materiali di studio a cura di Franco Manni

 

Herbert McCabe

Creazione  

 

 

 

 

A mio parere, affermare che Dio esiste è rivendicare il diritto e la necessità di portare avanti un'attività, di essere impegnati in una ricerca, e credo che questo getti luce su quello che facciamo quando cerchiamo di dimostrare l'esistenza di Dio. Dimostrare l'esistenza di Dio è dimostrare che alcune questioni pongono ancora domande, che il mondo pone queste domande per noi.
Dimostrare l'esistenza di Dio, inoltre, sarebbe un po' come dimostrare la validità della scienza - non intendo la scienza come un insieme di dati dimostrati nei libri o sulle riviste, ma la scienza come un'attività intellettuale, l'attività di ricerca attualmente in corso; e non solo indagini di routine che consistono nella ricerca di risposte a domande formulate in modo chiaro per mezzo di tecniche stabilite in modo chiaro, ma la ricerca che è il punto di crescita della scienza, l'avventurarsi verso l'ignoto.
È perfettamente possibile negare la validità di questa teoria. È perfettamente possibile asserire che noi ora abbiamo la scienza (non l'avevamo nell'Ottocento, diciamo, ma ora l'abbiamo). È proprio così: d'ora in poi non si tratterà d'altro che di mettere in ordine alcuni dettagli. Ora, naturalmente tutti i progressi veramente grandi nella scienza sono venuti mettendo in discussione proprio idee come questa, mettendo in discussione, diciamo, se il mondo newtoniano ha davvero l'ultima parola, scavando in profondità e ponendo domande su ciò che tutti abbiam finito per dare per scontato. Ma si può facilmente immaginare una società che scoraggi simili radicali messe in discussione. In questo secolo abbiamo visto società totalitarie che sono state estremamente appassionate nel perfezionare la loro tecnologia e nel rispondere a particolari questioni all'interno degli ambiti accettati dalla scienza, ma estremamente ostili a quel tipo di pensiero radicale a cui sto pensando; in quel tipo di società Wernher von Braun era onorato ed Einstein esiliato. Penso inoltre che lo stesso effetto possa riprodursi in modi più sottili in quelle società che non appaiono totalitarie. E, naturalmente, fu notoriamente prodotto dalla Chiesa nei confronti di Galileo. Il porre domande radicali è scoraggiato da qualunque società che crede in sé stessa, che crede di aver trovato le risposte, che crede che solo le domande autorizzate siano da legittimare.
Confrontandosi con una simile ostilità o una simile incomprensione si può, ovviamente, dire: beh, aspettiamo e vediamo; vi accorgerete che, nonostante tutto, la scienza opererà cambiamenti sorprendenti e del tutto inaspettati e la nostra visione del mondo si sposterà in modi che non possiamo prevedere né immaginare. Ma questo è solo affermare la vostra fede. E questo, credo, è simile ad asserire la vostra fede in Dio. Penso che credere in Dio - nel senso di credere alla validità di quel tipo di domanda radicale a cui Dio sarebbe la risposta - sia una parte rigogliosa dell'umanità e che chiudere completamente con quella parte renda carenti in quel punto. Per questa ragione accolgo una simile fede in Dio, ma ciò che sto chiedendo a me stesso, ora, non è se credo o meno, ma quali basi ho per questa fede. E ancora una volta penso che l'analogia con il provare la validità delle fondamenta del pensiero scientifico sia d'aiuto. Come, dopo tutto, possiamo dimostrare che c'è ancora una strada lunga e probabilmente inaspettata da percorrere nella scienza? Puntando alle anomalie nell'immagine del mondo che la scienza attualmente dà. Se la tua immagine del mondo include, ad esempio, l'idea dell'etere come mezzo in cui si trovano le onde luminose, allora vi è un'anomalia se risulta impossibile determinare la velocità di una sorgente luminosa rispetto all'etere; e così via. Ora, in modo analogo, a me sembra che le prove all'esistenza di Dio indichino un'anomalia nell'immagine del mondo di chi esclude il problema di Dio. Mi pare che sia abbastanza anomalo ritenere valida e legittima ogni domanda che chiede "da dove viene?" su qualsiasi cosa o evento particolare nel mondo e ritenere invece illegittima e non valida la stessa domanda in merito al mondo intero. Sostenere che non siamo autorizzati a chiedercelo per il solo fatto che non possiamo rispondere a me pare un modo per evitare il problema. Il problema è: c'è una domanda senza risposta sull'esistenza del mondo? Possiamo essere perplessi dall'esistenza del mondo invece del nulla? Io posso esserlo e lo sono; e questo è essere perplessi riguardo a Dio.
La domanda "da dove viene?" può avere un sacco di significati diversi ed essere posta a diversi livelli, e più è profonda la domanda su una singola cosa, più essa è una domanda sul mondo a cui quella cosa appartiene; c'è infine la più profonda delle domande su qualcosa, che è al contempo una domanda su tutto. Lasciatemi spiegare quest'enigmatica osservazione.
Supponiamo che tu chieda "da dove viene Fido?". Potresti stare chiedendo se suo padre è Rover o se è quel bastardo promiscuo giù nel vicolo. In questo caso la risposta viene data in modo soddisfacente nominando i genitori di Fido. A questo livello non c'è altro da dire; la domanda è pienamente risposta a questo livello. Ma ora supponiamo che tu chieda: "ma come mai Fido è un cane?". La risposta potrebbe essere: "I suoi genitori erano cani, e i cani nascono da altri cani". Qui ti sei mosso verso ciò che io chiamo una domanda di livello più profondo ed hai iniziato a parlare di quel che i cani sono. Stai dicendo: per Fido esistere è essere un cane, e i genitori di Fido sono quegli oggetti le cui attività risultano essere cose da cani. Ora la tua domanda iniziale "da dove viene Fido?" s'è approfondita in una domanda sull'origine della specie canina. Rimane una domanda su questo cane individuale, Fido, ma è anche una domanda sui cani - non sui cani in astratto, ma sulle attuali specie di cani nel mondo. La tua domanda "da dove viene Fido?" a questo livello diventa la domanda "da dove vengono i cani, comunque?".
E naturalmente c'è una risposta anche a questo, in termini di cose come la genetica e la selezione naturale e quant'altro. Qui abbiamo un nuovo e più profondo livello della domanda "da dove viene Fido?" - ancora una domanda su questo particolare cucciolo, ma una la cui risposta è in termini di appartenenza ad una comunità ancor più ampia; non si tratta più, ora, della mera comunità dei cani, ma dell'intera comunità biologica all'interno della quale i cani esistono e trovano la loro collocazione. Poi, naturalmente, possiamo porre la domanda su Fido ad un livello ancora più profondo. Quando chiediamo da dove viene la comunità biologica, non vi è dubbio che la risposta sia in termini di biochimica. (Ovviamente non posso pensare che si abbiano attualmente risposte a tutte queste domande, come se avessimo completamente compreso come avviene, o come sia avvenuto, che i cani si siano diffusi in giro per il mondo, ma ci aspettiamo che un giorno ci siano finalmente risposte a queste domande).
Ed ora possiamo andare oltre, passando dal livello della biochimica a quello della fisica, e tutte le volte che facciamo una domanda più penetrante riguardo a Fido e tutte le volte che andiamo avanti col nostro porre domande noi vediamo Fido in contesto sempre più ampio.
Ponendo la questione in un altro modo, possiamo dire che ogni volta che facciamo quella domanda stiamo chiedendo quale sia l'origine proprio di Fido rispetto a qualche altra cosa che avrebbe potuto esserci. La nostra prima domanda significava semplicemente: perché Fido è questo cane anziché un altro?; egli è figlio di Rover piuttosto che del bastardo. Al livello successivo stiamo domandando: perché è un cane anziché, diciamo, una giraffa? Al livello successivo: perché è vivo anziché inanimato? E così via.
Ora voglio sottolineare che per tutto il tempo stiamo facendo domande su questo particolare Fido. Semplicemente stiamo vedendo attraverso di lui ulteriori problematiche. I genitori di Fido ci conducono al fatto che egli è questo cane e non un altro, ma quello stesso atto fa sì che egli sia questo cane (e non una giraffa), che sia questo cane vivo, che sia questo biochimicamente complesso cane vivo; che sia questo molecolarmente strutturato, biochimicamente complesso cane vivo e così via. Stiamo ulteriormente esplorando che cosa sia per Fido l'esistere, osservando sempre cosa non è, ma avrebbe potuto essere. Ogni "da dove viene" chiede come si è giunti a questo al posto di ciò che non è. Ed ogni volta, naturalmente, rispondiamo riferendoci ad una cosa o ad un insieme di relazioni, ad alcune realtà esistenti, in virtù delle quali Fido è questo al posto di ciò che non è.
Ora la nostra ultima domanda radicale non è come mai Fido esista in quanto questo cane anziché quell'altro, o perché Fido esista in quanto cane anziché in quanto giraffa, o perché Fido esista come vivente anziché come inanimato, ma perché Fido esista anziché non esistere; e proprio come nel chiederci come mai esista come cane ci permette di inserirlo nel contesto dei cani, allora chiederci come mai egli esista anziché non essere, ci permette di inserirlo nel contesto del tutto, dell'universo o mondo. E questa è ciò che chiamo la "domanda su Dio", perché qualunque sia la risposta, qualunque sia la cosa o l'insieme di relazioni, qualunque sia la realtà esistente che risponde a tale domanda, noi la chiamiamo "Dio".
Naturalmente è sempre possibile smettere di fare domande in un qualsiasi punto; un uomo può rifiutarsi di rispondere alla domanda sul perché i cani esistano. Può semplicemente rispondere che i cani ci sono e basta e che è empio indagare il perché - ci sono persone che oggi affermano questo riguardo a Darwin. Similarmente è possibile rifiutarsi di rispondere a questa domanda finale, per dire come disse un tempo Russell: l'universo è lì. Questo mi sembra arbitrario proprio come dire: i cani sono lì. La differenza è che ora sappiamo, col senno di poi, che le critiche a Darwin erano irrazionali perché abbiamo familiarizzato con una risposta alla domanda "come mai esistono i cani?" Invece non abbiamo familiarizzato con la risposta con la risposta alla domanda "come mai esiste il mondo anziché il nulla?", ma questo non rende meno arbitrario rifiutare di porsi la domanda. Porsela è entrare in un'esplorazione che Russell semplicemente rifiutava di fare, a me sembra. È naturalmente giusto sottolineare il mistero di una domanda sul tutto, puntare al fatto che non abbiamo modo di rispondervi, ma non è affatto lo stesso che dire che è una domanda senza risposta. Come disse Wittgenstein: "Non come il mondo è, ma il fatto che è, è il mistero".
C'è infatti una difficoltà nell'avere il concetto del "tutto", perché di solito concepiamo cose che hanno, per così dire, un confine attorno ad esse: questa è una pecora e non una giraffa. Ma il tutto è circondato dal nulla, che è come condire che non è circondato affatto. Per arrivare allo stesso punto in un altro modo: noi non possiamo avere alcun concetto del nulla, parlando in termini assoluti. Possiamo usare la parola in senso relativo; possiamo dire: "Non c'è nulla nell'armadio" con l'intenzione di dire che non vi sono oggetti abbastanza grandi - intendendo che non vogliamo dire che non vi siano né polvere né aria. "Non c'è nulla tra Kerry e New York" vuol dire che non vi sono terre. Non vuol dire che non c'è assolutamente nulla, né mare né pesci. Le nozioni del tutto e del nulla assoluto non sono a noi accessibili nello stesso modo con cui lo sono quelle di pecora o scarlatto o ferocia. E ciò significa che stiamo ponendo la nostra domanda definitiva e radicale attraverso strumenti che non faranno il loro lavoro correttamente, attraverso parole il cui significato deve essere esteso al di là di quanto possiamo comprendere. Sarebbe molto strano se così non fosse. Come dice Wittgenstein, quel che abbiamo qui è il mistero. Se il problema di Dio fosse un problema pulito e semplice cui rispondere in termini di concetti familiari, allora di qualunque cosa staremmo parlando, essa non sarebbe Dio. Un Dio che fosse in tal senso comprensibile non varrebbe la pena di essere adorato né varrebbe la pena di parlare di lui (se non allo scopo di distruggerlo).
È chiaro che così allunghiamo la mano, ma non raggiungiamo, una risposta alla nostra domanda finale, "perché esiste qualcosa anziché il nulla?". Ma siamo in grado di escludere alcune risposte. Se Dio fosse qualunque cosa rispondesse alla domanda "perché esiste il tutto?" allora evidentemente esso non dovrebbe essere incluso nel tutto. Dio non può essere una cosa o una creatura esistente tra le altre. Non è possibile che Dio e l'universo si debbano sommare per diventare due. Di nuovo, se noi parliamo di Dio come della causa dell'esistenza del tutto è chiaro che noi non possiamo dire che egli abbia prodotto l'universo dal nulla. Qualunque cosa sia la creazione, essa non è un processo di produzione.
Ancora, è chiaro che Dio non può interferire con l'universo, non perché non ne abbia il potere ma perché, per così dire, ne ha troppo; per interferire devi essere un'alternativa o quantomeno essere accanto a ciò con cui stai interferendo. Se Dio è la causa di tutto, non c'è nulla a fianco del quale egli può stare. Ovviamente Dio non fa differenza per l'universo; intendo con questo che non dobbiamo rivolgerci specificamente a Dio per spiegare perché l'universo è in questo modo anziché in un altro; per questo abbiamo bisogno unicamente di fare appello alle spiegazioni interne all'universo. Per questo motivo non può esserci, mi pare, alcun elemento nell'universo che indichi che è stato creato da Dio. Quello di cui Dio è responsabile è il fatto che ci sia l'universo anziché il nulla. Ho detto che, qualunque cosa sia Dio, non è un membro del tutto, né un abitante dell'universo, né una cosa o una specie di cosa. E devo aggiungere, suppongo, che non è possibile fare domande su di lui, tipo: perché Dio esiste anziché non esistere? Non dev'essere possibile, per lui, essere nulla. Non nel senso che Dio è indistruttibile, ma nel senso che non deve aver senso prendere in considerazione il fatto che Dio avrebbe potuto non essere. Naturalmente è ancora possibile dire, senza palese contraddizione, "Dio potrebbe non essere", ma questo è perché, quando parliamo di Dio usando la parola "Dio" noi non capiamo cosa stiamo dicendo, non abbiamo alcun concetto di Dio; ciò che regola il nostro uso della parola "Dio" non è la comprensione di quel che Dio sia, ma la validità di una domanda riguardo al mondo. Ecco perché non siamo protetti da alcuna legge logica che ci impedisca di dire "Dio potrebbe non esistere" anche se questo non ha senso. Quello che vale per le nostre regole sull'uso di "Dio" non vale per il Dio che cerchiamo di nominare (ed identificare) con la parola "Dio". (E, come corollario di ciò, incidentalmente, ecco perché una prova famosa dell'esistenza di Dio, la prova ontologica, non funziona).
Quel che sto dicendo può far sembrare Dio remoto ed irrilevante. Egli non è parte dell'universo e per esso non fa alcuna differenze. È pertanto necessario sottolineare che Dio deve essere in tutto ciò che accade e in tutto ciò che esiste nell'universo. Se i genitori di Fido hanno portato Fido ad esistere anziché essere nulla, è perché nella loro azione sta agendo Dio, proprio come una penna scrive perché nelle sue azioni sta agendo uno scrittore. È perché Dio muove ogni agente dell'universo che gli agenti portano le cose ad esistere, che fanno nuove le cose. Ogni azione nel mondo è un'azione di Dio; non perché non è l'azione di una creatura ma perché è grazie all'azione di Dio che la creatura è sé stessa e fa le sue proprie attività. Ma ne parleremo più approfonditamente nel prossimo capitolo.
Per il momento posso solo dire che mi sembra che quello che noi spesso chiamiamo ateismo non è una negazione del Dio di cui sto parlando. Molto spesso l'uomo che si vede come un ateo non nega l'esistenza di una risposta al mistero del perché ci sia qualcosa anziché il nulla, nega che quello che pensa o che gli è stato detto sia una risposta religiosa a questa domanda. Egli pensa o gli è stato detto che le persone religiose, e specialmente i Cristiani, sostengono di aver scoperto quale sia la risposta, che ci sia qualche grande architetto dell'universo che l'ha progettato - una specie di Basil Spence, solo più grande e meno visibile - che ci sia una Persona Superiore nell'universo che emana decreti arbitrari per le altre persone e che le costringa, perché egli è l'essere più potente che c'è in giro. Ora, se negare queste affermazioni ti rende un ateo, allora anche io e San Tommaso d'Aquino e l'intera tradizione cristiana siamo atei.
Ma un ateo genuino è uno che semplicemente non vede che c'è un qualche problema o mistero qui, uno che si accontenta di fare domande riguardo al mondo, ma che non riesce a vedere che il mondo stesso solleva una domanda. Questo è un uomo che paragono a quelli che si accontentano di rispondere ai problemi con l'impianto scientifico consolidato, ma che non riescono a vedere che ci sono domande "di frontiera" genuine e significative, quantunque mal formulate. Ho fatto un paragone con la ricerca scientifica, ma lo stesso parallelo potrebbe essere fatto con qualunque tipo di attività creativa. Il poeta cerca di scrivere una poesia, ma non sa cosa sta cercando di dire finché non l'ha detta e riconosciuta. Fino a quando non la scrive, è estremamente difficile dimostrare che stia scrivendo una poesia o che potrebbe scrivere una poesia. Potrei dimostrare, indicando l'esistenza di mattoni e cemento e così via e la disponibilità di forza-lavoro che ci potranno essere create nuove case. Non posso dimostrare che ci sarà mai un'altra poesia.
Ho chiamato questo saggio Dio e Creazione per indicare ciò che io e la corrente principale della tradizione cristiana intendiamo come un cammino verso Dio. Incontriamo Dio, per così dire, o meglio lo cerchiamo e non lo incontriamo, quando l'universo solleva per noi una domanda radicale circa la sua intera esistenza. E creazione è il nome che diamo a Dio che risponde a questa domanda.
Spero che sia evidente che il termine creazione è qui utilizzato in un senso abbastanza differente rispetto al modo con cui viene usato dalla gente che cerca di scoprire l'origine dell'universo (che sia stato una grande esplosione o un'insieme di piccoli scoppi o che altro). Qualunque processo abbia avuto luogo in periodi di tempo remoti è ovviamente di per sé un argomento affascinante, ma è irrilevante nel problema della creazione, nella misura in cui tale problema ci fa parlare di Dio. Quand'anche dovessimo concludere che Dio ha creato il mondo, rimarrebbe comunque la questione scientifica sulla domanda: che tipo di mondo è questo e com'era, e come tutto è iniziato, se ha avuto un inizio. Probabilmente è inutile dire che la proposizione che l'universo è stato fatto da Dio e che tutto ciò che esiste, ha avuto inizio ed è sostenuto nel suo esistere da Dio, non implica il fatto che l'universo sia esistito solo da un certo tempo poi. Ci devono essere delle ragioni per pensare che l'universo sia finito nel tempo e nello spazio ma il fatto che la sua esistenza dipenda da Dio non ha a che fare con esse.
Venire a sapere che l'universo dipende da Dio infatti non ci dice nulla sulle caratteristiche dell'universo. E come potrebbe? Dal momento che tutto ciò che sappiamo di Dio (cioè che esiste e quel che non è) deriva da quel che sappiamo dell'universo, come potremmo tornare a Dio con informazioni aggiuntive sul mondo? Se pensiamo di poterlo fare, è solo perché abbiamo nascosto qualcosa di più nel nostro concetto di Dio - per esempio, quando facciamo Dio a nostra immagine e ci poniamo domande abbastanza illegittime come: "Che cosa avrei fatto se fossi stato Dio?". Dovrebbe essere evidente che questa è una tentazione che va evitata.
C'è un'ultima cosa che mi piacerebbe andare a toccare. Che ce ne facciamo del concetto di Dio come "persona"?
Penso che l'idea di un Dio-persona sia sorta in due modi abbastanza diversi. In primo luogo la gente pensa a Dio come ad una persona perché lo ha concepito come un costruttore - intendo dire che hanno un'immagine di Dio come di un'artista, o di un tecnico che lavora a qualcosa - e così reputano la sua esistenza. In tal senso la persona (nel senso di persona umana) è un'immagine di Dio, un concetto che può essere utile ma evidentemente può essere fuorviante. Secondariamente, penso che la gente consideri Dio una persona perché sembra assurdo dire che è impersonale. Per quanto romanticamente possano apparirci personificate le grandi forze impersonali della natura che sembrano torreggiare su di noi, sappiamo perfettamente che esse non sono persone. Ciò che è impersonale e non-intelligente potrà, in linea di principio, obbedirci sempre se solo conoscessimo il trucco. Ci sono persone che parlano di Dio come di una grande forza vitale, e ciò sarebbe corretto se questo servisse semplicemente a negare che egli sia un qualche particolare individuo concreto - cosa che evidentemente egli non è; ma dobbiamo ricordare che le grandi forze in realtà non possono fare nulla se non sono esercitate in un certo contesto. Vento e onde non raggiungono alcuno scopo, non c'è nulla che si possa considerare un successo nel loro dimenarsi. È soltanto parlando di loro come se fossero persone o al limite come viventi che possiamo parlare di loro come di capaci di ottenere qualcosa; e dal momento che qualsiasi altra cosa intendiamo per Dio, intendiamo qualcosa di fatto o di creato o di esistente, mi pare che non sia possibile pensare a lui come a qualcosa di meramente impersonale.
Una volta che abbiamo negato che Dio sia meramente impersonale abbiamo la forte tentazione di immaginarlo mentre formula intenzioni o pensa cose o s'intrattiene con la sua mente, ma nessuna di queste cose è una deduzione legittima. Per noi l'attività dell'essere persona è strettamente legata con l'attività di parlare, di formare concetti e dare giudizi ma non c'è alcuna ragione per trasferire tutto questo su Dio; in realtà ci sono forti ragioni per non farlo, visto che questa versione della personalità sembra associata al fatto che siamo esseri fisici, parti di un tutto materiale più ampio.
Noi possiamo, allora, dire che qualunque cosa spieghi l'esistenza dell'universo non possa essere limitata nel modo in cui lo sono le cose e le forze non intelligenti ed impersonali, ma questo non ci giustifica ad attribuire a Dio la nostra propria modalità di intelligenza. Se noi parliamo di Dio come se si stesse intrattenendo con la sua mente o decidendo o cogitando o ragionando, ciò può essere solo una metafora, come quando parliamo del suo possente braccio destro o dei suoi occhi che vedono ogni cosa.

 

[traduzione ii lingua italiana di Adriano Bernasconi]

 

 

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