Paola Volonghi

 

 

appunti tratti dalle lezioni di filosofia del
 prof. Maurilio Lovatti 
(anno scolastico 2006-07)

 

Immanuel Kant

 

 

VITA: Kant nasce il 22 aprile del 1724 a Königsberg (al tempo nella Prussia orientale, con popolazione di lingua tedesca, ora in Russia). Entra in collegio per volontà della madre nel 1732 dove riceve una formazione orientata in senso etico - religioso e, quanto ai contenuti, incentrata sullo studio del latino, mentre era scarso lo studio del greco e la formazione scientifica - matematica. Nel 1740 s'iscrive all'università dove avviene l'importante incontro con Martin Knutzen, un wolffiano, cultore di scienze e in particolare della "filosofia naturale" di Newton. I primi interessi scientifici trovano espressione nel Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive. Dal 1747 al 1754 Kant è costretto a fare il precettore per guadagnarsi da vivere e nel frattempo legge Newton, Eulero, Huygens. Nel 1755 ottiene il dottorato: ora è magister. Tiene lezioni di logica, metafisica, meccanica, geografia fisica, aritmetica, geometria, trigonometria. Non ha uno stipendio fisso, ma è retribuito in relazione ai corsi che tiene. Studia i metafisici tedeschi, gli empiristi inglesi e Rousseau. Nel 1770 diviene professore universitario di logica e metafisica. Inizia la fase più feconda: nel 1781, dopo undici anni di laborioso silenzio, esce la prima edizione della Critica della ragion pura (la seconda nel 1787); nel 1788 è la volta della Critica della ragion pratica a cui seguirà dopo due anni la Critica del giudizio. Gli ultimi anni di vita furono turbati, oltre che dalla salute malferma, dal conflitto con l'autorità politica. Per aggirare la censura riunisce in un libro, La religione nei limiti della semplice ragione, alcuni saggi di argomento religioso. Il libro ottiene l'autorizzazione ma attira sulla testa di Kant i fulmini del sovrano che condanna il libro. Rispondendo al sovrano Kant si difende dall'accusa di aver travisato la dottrina cristiana, ma accetta l'imposizione per dovere d'obbedienza. Nel 1796 Kant smette di fare lezione, nel 98 pubblica un ultimo importante scritto, il Conflitto della facoltà. Muore il 12 febbraio 1804.
È un filosofo tedesco, rappresenta uno dei classici del pensiero moderno. È il primo a scrivere libri importanti di filosofia in tedesco, in un'area culturale dove il latino aveva resistito più a lungo: basti pensare a Leibniz e il suo discepolo Wolff che scrivevano ancora in latino.
Kant scrive, in tedesco, dopo 12 anni di meditazione sui problemi posti da Hume, e in particolare sulla connessione necessaria tra causa ed effetto, "La critica della ragion pura" in 4-5 mesi, usando un tedesco difficile da tradurre, con una terminologia complicata.
La prima traduzione dell'italiano Mantovani del 1825 è molto fuorviante perché il tedesco è una lingua che per alcune parole (come ragione, intelletto) ha due termini, uno di origine latina e l'altro di origine sassone (barbara). Perciò traducendo in italiano con la stessa parola si perde la sfumatura.
Kant deve inventare una terminologia e spesso è lui stesso impreciso.
Tra il 1781 e il 1790 scrive:
· La critica della ragion pura
· La critica della ragion pratica
· La critica del giudizio
Precedentemente (nel periodo pre-critico, cioè prima dei 12 anni di meditazione) aveva insegnato materie con interesse di tipo scientifico (studiava Newton). Quando Kant era studente, nelle università la filosofia era insegnata in latino, basandosi su Leibniz e Wolff. Kant risente quindi di questi influssi: da una parte il razionalismo (da Leibniz che credeva nelle idee innate e che la ragione può possedere delle conoscenze indipendentemente dall'esperienza, tesi contraria all'empirismo di Locke) dall'altra l'empirismo e gli interessi scientifici (in particolare derivati dallo studio di Newton).
Queste tre critiche si occupano, in ordine:
· Critica della ragion pura (critica della conoscenza): è un'analisi critica delle procedure con cui l'uomo arriva a conoscere.
· Critica della ragion pratica: che riguarda le regole morali (regole dell'agire pratico).
· Critica del giudizio: la prima parte riguarda l'estetica (cos'è il bello), la seconda il giudizio riflettente, ossia il giudizio che tiene conto del principio di finalità.


CRITICA DELLA RAGION PURA

Qual è il problema che Kant si pone?
Era rimasto colpito da Hume: nella seconda metà del '600 e nel '700 la fisica di Newton era considerata una certezza, un sapere incontrovertibile; Hume con la sua critica aveva aperto una crepa; affermava che, se non c'è connessione necessaria tra causa e effetto, le leggi scientifiche possono perdere il loro valore (per Newton, per esempio, i principi della dinamica erano sempre veri). Kant riflette perciò sul pensiero di Hume; per 12 anni si chiede cosa sia veramente la conoscenza. Ci mette 12 anni perché non riesce mai ad esserne soddisfatto, quando finalmente lo è, scrive l'opera in pochi mesi.
Nell'introduzione Kant chiarisce bene l'origine del problema della conoscenza. Si chiede: come mai nella geometria euclidea, nell'algebra, nella fisica tutti gli studiosi competenti sono d'accordo? Nel senso che se noi prendiamo qualunque matematico, nessuno ci dice che Euclide non ha ragione.
Perché la matematica e la fisica hanno fatto questi progressi e la filosofia no? Perché ci sono continue contrapposizioni e non ci sono principi presi da tutti come validi? I filosofi hanno infatti idee opposte fra di loro (Aristotele criticava Platone, gli empiristi sono contro i razionalisti). Un filosofo può da un momento all'altro ribaltare tutto, cosa che non può avvenire in fisica e in matematica. Kant dice: ci sono dei campi che si muovono sui sentieri sicuri della scienza e invece ci sono ambiti del sapere in cui ogni volta si ricomincia da capo.
La domanda iniziale di Kant era: è possibile la filosofia come scienza?
Per rispondere bisogna analizzare come avviene la nostra conoscenza, come mai raggiungiamo la certezza solo in alcuni campi e in altri no. La conoscenza umana non è solo sensibile: l'esperienza fornisce i dati su cui noi basiamo i ragionamenti e i concetti. Ora, per esaminare criticamente i fondamenti della conoscenza, si può partire o dai concetti (che sono alla base dei giudizi) o dai giudizi. Aristotele (coma anche S. Agostino) partiva dal concetto perché diceva che per avere un giudizio bisogna avere dei concetti.
Es: "Il cielo è azzurro" e "Socrate è un filosofo" sono entrambi dei giudizi e contengono almeno un concetto (cielo, azzurro, filosofo).
Le concatenazioni di giudizi costituiscono poi i ragionamenti.
Il giudizio è la parte più piccola del discorso di cui si può dire se è vero o falso (come aveva sostenuto Aristotele).
Aristotele diceva che siccome il giudizio è composto da concetti, il concetto viene logicamente prima del giudizio (devo capire cosa significa cielo, azzurro, filosofo per formulare un giudizio). Questo è però solo un modo di vedere la cosa, perché Kant dice che per definire i concetti ho comunque bisogno dei giudizi (questo era implicito per Kant).
Per Kant occorre quindi partire dai giudizi, che possiamo distinguere in:
· Analitici: è un giudizio nel quale il predicato è già incluso nel soggetto. "Tutti i corpi sono estesi": quando penso al concetto di corpo lo penso già come esteso. Sono giudizi sempre veri a priori. La validità è data dallo stesso principio di non contraddizione.
· Sintetici: giudizi in cui il predicato non è già incluso nel soggetto. "Qualche corpo è pesante", oppure "Questa biro è blu", sono giudizi sintetici, a posteriori.

Esistono dei giudizi sintetici a priori?
Se esistessero sarebbe un vantaggio perché avrebbero gli aspetti positivi di entrambi i giudizi.
Quello analitico è universale e necessario, ma ha come difetto il fatto che è una conoscenza sterile, che non mi aggiunge niente di nuovo.
Es: se ho una biro nel cassetto, sapere che è estesa non mi serve a niente, ma potrei essere interessato a sapere se scrive o di che colore è.
Il giudizio sintetico, invece, ci dà informazioni in più, è fecondo e non sterile, però non sempre è vero e ho sempre bisogno dell'esperienza per accertarmene.
Quindi il giudizio sintetico a priori avrebbe sia l'universalità e la necessità del giudizio analitico sia la fecondità del giudizio sintetico.
Kant dice: se noi costatiamo che nella geometria, nella fisica e nella matematica esistono dei giudizi sintetici a priori la domanda iniziale diventa: "è possibile una filosofia che si basa su giudizi sintetici a priori?" e avremmo quindi la filosofia come scienza. Per questa bisogna porsi un'ulteriore domanda: "come sono possibili i giudizi sintetici a priori?".
Secondo Kant i giudizi sintetici a priori esistono. Ma come lo spieghiamo?
nella FISICA, ad esempio prendiamo F = ma e valutiamo che tipo di giudizio è.
Siccome abbiamo visto che le possibilità sono tre, per poter dimostrare che è un giudizio sintetico a priori dobbiamo escludere che sia un giudizio sintetico a posteriori o analitico (a priori).
Può essere analitico? NO! I giudizi analitici sono tali che il loro opposto è necessariamente contraddittorio, per esempio "tutti i corpi sono estesi", se dico che questo corpo non è esteso è contraddittorio. Se affermo delle negazioni della formula (come ad es. F=3ma; F=2ma...), sappiamo che F=ma è vera, ma non possiamo affermare che F=3ma è contraddittoria, è semplicemente falsa.
Le formule fisiche non sono vere di per sé, ma sono frutto di esperimenti.
Analitico è quel giudizio che si fonda solo sul principio di non contraddizione.
Può essere sintetico a posteriori? NO! Newton ha sottointeso che quella legge valesse come universale; una legge fisica è pensata come universale e necessaria. Se fosse un giudizio a posteriori non sarebbe più universale, perché nessuno garantisce che in ogni caso la formula sia valida. Invece questo giudizio vale anche per quegli eventi che non si sono ancora verificati ed è quindi universale, nel senso che non ammette eccezioni.
Perciò il giudizio è sintetico, perché ci dice qualcosa in più (nella definizione di forza non è incluso l'essere direttamente proporzionale alla massa a parità di accelerazione)  e non è puramente a posteriori, ma è a priori, perché intende estendersi a tutti gli eventi in ogni tempo e in ogni luogo.
Questo ragionamento oggi non sarebbe più valido, in quanto nel '600 si credeva che la fisica di Newton fosse assolutamente vera, ma con il progredire della scienza e specialmente con Einstein ci si è resi conto che non è realmente così.
Nella GEOMETRIA, prendiamo un teorema: la somma degli angoli interni di un triangolo è pari a un angolo piatto.
Che giudizio è? Il teorema si fonda necessariamente sul principio di non contraddizione, se quindi sono vere le ipotesi iniziali (postulati, definizioni e assiomi) allora anche la conclusione sarà vera. Kant riconosce che nella dimostrazione dei teoremi si compie un procedimento analitico, ma il problema sta nel punto di partenza: se le definizioni e i postulati, e quindi le premesse, sono sintetiche a priori, allora anche le conclusioni sono sintetiche a priori. Perciò il teorema è sintetico a priori.
Ma perché i postulati sono sintetici a priori?
Kant dice: nella geometria noi abbiamo come definizione che la retta è una curva diritta. Dire che la retta è diritta è analitico, però è anche vero che la retta è anche la distanza più breve tra due punti. Questa seconda definizione è sintetica, perché mi dice qualcosa di più del significato di retta.
Se prendiamo il 5° postulato di Euclide, che dice che per un punto passa una e una sola retta parallela ad un'altra retta data, è un giudizio sintetico, perché negarlo non è contraddittorio.
Perciò la geometria non è analitica, perché ha alla base giudizi sintetici.
Può essere sintetica a posteriori? NO! È come per la fisica: se prendiamo la definizione di retta questa l'ho verificata solo per alcune rette e ho poi esteso il giudizio a tutti i casi, lo penso come universale.
Il giudizio è sintetico a priori.
nell'ARITMETICA: queste questioni sulla fisica e sulla geometria, rapportate al tempo di Kant (cioè prima della scoperta delle geometrie non euclidee) sono considerate valide, mentre per l'aritmetica la questione è più controversa. Kant voleva solo far vedere che i giudizi sintetici a priori esistono di fatto e su di essi l'uomo ha potuto costruire scienze incontrovertibili: per cercare di fondare la filosofia come scienza, quindi, gli bastava analizzare le modalità di formazione del giudizio sintetico a priori nelle altre scienze per applicarle alla filosofia.
Prendiamo un esempio fatto da Kant: 5+7=12
Non è sintetico a posteriori per lo stesso motivo di prima (cioè che 5 più 7 fa sempre 12).
È analitico? Leibniz sosteneva che lo fosse, perché si utilizza il principio di non contraddizione e la somma è semplicemente la reiterazione dell'operazione di aggiunzione di un unità (concetto di successore di un numero naturale). Kant utilizza due argomenti abbastanza dubbi per dimostrare che non è analitico:
· Se noi prendiamo separatamente il concetto di 5, 7 e somma non è implicito il 12, invece quando noi pensiamo al corpo è implicita l'estensione di esso.
· Noi vediamo subito che 5+7 fa 12, però se noi abbiamo dei numeri enormi dobbiamo calcolare la somma e quindi la verità del giudizio emerge solo dopo un ragionamento.
Kant pensa che la successione dei numeri naturali implica qualcosa di sintetico, un'aggiunta. Questo qualcosa di nuovo è dato dal fatto che noi ogni volta aggiungiamo uno. Leibniz non condivideva questo ragionamento.
Dimostrato che esistano quindi giudizi sintetici a priori, per vedere se valgono anche per la filosofia, dobbiamo fare un'analisi della conoscenza umana e domandarci come sono possibili questi giudizi. Una volta determinato questo, bisogna vedere se si possono applicare alla filosofia.
Come conosce la mente?
Abbiamo visto con Aristotele la distinzione tra conoscenza sensibile analizzata nella parte chiamata "estetica trascendentale" e intellettiva analizzata nella parte chiamata "analitica trascendentale".
Kant non vuole dire che esistono due tipi di conoscenza, ma che c'è una componente sensibile e una componente intellettiva. Non sono separate, lui le distingue solo per esigenza metodologiche, per poterle analizzare meglio, anche se parte di un'unica conoscenza.

ESTETICA TRASCENDENTALE

Analisi della conoscenza che proviene dai sensi, dall'esterno; trascendentale significa quella conoscenza che non riguarda i contenuti della conoscenza, ma che riguarda il nostro modo di conoscere in quanto possibile a priori.
Trascendentale non equivale a trascendente (oltre, al di là di…Dio è trascendente rispetto al mondo)
San Tommaso aveva chiamato trascendentali quegli attributi che andavano oltre le categorie di Aristotele.
Kant sfrutta quest'idea dicendo che un'analisi del modo con cui si conosce, va oltre i contenuti. Per Kant perciò la conoscenza trascendentale riguarda la modalità della conoscenza, in quanto possibile a priori.
Si analizza la conoscenza sensibile per determinare se sono possibili i giudizi sintetici a priori. Nella conoscenza sensibile possiamo distinguere fra:
· Forma: ogni relazione possibile fra i contenuti.
· Materia (contenuto): colori e forme geometriche (vista); suoni (udito); sapori (gusto); odori (olfatto); percezioni tattili (tatto).
Qualunque contenuto può essere a priori? NO, perché ci proviene proprio dall'esperienza (5 sensi).
Abbiamo quindi due possibilità:
che non esista alcuna conoscenza a priori (S.Tommaso, Aristotele, Locke, Hume) oppure, se qualcosa a priori c'è non attiene al contenuto, ma alla forma.
Ovviamente di relazioni ce ne sono tante (questo blu è diverso da quello) ma per questo tipo di relazione, se devo fare un confronto, devo avere già una conoscenza intellettiva e perciò non rientrano nella conoscenza sensibile (il confronto deriva da un giudizio che rientra nella conoscenza intellettiva).
Devo quindi porre attenzione a quelle relazioni che posso percepire intuitivamente, che non richiedono un giudizio (o un ragionamento).
Kant dice che le uniche due relazioni immediate che potrebbero essere a priori sono lo spazio e il tempo. Nel momento in cui ho la conoscenza sensibile la colloco immediatamente nello spazio e nel tempo senza ragionare. Perciò spazio e tempo sono le uniche intuitive, che colgo immediatamente nell'atto del percepire.
Ho due possibilità:
· O sono contenuti della realtà, tratti dall'esperienza (come per gli empiristi)
· O sono a priori
Kant nell'estetica trascendentale cerca proprio di dimostrare che spazio e tempo sono a priori.
a) Per esposizione metafisica si intende filosofica (fornisce delle ragioni a sostegno della tesi dell'apriorità dello spazio e del tempo).
Quando abbiamo la conoscenza sensibile percepiamo le cose fuori di noi, ma non l'ego, il soggetto percepente, perciò la percezione di noi stessi "scorre nel tempo".
C'è una differenza fra spazio e tempo: lo spazio è percepito come ordine delle cose intorno a noi, il tempo è percepito come ordine delle cose dentro di noi.
Spazio e tempo hanno in comune di essere relazioni d'ordine, cioè le nostre percezioni non sono caotiche, ma ordinate nello spazio e nel tempo.
Quindi spazio e tempo sono esterni o appartengono al soggetto? e il senso comune ci fa intuire che i rapporti spaziali che vediamo corrispondono alla realtà e quindi tendiamo a convincerci che noi, nella nostra mente, "rispecchiamo" le cose come sono. Kant dice che potrebbe essere che le relazioni che il soggetto intuisce non sussistono di per sé.
1) Ma lui vuole dimostrare che lo spazio non è empirico: noi abbiamo già l'idea di spazio a priori, non nel senso che è innata dalla nascita, ma che non dipende dall'esperienza.
Noi tendiamo a pensare che un ordine ci sia, ma Kant dice che l'ordine spaziale ce l'abbiamo già nella mente e quindi riusciamo a percepire. Contrariamente al senso comune (concezione empirista) Kant dice che noi abbiamo innata una predisposizione alla rappresentazione spaziale che rende possibile la nostra conoscenza. In contrasto con le concezioni empiriste di Locke e Hume dello spazio.
2) Non riusciamo a immaginare di vedere qualcosa che non sia spazialmente disposto, ma si può pensare a uno spazio vuoto. Qualche percezione visiva ha dei colori, però noi possiamo immaginarci della situazioni percettive che non hanno tutti i colori (film in bianco e nero). Non sono gli oggetti che ci danno l'idea di spazio, ma è la nostra idea di spazio che ci permette di percepire gli oggetti. Kant approva alcuni risultati conseguiti dall'empirismo, ma poiché la sua formazione filosofica si è sviluppata in Germania era anche aperto a influssi del razionalismo.
Questi primi due punti sono concezioni contro l'empirismo.
3) L'idea di Leibniz era che i rapporti spaziali sono frutto solo della nostra concettualizzazione. Per Kant lo spazio non è solo un concetto "discorsivo". Kant intende dire che lo spazio non è solo un concetto, ma anche un'intuizione. La differenza è che l'intuizione è immediata. Per esempio io osservo la classe e conosco dei rapporti spaziali.
Siccome stiamo esaminando l'estetica trascendentale, non ci interessa lo spazio come concetto, che verrà analizzato più avanti con l'analitica, ma come intuizione. Dice che è sbagliata la tesi razionalista dello spazio solo come concetto, perché è anche intuizione (intesa non nel significato diffuso nel senso comune, ma nel senso di conoscenza immediata: se dico "questa è una biro" sembra una conoscenza immediata, ma l'intuizione è diversa dal concetto perché questo presuppone la conoscenza intellettiva). Lo spazio è quindi un'intuizione pura (pura nel senso che non presenta elementi a posteriori).
Per esempio se io ho tre bastoncini e devo costruire un triangolo. Se uno è più lungo della somma degli altri due io so, per intuizione, che non potrò costruire un triangolo, in questo caso per Kant non c'è bisogno di una dimostrazione o di un ragionamento.
4) Chiariamo il discorso con un esempio. Se prendo il concetto universale di biro lo posso predicare di tutte le biro e lo stesso si può dire con il concetto di spazio.
Ma io posso dire che il concetto di biro è un concetto universale, ma non contiene tutte le biro come parte di sé, mentre per spazio e tempo questo accade. Se io considero lo spazio dell'aula, della cattedra, del banco…fanno parte dello spazio come loro parte. Spazio e tempo sono concetti e intuizioni, mentre gli altri concetti (albero, biro…) non sono intuizioni.
Ma perché questo è importante contro i razionalisti? Perché se fosse vero che lo spazio e tempo sono solo concetti, poiché noi sappiamo che per concepire questi concetti abbiamo bisogno dell'astrazione, di alcuni dati, questi presupporrebbero qualcosa a posteriori e quindi sarebbero come gli altri concetti.
Nessun cavallo è la somma infinita di tutti i cavalli, nessuna biro è la somma infinita di tutte le biro.
I punti 3 e 4 sono contro Leibniz. Ragionamenti analoghi sono svolti per il tempo.

b) Segue poi l'esposizione trascendentale del concetto di spazio, ossia che riguarda la modalità stessa del conoscere.
Leibniz fonda la geometria sul principio di non contraddizione.
La geometria per Kant è una scienza che determina le proprietà dello spazio sinteticamente, ma tuttavia a priori. Kant dice: la geometria esiste ed è basata su giudizi sintetici a priori e se questa c'è l'uomo può pensarla. Quali sono le condizioni che rendono possibile questo risultato? Già nell'intuizione di spazio c'è qualcosa che rende possibile la geometria. Dall'analisi di un semplice concetto (tipo lo spazio) io avrò che tutti i giudizi sono a priori, analitici. Ma se le affermazioni della geometria si fondano su giudizi sintetici a priori non possono essere semplicemente le conseguenze logiche dell'analisi del concetto di spazio, perché altrimenti la geometria sarebbe tutta analitica.
Es: "lo spazio ha tre dimensioni": questa non può essere una conseguenza logica del concetto di spazio, perché possono esistere delle geometrie con n dimensioni.
Noi però non possiamo che intuire lo spazio a tre dimensioni. In questa nostra rappresentazione dello spazio, perché sia possibile la geometria euclidea, non posso trovare solo le conseguenze logiche dal concetto di spazio, perché alcuni enti geometrici presuppongono un'intuizione. Lo spazio non possiamo che immaginarlo euclideo, perché nell'intuizione di spazio c'è già qualcosa a priori.
L'universalità e la necessità della geometria sono rese possibili da qualcosa che c'è nell'intuizione dello spazio, in altre parole: perché la geometria sia possibile dobbiamo avere un concetto di spazio che sia universale, affinché la geometria non sia solo sintetica, ma anche necessaria e universale.
Se noi siamo in grado di pensare alla geometria euclidea, significa che deve essere possibile, quindi è possibile avere dei giudizi a priori che non si fondano solo sull'analisi concettuale, ma che, viceversa, alla base presuppongono una rappresentazione dello spazio nella nostra mente che non cambi mai.
La nostra rappresentazione dello spazio è una forma nel senso esterno in generale, ma è indipendente dall'esperienza.
Ma uno potrebbe obiettare Kant: come faccio a capire che tutti i soggetti percepiscono a priori lo spazio nella stessa maniera?
Kant non vuole fare un'analisi empirica, ma un'analisi trascendentale. L'uomo percepisce in maniera ordinata. Per intuire il mondo esterno è necessario avere un concetto di spazio e di tempo a priori, che ci permettono di ordinare la conoscenza.
Qualunque altra spiegazione che non garantisce che la geometria euclidea è valida, non va bene.

Conclusioni:
La cosa più controintuitiva è che, finché lo spazio è visto come una facoltà del soggetto, la spiegazione di Kant è accettabile, ma il problema è fuori dalle percezioni degli uomini. Perciò lo spazio com'è? Com'è lo spazio in sé? Non si sa, risponde Kant, noi sappiamo solo come lo percepisce il soggetto. Quindi c'è la distinzione fra:
· Fenomeno: le cose che appaiono all'uomo.
· Noumeno: com'è la cosa indipendentemente dall'essere percepita, per Kant però non possiamo conoscerlo perché è in conoscibile in linea di principio.
La nostra percezione dello spazio da un lato è oggettiva (nel senso di reale, che ci fa conoscere la realtà) ma in un certo senso è anche soggettiva (che dipende dal soggetto conoscente), ideale perché lo spazio è una caratteristica dei fenomeni e non dei noumeni.
Si parla di rivoluzione Copernicana di Kant per il diverso modo di affrontare il problema della conoscenza. Prima di Kant si dava per scontato che era la nostra conoscenza che si adeguava agli oggetti, alla realtà del mondo esterno (come prima la terra era ferma e i pianeti le giravano intorno e poi si pensò il contrario). Dopo Kant l'ordine spazio temporale veniva dato dal soggetto, quindi sono i dati sensibili che si adattano a quest'ordine dato dal soggetto.
L'estetica riguarda la conoscenza sensibile.
Poi la logica la divide in:
ANALITICA, studia la conoscenza intellettiva e, simmetricamente all'estetica cercale componenti a priori; la DIALETTICA, che spiega perché non è possibile la filosofia come scienza (applica l'analitica e l'estetica alla metafisica).


ANALITICA TRASCENDENTALE

Anche qui fa la distinzione della conoscenza intellettuale tra Forma e Materia (contenuto)
Contenuto: mentre nell'estetica erano i dati sensibili, nell'analitica il contenuto è dato dai concetti. I concetti sono tutti a posteriori, perché per pensarli devo aver avuto prima l'esperienza.
Es: per avere il concetto di azzurro, devo averlo visto, quindi bisogna escludere la materia perché è tutta a posteriori.
Forma: siccome i giudizi sono composti da concetti, qual è la forma?
Es: uomo e mortale sono due concetti.
Ma posso dire:
Tutti gli uomini sono mortali
Qualche uomo è mortale
Nessun uomo è mortale
Uso sempre i due concetti, ma risultano giudizi diversi Proviamo a determinare delle categorie, cioè dei concetti puri a priori, dalla forma dei giudizi (i vari tipi di giudizi sono diversi: ho diverse possibilità logiche).
Per Kant i giudizi sono 12 divisi in 4 gruppi da tre:
· Quantità:
singolare: Socrate è un uomo
particolare: qualche uomo è bianco (lo riferisco solo a una parte)
universale: tutti gli uomini sono mortali
Ricaviamo delle categorie che sono: unità, pluralità e Totalità
· Qualità:
affermativo: l'uomo è animale
negativo: l'uomo non è un vegetale
infinito: l'uomo è un non vegetale
per noi il significato è lo stesso ma Kant dice che la forma è diversa. Molti l'hanno criticato ma lui vuole mantenere i gruppi di tre perché vuole far vedere che dalla prime due deriva la terza.
Da realtà e negazione, ricaviamo la limitazione.
· Relazione:
categorico: la foglia è verde (devo poter distinguere sostanza e accidente)
ipotetico: se c'è il fumo allora c'è il fuoco (individuo una causalità)
disgiuntivo: l'alunno è promosso o bocciato
· Modalità:
problematico: la foglia può essere verde
assertorio: questo gatto è grigio (esistenza)
apodittico: il corpo deve essere esteso
Aristotele = categorie = vari tipi di realtà
Kant dice che Aristotele è arrivato a individuare le categorie rapsodicamente, cioè a tentoni.
Seguendo il criterio di Kant determiniamo che le categorie sono 12.
Kant le deduce in modo sistematico e lui la chiama "deduzione metafisica delle categorie".
Nell'analitica oltre a questo troveremo:
2) Deduzione trascendentale delle categorie
3) Schematismo trascendentale
4) Dottrina dei principi puri dell'intelletto
Uno potrebbe dire "ma se le cose stanno così, avremmo come 12 idee innate, poiché le categorie sono a priori e torneremmo al platonismo".
Kant afferma che le categorie non sono idee innate, perché non hanno di per sé un contenuto, ma sono modi della mente di interpretare la realtà, sono funzioni innate dell'intelletto (quindi a priori).
Es: causa: non è un'idea innata, ma la uso solo per mettere in relazione delle mie idee (dati) a posteriori. "Il sole scalda il sasso" sto usando già la causa, ma per mettere in relazione sole e sasso che ho già percepito con l'esperienza.
Perciò il contenuto è dato dall'esperienza, ma la forma logica è data dalla mente.
Kant chiama intuizioni o dati del molteplice sensibile l'esperienza, e categorie la parte innata.
"Le intuizioni senza le categorie sono cieche, ma le categorie senza le intuizioni sono vuote".
Quindi se ho i dati, ma non li penso, non conosco, ma se ho i pensieri e non i dati da mettere in relazione non conosco comunque (se ho la categoria di causa, ma non conosco il sole e il sasso non la posso usare).
Sono connessi, devo usarli entrambi per conoscere.
C'è la simmetria fra i 4 gruppi (3,3,3,3 e il terzo deriva dai primi due).
Ma Kant dice che possiamo avere due grandi gruppi:
Qualità e quantità ( Statiche o matematiche) per determinare i caratteri della realtà; Relazione e modalità (Dinamiche o fisiche), per concepire i cambiamenti.
"Deduzione trascendentale delle categorie":
Lo stesso Kant ha dato delle spiegazioni parzialmente diverse nelle due edizioni della Critica su questo tema.
"Deduzione" non ha lo stesso significato che ha nella deduzione metafisica delle categorie. Non bisogna prenderlo in senso matematico (ossia come una dimostrazione) ma in senso forense e giuridico, cioè dedurre è un diritto.
Es: una casa è di mia proprietà, io ho perso l'atto notarile, il notaio è morto e quell'atto è andato perso. Il fatto che io l'ho abitata, l'ho usata è testimoniato, ma se uno mi dice che è sua, andiamo in tribunale e l'avvocato deduce da un dato di fatto che esiste il diritto.
Kant usa questo perché il dato di fatto è che l'uomo ha la conoscenza universale e necessaria nella geometria e nella fisica e bisogna dimostrare come mai è possibile. Come?
Se le categorie sono soggettive (cioè le aggiungo il soggetto, ma non sono in realtà nelle cose in sè), come mai i giudizi fondati sulle categorie funzionano, cioè ci spiegano come è la realtà? Come posso partire da qualcosa di soggettivo e arrivare a qualcosa di oggettivo? Ma perché questo problema non l'ha posto con l'estetica? Non si pone il problema perché nella conoscenza sensibile la percezione è data, mentre il soggetto la subisce, (non è pensata come nella conoscenza intellettiva) cioè non è una conoscenza "attiva".
"L'appercezione trascendentale" o "io penso" significa percezione pensata, consapevole. Appercepire è la consapevolezza di aver percepito il dato.
Kant dice che perché l'esperienza possa avvenire non basta ricevere i dati dai sensi, ma dobbiamo ordinarli e comprenderli. Questo presuppone un'unificazione consapevole: il soggetto deve essere consapevole dell'atto conoscitivo.
Es: ho una biro in mano, sento che è nera, liscia, leggera…per pensare tutti questi concetti devo averli unificati consapevolmente in un oggetto. La conoscenza sensibile non è abbastanza se non c'è la conoscenza intellettiva: io vedo il nero, ma devo essere consapevole che questo è nero, quindi questo pensiero è una forma di conoscenza intellettiva.
Ma uno potrebbe dire: se vedo il nero è solo una percezione sensibile, ma in realtà è già un giudizio. Tutta la nostra conoscenza deve essere pensata: il percepire qualcosa implica già che la possiamo pensare (conoscenza intellettiva e sensibile si implicano a vicenda).
Per Hume l'io come soggetto conoscente non era percepibile empiricamente, per Kant il fatto di spiegare come l'uomo può avere giudizi sintetici a priori era una risposta a questa difficoltà di Hume (e anche alla causalità); per Kant l'appercezione trascendentale è comune a tutti gli uomini perché è la precondizioni della conoscenza.
Per conoscere, l'uomo ha bisogno della appercezione trascendentale (io penso), categorie e intuizioni pure di spazio e tempo.
Siccome l'uomo conosce e per conoscere ha bisogno di queste, allora l'uomo le ha (la mente dell'uomo può essere diversa per altri aspetti e caratteri, ma in questo ogni uomo è uguale).
La conoscenza è la realtà come noi la conosciamo, la possiamo conoscere, ma non la realtà come sarebbe anche se noi non la percepissimo (noumeno). Se tutto questo è il presupposto per la conoscenza, la giustificazione del fatto che la realtà si rifà alle categorie è dovuta al fatto che noi percepiamo con le categorie.
Ma rispetto alla domanda iniziale "come mai se le categorie sono imposte dal soggetto le troviamo in realtà?"
Noi non imponiamo il concetto di causa alla realtà. La realtà è inconoscibile.
Es: se vedo il vetro e il sasso che rompe il vetro, è la nostra conoscenza che usa le categorie, quindi la relazione di causalità è imposta dal soggetto.
Però il discorso di Kant non si riduce a questo, le categorie non servono solo a contrastare Hume, non sono un escamotage per evitare le difficoltà poste dalla critica humiana alla connessione necessaria tra causa ed effetto, perché senza le forme a priori non potremmo avere nessuna conoscenza, non solo quelle che derivano dal concetto di causa.
Es: se dico "il sasso è caldo perché il sole l'ha scaldato" presuppongo la categoria di causa, ma anche se dico "la biro è nera" anche non mi baso sulla causalità, c'è comunque l'intervento del soggetto, che qui usa la categoria di sostanza. La componente a priori non interviene solo nella relazione di causalità ma in tutte le conoscenze intellettive.
Il soggetto aggiunge la struttura a priori alla conoscenza.
Come si spiega che le categorie sono imposte dal soggetto e le troviamo in realtà?
Es: un bambino nasce con delle lenti azzurre sugli occhi e dice che tutte le cose hanno una sfumatura azzurra, anche se in realtà non è detto che sia così, perché le cose potrebbero anche essere davvero azzurre, ma noi non possiamo sapere se le vediamo azzurre solo per le lenti colorate (Kant non accetterebbe questo esempio, perché se ho delle lenti azzurre, il fatto di vedere azzurro mi viene immediato, automatico e non deriva da un'attività della mente, quindi l'esempio non calza del tutto per le categorie). Come al bambino sfugge la vera realtà delle cose, così è anche per l'uomo; secondo Kant l'uomo non può conoscere la realtà (se io vado a controllare la realtà, per esempio con un esperimento, questa presuppone giudizi e i giudizi sono basati sulle categorie, quindi impongo, aggiungo le categorie ad ogni realtà).

Schematismo trascendentale
Considero una categoria a priori, e come tale è sempre un concetto universale, e dei dati, che sono sempre intuizioni, immagini percepite cioè rappresentazioni particolari.
C'è un'eterogeneità fra categoria e dati, quindi come fa la nostra mente ad usare la categoria giusta, cioè come fa ad associare i dati alla categoria, visto che non c'è una somiglianza?
Es: "questo gesso è bianco" è un giudizio che presuppone la categoria di sostanza; "il sole scalda il sasso" è un giudizio che presuppone la categoria di causalità.
La risposta è data dallo schematismo, perché lo schema trascendentale, che dovrebbe essere sia universale che particolare, una via di mezzo, ma come può essere così?
Ogni gruppo di categorie ha il suo schema. Lo schema trascendentale è una modificazione del concetto di tempo, perché è da un lato un'intuizione (simile ai dati) ma è anche un concetto (universale, simile alle categorie).
Per formulare quel giudizio dobbiamo usare quella categoria.
Quindi lo schema è un elemento di mediazione tra categorie e dati del molteplice sensibile.
Vediamo un esempio di schema per due categorie:
· Sostanza: guardo la strada dalla finestra ed è asciutta, poi piove e la vedo bagnata. Qualcosa cambia, da asciutta a bagnata. Quando penso "si è bagnata" presuppongo che sia la stessa strada, ma siano cambiate le sue caratteristiche, quindi stessa sostanza ma accidente diverso. Quindi usiamo lo schema della categoria di sostanza, cioè la permanenza nel tempo della sostanza, quando variano gli accidenti.
· Causa: sono un turista e vedo un castello: prima osservo il tetto, le colonne o viceversa. La successione temporale con cui io ho le percezioni è libera, cioè decisa dal soggetto. Ma quando sono su una collina e vedo una zattera sul fiume in diverse posizioni, l'ordine temporale non dipende dal soggetto. Quando noi percepiamo una successione necessaria (secondo una regola) allora uso il concetto di causa (la zattera è spinta dall'acqua).
Abbiamo sempre il concetto di tempo, che in quanto intuizione è simile ai dati e in quanto concetto è simile alle categorie.
È però possibile un'OBIEZIONE:
Se io per formulare un giudizio ho bisogno della categorie, per usare le categorie ho bisogno di uno schema, ma siccome la scelta di uno schema presuppone un giudizio, si potrebbero pensare ad un regresso all'infinito.
Ma Kant dice che la scelta degli schemi non si basa su giudizi, ragionamenti, ma è frutto dell'immaginazione trascendentale, è immediata, altrimenti entreremmo nel circolo vizioso.
Rimane una divergenza fra gli studiosi sullo schematismo: cioè secondo alcuni già la deduzione trascendentale delle categorie hanno risolto il problema di giustificare la conoscenza basata sui giudizi sintetici a priori e lo schematismo è "in più", è una sorta di completamento psicologico della teoria, mentre per altri lo schematismo è fondamentale.

Dottrina dei principi puri dell'intelletto
Kant ritiene che sulla base della categoria e del relativo schema sia possibile trarre dei principi puri dell'intelletto, cioè giudizi sintetici a priori da cui discendono poi tutti gli altri (sono trattati alla fine dell'analitica). Per ogni gruppo di categorie, dà dei nomi ai principi puri dell'intelletto:
· Assiomi dell'intuizione: derivano dalle categorie della quantità
· Anticipazione della percezione: derivano dalle categorie della qualità
· Le tre analogie dell'esperienza: (possiamo da un lato vedere come Newton ha influenzato Kant, ma anche viceversa, come Kant pensi che le analogie dell'esperienza siano alla base dei principi di Newton.
- 1^analogia: "in ogni divenire, mutamento c'è qualcosa che permane (la sostanza) e la quantità di materia è costante in natura". Questa quantità non è detto esplicitamente che sia la massa, ma è qualcosa che rimane invariato.
Già Aristotele aveva detto: "il movimento è il passaggio dalla privazione alla forma con un sostrato che rimane immutato".
Questa analogia deriva dalla categoria delle sostanza, il cui schema è la permanenza nel tempo.
Da qui deriva logicamente per Kant il principio di inerzia (1° principio della dinamica) di Newton, il quale lo applicherà alla massa.
- 2^analogia: "tutto ciò che accade ha una causa" (principio di causalità).
Il parallelismo con Newton è evidente perché se dico F=ma si ha la connessione necessaria tra forza ed accelerazione, come c'è una relazione fra causa ed effetto.
- 3^analogia: tutte le sostanze che sono percepite nello spazio simultaneamente sono tra loro in azione reciproca (fonda il principio di azione e reazione in Newton).
· I postulati del pensiero empirico derivano dalle categorie della modalità.
Le categorie e i principi puri sono sì il presupposto per la scienza, ma sono presenti anche in ogni nostra conoscenza anche banale.
Ora ci chiediamo perché la filosofia non è una scienza?


DIALETTICA TRASCENDENTALE

La metafisica che si studiava in Germania si basava su Leibniz e Wolff e Kant dice che essa si suddivide in:
PSICOLOGIA RAZIONALE (studia l'anima, la mente), detta razionale per distinguerla dall'empirica, cioè dall'analisi dei singoli individui in base all'esperienza
COSMOLOGIA (studia il cosmo)
TEOLOGIA RAZIONALE (ha per oggetto Dio), diversa da quella dei teologi, perché questa è esegetica, cioè implica la fede, mentre Leibniz si riferisce alla teologia filosofica, basata solo sulla ragione.
Questi tre sono concetti di particolare importanza (anima, mondo e Dio) e li chiama idee.
Dice che sono pensati dalla ragione come qualcosa di assoluto e di incondizionato.
La mente di una persona ha tanti contenuti mentali (rappresentazioni, immagini, suoni) ogni rappresentazione è legata alle altre.
Ma se io prendo la mia mente come un tutto, questo non può essere condizionato da qualche altro contenuto mentale perché è già il tutto.
Nell'introduzione alla dialettica dice che: "dato il condizionato, è data l'intera somma delle condizioni, è dunque l'assolutamente incondizionato".
Condizione, ad esempio una causa
Condizionato ad esempio un effetto
A è la condizione di B
Es: chi ha rotto il vetro? Chi ha tirato il sasso.
Ma la usiamo anche come condizione logica. Il condizionato è ciò che deriva.
Es: se deve essere una figura piana con la somma degli angoli interni di 180°, la condizione è che sia un triangolo.
Se prendiamo un insieme I come insieme di tutte le condizioni, allora sarebbe necessariamente incondizionato, perché altrimenti ci dovrebbe essere una causa al di fuori, che lo condiziona.
Secondo Kant si può pensare all'assolutamente incondizionato senza nessuna contraddizione, il che potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è. Perché se prendo un concetto, come per esempio un cerchio quadrato, non lo posso accettare perché è autocontraddittorio, lo stesso per il numero naturale più grande.
Questo comporta che le idee di anima, mondo e Dio si possono pensare senza contraddizione, ma non si possono conoscere (se per conoscere si intende formulare giudizi sintetici a priori).
Il bisogno di pensare all'anima , al mondo, a Dio è un desiderio normale e legittimo, non è contraddittorio.
Questi concetti sono pensabili ma non conoscibili.
La mente è pensata come incondizionata, cioè la vedo come un insieme di rappresentazioni qualunque {R1, R2, R3, Rn}. Se consideriamo l'insieme in un istante di tempo è incondizionato nel senso che è vero che una rappresentazione è legata ad un'altra e quindi se trovo questi collegamenti è incondizionato (nell'ordine del pensiero).
Cosmo, insieme di fenomeni fisici. Vale lo stesso discorso della mente: all'interno dell'insieme c'è un rapporto causa effetto (il cavallo si muove, quindi il carro si muove). Però se prendo tutti i fenomeni insieme, quindi l'universo in sé, devo pensarlo come incausato e quindi incondizionato.
Dio è condizione di tutto ed è quindi l'assolutamente incondizionato. Perciò chiedermi qual è la condizione per l'esistenza di Dio non ha senso.
Riassumendo:
Anima: è incondizionata (rispetto a qualsiasi contenuto mentale)
Mondo: il cosmo è incondizionato (rispetto a qualsiasi fenomeno fisico)
Dio: è l'incausato in assoluto.
Kant deve dimostrare che tutte le tesi su anima, mondo e Dio che la filosofia occidentale ha elaborato (da Platone a Leibniz e Wolff) non sono dimostrate, né sono dimostrabili. Se ci fosse un solo asserto metafisico dimostrabile crollerebbe la tesi di Kant secondo il quale la metafisica non esiste.
Es: se paragoniamo un'isola al terreno solido della scienza, intorno all'isola c'è il mare, oltre al quale non si vede nulla; immaginiamo un uomo sull'isola, si avventura con la nave perché spinto dalla curiosità di vedere cosa c'è oltre il mare, ma non riuscirà mai a farlo (l'uomo è per natura curioso).
Nel caso dell'esistenza di Dio, Kant non vuole dimostrare che Dio non esiste, ma vuole dimostrare che non si può dimostrare che esiste. La conoscenza teoretica non ci può dimostrare né che Dio esiste, né che non esiste.

ANIMA o PSICOLOGIA RAZIONALE
- L'anima è immateriale
- L'anima è semplice
- L'anima è immortale
Tutte queste presuppongono un precedente giudizio "l'anima è sostanza". Ciò sembra facilmente dimostrabile, ma la dimostrazione è un paralogismo (quasi ragionamento).
Tutto ciò che è soggetto è sostanza
L'anima è soggetto
L'anima è sostanza
Sembra un sillogismo però è scorretto: il termine medio è usato con due sfumature diverse. Nel secondo caso è usato nel senso soggetto di conoscenza che si contrappone a oggetto conosciuto. Noi non conosciamo mai l'anima in se stessa, come soggetto conoscente puro. Hume diceva che mi conosco solo quando penso o provo qualcosa, per Kant noi non abbiamo un'esperienza empirica della nostra anima.
Quando dico che l'anima è soggetto, questo soggetto come possiamo dirlo se non lo conosciamo?
Secondo Kant si può essere certi dell'esistenza del soggetto conoscente perché ha funzioni che ci fanno conoscere, però non lo posso porre come oggetto di conoscenza perché non ne ho una conoscenza empirica.
Tutti quei giudizi che i filosofi precedenti avevano affermato sull'anima, presupponevano la tesi che "l'anima è sostanza". Ma siccome non si può dimostrare che l'anima è sostanza, allora non si possono dimostrare quei giudizi. Questi giudizi non è che sono falsi, non è irrazionale che l'anima sia mortale, solo non si possono dimostrare.

COSMOLOGIA
Le tesi che si possono formulare sono poche
PRIMA ANTINOMIA
TESI: Il mondo ha un suo inizio nel tempo e, rispetto allo spazio, è delimitato entro precisi confini. Il mondo è finito (ha inizio e fine)
ANTITESI: Il mondo non ha né inizio né confini nello spazio, ma è infinito, così rispetto al tempo come rispetto allo spazio. Il mondo non è finito (è eterno).
SECONDA ANTINOMIA
TESI: Nel mondo ogni sostanza composta consta di parti semplici, e in nessun luogo esiste qualcosa che non sia o il semplice o ciò che ne risulta composto. C'è qualcosa di semplice.
ANTITESI: Nessuna cosa composta, nel mondo, consta di parti semplici; e in nessuna parte del mondo esiste alcunché di semplice. C'è un'infinità divisibilità della materia perché non c'è niente di semplice.
Democrito avrebbe affermato la tesi (divisione in atomi, semplici e indivisibili). La scienza invece presuppone l'antitesi, metodologicamente si cerca sempre di scoprire qualcosa di nuovo, qualche particella subatomica più piccola. Uno scienziato potrebbe dire: siccome la massa occupa un volume e dato che il volume si associa ad un numero, il numero è divisibile infinitamente e quindi anche il volume.
Uno però potrebbe ragionare così: se ciò che esiste è composto, la parola "composto" (intesa come composizione di parti) avrebbe senso solo se ci fosse qualcosa di semplice.
Es: se non avessimo l'esperienza della luce, non avremmo neanche quella del buio.
Kant usa un procedimento simile per tutte le antinomie, porta delle argomentazioni sia per la tesi sia per l'antitesi, consapevole del fatto che non possono essere entrambe vere o entrambe false. Bisogna quindi rendersi conto, secondo Kant, che non si può dimostrare né la tesi né l'antitesi. Non si può trasferire ciò che è finito a ciò che è infinito perché non mi vale più.
Se prendo due insiemi finiti: l'insieme dei numeri naturali dall'1 al 100 (saranno quindi 100) e l'insieme dei numeri pari dall'1 al 100 (saranno quindi 50).
Se prendo degli insiemi infiniti non posso dire che sono di più i numeri naturali dei numeri pari, poiché vi è una corrispondenza biunivoca tra i due insiemi. Ciò che sembra ovvio sulla base di un punto di vista finito (nell'esempio che i numeri pari sono meno dei naturali) non risulta più vero per l'infinito.
Se potessi ragionare con giudizi sintetici a priori (come avviene nella geometria) non avrei questi dubbi; qui vado fuori dall'ambito della conoscenza rigorosa e incontrovertibile.
TERZA ANTINOMIA
TESI: La causalità delle leggi della natura non è l'unica da cui sia possibile far derivare tutti i fenomeni del mondo. Per la loro spiegazione si rende necessaria l'ammissione anche d'una causalità per libertà. La libertà c'è.
ANTITESI: Non c'è libertà alcuna, ma nel mondo tutto accade esclusivamente in base a leggi di natura. La libertà non c'è.
L'antitesi non è altro che il determinismo di Spinoza (creduta anche dagli scienziati). Tutte le antitesi rappresentano degli assiomi per gli scienziati o quantomeno delle assunzioni metodologiche o regolative.
Es: ti dicono che al bar distribuiscono gratis il cappuccino; molta gente ci va agendo come se fosse vero (non sono sicuro al 100%, ma lo faccio lo stesso).
Lo scienziato non è sicuro che il mondo sia infinito, però per andare avanti nella ricerca deve agire come se fosse vero.
Questo meccanismo lo definisce "uso regolativo (orientativo) della conoscenza"; Che regola, che indirizza.
Es: un biologo che studia l'occhio deve spiegare come funziona utilizzando una spiegazione causale scientifica; non può dire che l'occhio vede perché è finalizzato a vedere, perché il principio di finalità può essere usato solo come regolativo della conoscenza.
L'uomo ha una certa libertà che fa iniziare una serie causale.
Es: decido di andare al lago, prendo la macchina, prendo l'autostrada… e quindi la mia decisione produce varie cause, anche fisiche per avere l'effetto desiderato.
Oltre a tutto ciò che è determinato dalla fisica, ci sono azioni che sono frutto della volontà, di una decisione dell'uomo che è dovuta alla ragione.
Gli altri essere viventi sono inseriti nel determinismo del mondo fisico: il cane cerca la bistecca per istinto.
È dubbio che esista o non esista la libertà.Per Kant, almeno a livello teoretico il dubbio è destinato a permanere.
Per Spinoza non c'è, per altri invece la libertà c'è, perché l'uomo è razionale.
QUARTA ANTINOMIA
TESI: Del mondo fa parte qualcosa che, o come suo elemento o come sua causa, costituisce un essere assolutamente necessario. Esiste un ente necessario (eterno), come la causa incausata per Aristotele, Dio per i cristiani, ossia un ente incausato che ha creato il mondo.
ANTITESI: In nessun luogo, né nel mondo, né fuori del mondo, esiste un essere assolutamente necessario che ne sia la causa.Tutti gli enti sono contingenti (nel senso di ente contingente usato nella III via da S. Tommaso, che ha inizio e fine nel tempo).

TEOLOGIA RAZIONALE
Kant sosteneva che non si può dimostrare che Dio esiste o non esiste.
Bisogna far vedere che tutte le prove dell'esistenza di Dio non sono valide.
Le raggruppa secondo un criterio logico, perché non vuole analizzarle una per una (sono veramente tante):
a) Prova ontologica, a priori (S. Anselmo, Duns Scoto, Cartesio, …).
b) Prove cosmologiche (I, II, III via di S. Tommaso) in cui Dio è visto come la causa del mondo che ne è l'effetto.
c) Prove fisico - teologiche (V via di S. Tommaso) o meglio teleologiche, ossia che utilizzano il concetto di finalità.
Kant aveva scritto molti anni prima che l'unico argomento accettabile per dimostrare l'esistenza di Dio era l'argomento teleologico, che era stato portato alla ribalta grazie a Newton (che aveva fatto l'esempio dell'orologio: se trovo un orologio per terra so di certo che deve esistere un'orologiaio che l'ha costruito). Noi non possiamo sapere come sia Dio, ma per Newton qualcosa c'era che aveva originato l'ordine della natura. La prova teleologica conferma che noi conosciamo Dio almeno come ente finalizzatore.
Tutte le prove sono raggruppate in questi gruppi: se dimostro che c'è un errore alla base in tutti e tre i casi, dimostro che la tesi (Dio esiste) non è validamente dimostrata.
a) Prova ontologica: questa prova è un passaggio dall'essenza all'esistenza. S. Anselmo diceva che l'essenza di Dio era l'ente di cui non si può pensare il maggiore e da qui dimostrava l'esistenza di Dio. Questa prova contiene un grosso errore logico, perché per Kant l'esistenza non è un predicato che concorre a determinare l'essenza.
Perciò non deve essere inclusa nella definizione l'esistenza, perché l'esistenza è un dato di fatto.
Es: se devo spiegare a un bambino cosa sono 100 talleri gli spiego come sono fatti,che caratteristiche e valore hanno. Il concetto è chiaro, ma non è detto che io questi 100 talleri li abbia in tasca, non è detto che ci sia la loro esistenza. Perciò se l'esistenza non c'è nella premessa (nelle qualità che caratterizzano l'ente perfetto, cioè l'ente di cui non si può pensare il maggiore) non può neanche esserci nella conclusione.
Questa prova è la più semplice da confutare, per Kant, è un vero e proprio errore logico.
b) Nelle prove cosmologiche Dio è concepito come causa e il cosmo come effetto. In queste prove si deduce l'esistenza di una causa prima partendo da qualcosa a posteriori. È perciò una prova a posteriori.
Kant dice che si possono individuare due tipi di critiche:
- In conseguenza dell'analisi della conoscenza fatta da Kant stesso nell'analitica trascendentale sul concetto di causa: se dico "Dio è la causa del cosmo", questo giudizio potrebbe sembrare sintetico a priori perché contiene in sé il concetto di causa. Però questo giudizio applica il concetto di causa fuori dal contesto in cui nell'analitica si era dimostrato la validità, cioè il concetto di causa è una delle 12 categorie, che sono valide quando sono usate per pensare i dati del molteplice sensibile che i sensi ci hanno fornito. In questo caso Dio, la causa, non è percepito, ma anche il cosmo, l'effetto, come totalità incondizionata non è percepibile. Quindi il concetto di causa è usato fuori dal suo campo di validità, è usato in modo abusivo.
- Kant vuole che anche coloro che non credono alle tesi dell'analitica possano capire queste sue critiche, quindi ne sviluppa un'altra: nella prova ontologica si ha un passaggio dall'essenza all'esistenza, mentre nella prova cosmologica si passa dall'Ente perfetto all'Ente necessario.
Kant vuol far vedere che la prova cosmologica presuppone qualcosa della prova ontologica, anche se la prima è a posteriori e la seconda a priori. Dice che nella prova ontologica c'era un tentativo di passaggio logico dall'essenza all'esistenza. Nella prova cosmologica, invece, dall'esistenza si arriva all'essenza.
Es: II via di S.Tommaso: una causa incausata esiste necessariamente. Ora, l'essenza di Dio consiste nell'essere perfetto (con tutte le qualità positive al massimo grado), esistenza significa qui esistenza necessaria (cioè un essere che non può non essere).
La prova ontologica porterebbe dall'essere perfetto all'essere necessario.
Nella II via avviene il contrario: si dice che esiste un essere necessario (la causa incausata) e si conclude che questa causa è Dio.
Kant dice che con questa identificazione si afferma che l'ente necessario equivale a Dio, e quindi è come dire che è uguale all'ente perfetto. Questo è esattamente il contrario della prova ontologica.
Uno a questo punto potrebbe dire che non è detto che se un'affermazione non è valida, allora non è valido anche il contrario. Se per esempio dico che tutti gli uomini sono bianchi faccio un'affermazione falsa, ma se dico che tutti gli uomini bianchi sono uomini è vero.
Nel caso di Dio potrebbe non essere illecito passare da esistenza a essenza.
La risposta di Kant sarebbe: nel caso dell'uomo ci troviamo in un rapporto asimmetrico (l'insieme degli uomini bianchi è un sottoinsieme dell'insieme degli uomini). Ma l'essere perfetto è uno solo, non posso dire che ce ne sono più di uno. E anche l'ente necessario è uno (ce n'è solo una di causa incausata). Essendo l'unico ente, se non posso dimostrare che l'ente perfetto diventa l'ente necessario, non posso neanche dimostrare il contrario. Questo perché nel caso di Dio, il rapporto tra ente necessario e ente perfetto è "simmetrico".
c) Nel periodo precritico la prova teleologica era ritenuta l'unico argomento valido per la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Kant ammette che è il più persuasivo, però per quanto verosimile non è logicamente inappuntabile. Il motivo è che anche qui c'è lo stesso errore della prova cosmologica. Se dimostrassi che esiste un ente finalizzatore, dovrei poi dimostrare che questo è Dio, cioè l'ente perfetto. La prova teleologica dipende in qualche modo dalla prova cosmologica, che dipende a sua volta da quelle ontologica. È una catena, quindi essendoci l'errore all'inizio si ha anche dopo. Inoltre è intuitivo che non è logicamente necessario che l'ente finalizzatore sia l'ente perfetto.

CRITICA DELLA RAGION PRATICA

Pratica è da intendere coma anche la intendeva Aristotele, cioè scienze pratiche che regolano l'agire (economia, etica…).
Nel titolo "critica alla ragion pratica" non c'è la parola pura, e questo non è un caso, perché secondo Kant la ragion pratica, a differenza di quella teoretica, può essere pura (cioè a priori).
L'oggetto di questa critica è come l'uomo si deve regolare nei comportamenti, cioè la morale. Si tratta di vedere qual è il fondamento della morale, ossia in base a quale criterio diciamo che un'azione è buona o cattiva.
Inizialmente la morale era teleologica (fondata sul fine) e eudemonistica (fondata sulla felicità): ciò che rende cattiva o buona un'azione è il fine (quindi se il fine è la felicità e l'azione è adeguata al fine, allora essa è buona).
Kant svilupperà una seconda possibilità: l'etica deontologica, ossia la morale fondata sui doveri. Dal punto di vista formale il dovere si può esprimere in diversi modi:
- tu devi essere sincero (verbo dovere)
- sii sincero (verbo imperativo)
- la sincerità è un valore: (verbo indicativo) siamo sul piano dei valori.
Questi tre sono dei precetti e rientrano in una prospettiva deontologica. Dalla seconda metà del '900, per indicare questi tre modi diversi di esprimere un dovere, si utilizza il linguaggio detto prescrittivo, che si distingue dal linguaggio descrittivo, nel quale le proposizioni possono essere dette vere o false.
Perché Kant sceglie questa seconda strada?
A prima vista è più convincente dire "devi fare una buona azione per la felicità" piuttosto che dire "devi fare il bene perché è tuo dovere".
Bisogna però fare una precisazione sulla felicità: nel mondo antico medioevale la felicità era vista come qualcosa che riguardava tutti gli uomini (perché si credeva che la natura umana fosse la stessa per tutti), la felicità era vista quindi come oggettiva, come realizzazione delle potenzialità proprie della natura umana. Dal medioevo fino all'età moderna c'è stato un sostanziale ribaltamento, uno slittamento semantico: si crede che la felicità sia soggettiva, nel senso che ognuno è felice a modo suo; si pensa che non ci possa essere una felicità comune a tutti gli uomini (nella costituzione americana c'è addirittura il diritto dei cittadini di perseguire la propria felicità).
Quindi Kant afferma che, siccome questa felicità varia da soggetto a soggetto (dipende da elementi diversi a seconda dell'esperienza della persona) è impossibile fondare l'etica sulla felicità, perché anche nel senso comune le norme morali sono universali. Una norma morale vale per tutti, deve valere per tutti.
Quindi siccome l'uomo è razionale, vuole regolare il suo comportamento su norme oggettive, ma allora non può fondare queste norme sulla felicità (o, in modo ancora più evidente sul piacere) perché sono moventi soggettivi.
Per Kant le norme morali devono essere a priori, non possono basarsi su elementi empirici o a posteriori.
Ecco perché non può essere una morale teleologica o eudemonistica.
Bisogna quindi vedere se le norme morali, in quanto ci orientano ad agire, hanno un fondamento razionale.

Possiamo raggruppare le norme in tre tipi di regole che noi ci diamo:
· MASSIME: sono tutte soggettive, variano da persona a persona.
Es: sono in soprappeso e mi do la regola di correre almeno mezz'ora al giorno
Kant quindi dice che tutte le massime, essendo soggettive, non possono fondare la morale.
· IMPERATIVI IPOTETICI: in generale sono regole oggettive, valgono per tutti.
Es: se voglio andare in America devo prendere o l'aereo o la nave; se voglio essere promosso devo studiare….
Questi sono imperativi che si fondano su ipotesi (se non voglio andare in America non devo nemmeno prendere l'aereo o la nave). Anche gli imperativi ipotetici non possono fondare la morale, perché l'ipotesi su cui si fondano può non essere voluta da un soggetto. Questi imperativi ipotetici sono molto importanti, chi più li segue più è una persona che ha senso pratico, è abile o prudente (ma una persona abile o prudente può agire moralmente male per Kant).
· IMPERATIVO CATEGORICO: è un imperativo che non ha condizioni. Uno potrebbe dire che in realtà non esistono, perché noi ogni norma per agire la possiamo concepire come finalizzata a qualcos'altro. I comandamenti hanno questa forma categorica, però uno potrebbe pensare che questi imperativi sottintendono comunque qualcosa di ipotetico (se non vuoi finire all'inferno, segui i comandamenti). Si ha quindi una prima formulazione dell'imperativo categorico: "Agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una legge universale".
Questa formulazione è tratta dalla "Fondazione della metafisica dei costumi" (1785, metafisica nel senso di filosofia, quindi come fondazione della filosofia dei costumi, cioè l'etica), una sorta di trattazione semplificata dei temi della ragion pratica (Kant scriverà qualche anno dopo, nel 1797, la "Metafisica dei costumi"; sono due opere distinte che non vanno confuse).
Quando agisci adotti come criterio quel criterio che tu vuoi che diventi universale, sempre valido per tutti coloro che si trovano nella stessa situazione.
es: se fossi un entusiastico suonatore di tromba e magari la notte mi venisse voglia di suonare, non devo farlo comunque, perché penso al mio vicino e mi metto nei suoi panni.
Agisci unicamente come se il criterio che ti ispira possa essere universalizzato.
Si intende che l'unico motivo che ti deve guidare per fare un'azione buona è quello di renderla conforme ad una regola universale.

Un'azione è buona solo se è guidata dal dovere non da altro.
Supponiamo che ci sia un piccolo paesino, in cui c'è un solo cartolaio. Questo cartolaio potrebbe approfittare e vendere un quaderno ad un prezzo più alto del normale. Se lo vendesse al giusto prezzo, la sua azione sarebbe conforme ad una regola universale, però il fatto che l'azione sia conforme all'imperativo categorico non ci dice che è un'azione buona. Lo è solo se è fatta unicamente per ottemperare al dovere (se vendo il quaderno al giusto prezzo perché l'acquirente mi è simpatico o perché temo di perdere i clienti in futuro se pratico prezzi troppo alti, l'azione non è buona, perché manca la buona intenzione).
Perciò faccio un'azione buona quando:
- seguo un criterio di universalizzazione
- l'azione è fatta con l'unica intenzione di compiere il dovere
Si ha anche una seconda formulazione: "Agisci in modo da trattare l'umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo".
Dire che noi non dobbiamo mai approfittare degli altri, ma considerarli come noi stessi, è un altro modo per dire che non li dobbiamo considerare né meno né di più di noi stessi (come nell'evangelico "Ama il tuo prossimo come te stesso").
Alla base c'è un principio di universalizzazione.
Se dico "non bisogna mentire", vale sia quando sono io a mentire, sia quando sono io a ricevere la menzogna.
La distinzione forma - materia (contenuto) in etica si applica così: il contenuto è la qualità dell'azione, mentre è formale un'etica che non mi da dei contenuti. La forma è qui la conformità di un'azione ad un criterio generale, come l'imperativo categorico. L'imperativo categorico è solo formale, non prescrive un contenuto, ma dà solo un criterio astratto.
Perciò l'etica kantiana è: formale, basata sull'intenzione e rigorosa.
Nel senso comune il termine "rigorismo" ha un significato diverso da quello kantiano. Nel senso comune significa che non ammette eccezioni, mentre per Kant è una concezione che non attribuisce alcun ruolo al piacere: il motivo per cui si compie un'azione è il dovere.

Noi diciamo: bisogna essere sinceri. In alcuni casi, però pensiamo possa esserci l'eccezione: se ci conviene mentire, magari per non far star male qualcuno, si ha l'eccezione alla regola.
Se però estendiamo questo criterio ad ogni caso, per esempio per giustificare l'azione del terrorista, che afferma di fare un attentato in vista di un bene, come l'abbattimento della società capitalistica, è ovvio che in questo caso l'eccezione generalmente non la si ammette.
Abbiamo qui due punti di vista contrapposti sull'etica: il Rigorismo (la norma non ammette eccezioni) e il Machiavellismo (il fine giustifica i mezzi).
Se noi non fissiamo un criterio, il rischio evidente è di finire nel relativismo morale: perché posso accettare che uno dica una bugia, ma non che un terrorista possa uccidere delle persone per liberare il suo Paese? Kant non accetta il criterio secondo il quale si analizza caso per caso per vedere se si può accettare l'eccezione. Per lui non esistono eccezioni.

Siamo durante l'occupazione tedesca del nord Italia, nella seconda guerra mondiale: uno sa che nella propria cantina ci sono nascosti due ebrei. Se un nazista mi chiede se so dove sono nascosti degli ebrei, secondo l'imperativo categorico io dovrei dire che ci sono. Nonostante questo non sono responsabile della loro morte, perché, se i nazisti non uccidessero gli ebrei, il mio essere sincero non avrebbe provocato due vittime, che sono diventate tali solo per responsabilità dei nazisti stessi.
Io mi devo disinteressare delle conseguenze per seguire l'imperativo categorico.
Possiamo ora vedere in modo diverso la concezione che si oppone al rigorismo Kantiano: Rigorismo (non bisogna mai violare una norma morale) opposto all' Utilitarismo (si può violare una norma, se si ottiene un bene maggiore).
Es: siamo in 3 bloccati in ascensore. Uno di noi fa tutti i calcoli e scopre che l'aria finirebbe prima dell'arrivo dei soccorsi. Per far sopravvivere gli altri due, uno di noi dovrebbe morire. Ma chi è che ucciderebbe qualcuno per sopravvivere? La tradizione pensa che ci siano dei valori morali assoluti, per cui non si può uccidere un altro essere umano innocente. Se si seguisse l'utilitarismo se ne dovrebbe uccidere uno; in questo caso è però lecito avere dei dubbi. In un'occasione come questa il rigorismo non sarebbe poi così sbagliato.
Esempio del Far West pubblicato su un manuale di filosofia.
In un piccolo villaggio, dove c'è un unico sceriffo e una sola piccola prigione, viene arrestato un indiano accusato di aver violentato e ucciso una donna. Lo sceriffo sa che è innocente e ne è assolutamente sicuro. Arrivano però dei cowboy inferociti, che dicono allo sceriffo: "o i consegni l'indiano così lo possiamo uccidere, o uccidiamo prima te e poi lui". Bisogna inoltre considerare che lo sceriffo non può in alcun modo contrattare con i cowboy e che non si possono chiamare i rinforzi, perché non giungerebbero in tempo utile.
Secondo l'Utilitarismo (Bentham) lo sceriffo deve dare l'indiano per non essere ucciso inutilmente.
Per il Rigorismo (Kant) lo sceriffo non deve consegnare l'indiano.
Esistono davvero dei valori morali assoluti o un fine buono può consentire delle eccezioni alla norma morale?
Potrei dire "consegnare l'indiano salva una vita, però sarebbe diseducativo e non difenderebbe i giusti valori", oppure potrei dire "se l'indiano non viene consegnato, lo sceriffo viene ucciso, ma i cowboy avrebbero la consapevolezza di aver fatto una cosa ingiusta".
Kant dice: se uno difende la legge morale e facessimo tutti così, gli immorali capirebbero che quello che fanno è sbagliato e quindi alla lunga seguire la norma porterebbe al bene.
Per questo nell'utilitarismo del Novecento sono sorte due correnti talvolta contrapposte: l'Utilitarismo dell'atto (l'atto è buono se massimizza il bene generale)
Utilitarismo della norma (l'atto è buono se è conforme ad una norma morale che se costantemente seguita massimizza il bene generale).
Per quanto riguarda l'attualità della concezione etica di Kant, si può citare un esempio.
Il ministro Giuliano Amato all'epoca di Craxi era socialista. Quando erano emersi i primi casi di corruzione, si chiedeva che morale avessero i laici, perché in teoria i laici non sono vincolati dalla morale cristiana. Amato aveva detto che se i cristiani hanno come riferimento il Vangelo, i laici hanno come riferimento la morale di Kant (che è altrettanto rigorosa). Era un modo di dire che la morale Kantiana è fondata solo sulla ragione, ma non è meno esigente di quella cristiana che presuppone la fede.

II parte: Postulati della ragion pratica
Secondo Kant la ragion pratica (distinta dalla ragione teoretica) postula tre verità:
· Libertà dell'uomo
· Immortalità dell'anima
· Esistenza di Dio

Sembrerebbe una contraddizione con ciò che aveva affermato nella Critica alla ragion pura. Per dimostrare che non è in realtà una contraddizione, bisogna tener presente che la ragione umana è una sola, quindi se la ragione è la facoltà di collegare i giudizi, allora l'uomo può usare quella ragione per agire (ragion pratica) o per conoscere (ragione teoretica).
Se è per conoscere non possiamo dimostrare se questi tre tesi sono vere o false.
Nella ragion pratica, invece, dobbiamo vedere se possiamo presupporre dei postulati sempre veri.
Introduce quindi il concetto di sommo bene come ciò che l'uomo può desiderare più di tutto.
Uno potrebbe considerare sommo bene la virtù. Però noi vediamo che in pratica le persone virtuose possono anche non essere felici, perché perseguitate o sfortunate (si ricorda Aristotele che diceva che la virtù è condizione necessaria, ma non sufficiente per la felicità).
Perciò per Kant il sommo bene per l'uomo è virtù + felicità.
Kant dice: l'esperienza ci mostra che la virtù dipende da noi (seguendo l'imperativo categorico), al contrario la felicità non dipende da noi. Quindi non possiamo mai raggiungere il sommo bene nella nostra esperienza.
Però questo sommo bene tutti lo desiderano (il che è naturale). Possiamo immaginare che questo desiderio o non sia mai soddisfatto o sia soddisfatto in una vita futura.
Se la verità fosse la prima prospettiva, ossia che non si può mai raggiungere il sommo bene, l'uomo sarebbe frustrato nel seguire i doveri morali, agirebbe per dovere, ma senza speranza.
Se supponiamo questi tre postulati, allora questi doveri morali che mi vengono comandati dalla ragione sono accompagnati dalla speranza di un bene futuro. Supporre che l'anima è immortale conferisce senso alla morale. Perciò questi tre postulati discendono dal concetto di sommo bene, postulando che l'uomo lo voglia raggiungere.
Postulare qui può voler dire agire come se fosse vero ciò che si spera.
Il primo postulato (libertà dell'uomo) può essere compreso indipendentemente dal sommo bene: Kant afferma che se la ragione riconosce che ci sono dei doveri, ciò implica che questi doveri si possano ottemperare oppure no".
Il primo postulato, riguardante la libertà dell'uomo, è diverso dagli altri due (i quali sono ragionevoli solo se vogliamo postulare che il desiderio del sommo bene non è vano).
Il concetto di libertà è un'affermazione secondo la quale l'uomo è moralmente libero.
Kant dice che una legge morale è sempre un imperativo, una prescrizione e ha senso se e solo se chi ascolta l'imperativo può ottemperarlo o meno.
Se io dico "Respirate" non ha senso, come non ha senso dire "State zitti" a una classe di muti.
Partiamo dal fatto che la legge morale esiste che gli uomini seguono o per desiderio o per un dovere, anche se contro il proprio interesse. Se per esempio ho fame e vedo una bancarella con un panino incustodito, potrei rubarlo però l'imperativo "non rubare" me lo vieta.
Se esiste la legge morale questa è ciò che mi fa conoscere che esiste anche la libertà (ratio conoscendi). Da qui nasce il primo postulato.
Questo è però un modo inverso di conoscere perché è la libertà umana che fa conoscere la ratio essendi della legge morale. Però noi l'esistenza della libertà non la possiamo sapere per i limiti imposti nella critica della ragion pura, in quanto sarebbe un giudizio teoretico.
Il giudizio che esprimerebbe la connessione tra libertà e legge morale è indimostrabile dal punto di vista teoretico.
La ragione dal punto di vista teoretico non può dimostrare che l'uomo è libero, però sul piano pratico dall'esistenza della legge morale si arriva all'esistenza della libertà.
Riassumendo, se la LIBERTÀ è la Ratio essendi della LEGGE MORALE, questa è la Ratio conoscendi della libertà.
Due possibili commenti:
· A Kant interessa distinguere fra campo teoretico e campo pratico, quindi se qualcosa non è dimostrabile nell'ambito teoretico, può invece essere preso come vero nell'ambito pratico. La nostra ragione è la stessa, però un conto è usarla per pensare, un altro è usarla per agire.
· Alcuni ritengono invece che uno non può essere convinto sul piano pratico e non su quello teoretico.

 

 

N. B. Gli appunti sono stati presi durante le lezioni e non sono stati rivisti, ne integrati con le spiegazioni del manuale di filosofia in adozione

 

 

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