Maurilio Lovatti
 Giovanni XXIII, Paolo VI e le ACLI
 Morcelliana, Brescia 2019, pag. 274, € 25

 

 

 

Resoconto della presentazione a Roma dal blog di Paola Villa

 

 

 

 

Presentazione del libro: Giovanni XXIII, Paolo VI e le Acli. Nicola Antonetti, Presidente Istituto don Luigi Sturzo don Ivan Maffeis, Direttore Ufficio Comunicazioni sociali della CEI Modera: Vania De Luca, presidente UCSI, con la partecipazione di Maurilio Lovatti (autore del libro) Emilio Gabaglio (Presidente Acli dal 1969 al 1972). 

Nota metodologica: non sono appunti integrali, oltre a non essere stati rivisti dagli autori, mancano pezzi rilevanti. Ma non ero inizialmente intenzionata a prendere appunti. E' stato solo durante che ho iniziato a farlo. Per l'impressione di essere di fronte ad un momento di reale dialogo. Sicuramente facilitato dalla distanza temporale con i fatti e dalle ricuciture avvenute nel frattempo, ma altrettanto sicuramente sostenuto da una postura franca e profonda degli intervenuti. 

Nicola Antonetti – Mai creduto che la storia sia maestra di vita. E' esattamente il contrario. E' la vita che insegna a leggere e studiare la storia. Mi sono accorto che ci sono permanenze che, sotto voce diversa, tornano, anche in epoche diverse e restano temi centrali. Una di queste permanenze è il rapporto fede-politica. Oggi potremmo chiamarlo religione-politica. Ma la permanenza c'è ancora, con la stessa drammaticità, oggi, anche se in veste diversa. 

Il termine comunità, aggregazione, di connotazione del mondo cattolico ha uno strappo profondo nel Concilio, perchè c'è il popolo di dio. E il popolo di Dio ha una riparametrazione continua. Queste tensioni io le ho viste trasparire nel percorso e nel libro.

don Ivan Maffeis - Questo libro potevo leggerlo solo in quaresima, come atto penitenziale. Non tanto perché il libro non si legga volentieri, anzi, questo sapiente intreccio di fonti... Il sapere penitenziale mi ha raggiunto ogni volta che tra queste pagine mi sono trovato a inciampare nell'acronimo Cei. Si direbbe che la relazione tra i vescovi e le Acli sia stata rigata da incomprensioni, richiami, prese di distanza, che restituiscono la chiesa del no. Viene da chiedersi come siano finiti quei rapporti all'insegna della piena e serena collaborazione degli esordi. Erano gli anni di Pacelli. Del movimento impegnato in tante attività e tanti servizi cooperativistici e ricreativi. Ma, come nota l'autore, già durante il pontificato di Giovanni XXIII si manifestano le prime significative incrinature. Gioca un ruolo il ruolo che Papa Roncalli affida alla Cei (non c'era ancora la Cei, ai vescovi italiani): il rapporto con la politica. Come presidente della CEI abbiamo il Cardinal Siri, sostenitore di una visione per cui i cattolici in politica devono essere esecutori obbedienti della gerarchia. In Acli prende vita il rinnovamento democratico, favorevole a cercare l'appoggio dei socialisti, visto come condizione per portare a casa le riforme per il paese. Orientamento che incontra la disapprovazione di Siri e che porta a dichiarare l'incompatibilità tra Acli e impegno parlamentare. Incompatibilità che poi entra nello Statuto, con possibilità di deroga.

Le Acli con la Mater et magistra si sentono interpellate, come con la Pacem in terris, per un impegno sociale per il bene comune. Si capisce anche la gioia per l'elezione di Papa Montini. Nella consapevolezza che il movimento delle Acli è legato a questo uomo che in quel momento è alla segreteria di stato. Le Acli sono viste come luogo formativo dei cristiani. Montini è animato da una visione che crede nella laicità. Da vescovo di Milano aveva difeso le Acli anche in Cei, che per bocca di Siri ne riconduceva il guasto alla struttura democratica. Il primo discorso alle Acli di Paolo VI è del 63. Paolo VI mette in fila le 3 funzioni assegnate alle Acli: testimonianza religiosa in campo sociale (con amicizia, esempio e solidarietà), formazione delle coscienze e promozione sociale. Funzioni che si riflettono nello sguardo con cui le Acli accolgono le consegne del Concilio. Una chiesa capace di proporre la visione cristiana dello sviluppo integrale dell'uomo.

Sono molto contento di conoscere Gabaglio perché le pagine dedicate alla sua presidenza sono quelle più irte di difficoltà. Fine del collateralismo, principio della libertà di voto, 1969. Ostilità del segretario DC Piccoli, che non esista ad appellarsi alla gerarchia, che mette in dubbio la ragione stessa di essere delle Acli. Acli che qui ribadiscono di non voler dare indicazioni di voto e di non escludere l'opzione socialista. E ribadiscono anche che ritengono sia compatibile il socialismo con l'ispirazione cristiana e costituisca ipotesi di sviluppo positivo per umanizzare la società, coerentemente con i principi evangelici.

Le Acli ritengono che l'esistenza di scelte diverse non minino l'unità ecclesiale. La ferma posizione della Cei è sottovalutata dalle Acli, che la ritengono un intervento di chiarificazione. E in questo contesto arriva, come una doccia fredda, l'intervento di Paolo VI del 1971. “Abbiamo deplorato che la Direzione delle Acli abbia voluto mutare l'impegno statutario del movimento e qualificarlo politicamente, scegliendo, per di più, la linea socialista, con le sue discutibili e pericolose implicazioni dottrinali e sociali”. Il libro è prezioso nella sua ricostruzione di una relazione. E significativo è come il commento ufficiale delle Acli si limiti a confermare che il magistero della Chiesa costituisce costante riferimento.

Nonostante questo la Cei conferma il suo orientamento favorevole all'unità politica dei cattolici e questo costituisce una difficoltà per l'intera comunità ecclesiale, non solo per le Acli. Le Acli avviano un ripensamento, che mira a recuperare un dialogo con la chiesa. In realtà i progressi si rivelano faticosi. Non manca nelle Acli un travaglio dai toni durissimi. Con la minoranza che arriva ad accusare la presidenza di essere mossa da opportunismo e clericalismo. Anche in questo clima le Acli intendono continuare a rappresentare una presenza cristiana. Nel 1976 c'è il convegno Evangelizzazione e promozione umana. Qui c'è un po' di svolta. Già nel documento preparatorio. Con riferimento al pluralismo e attenzione ai segni dei tempi. Il libro mostra come di fatto il percorso sia andato avanti secondo una reciproca e positiva contaminazione. Dove in Cei resta la preoccupazione per il sorpasso del PCI. Con un gran lavoro di pazienza di Rosati... poi viene il rapimento e l'uccisione di Moro, con le Acli a difesa delle istituzioni democratiche. Se la minaccia terroristica era stata sottovalutata, il movimento si riappropria qui della funzione critica della fede su ogni ideologia.

Concludo con l'auspicio che il lavoro copra anche gli ultimi 40 anni. Che la vostra presenza arrivi a rafforzarsi. In tempo di sfilacciamento, che permetta un rafforzamento di quel Popolo di Dio di cui siamo parte tutti, la Cei come le Acli. E che il rapporto con gli altri non sia avvertito come un limite ma come un'opportunità.

Maurilio Lovatti: Il punto di vista è quello che è emerso: capire la buona fede di entrambe le parti e capirci meglio reciprocamente. La chiave di lettura del libro è data dall'introduzione di Roberto Rossini, dove rileva questo. Mentre al tempo si vedevano soprattutto i motivi di dissapori, ciò che non permetteva un accordo, a mezzo secolo di distanza, alla luce di tutti i documenti, possiamo dire che i motivi di divisione erano contingenti. Riguardavano soprattutto la diversa visione sull'unità politica dei cattolici. Mentre i motivi di concordanza erano molto significativi. Le Acli erano vicine alla visione di Chiesa di Paolo VI e alla sua visione dei rapporti tra Chiesa e mondo. C'era una sintonia profonda. In fondo Paolo VI è stato un fondatore e un padre spirituale del movimento. Paolo VI è stato un padre spirituale delle Acli. 

Emilio Gabaglio: bellissimo libro, che ricostruisce con grande attenzione, anche di dettaglio, con grande capacità, un momento difficile della vita delle Acli, forse il più difficile che abbiamo, che avete vissuto. Anche se non sono mancate altre circostanze difficili. Cosa dire, dal mio punto di vista... Ho molto apprezzato l'intervento di don Ivan, che dice “Mi sono accinto a leggere nel periodo penitenziale”. Non è la Cei che deve fare penitenza, mi permetto di dire, perchè, come emerge dal libro, effettivamente è la Segreteria di Stato dell'epoca che avrebbe dovuto... perchè effettivamente ci sono due elementi: è vero che già dopo il congresso del p66, quando Paolo VI ricevette la Presidenza, ci fu un primo segnale. Di cui non si tenne eccessivamente contro. “Vi state collocando troppo sul terreno della politicizzazione del movimento”. E poi il 69, quando si dichiarò, al congresso di Torino, la fine del collateralismo delle Acli e il voto libero (e responsabile, si aggiunse nei sacri testi aclisti). Chiaro che questo scontrava non solo con la Cei. Anche nella Cei ci furono voci dissonanti. Ricordo il cardinal Pellegrino e non solo lui, che disse: Cosa state facendo? Quando si mise in moto il ritiro degli assistenti. E non solo lui. 

La questione contingente era nella visione storica della Chiesa. Il punto vero era l'unità politica dei cattolici. Poi intorno a questo si costruì il resto. Certo, come ricordava il professore, il 68 era il 68, c'era un riferimento a... non sul piano filosofico, ma sul piano dell'analisi storica, c'era l'uso di categorie marxiste, ma nessuno di noi aveva mai letto Marx, né aveva nessun cedimento verso il PCI. Con grande franchezza. Labor teorizzava il dialogo sul pianerottolo. Se il vicino di casa è comunista, diceva... ma non c'era nessuna propensione per il PCI. Vallombrosa '70 fa una condanna nettissima del socialismo realizzato in Unione Sovietica, in Cecoslovacchia. Non c'è nessun cedimento da questo punto di vista. La stampa del mondo conservatore ci lavora, c'era una speculazione attorno al fatto che ci fosse un cedimento sul terreno ideologico al marxismo. Ma lungi da noi, era escluso. Si fece persino una commissione, di cui si sono persi gli archivi, con presenze molto significative, per studiare il marxismo, per capire cosa ci separava da questa visione delle cose. Con professori della Gregoriana, Civiltà cattolica... La questione vera era l'unità politica dei cattolici, che noi mettevamo in discussione.

Su questo penso invece che Paolo VI fosse convinto che fosse ancora necessaria l'unità politica dei cattolici, per le condizioni del Paese. Quando esce la Octogesima Adveniens, al paragrafo 50, c'è la possibilità non solo della fine del collateralismo, arriva fino ad esperienze di tipo socialista. Questo dice. Quando ho letto questo, personalmente, mi precipito dal cardinal Benelli, che veramente sopra la Cei era lui l'interlocutore. E gli dico: “In fondo noi delle Acli non diciamo cose diverse”. La risposta di Benelli: “Caro dottor Gabaglio, l'Italia non è il Senegal”. Di fronte a questa espressione, il punto non è dottrinale, filosofico o teologico. La Chiesa pensava che in Italia fosse ancora necessario, a fronte del rischio del PCI, l'unità politica dei cattolici. PCI che non era già più, se mai lo era stato... In qualche fase lo fu, nell'immediato dopo guerra... Quello era il punto, quella la questione.

Non si poteva rimediare altrimenti, su quel terreno. Da parte delle Acli si prese atto di questa situazione di estrema difficoltà e molti di noi, tutti noi, capimmo che occorreva prendere tempo. Anche a costo di divisioni interne molto dolorose, specie per me, anche con tanti amici che erano stati amici delle vicende degli anni '60 e che avevano preparato gli ultimi passi. Compiere una rettifica e prendere atto che un cambiamento fosse necessario. Abbiamo fatto quello che bisognava fare.

Mi spiace che non sia con noi Rosati, che ebbe un grande ruolo per ricomporre le relazioni con la gerarchia ecclesiastica. A partire proprio dal convegno Evangelizzazione e promozione umana, che rappresentò non dico la piena legittimazione, ma un rientro delle Acli nel novero delle organizzazioni riconosciute da parte della gerarchia e della Chiesa italiana. E' stata una vicenda così... Vedo e mi fa piacere che le Acli ancora continuano...

don Ivan Maffeis: l'intervento di Gabaglio non ha bisogno di conferme, ma vale la pena leggere un passaggio del libro: “Il segretario del Papa, Mons. Macchi: “Se il papa avesse saputo certe cose, forse tutto sarebbe andato diversamente”. Apprendo da Gabaglio che le faccende Acli sono presentate al Papa da mons. Grillo, che opera su incarico di Benelli. Mi sono preso la responsabilità come sottosegretario della Cei...

Nicola Antonetti:Veramente molto utile l'intervento di Gabaglio. Era una cosa che io avevo cercato di intuire, leggendo il libro. Che in fondo l'attenzione era quella della cattolicità italiana. Il resto era un bagaglio che non poteva essere compreso. Io credo che quella novità culturale del 68 sia stata una verità che ha spostato l'occasionalità politica. La gente comincia a credere che non fosse una cosa scontata che... mentre la gerarchia continua a crederlo. State attenti che in quegli anni i cattolici si incontravano ovunque, si incontravano nelle battaglie per il Vietnam... Quella unità attorno alla DC era sfumata dentro. Si era frantumata. E il clima l'aveva frantumata. La mia generazione era già differente. Mio padre è stato DC, io non ne ho mai sentito il bisogno. Pur essendo meridionale. Avevo come capolista Moro e Amendola. Io mi interrogai, di fronte a quei nomi lì. Oggi il clima ha spazzato via tutto questo. Ci sono stati eventi profondi che hanno mosso e cambiato la società. La chiesa è rimasta sempre: avere una rappresentanza nella gestione della scuola, nel privato, sono fatti concreti. Perchè la Chiesa è fatta di cose concrete. Vedersi sfumare la parte sociale, vedere la chiesa divisa... è stato un fatto pesante per la chiesa. A gente che ragionava sul futuro del paese questi erano fatti non solo astratti, era una questione di pertiche. Di cose reali, concrete. Bisognava stare attenti a non perderne molte, di pertiche. Come poi le cose abbiano interagito con l'aria che cambiava... lo faranno gli storici del futuro... 



 

 

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