia della politica. E ha avuto un ancor più lungo magistero indiretto come scrittore di libri, saggi per riviste, articoli e interviste per quotidiani. Le sue opere sono state tradotte in 19 lingue. Un gruppetto di studiosi estimatori ed amici, gravitante presso il Centro Studi Piero Gobetti di Torino, ha  realizzato un’iniziativa unica nel suo genere : con criteri moderni e sofisticati ha catalogato i circa 1500 scritti di Bobbio (5000 contando le varie edizioni e traduzioni) depositati presso il Centro e ha messo tale catalogo su internet, con la maggioranza dei testi scannerizzati e online, disponibili facilmente e liberamente a una comunità veramente aperta di studiosi di tutto il mondo.

[xxxv]          Franco Sbarberi nella sua Introduzione alla nuova edizione di questo libro scrive: «La chiarezza degli assunti teorici – nella definizione dell’attività culturale “come sfera di autonomia nei confronti di ogni potere organizzato” e nella polemica ferma e pacata con il comunismo italiano sulla irrinunciabilità dei diritti di libertà in qualunque sistema economico-sociale – fa ancor oggi di Politica e cultura un testo esemplare di filosofia civile. Nell’Italia del secondo Novecento esso ha svolto una funzione analoga a quella esercitata da Liberalism di Hobhouse nell’Inghilterra del primo Novecento e da Liberalism and Social Action di Dewey negli Stati Uniti tra le due guerre”,  p. VIII

[xxxvi]          Leggi – in polemica anche con Croce - un efficace e articolato Elogio del Positivismo in : Norberto Bobbio, De senectute e altri scritti autobiografici, Einaudi, Torino, 1996, pp. 60-68. In effetti il Positivismo ha attirato non solo il Bobbio storico della filosofia, ma anche il Bobbio teoretico, almeno negli anni subito successivi alla seconda guerra mondiale : vedi di Bobbio, Autobiografia, Laterza, Bari, 1997, pp. 134-136

[xxxvii]         Di Croce ho letto le testimonianze altrui, di Bobbio ho letto le testimonianze altrui ma anche -  per vent’anni - ho potuto  sperimentare di persona.

[xxxviii]          Norberto Bobbio, Destra e Sinistra, Donzelli Editore, Roma, 1995,  pp. 128-129

[xxxix]          Benedetto Croce, Storia d’Europa, cit., p. 32

[xl]              Il filosofo e i comunisti (intervista di Franco Manni a Norberto Bobbio), “Diario”, 4 Maggio 2001, p. 27. Vedi anche di Bobbio, Eguaglianza e libertà, cit., pp. 30-41

[xli]             Così come anche Karl Popper scriveva l’epigrafe al suo libro scritto durante la Seconda Guerra Mondiale (Miseria dello storicismo, cit., p. 13) : “In memoria degli innumerevoli uomini, donne e bambini di tutte le credenze, nazioni e razze che caddero vittime della fede fascista e comunista nelle Inesorabili Leggi del Destino Storico”.

[xlii]            Uno scritto di Bobbio che riepiloga con grande chiarezza i termini teorici del rapporto del suo liberalismo col fascismo da una parte  e il comunismo dall’altra è Augusto del Noce : fascismo, liberalismo, comunismo (“Il Ponte” anno XLIX, n° 6, giugno 1993, ora ristampato nel volume Cinquant’anni non bastano. Scritti di Norberto Bobbio sulla rivista “Il Ponte” 1946-1997, Fondazione Monte dei Paschi di Siena,  - Il Ponte Editore, Firenze, 2005, pp. 233-244.).

[xliii]            B. Croce, Taccuini, cit, p. 350

[xliv]            su questo vedi l’informato e organico studio di Franco Sbarberi, L’utopia della libertà uguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio, Bollati Boringhieri, Torino, 1999. L’Università “Carlo III” di Madrid, subito dopo la morte di Bobbio, ha a lui intitolato una cattedra : «El Consejo del Instituto de Derechos Humanos "Bartolomé de las Casas", en su reunión de 25 de febrero de 2004, decidió impulsar la creación de la Cátedra "Norberto Bobbio" de Igualdad y No Discriminación. La Cátedra continúa el esfuerzo iniciado por el Instituto de Derechos Humanos en octubre de 2002 con la creación de la Unidad de investigación “Igualdad y No Discriminación”. Su denominación constituye un homenaje y reconocimiento a Norberto Bobbio, ilustre filósofo del Derecho y de la Política italiano, fallecido en enero de 2004». È bello vedere associato il nome di Bobbio a quello del cinquecentesco  Bartolomé de las Casas : due uomini che hanno profondamente sentito i mali che provengono dalle crudeli disuguaglianze della società umana.

[xlv]            “Credo Che un’economia competitiva sia più efficiente di un’economia pianificata, ma non ho mia creduto che questo fosse un argomento decisivo contro la pianificazione centrale dell’economia : se un atale pianificazione potesse produrre una scoietà più libera e umana o anche solo una società che fosse più giusta di una società competitiva, la patrocinerei anche se la pianificazione fosse meno efficiente della competizione. È mia opinione, infatti, che dovremmo esser pronti a pagare un alto prezzo per la libertà” , Karl Popper, Miseria dello storicismo, cit.,  p. 9

[xlvi]            Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1995, p. 129

[xlvii]           vedi Norberto Bobbio, Politica e cultura, cit., pp. 186, 192, 200, 202

[xlviii]          Politica e cultura, cit., pp. 177-228 : il messaggio principale è questo : Croce, liberale negli ideali e nella sensibilità umana, era però indifferente, sul piano più direttamente  politico, alle forme concrete giuridiche che limitano il potere del governo, per esempio la divisione dei poteri.

[xlix]            ibidem, p. 202

[l]               Norberto Bobbio, Augusto Del Noce : fascismo, comunismo, liberalismo, cit, p. 238.

[li]              Il filosofo e i comunisti, cit.,  p. 26

[lii]              Benedetto Croce, Taccuini, cit, p. 403

[liii]             ibidem, p. 289

[liv]             Il filosofo e i comunisti, cit, pp. 26-27

[lv]          il primo capitolo "Liberalismo e democrazia", in AA.VV., Il pensiero politico contemporaneo, a cura di Gian Mario Bravo e Silvia Rota Ghibaudi, Franco Angeli, Milano, 1985, vol. I, pp. 23-85.

[lvi]             Liberalismo e democrazia, Franco Angeli, Milano, 1985

[lvii]            navigando un po’ su internet si vede come negli ultimi anni essi sia stato usato a questo scopo presso varie università, per esempio le inglesi di Oxford, Londra e Reading, le statunitensi di Stanford, Maryland e Murdoch, la lèttone di Riga, l’èstone di Tartu, la norvegese di Oslo e tante altre.

[lviii]            By the time Bobbio wrote this small essay he saw liberalism and democratic socialism capable of connecting each other in a liberal-socialism sincretic result, that kept from each vision of the world and society the best of its contributions: the preservation of liberty, in the first case; the pursuit of the possible equality, in the second. Time showed that this synthesis was dispensable because socialism perished along its mistakes and contradictions when the Berlin Wall and the communist empire imploded in 1989.” : recensione anonima di Liberalism and Democracy nella Customer Review di amazon.com  .

[lix]             “Si ha talora l’impressione che, mirando alla restaurazione del profilo originario del liberalismo, questi autori siano trascinati dal radicalismo dottrinario della loro prospettiva verso esiti differenti da quelli intenzionalmente perseguiti. Essi legittimano un approccio radicale, entro un contesto incomparabile con quello dei classici – Locke, Hume, Smith – diventando i padri spirituali di una nuova religione della libertà che sconfina nell’individualismo anarchico, in una catena di scavalcamenti che porta Nozick oltre Hayek e Rothbard oltre Nozick” (cfr. Pier Paolo Portinaro, Profilo del liberalismo, in B. Constant, La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, Einaudi, Torino, 2005, specificamente alle  pp. 144-147.

 

 

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