Pierangela Martina

 

Aspetti teorici dell'aggressività

 

 

Capitolo 6

 Conclusioni

 

 

 

6.1. RIEPILOGO DELLE PRINCIPALI INTERPRETAZIONI TEORICHE

6.2. VALUTAZIONI CRITICHE DELLE TEORIE

6.3. PROSPETTIVE DI RICERCA

6.4. ESEMPIO DI UNA PROSPETTIVA DI RICERCA: LA PROPOSTA DI H.Y. KORNADT

 

 

 

6.1. RIEPILOGO DELLE PRINCIPALI INTERPRETAZIONI TEORICHE

Per procedere verso le conclusioni della presente tesi è necessario, da un lato, richiamare brevemente i limiti che, per ogni posizione teorica, sono stati evidenziati dagli studiosi, e dall'altro prospettare le direttrici di una possibile ricerca. Per questo secondo aspetto, poiché l'impostazione delle ricerche sperimentali dipende strettamente dall'assunzione di ipotesi teoriche, ci si limiterà, dopo aver brevemente elencato le varie direttive di ricerca, ad esaminare in particolare la proposta avanzata da H.Y. Kornadt nel saggio Teoria della motivazione all'aggressione e sviluppo dell'aggressività pubblicato nel 1985, all'interno del volume L'aggressività umana: studi e ricerche, a cura di G.V. Caprara e P. Renzi.
Con questa scelta si intende delineare a titolo puramente esplicativo una possibile tendenza della ricerca, nella consapevolezza che un'analisi completa di tutte le posizioni, con i relativi agganci teoretici, implicherebbe una mole tale da esorbitare dai limiti del presente scritto.
All'inizio degli anni Ottanta si è diffusa la consapevolezza che, nonostante il numero veramente notevole di pubblicazioni sull'argomento nel corso degli anni Settanta, gli studi sull'aggressività erano da ritenersi gravemente insoddisfacenti [Caprara, 1981; Di Maria - Di Nuovo, 1984; Kornadt, 1985], principalmente a causa dell'irriducibilità delle diverse posizioni teoriche che tendono tutte ad assolutizzare o ad attribuire importanza prevalente ed aspetti parziali del comportamento aggressivo.
Le posizioni teoriche fondamentali esaminate nel corso della presente tesi si possono raggruppare in tre ordini fondamentali:
1) le teorie della pulsione o istintiviste esaminate per quanto riguarda le interpretazioni psicoanalitiche nel cap. 2° e per quanto riguarda le teorie etologiche e biologiche nel cap. 3°);
2 la teoria della frustrazione-aggressione elaborata da Dollard e successivamente revisionata (vedi cap. 4°);
3)le teorie dell'apprendimento, tra le quali la più organica e la più diffusa è quella di A. Bandura (vedi cap. 4°).

Le ricerche e gli esperimenti degli anni '70 ed '80 hanno chiaramente mostrato che ognuna di queste posizioni teoriche fondamentali si può appoggiare ad un gran numero di fatti empirici e che, quindi, di conseguenza, nessuna di esse può essere respinta a priori
[Di Maria - Di Nuovo, 1984; Kornadt, 1985].
E! evidente quindi che questa pluralità dì teorie non può che influenzare sia le ricerche e gli esperimenti e sia anche le proposte, anche a livello educativo di intervento sociale per ridurre l'aggressività.
Ad esempio, per le teorie della pulsione, è necessario fornire ai bambini delle possibilità per sfogare l'aggressività, anche se con modalità socialmente non dannose o in forma ritualizzata. Per la teoria della frustrazione-aggressione si deve intervenire sull'ambiente al fine di ridurre o di evitare le frustrazioni, senza tuttavia sopprimere od impedire l'aggressività, perché ciò potrebbe ingenerare maggiore frustrazione, che aumenterebbe ulteriormente il grado di aggressività.
Infine, per le teorie dell'apprendimento, l'educazione dovrebbe evitare di offrire qualsiasi modello di comportamento aggressivo ed in particolare evitare il rinforzo positivo derivante da una sequenza comportamentale avente successo.

6.2. VALUTAZIONI CRITICHE DELLE TEORIE

Se, come si è visto, tutte le posizioni precedentemente richiamate possono addurre numerosi dati empirici a loro sostegno, è innegabile che ognuna di esse si presti a obiezioni e critiche relative agli stessi principi teorici essenziali, cioè fondativi delle stesse; in particolare:
1) le teorie pulsionali psicoanalitiche assumono come ipotesi preliminare l'esistenza di un istinto di morte (Freud) o comunque di un'energia pulsionale che, se non adeguatamente gestita, provoca necessariamente comportamenti distruttivi o autodistruttivi; è quindi evidente che quest'ipotesi preliminare non possa essere confermata sul piano sperimentale (ciò senza nulla togliere al grande valore ermeneutico della psicoanalisi ed alla sua utilità nell'alleviare le sofferenze umane).
2) Le teorie pulsionali sostenute dagli etologi presentano spesso, come si è già visto nel cap.3°, un'arbitraria estensione all'uomo di leggi comportamentali osservate per gli animali, nonostante lo stesso Lorenz abbia esplicitamente dichiarato di voler evitare questo passaggio arbitrario, sostenendo che l'etologia può mostrare come determinati atteggiamenti, metodi e principi che vengono usati nello studio di animali, possano essere applicati anche all'uomo.
3) I limiti dell'impostazione originaria della teoria della frustrazione-aggressione formulata da Dollard sono già stati ampiamente delineati nel cap. 4°, al quale si rimanda.
4) Più complessa appare la possibilità di una valutazione critica dell'opera di Bandura, poiché, come si è visto nel cap. 4°, egli stesso si propone di integrare in una coerente visione teoretica anche gli aspetti positivi ricavabili dalla teoria della pulsione e dall'ipotesi della frustrazione-aggressione di Dollard. Questo atteggiamento di fondo porta Bandura alla consapevolezza che l'aggressività, per come si manifesta, si sviluppa e si modifica, è largamente determinata dalle relazioni sociali e da vari fattori socio-culturali. Quindi, la concezione teorica di Bandura si apre a contributi di orientamenti diversi senza che ciò vada a sminuire la possibilità di recepire quanto scaturisce dai numerosi esperimenti condotti in campo comportamentista.
Nonostante questi aspetti indubbiamente positivi alcuni studiosi hanno rilevato anche in Bandura dei limiti teoretici propri della tradizione comportamentista.
In particolare, come scrive Caprara: "Si rivela insufficiente l'analisi di come i processi di maturazione si integrano con quelli di socializzazione e perciò l'analisi di ciò che, nei diversi stadi evolutivi e nelle diverse situazioni ambientali, viene a contraddistinguere differentemente il rapporto organismi-ambiente per tradursi, successivamente, in differenti vissuti, capacità, caratteristiche di personalità. In particolare, sembra essere largamente trascurata l'importanza delle intuizioni di Piaget sulla natura dei processi di maturazione, in quanto progressiva costruzione di strutture, e sui vincoli che le strutture cognitive precedenti pongono alla costruzione delle strutture cognitive successive." (1)
Da questo punto di vista la debolezza fondamentale della concezione di Bandura, che può compromettere la portata di tutta la teoria, è costituita dalla "timidezza" del suo approccio di fronte alla dimensione storica di ciascuna persona: "La preoccupazione di cogliere l'hic et nunc porta spesso all'illusione che la persona si risolva nell'hic et nunc". (2) Inoltre, sempre per Caprara, nell'approccio di Bandura la prospettiva descrittiva prevale decisamente su quella interpretativa, così come quella puramente fattuale su quella critica. Spesso l'attenzione al singolo meccanismo ha fatto perdere di vista troppi aspetti collaterali del problema. Ad esempio, come scrive sempre Caprara: "Bandura sembra confondere la causa con gli effetti quando si accanisce contro i messaggi trasmessi dai mass-media, la cui funzione è probabilmente quella di riflettere, od eventualmente consolidare, piuttosto che di generare, delle condotte o dei valori." (3)

6.3. PROSPETTIVE DI RICERCA

Il pluralismo delle teorie appare allo stato attuale non facilmente superabile, di conseguenza la stessa frammentazione dovrebbe ritrovarsi nelle ricerche sperimentali, che dipendono inevitabilmente dalle assunzioni teoretiche. Tuttavia, poiché da un lato si è diffusa l'insoddisfazione per lo stato della ricerca sull'aggressività e dall'altro si è fatta più viva la consapevolezza della necessità di un approccio integrato nello studio di questo fenomeno (che tenga conto cioè degli apporti di discipline quali l'antropologia, la sociologia, la neurologia, ecc.), a partire dalla seconda metà degli anni Settanta si sono delineate diverse prospettive di ricerca che possono essere così sintetizzate:

A) Una prima tendenza deriva dalla convinzione che non si può continuare a svolgere ricerche empiriche su un concetto non chiaramente definito. Si dovrebbe prima eliminare questa incertezza, cercando di elaborare una definizione del concetto di aggressività, poiché non è certa a priori l'esistenza di una specificità dell'atto aggressivo. Esempio di questa tendenza sono i lavori di Werbik, Kempf, Mummendey, tutti citati da Kornadt [1985]. Questi autori, partendo da argomenti logico-formali o epistemologici, cercano di definire compiutamente le caratteristiche che distinguono gli atti aggressivi da quelli non aggressivi.
E' chiaramente molto difficile esprimere una valutazione su questa opzione, poiché la definizione analitica di un fenomeno costituisce soltanto un passo preliminare rispetto alle concrete strategie operative di ricerca sperimentale, sulle quali soltanto è possibile formulare giudizi in merito alla possibilità di fornire nuove e più illuminanti spiegazioni del fenomeno.

B) Una seconda tendenza, che è certamente la più diffusa, mira ad un'integrazione delle varie teorie. Partendo dalla constatazione che le varie impostazioni teoriche sono sostenute da un numero considerevole di dati (e quindi non possono essere ignorate), si trae la conseguenza che una valida teoria dell'aggressività non può essere sviluppata a partire da una sola posizione teorica fondamentale.
Come nota giustamente Kornadt: "Un gran numero di recenti lavori fa questo, espressamente1 senza però in realtà riuscire a portare a termine questo progetto [di integrazione]" (4)
Molti critici, i cui commenti sono stati ampiamente citati nei capitoli precedenti, si richiamano espressamente a questa prospettiva; ad esempio: Bonino-Saglione [1978]; Caprara [1981]; K.R. Scherer - R.P. Abeles - C.S. Fischer [1981]; Di Maria - Di Nuovo [1984]. Kornadt riconduce a questa tendenza anche la posizione di Eibl - Eibesfeldt [1971].
Senza dubbio, in linea teorica, questa proposta ha una sua validità, perché è indubitabile che l'aggressività è un fenomeno complesso che può essere studiato da più punti di vista. Tuttavia la principale difficoltà di questa impostazione consiste nel delineare strategie operative di ricerca che, da un lato, rimangano fedeli all'assunzione teorica iniziale, e dall'altro, ottengano risultati che abbiano valore esplicativo. Inoltre, un altro limite proprio di questa tendenza deriva dalla difficoltà di conciliare metodi e strumenti di analisi propri delle varie discipline in uno studio globale del fenomeno dell'aggressività che eviti quei limiti di parzialità che vengono imputati alle tradizionali interpretazioni teoriche.

C) Una terza tendenza si è originata dalla consapevolezza dell'urgenza di problemi sociali quali l'aggressività nella politica, il terrorismo, la guerra, ecc. e ha praticamente annullato la frontiera tra affermazioni scientifiche ed opinioni politiche. Questa tendenza privilegia la ricerca di principi di intervento concretamente ed immediatamente attuabili per ridurre la portata negativa dei fenomeni distruttivi nella società. Benché a questa tendenza si possono ricollegare numerosi scritti, essa non sarà presa in considerazione in quanto esula dall'ambito delle teorie psicologiche entro il quale si colloca il presente scritto.

D) Infine, in una quarta tendenza possono essere collocati quei lavori che cercano di collegare la spiegazione dell'aggressività a teorie psicologiche, come la teoria generale della motivazione, che generalmente erano trascurate negli studi esaminati nei capitoli precedenti. In questa tendenza si inserisce la proposta di Kornadt, di cui si accennerà brevemente nel paragrafo seguente.

6.4. ESEMPIO DI UNA PROSPETTIVA DI RICERCA: LA PROPOSTA DI H.Y.
KORNADT

Nel già citato saggio: Teoria della motivazione dell'aggressione e sviluppo dell'aggressività, Kornadt avanza una "teoria integrata" del comportamento aggressivo che, a suo giudizio può costituire un valido orientamento per la ricerca sperimentale.
Pur senza procedere ad una ricostruzione analitica di questa proposta si cercherà solamente di individuare le caratteristiche salienti e di mostrare come essa possa fungere da esempio paradigmatico di una delle attuali tendenze di ricerca nel campo degli studi sull'aggressività.
Per Kornadt tale teoria integrata, se vuole rimanere nell'ambito delle teorie psicologiche, deve partire dall'individuo, cioè dal soggetto in azione. Inoltre, come nota lo stesso Kornadt, "l'essenziale della impostazione teorica integrata da noi richiesta è che non si riconosca solo l'esistenza di vari principi teorici uno accanto all'altro, ma che si spieghi come stiano tra loro in rapporto questi principi e i loro modi di interagire". (5)
Secondo Kornadt questa teoria integrata sull'aggressività deve appoggiarsi sul quadro concettuale fornito dalla teoria generale della motivazione, così come è stata sviluppata dalla ricerca sulla motivazione al successo iniziata da McClelland [1951] e Atkinson [1964] e sviluppata da numerosi studi di autori americani e tedeschi degli anni Sessanta e Settanta. Kornadt sostiene che sia la teoria dell'apprendimento sia l'ipotesi frustrazione- aggressività (entrambe centrate sull'analisi della situazione e degli stimoli ambientali), sia le teorie pulsionali (centrate sull'individuo) presuppongono impianti teorici meccanicistici e utilizzano ipotesi "unidirezionali" sulle modalità di reazione. Viceversa: "Le più nuove teorie della motivazione partono, invece, principalmente da un concetto di base intenzionalista e interazionista. Secondo questa teoria, si tiene conto di, sì pongono, si aspira a mete; le situazioni vengono interpretate e poi ricercate ed evitate, vengono anticipate reazioni del partner come conseguenza del proprio agire, o considerate nel processo stesso dell'azione come capaci di modificarsi. Le esperienze relative vengono accumulate e rappresentano una parte dei sistemi meta generalizzanti e dei modelli di azione. La teoria della motivazione è quindi una teoria della reciprocità dì persona e situazione e può abbracciare principi meccanicistici (per esempio attivazione dell'affettività), come interazionisti (considerazione e proponimento di mete)". (6)
Questo impianto teoretico proposto da Kornadt mette in luce in particolare tre aspetti che interessano direttamente le strategie operative di ricerca: il rapporto persona - situazione, l'importanza dei processi cognitivi e l'importanza dei processi emotivo - affettivi.

1) Il rapporto persona-situazione
Viene ipotizzata un'interazione di fattori personali relativamente stabili e fattori situazionali questi ultimi non provocano automaticamente l'attivazione dell'affettività, ma solo se sono percepiti dal soggetto. Occorre cioè individuare e definire una "motivazione stabile suscettibile ad essere attivata", cioè una caratteristica personale che può attivarsi solo nella misura e nella forma (motivazione aggressiva o inibizione all'aggressione, modelli di condotta, ecc.) in cui esiste nel singolo individuo.
Questa "motivazione stabile" si concretizzerà nella condotta, combinandosi con le caratteristiche della situazione in rapporto a mete concrete. E' chiaro quindi che per Kornadt non si può sostenere "né che la motivazione causa il comportamento, né che la situazione controlla il comportamento. Al contrario, tutte e due le componenti interagiscono in quanto entrambe necessarie ai fini del comportamento, e portano ad un agire che dipende (più o meno) tanto dai bisogni stabili quanto dalla situazione". (7)

2) L'importanza dei processi cognitivi
Per Kornadt i processi cognitivi giocano un ruolo essenziale nell' interpretazione e nell'attribuzione dell'intenzione (sulla validità e sull'opportunità di introdurre il concetto di intenzione, si rimanda alla contrapposizione tra Buss e Berkowitz, accennata nel capitolo 4°. Sempre per lo studio dell'aggressività i processi cognitivi svolgono un ruolo importante sia nell'anticipazione delle conseguenze della condotta, sia nella considerazione degli incentivi ad un dato comportamento.

3) L'importanza dei processi emotivo-affettivi
Per Kornadt i processi exnotivo-affettivi hanno tanta importanza per lo studio dell'aggressività quanto i processi cognitivi. Tuttora i processi cognitivi (strutturanti) sono però chiaramente distinguibili dai processi affettivi, come ad esempio la rabbia considerata una reazione affettiva ad esperienze avverse e che per Kornadt è il vero punto di partenza per Io sviluppo della motivazione aggressiva nell'individuo.
Per evitare il rischio di ricadere in posizioni istintivistiche Kornadt precisa che: "Anche se viene assunto che la reazione aggressiva come tale è specifica e ha forme di espressione universali (vegetative, mimiche e motorie), questa asserzione non implica che la motivazione aggressiva e il comportamento aggressivo siano totalmente condizionati in modo ereditario - genetico, Fanno parte della condotta aggressiva, come si è prima dimostrato, moltissimi rapporti situazionali, la loro percezione e la loro valutazione, elementi questi ovviamente dipendenti dall' esperienza". (8)
A questo punto, anche senza entrare nei dettagli della proposta teorica di Kornadt, è possibile individuare le conseguenze che derivano da essa per quanto riguarda le strategie operative di ricerca, che è l'aspetto che maggiormente interessa in questa sede.
Come scrive lo stesso Kornadt: "Il modello di elaborazione della condotta aggressiva permette di dedurre ipotesi più differenziate su quali potrebbero essere in dettaglio le differenze individuali nell'aggressività. Se tanti fattori (più o meno specifici) agiscono davvero insieme in una condotta aggressiva, le differenze individuali nell'aggressività non esisteranno solo globalmente, cioè quantitativamente in un grado di aggressività più "alto" o più "bassa", ma anche nel modo di esprimersi dell'aggressività nelle strutture del sistema motivazionale" (9).
Ciò significa che la motivazione aggressiva e l'inibizione dell'aggressività possono e debbono essere analizzate separatamente. Per esempio un comportamento aggressivo basso può essere determinato tanto da una motivazione aggressiva bassa, quanto da una motivazione aggressiva alta con una alta inibizione. Di conseguenza nelle analisi e negli esperimenti andranno individuate accuratamente le differenze individuali, sia determinate dal livello dei segnali-stimolo che inducono la rabbia, sia che attengono all'inclinazione ad associare intenzione differenti (malevole invece di benevole) all'esperienza di frustrazione, sia infine riferibili ai valori connessi all'aggressività (come le convinzioni del tipo: "la vendetta è una cosa giusta").
In questa prospettiva Kornadt fornisce, nello studio citato, una serie di schemi interpretativi del comportamento aggressìvo che a suo giudizio possono fungere da riferimento per possibili ricerche operative. Le parole conclusive del lavoro di Kornadt possono rappresentare sia un equilibrato giudizio sul confronto teorico e sulle attuali prospettive di ricerca sull'aggressività, sia un augurio per il futuro: "E' tempo di fare ricerche empiriche pianificate per l'esame sistematico di ipotesi che nascano dalla teoria, in modo da migliorare la nostra conoscenza dei fatti e di conseguenza, attraverso questa, la nostra comprensione teorica." (10)

NOTE AL 6° CAPITOLO

(1) G.V. CAPRARA, Personalità e aggressività, Bulzoni, Roma, 1971, pagg. 137-138.

(2) Ibidem, pag. 128.

(3) Ibidem, pag. 144.

(4) H.J. KORNADT, Teoria della motivazione all'aggressione e sviluppo dell'aggressività, trad. it. di O. Angelucci, in G.V. Caprara e P. Renzi (a cura di) "L'aggressività umana: studi e ricerche", Bulzoni, Roma, 1985, pag. 126.

(5) Ibidem, pag. 128.

(6) Ibidem, pag. 129.

(7) Ibidem, pag. 136.

(8) Ibidem, pag. 138.

(9) Ibidem, pag. 139.

(10) Ibidem, pag. 151.


 

 

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